Non ci troviamo di fronte alla solita e frequente autoreferenzialità, né alle mere e superficiali descrizioni di albe e tramonti che, per quanto possano essere carichi di pathos e di sentimentalismi accentuati, rimangono sempre narrazioni in versi piuttosto blande e stereotipe. Qui, al contrario, ritroviamo una potenzialità forse ancora da migliorare e da affinare, ma è già evidente l’impianto poetico significativo, determinato e originale sia nel contenuto che nella forma. L’entrata in argomento senza titoli, senza oziosi perifrasi o giro di parole, ma andando direttamente al nocciolo dell’assunto, dimostra che il nostro giovane autore ha già raggiunto una padronanza del verso veramente buona, un verso che procede seghettato, inquadrando bene come in varie illuminazioni consecutive, il discorso poetico complessivo. Una poesia del dubbio, della ricerca, del rispetto: “Guardo un punto fisso / e tocco le stelle / e il silenzio mi insegna a contemplare / l’infinito vuoto / che nel rumore / cerca la parola”. Una sintesi quasi perfetta di quella affannosa e interminabile ricerca che ogni creativo compie dentro di sé, interrogandosi e lacerandosi, e che poi giunge ad identificare in quella parola poetica che, totalmente, possa esprimere a sé stesso e agli altri, il vero senso dell’esistenza. In un rumore di fondo che distrae e distoglie.
Francesco Vitale è poeta autentico, laddove la poesia è fatta di parole che tendono all’infinito, in uno spazio esiguo e breve nel tempo, e in un silenzio rumoroso che confonde e banalizza ogni cosa.
Leggiamolo ancora in questi versi che qui propone.
E poi qui
nella dimensione del fare
continuo a stare nella vita.
Traccio le linee
che circoscrivono la mia penombra
e il presente si inabissa
nel cerchio della consuetudine.
Guardo un punto fisso
e tocco le stelle
e il silenzio mi insegna a contemplare
l’infinito vuoto
che nel rumore
cerca la parola.
*
Scrolla il mondo
e il patto si fa chiaro
con le sorelle cose.
Le pietre in letargo
aspettano il passo dell’uomo.
Tutto si fa tutto
e aspetta che procede sensato
nel fare della terra
e nel palmo del cosmo
dove continua la vita.
*
Il mio
silenzio è d’oro.
Ho ventiquattro karati di silenzio
per cento per cento per cento.
Il mio silenzio sta
sul tempo
della lievitazione
è fatto di pane e farina
è grano è pagliuzze
e cuoce a fuoco lento.
Ha l’odore della lentezza
il mio silenzio
e del piano piano che calma.
Au Au Au chiama,
ogni tanto,
ma sempre in silenzio.
*
Plano
sui miei affanni
e ne faccio
musica compatta
ne faccio
suono composto
di respiro e di soffio
che rigenera la vita.
Voglio vita nuova
ogni giorno, che sia gioia
per il mio essere al mondo
per lo stare ancorato
sulla terra
ed essere grato
sottilmente e lieto.
*
C’è tempo d’attesa
tempo di grandine
e silenzio
nel respiro del mondo.
C’è mistero di pace
fiamma che arde
nel ventre universale
e ci tiene nel nome
nel peso singolare
che si fa corpo.
*
Canto il corpo che rinasce
amplifico la misericordia
nella costituzione del verbo
che si fa pulsante
si fa clima dolce
per la mietitura del bene.
Canto la vita intera
che sta tutta nei vestiti che indosso
nelle infinite parti
che la rendono linfa
di un urrà festoso
preghiera costante
di gioia fertile.
Francesco
Vitale si è laureato nella magistrale di Cinema, televisione e produzione
multimediale all’Università Roma Tre. Ha pubblicato Una storia dei
giorni che passano (Coessenza, Cosenza 2015) e Varchi attivi (Edizioni
Erranti, Cosenza 2020). Alcune sue poesie sono state tradotte in spagnolo nel
volume argentino Fragmentos de Humanidad (Le Pecore Nere Editorial, Rosario
2018). I suoi testi sono apparsi su siti e riviste.
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