martedì 31 gennaio 2023

Gli "Ulivi nascenti" del giovane Giansalvo Pio Fortunato

Sovente si parla dei nuovi orizzonti della poesia italiana, una volta assodati e assicurati alla storia, anche contemporanea, i nostri numerosi autori dell’ultimo Novecento che hanno davvero brillato in questo campo, da Raboni a Zanzotto, da Mario Luzi ad Alda Merini, da Edoardo Sanguineti ad Amelia Rosselli, per citarne solo qualcuno, quelli che al momento mi vengono in mente, e per non parlare poi del fulgidissimo trio Quasimodo, Ungaretti, Montale. Difficile diventa, per le nuove leve, continuare il loro percorso, con serietà e impegno; complicato diventa anche il discorso su come le nuove generazioni di poeti intendano affrontare e frequentare la poesia, contribuendo a innovarla o anche semplicemente a riconfermarla, con propri assidui e seri studi e ricerche, e di contenuto, e di stile formale.
Succede così di trovarsi di fronte a mere emulazioni, a languide e inconsapevoli versificazioni di storie autoreferenziali, a volte banalmente intrise di figurazioni ridondanti e abusate, a volte eccessivamente impetuose e persino aggressive.
Altre volte però, e forse più raramente, il giovane poeta riesce a individuare una propria strada, un proprio cammino che, consapevole dell’importante e ricca eredità culturale lasciata da quei Grandi, con serietà e impegno comincia a tracciare un suo valido e significativo itinerario poetico. Sono in effetti perle rare, creativi che fondano il proprio intuito artistico su ricerche ad ampio raggio sui perché della vita e sul senso dell’esistenza, ponendosi interrogativi che poi estrinsecano attraverso l’espressione della loro arte, sia che si tratti di pittura, scultura, sia che si tratti di musica e di poesia. Nel nostro caso, il giovanissimo Giansalvo Pio Fortunato, originario di una cittadina in provincia di Caserta, mostra nonostante l’età di possedere già quel bagaglio intuitivo, filosofico e propositivo, di elevata qualità, necessario affinché la sua ars poetandi sia davvero all’altezza della situazione, e cioè: una poesia che abbia un costrutto propositivo, un’impronta propria, un’originalità di vedute e di stile, e quant’altro di sottile e di inavvertito ma potenziale in sé, tanto da essere in grado di esplodere di volta in volta lungo il percorso di lettura, con illuminazioni progressive.
Giansalvo Pio Fortunato raccoglie in parte l’eredità classica e dell’ultimo novecento italiano, riuscendo nell’intento di costruire su quelle fondamenta una poesia intelligente, con l’utilizzo sapiente di strutture barocche intervallate da fluidi itinerari lirici e persino da vene di sottile ermetismo. Ma non è, il suo, un emulare lo spirito dei predecessori, bensì è un costruire ex novo foderando gli archetipi di nuovissimo tessuto poetico. Ulivi nascenti, e non poteva il nostro giovane autore trovare titolo più appropriato, è dunque una raccolta poetica compatta e complessa, formata da testi per lo più lunghi, estesi anche i singoli versi, per necessità di un dire poetico ricco e forbito, in cui Fortunato recupera spesso termini desueti e arcaismi, bene inseriti nel contesto significativo del verso, dando loro vigore e luce nuova.
Il sottile filo conduttore di questi componimenti poetici è da ricercare in un sottinteso e continuo sentimento amoroso, inteso sia in senso fisico che spirituale, rivolto e dedicato alla donna ma anche nei confronti della natura e del creato; la consapevolezza del tempo che fluisce sincrono, avvolge e condiziona l’intero mondo poetico dell’autore, che ne fa motivo di sprone e di speranza, al fine di dare comunque un senso positivo alla vita, agli attimi, alla realtà che ci circonda.
Con Ulivi nascenti, alla stregua della pianta robusta e millenaria, si individua in Fortunato una vena creativa fruttuosa, che si sviluppa man mano lungo un percorso paziente di ricerca di autenticità e bellezza della vita, proponendo attenzione, costanza e amore nei confronti di una natura troppe volte dimenticata e degradata.


FLUISCE IL TEMPO SINCRONO

 

Fluisce il tempo sincrono alla vita che fugge;

monotonia si riversa sui giorni già arsi

delle abrasioni urenti del vissuto,

a cui poi schiocca la lancetta che sopraggiunge

in un mezzodì cocente ove sparsi

sono i raggi sibillini del sole celato.

Finissimo scende il pianto ciclamino dell’uranio

a cui si interseca il vortice degli ultimi esalare

densi ed opachi, come ceneri raffreddate

per cui lo spirito terroso ne ha storto il cranio,

ferito il cuore nel suo fulcro per iniziare

nuovamente a sanguinare ma spurio; così stonate

e confuse voci elevano l’ultimo stasimo.

 

Silenzio. Ed il mondo insillabato muove le sue pruine

né più liricità, né l’aurea di mistero tonante,

poiché squarciato il vero è il nulla.

 

 ***

 

 

PIOGGIA SU CROCCHI STRAMAZZATI

 

Intrisi sono i confini degli specoli

del verde riflesso del cadere battente,

sicché volendo mirare la propria immagine

si è colti impreparati ai pericoli

continui a cui la vita espone ferocemente;

l’animo ancora fuliggine

e non ancora della stessa inclinazione e sfumatura del fumo

fugge, come levriero in trappola, finché non trovi l’estuario

a cui arenarsi e far passare la tempesta immobile.

È un ticchettio, una corsa leggera e poi un grumo

a percuotere il terreno martoriato tanto che statuario

e passivo sopraggiunge l’avvenire senza che, flebile,

il futuro elevi il suo richiamo.

Roboante è il passato, ma tanto più cruento il contemporaneo

sicché, al nuovo soprassalto delle Erinni, grandina

sui crocchi danti visione dell’io

ed allora solitaria lirica l’èlitra, quasi timorosa, e reo

di aver indotto timore inveisce in sordina

il buio pesto del tempo, la cui soluzione sia l’oblio.

 

 ***


PUREZZA

 

Lucilla, gli albori del giorno si arroventano;

gli starnazzi del capolino emettono il tuo chiarore

ed i silenzi, ora più densi, mutano il fervore

avendo i sassi, su cui germogli, inumidito il capo. Ora cantano

gli anni più semplici ed umili

tanto che i crocchi aerei auri ed immacolati

contornano il tuo capo, sicché baciati

dal tuo criptico incedere, sensibili

conduci a flautare i miseri sparvieri.

Temo dunque che il silenzio sia squarciato;

che la libidine ed il sonno da me eretto e pensato

non abbiano il senso dei tuoi abbracci veri

quelli dei vent’anni e quelli dei giugni

che hanno intelato e timidamente costruito

La tua culla di foglie. Il primo vagito

ha donato al mondo la musa dei più puri tra i giunchi;

ed ecco che Psiche arrossisce al tuo vivere.

Vitrea la musica che da ponente muove la tua corona

e vile il concimare poiché ti cibi ad ogni ora

della voce dell’amabile sole. Se vi fosse il mentire

allora il più profondo tra i bugiardi io sarei,

arrecando il più superbo tra gli onori: essendo tuo mentore;

tu eliotropo raro rigenerante la terrosa aria cenere

che rinfresca il tramonto. Impazzirei.

 

 

 ***


VITA

 

Crepuscolo. Sui venti soffianti da ponente,

sui chiasmi di arbusti e licheni irti,

sul verdeggiare arroventare dal dorare cavalcante

avendo il sole già tramortito gli ultimi virgulti.

Sèguita, dunque, il tenero passo di flotte di piccole formiche

balzanti una ad una la candida siepe,

ginestre mai fiorite e semente le cui raccolte son poche;

schiamazzi di vetri spezzati, visione miope

del deserto galleggiante su tale vita monotona

apice di un sussulto ed una frase asincrona

tra mente e bocca sillabante.

Bighe alate erette da cima a fondo dalla carne

e strepitio di bossoli litei arroventati;

qualora lanciando al domani un carme

l’oggi potrà affermare di essere di ticchettii insignificanti.

Il tempo non ha allora scorta, non trovando archetipo

o groviglio che gli possa combaciare

essendo vite plasmate al nero del sublime prototipo

dimentichi del non vivere come via del risorgere.

 

 

 ***


IMPETO X

 

Giace ancora pensante l’utopia;

la smania infida di possedere la bellezza,

l’arte e la naturalezza nel giochicchiare. Sinfonia

di dolore e terribile melodramma è certezza

di ascoltare i profumi e le essenze di pelle strofinate dal vento

ma comprendere che non siano della stessa essenza

dei nostri epiteli. Essi vorrebbero toccarsi, poi mento e mento,

poi un flebile sibilo ed un grido fanciullesco in cui la presenza

sarebbe oro puro, appena colato dal crogiolo. Divina assenza,

che tormenta i sogni e fa riattivare i battiti.

Clara spezzi ogni me stesso, se non posi il tuo animo sul mio!

 

 ***


AI CROCICCHI DEI MARI E AL MERIGGIO

 

Ai crocicchi dei mari e al meriggio

al vento che risale la china e poi decanta

come canto e sinfonia per il villaggio;

commedia estenuante perché mai scritta. Incanta

e poi risalta sugli arbusti ancora sciapiti

sono emozioni, villaggi di casa e poi tendini ancora spezzati

non riesce a parlare l’onda perché diradata, spariti

gli ultimi palpiti di pesci che battono la banchina. Vulnerabili e

[mai placati

al vedere una tale Soave bellezza che mai esiste

è gioco infatti di mente e vento. Insiste

allora il ponente a desiderare la maestosità

di Parnaso che mai fluirà e mai morirà.

 

 

 ***

 

LUCILLA

 

Viuzze e calle agli irti profumi di mare,

arbusti ancora rasati ed il muro radente le ombre;

gli ultimi strepitii dello sparviero pronto a sonnecchiare

e l’alba lucente sui petti lunghi del gabbiano. Le fronde

di ulivi ancora asciutti; lo stormire fiabesco ed eclettico

rimandante ai più auri tempi ove Parnaso e le notturne ronde

erano allietati dal dolce melodico dell’aedo cieco;

così che la sua voce ora incarna il timido sopire dell’amore

dinanzi ad angelo discendente. Ai barlumi del cuore,

ai suoi primi sussulti in petto richiamo il vivido colore

di sangue pulsato dall’inebriante suo saluto. Al dolore

del non aver condotto insieme i ranghi, i campi di vita

si sostituisce la leggiadra danza della lucifera pura e santa:

pura poiché espiazione della mia solitudine infinita

e santa, essendo angelo recante luce che decanta

ai miei incubi notturni.

 

(Brani tratti da Ulivi nascenti, di Giansalvo Pio Fortunato, Albatros Edizioni, 2022)


Giansalvo Pio Fortunato, originario di San Marcellino (Caserta), nasce il 20 marzo 2002. Dopo aver conseguito il diploma di studi classici, frequenta, per il primo anno e mezzo di corso accademico, la Facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università “Federico II” di Napoli, prendendo tuttavia coscienza della sua autentica vocazione: maturare una sensibile e lirica conoscenza delle dinamiche del mondo. Da qui, dunque, matura il trasferimento presso la Facoltà di Filosofia, del medesimo Ateneo, tutt’ora frequentata.

L’incontro con la poesia matura gradualmente negli anni: prima l’accenno di piccoli versi in rima baciata, quindi ricerche sugli autori classici e del Novecento italiano; per giungere poi ad una prima vera raccolta ” Ulivi nascenti”, crasi tra il simbolismo e la ricchezza della formazione classica ricevuta e la necessità di un linguaggio idillico, non nello stile quanto negli intenti, per sfuggire alla materializzazione odierna della Parola. La ricerca, dunque, dell’Arcadia perduta e della donna – Vestale è l’estraniarsi dal mondo per raggiungere il sublime, unico viatico verso la purezza intellettuale e dei sentimenti.

Angela Rosauro: "Il mondo è fatto a spigoli"

Non necessariamente la poesia deve manifestarsi esclusivamente sull’onda portante dei versi, nel rispetto delle regole, dei canoni molteplici e degli stili che un po’ tutti conosciamo o siamo abituati a riscontrare. Voglio dire, prendendo spunto dalle riflessioni di Caproni che la nostra autrice ha intelligentemente riportato in prefazione, che dare una definizione esatta di cosa sia la poesia è davvero arduo se non proprio impossibile. E allora, entriamo in merito a quest’opera particolare di Angela Rosauro, Il mondo è fatto a spigoli, brevemente, ma seguendo la riflessione di cui sopra. E cioè, una poesia ampia, a largo ventaglio, che abbraccia e include altre modalità espressive, come la prosa poetica e le immagini, ma anche, in alcuni tratti, una scrittura vicina al testo teatrale. (mi riferisco ai brani in prosa).
Si tratta di un excursus artistico-letterario in cui è predominante non solo la parola poetica, il verso libero dotato però di un grande afflato lirico interno, ma anche i momenti di prosa e le immagini, anche queste create dall’autrice e veramente corrispondenti al percorso complessivo che lei compie in questa raccolta.
Ma perché il mondo è fatto a spigoli, secondo Angela Rosauro? Se notiamo pure il sottotitolo, Il rinoceronte e la libellula, pensiamo subito a due estremi. Da una parte, il rinoceronte, simbolo di potenza e di forza bruta, dall’altra la libellula, simbolo di leggerezza e di grazia. Sono due poli che non si toccano, non entrano neanche in conflitto, ma stanno ognuno per sé: perché, il mondo, la realtà vista e narrata dalla Rosauro in questa raccolta, è proprio il caleidoscopio della vita quotidiana, nella famiglia, nella società, nel lavoro, che va da estremi di nefandezze e di disagi, di problemi difficili da affrontare, fino alla leggerezza e alla soavità, e direi della semplicità, dei sentimenti puri, dell’amore, dell’amicizia. C’è in tutto questo una sfumatura costante dall’uno all’altro capo: e il mondo è fatto a spigoli duri, zone del vissuto ognuna con le sue problematiche e i suoi sogni, i suoi dolori e le sue aspettative.
Il lavoro artistico e letterario di questa originale raccolta è stato magistralmente ideato e costruito unendo dunque vari aspetti della creatività dell’autrice. Non si tratta solo di poesie, come è evidente, ma di corpi artistici-letterari complessi, costituiti ciascuno da un’immagine, un brano in prosa e una o più composizioni in versi. La sequenza è: testo in prosa di apertura, immagine, poesie. Le tre modalità in ciascuno di questi paragrafi, sono intimamente connesse e aderenti al tema, e cioè a dire: l’argomento viene espresso attraverso le tre modalità artistiche/letterarie: prosa, immagine, poesia. Ma proprio per la bontà e per l’originalità delle immagini e dei testi in prosa, possiamo dire che tutta la raccolta è in effetti una espressione poetica ad ampio raggio, come asserivamo più su. In particolare, i testi in prosa si avvalgono di una immediatezza straordinaria, il racconto è essenziale, senza particolari prolungamenti descrittivi, fatto di rapidi stacchi, di flash, di immagini, situazioni e stati d’animo netti e improvvisi: “È in partenza dal binario ventidue… Passi veloci. Rimbalzi. Pesanti. Valigia nuova. Valigia zeppa.”
Analogamente, i brani poetici sono caratterizzati da un discorso fluido, che può fare a meno della punteggiatura in quanto le pause sono ben calibrate nei versi. Qui maggiormente si rivela il mondo emotivo di Angela Rosauro, osservatrice attenta degli stati d’animo e delle realtà psicologiche e materiali che condizionano gli animi umani, specialmente quelli femminili e la loro innata forza d’animo, la loro capacità, nonostante le sofferenze, di risalire la china e di lottare per i propri diritti.
Le immagini, originali nel contesto, integrano e completano quest’opera di grande valore letterario ed artistico, veramente meritevole di attenzione e di riconoscimenti.

voce di stazione


stasera il cielo di Napoli

come quello di Alessandria

trasuda gli odori

di un giorno caldo e faticoso

mi volto

e ti ritrovo accanto

il tuo volto triste

e abbronzato

come il vecchio marinaio Giovanni

andava e tornava da una vita

per mare

e l’amava e l’odiava quel suo mare

e Palinuro

era un posto sconosciuto

dove nessuno l’aspettava

questa è una sera di chi parte

te ne vai

e hai già negli occhi

la voglia e l’ansia dell’ignoto

cammini leggera

non senti le voci intorno

non vedi i colori morti

di una stazione misera e violenta

stringi fra le mani le tue cose

e guardi lontano

dove non c’è posto

per me per noi per tutto

queste voci queste grida

mi schiantano

sono voci malate e stanche

le loro le nostre la mia

ingoio un altro pezzo di vita

il passo deciso traversa rabbioso

la giungla di ubriachi

puzza di morte

e poi noi

 

***

 

È in partenza dal binario ventidue… Passi veloci. Rimbalzi. Pesanti. Valigia nuova. Valigia zeppa.

Anni stipati. Ciao quindi. Sì, ciao ci si sente. La tua piccola sagoma s’inoltra. Finestrini opachi.

Sporchi. Riflessi. Appari, scompari. Ti fermi. Ecco. Fischia. Ecco. Non c’è più tempo. Tatam-tatam…

Ora che fai? Mah… Faccio un passo indietro. Ruote metalliche prendono vita. Lente. Si muove. Sergio ti segue. Vi guardo. Tatam-tatam, tatamtatam… Sembrate un film. Muto. Tatam-tatam. Bello. Sempre più veloce, ancora un altro po’. Triste. Voglio andarmene. Odio le scene di addio. Retorica stopposa.

Vento. Ritmo. Ciao con la mano. Più veloce. Te ne vai. Ciao. Serrato. Tatam-tatam-tatam-tatam… Velocissimo. Finestrini sovrapposti, uno dietro l’altro, rapidi, uno sull’altro, sempre di più. Immagini sfocate lungo un’unica retta. Tanti volti. Tanti te. Nessuno. Tatamtatam… Velocissimissimo. Folata improvvisa. Ultimo vagone. Solo due luci, due fanali rossi. Grossi. Due occhi diabolici, famelici. Se ne vanno dietro al vento di un treno. Il tuo “tatam-tatam” s’inoltra nel buio, nel fuori, si ovatta. Ormai a stento vi vedo, l’occhio confonde i contorni, sovrappone. Piccola luce rossastra, pallida idea di vita, fuggita, svanita. Non riesco più a distinguerti, sei passata.

 

 

***


vespro

 

il cielo scolorisce in volto grande

anima dentro me

mi opprime

mi travolge

e il suo languore

m’agita dentro demoni stanchi

venere sorride

ammicca

invita

mi bacia di luce non vera

sola

muta

ripiego il capo

e il cuore

sulla mia vita

 

 

 

attesa elicoidale

 

non t’inganni il mio sorriso sospeso

inebetito di luce di attesa del suo moto elicoidale

insulso orpello di un possibile incontro

viene da mondi remoti improbabili rotte pozze di guazzo pensiero

porta indosso il puzzo dolciastro della sconfitta

e racchiuso tra i denti il sapore crudele di sale di sangue di soli di vita

non è ancora finita

non ancora è giunto il Tempo

a posare il suo occhio ferrigno che tutto avvolge nel silenzio

pur anche gli strazi di anni di vite di sogni di belve di morte

s’inebriano al suo nettare e infine si placano

non è ancora finita

risale indomita la smania di vita

in mille rivoli invade gorgoglia

risale fin dentro la gola assecchita

feroce rimesta le carni di sterpi di rupi di sassi

non è ancora finita

 

 

 ***

 

 

dammi un nome

 

mi dici mi canti mi culli

cose leggere leggeri

giorni baci leggeri

il tuo profumo spande

spumoso contagia

carezzano gli occhi

ridenti

i tuoi occhi ignari

dammi le mani

imparerò le carezze più dolci

dammi la voce

ti canterò di sera di notte

amore dolce candore

nascerò

mi nasconderò nei giardini

dei tuoi giovani anni

berrò il tuo vino

ti ridarò la vita la morte

danzerò per te nelle stanze segrete

i tuoi sogni nascosti

dammi un nome

un sospiro un dolore

sarò amore del tuo amore

 

 ***

 

non sempre è poesia

 

il tuo dire è potente

di sapienza lontana racconta la fiaba

sembra ferire

eppure scivola

inutile

lambisce di Bruges la trina

preziosa veste avvolge

un bianco inerte

ti accolgo mi smollo il respiro modello

al tuo passo di allegro

ma stolta il tempo perdo

in andante mi attardo poi incespico in largo

scandendo parole

maliarde fredde pupille

non riesco a squarciare

infine grave

torna d’affanno rimbalzo sul piano di marmo

senza toccare fondo

il mio è lontano da qui

ancora volta pagina

e poi ancora come incagli

di nastri di vite

pezzi di fogli stranieri

gli uni sugli altri

in ordine stanno

e più non dicono

 

 

 ***

 

in bilico

 

in bilico

sull’argine più alto

di quest’irta e scoscesa vita

sto

soffoca il cuore

nel tumulto del suo grido

né odo altro

mentre attendo

che s’alzi il vento

ma tu

fragile

imperiosa misteriosa

appari

ti appropri

mi tieni

 

(Brani tratti da Il mondo è fatto a spigoli, di Angela Rosauro, Nonsolopoesie Edizioni, 2022)


Angela Rosauro è nata a Napoli il 12 febbraio 1961, dove vive. Sin dalla giovane età ha mostrato vari interessi in campo artistico, dalla pittura alla musica, dalla poesia alla letteratura. Docente di lettere e successivamente dirigente scolastico ha dedicato la sua vita alla formazione delle nuove generazioni, dedicandosi con impegno e passione. I suoi molteplici interessi si manifestano chiaramente negli scritti, che vanno dalla saggistica storica, come La storia tra le storie, alla metodologia e didattica, come Cittadini si diventa e I fili invisibili, alla drammaturgia come Biancaneve e oltre e Il cunto de lu brigante Barone, al romanzo Catàmmari catàmmari.

sabato 28 gennaio 2023

La "rada" poetica di Clarice Spadea

In rada è la recente pubblicazione di Clarice Spadea, per la RPlibri Edizioni di Rita Pacilio, in cui l’autrice esprime, attraverso i componimenti poetici della raccolta, una riflessione importante sul percorso esistenziale di ciascuno di noi, e tante volte considerato anche dai maggiori poeti contemporanei; mi riferisco in particolare al concetto di luogo, fisico ma anche ideale, mentale, dove fermarsi un attimo, interrompendo le quotidiane faccende, impegni e preoccupazioni solite, per dedicarsi maggiormente alla propria intimità, alla propria essenzialità spirituale o meditativa che si voglia. Una sorta di “recupero delle proprie forze” per poter poi affrontare il mondo e la vita con maggiore entusiasmo e lena. Generalmente per indicare questo processo viene metaforicamente utilizzato il porto, l’isola, il luogo che non ha luogo, l’oasi, l’eremo, ed altri ideali simili.
Nel caso della nostra autrice, che da poco si affaccia al mondo della poesia ma già con solide basi e con idee chiare sul suo progetto poetico, è la rada il luogo ideale dove sostare finalmente in serenità, per poter comprendere meglio il mondo, la realtà, le circostanze e il subbuglio emotivo che sempre ci accompagna nel nostro viaggio esistenziale (e i creativi, e i poeti in particolare, ne sono come dicevo i più attenti frequentatori).
La rada è dunque questo luogo ideale, e poetico, dove l’autrice ha la possibilità di interrogarsi e di riflettere, finalmente, su tutto quanto normalmente è offuscato dalle incombenze di una quotidianità frettolosa e superficiale. In rada non c’è vento né tempesta, ma un cielo limpido e sgombro di nubi, segni atavici di speranza per un futuro migliore: “In rada / aspetto / il giorno che verrà”, afferma l'autrice negli ultimi versi della poesia con la quale apre la raccolta. Ed è appunto qui il nucleo essenziale del suo dire poetico: un desiderio di apertura alla speranza, alla libertà di cieli e terre nuove, da affrontare con coraggio e determinazione, traguardati da un angolo di pace e di serenità d’animo come stando in rada.
Tutto ciò, viene cantato dall’autrice con versi ben ritmati, generalmente brevi ed essenziali, diretti, in cui traspare a volte un velo di pacata nostalgia per il trascorso, ma sempre illuminati da una luce di speranza nel divenire.

 

In rada

 

Ho nel cuore

il mare

ma cammino serena

sulla mia terra

che sa

di calli e di salite

ma profuma anche

di boschi

e di anime ribelli.

Ricordo ancora

i sussulti che

tra polvere e detriti

fecero piovere

la notte all’improvviso.

Eppure

fra tremolii e speranze

io sono qui.

E a ridosso

dell’ignoto,

in rada,

aspetto

il giorno che verrà.

 

 ***

 

Vita

 

No, non smetto mai

di volerti,

di cercare

ad ogni risveglio

quel che

mi darai

nel nuovo giorno.

Così anche oggi

io vivo in te

e come te

sarò vento

o forse pioggia,

sarò

albero spezzato

o fiume straripato,

foglia cadùca

o fiore che spunta,

ma che importa,

sono qui,

ora

sono ancora qui

 

 ***

 

Quando s’alza il mare

 

Siamo come pietre

quando s’alza il mare,

ciottoli inermi

risucchiati dai flutti

e trascinati via.

Siamo come sassi,

resistenti ai colpi

ma stancamente arresi

al turbinio di risacca

quando s’alza il mare.

 

***

 

Risposte

 

Sempre protesa

a rincorrere

solo ciò

che esprima il calore

di un fuoco crepitante,

ancora

inseguo risposte

nel silenzio della solitudine,

nello stridìo della cattiveria,

nelle belle anime,

nelle lacrime raccontate.

Nelle tracce,

persino,

di chi

andava via per sempre.

 

***

 

I miei passi

 

Non sono mai sola

nella mia solitudine,

perché cammino nel mondo

e il mondo

cammina con me.

Ed ho

i miei pensieri

che mi seguono,

mi spiegano.

Ho poi

antiche impronte

e inattesi entusiasmi

che mi rischiarano

la via.

Ed ho volti che,

sia pur pochi,

non calpestano

i miei passi,

ma sorridono

di una dolcezza

dimenticata.


(Brani tratti da In rada, di Clarice Spadea, Edizioni RPlibri, 2022)


Clarice Spadea è nata a Taranto ma attualmente vive e svolge la professione d’avvocato ad Avellino. Ha già pubblicato nel 2018 una prima raccolta di poesie e riflessioni dal titolo Ho imparato a guardare il cielo. Collabora da anni con il periodico di attualità e cultura Il nuovo Meridionalismo diretto dall’avv. Generoso Benigni. È altresì autore presso ITV online, Irpinia TV di Avellino, diretta da Franco Genzale.



giovedì 26 gennaio 2023

Il degrado dei "Tempi così" nella poesia di Loredana Borghetto

È indubbio che le persone più sensibili siano le prime ad accorgersi che la realtà circostante sta subendo dei cambiamenti e che questi cambiamenti vanno significativamente verso uno stato di degrado e di squallore, in tutti gli ambiti, sempre più accentuato. È indubbio anche che molto probabilmente stiamo scendendo giù per la china verso una fase negativa della nostra civiltà contemporanea, nel rispetto di quella filosofia vichiana dei corsi e ricorsi che prevede l’alternanza di epoche felici e illuminate, con un susseguirsi di periodi di decadenza. Questa sensibilità è forse più acuta nei creativi e negli artisti, tanto che sovente mi piace considerare il poeta alla stregua di una sentinella che, sulla cima di una collina, riesce a traguardare meglio di ogni altra persona quello che succede o che si prepara laggiù, lontano, nella valle!
Ed è proprio ciò che accade in Loredana Borghetto, poetessa veneta di grande talento, che con questo recente volumetto intitolato Tempi così e sincronie in volo, edito dalla Libreria Urso avendo meritato il primo premio al Concorso “Libri Di-versi in diversi libri” edizione 2019-2020, esterna in modo gradevolmente lirico le sue preoccupazioni e le sue tristezze dinanzi ad una realtà in costante decadimento, sia dal punto di vista sociale (soprattutto sociale!), e sia in ambito etico, morale e politico. La raccolta, divisa in due parti, inizia proprio con una lirica liberamente ispirata alla famosissima “Alle fronde dei salici” di Quasimodo: Anime arrese, rassegnate, cantano il disappunto, quasi una denuncia latente, nei confronti di questa umanità. Tempi così: e nulla potrà arrestare o limitare il degrado. Questa la constatazione poetica, intensa, pregna di rammarico, della prima sezione.
Ma la nostra autrice ha inserito nella raccolta anche una seconda sezione (“Asincrone sincronie”), dove con questo bisticcio di parole vuole a mio avviso sottintendere velatamente, e volutamente, ad una possibile redenzione, sebbene il titolo della sezione indichi ancora, piuttosto, una sorta di confusione, di scollegamento, di disarticolazione contingente, nei vari tentativi di rinascita, di recupero dei valori essenziali, dote preziosa di ogni civiltà progredita. È l’ora della partenza, dunque, afferma la Borghetto in una delle poesie della seconda sezione. È un richiamo al coraggio, alla ricerca del vero dentro di sé e dentro l’umanità, per crederci ancora, per far danzare ancora i sogni attorno ai raggi del sole, aprendo nuovi spazi.
Una poesia scorrevole, dai toni alti e declamatori, con una struttura stilistica di notevole livello, il che denota la grande esperienza poetica dell’autrice e la bontà letteraria della sua opera.


Anime arrese

(liberamente ispirata alle Fronde dei salici di S. Quasimodo)

 

E come possiamo ancora cantare

in queste notti di musica spenta

mentre occhi increduli interrogano

divinità cadute. E voci senz’appigli

dall’abisso affiorano e ci sfiorano

ci afferrano e trascinano nel mare

popolato da lacrime asciutte

di madonne mute che raccolgono

corpi spogliati e increduli lamenti?

 

Giorno dopo giorno veli di cipria

sopra anime arrese coprono

l’inverecondo orrore

che profana l’architettura sacra

del cielo. Veli a proteggere cocci

d’umanità in attesa che timidi

sistri stingano suoni ubriachi

di un tempo scontornato

senza aneliti di redenzione.

 

 ***

 

In questa babele senza armonia

 

Colossei di cemento e cattedrali di cose

strade che volano e metalliche armature

paesi dilatati lungo arterie sclerosate

che risucchiano persone e cancellano ricordi

di natura, paesi congelati nel chiarore meticcio

di luna e lampioni che spiove freddo

su tetti butterati d’antenne e si dissolve

nel petrolio della pianura

 

in cerca di una via di fuga

l’occhio s’aggrappa a un campanile

lontano aspettando un suono

che sia rivincita su arroganti fragori,

insegue un lembo di cielo che restituisca

anche una sola stella o una fascia di terra

dove ascoltare un canto ancora

in questa babele senza armonia.

 

 

 ***

 

Siamo “l’impero alla fine della decadenza”

 

Quando ogni battaglia si consuma in asettiche lontananze

e nessuno ha voglia di cambiare la storia

quando i confini sono muri e filo spinato

e i porti fortezze impenetrabili

quando il silenzio invade strade d’ingiustizia

 

quando ci chiudiamo nei nostri rifugi

e lasciamo che le ferite diventino piaghe infette

quando la poesia si fa artificio che plasma gioielli

di scena con vuote parole e bugiarde

 

allora davvero siamo “l’impero alla fine della decadenza”

se novelli rabdomanti non faranno sgorgare

fiumi d’umanità inghiottiti da carsiche doline.

 

 (dalla Sezione I - TEMPI COSÌ…)

 

 

 ***

 

È l’ora della partenza

 

Finito il tempo dell’attesa

è l’ora della partenza

nella casa gesti interrotti

che non tornerai a completare

domande senza risposte

risposte che hanno smarrito le domande

dettagli sfuggiti e voci orfane.

 

Spegni pensieri sbagliati

scavalchi il dolore

accalcato dietro la porta

misuri il silenzio che lento dilaga

nelle stanze spopolate

e scivoli lontano da luoghi e volti

sfumati già nel paesaggio

concluso del tuo destino.

 

Raccogli qualche parola attardata

per finire la tua poesia

e senza fretta chiudi la vita

nelle teche lucide della lontananza.

 

È l’ora della partenza.

 

 

***

 

Intorno a quel raggio di sole

 

Nella penombra pallida

di quella stanza dove la polvere

gioca con un raggio

impavido di sole

si allenta la morsa pesante

di tradimenti e promesse

lasciate inacidire

si cancellano pedaggi

d’abitudini pagati per coprire

peccati d’omissione.

 

Danzano i sogni

intorno a quell’audace raggio di sole

che apre spazi nuovi

oltre quella stanza,

alla ricerca di minute particelle

di luce sospese nell’alba

di ogni giorno da vivere

fino al tramonto.

 

 ***

 

Sei salvo

 

Non sono legate con fili di piombo

oggi le tue palpebre. Ti svegli

ti stacchi da terra sei oltre…

il mondo è laggiù lontano

e la tristezza è quasi dolce.

Sei salvo.

Ti butti nel vento ci balli dentro

aria nei polmoni cuore a mille.

Devi andare.

È come sparire ed esserci

non essere lì ed esserci più che mai

non sei più cocci sparsi.

 

Sei salvo.

 

(dalla Sezione II - ASINCRONE SINCRONIE)

 

(Brani tratti da:

Loredana Borghetto, Tempi così e Sincronie in volo, Libreria Editrice Urso

opera prima classificata al concorso Libri Di-versi in diversi libri, edizione 2019-2020)


Loredana Borghetto, nata nella Marca Gioiosa, laureatasi in Lettere presso l’Università di Padova, vive in provincia di Belluno dove ha insegnato per molti anni in un istituto superiore del capoluogo. Donatrice di voce presso il CILP (Centro Internazionale del Libro Parlato) di Feltre, registra testi di vario genere (anche scolastici) ad uso di non vedenti, ipovedenti e dislessici. Le sue poesie sono state più volte segnalate e/o premiate da varie giurie. Si è classificata nei primi posti del Concorso “Libri di-versi in diversi libri” bandito dalla Libreria editrice Urso, presso la quale ha pubblicato le raccolte Anch’io sento quel canto e Vite in camminoHa seguito e segue l’attività della Libreria Editrice Urso a favore della circolazione della poesia in varie città d’Italia, sintonizzandosi poeticamente con i più svariati argomenti, nelle condizioni più insolite, anche per strade, piazze, come ha scritto l’editore Francesco Urso motivando l’assegnazione della prestigiosa targa da lui ideata. Partecipa a varie iniziative proposte da noti poeti e/o gruppi poetici, attenta a cogliere i segnali di innovazione nella poesia attuale per adattarli alla sua personale sensibilità.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà