Eccoci quasi in piena estate! Relax, come suol dirsi, ma anche tempo di riflessioni e di letture, magari sotto l'ombrellone, o nella tranquilla penombra della propria stanza di lavoro o di studio.
E a proposito di riflessioni, volentieri e con piacere riportiamo qui di seguito una interessante Nota di Rita Pacilio, illustre poetessa e critico letterario, nonché Direttrice e curatrice di RPlibri.
Buona lettura!
L’estate
2018, oggi 9 luglio, continua a riservarci sorprese. Purtroppo, la condizione
politico-sociale italiana ed europea occupa, in maniera totalizzante, la nostra
mente di cittadini e di esseri pensanti. Le notizie di cronaca si alternano tra
episodi di razzismo, femminicidi e fenomeni atmosferici, cartine di tornasole
della perenne crisi delle relazioni sociali e delle stagioni. Il clima emotivo
di noi tutti è turbato dai bombardamenti degli avvenimenti del mondo: la
ricaduta emozionale è inevitabilmente burrascosa. In Italia, ultimamente, poeti
e critici, per reazione psicologica all’enorme quantità di scritti, secondo me,
mettono in scena crudeli stroncature e deliri personali sostenendo che la poesia è morta. Negare e
strumentalizzare la condizione sociologica dell’affaccio poetico/presenza di
tante giovani voci e il lavoro costante di autori più o meno conosciuti/ affermati,
porta a minimizzare o ad amplificare, direttamente o indirettamente, lo stato
delle cose. Non mi soffermo sulla qualità o sull’abusivismo della parola
poetica degli ultimi anni (poesia e versificazione hanno significato formale,
letterario ed estetico diverso, è vero, ma non ritengo sia questo il momento di
tirare somme in modo imprudente, prematuro, forzato e semplicistico), ma parlo
esclusivamente di rilevazione sociologica come presa di coscienza della
necessità di molti autori di esprimersi e servirsi, comunque, della poesia. Di
questo aspetto parlerò più dettagliatamente in un eventuale prossimo articolo. Intanto,
mentre sui social esibiamo magliette rosse per sentirci più umani, i libri
accumulati sulla scrivania chiedono lettura, attenzione e cura. La parola si
esibisce a voce alta tra cinema, teatro, musica, fotografia e libri: ecco, mi
soffermo su alcuni libri di poesia per divulgare e costruire la strada attuale
del cammino poetico il quale definisce lo scopo della scrittura del nostro
tempo.
È
proprio la sacralità della poesia che cerca il modo di riordinare le cose del
mondo. Da anni Antonio Spagnuolo,
poeta e critico napoletano, si sofferma, con i suoi scritti poetici, su questa tematica.
Canzoniere
dell’assenza – Kairos, 2018 e Come un solfeggio – Kairos, 2014 –
sono la testimonianza che l’arte ha bisogno di studio e perseveranza
nell’ascolto del silenzio e, contemporaneamente, del caos della vita per meglio
interpretare se stessi e i meccanismi dell’esistenza. La forma e il senso della
parola poetica affievoliscono i drammi umani riproducendo i cambiamenti
significativi come potenzialità e superamento dell’assenza, della paura di
restare soli. Le immagini narranti girovagano tra ricordi, solitudini, amori,
dolori, presenze, rimorsi, dubbi, illusioni, speranze e attese, le quali
appaiono segmenti intrecciati nella musicalità dei versi. Qui avviene la
trasformazione miracolosa dell’offerta, della celebrazione: il paesaggio intimo
assume valenza universale proprio quando viene travolto dalla pulsione
sentimentale, dall’amore profondo per gli esseri umani, per la natura, per Dio.
L’esperienza feconda e umana della sostanza poetica testimonia l’io e l’aspetto
esteriore rendendo grazie alla bellezza del viaggio
vissuto come un avvenimento ciclico e senza fine (Il vento leggermente ti scompiglia la chioma/nell’impazienza che
assottiglia il ritmo/delle attese. Sei il nitido riflesso di risacca.)
Correnti
contrarie,
Ensemble, 2017, di Angela Greco,
poetessa pugliese, ripropone testi editi e inediti sugli equinozi, giorni
dell’anno che delineano le ore del giorno e della notte in eguale misura
temporale. L’autrice pone sulla bilancia del tempo la giusta presenza della
bellezza e della difficoltà umana della riconoscenza. Poesie e prosa poetica
per far esplodere, dalla stessa prospettiva, la consapevolezza della perdita e
della conquista. Per questo motivo il gesto del vivere non scolora gli attimi
vitali, anzi, li cattura in un linguaggio corposo e metaforico per restituirci
il senso delle realtà più semplici del mondo, i sogni, la comunione, i limiti e
la poesia (Il mio pensiero, il
tuo/l’inimmaginabile piacere/giunto alle stesse conclusioni.)
Molto
convincente è anche l’opera di Francesco
Lorusso, poeta pugliese, dal titolo Il secchio e lo specchio (Manni,
2018) in cui il lavoro stilistico dell’autore cattura la scena tristissima
della quotidianità. Gli oggetti, riflessi nello specchio, infatti, esibiscono se
stessi attraverso l’utilizzo delle performance umane, troppo spesso, prive di
senso civico. Il libro è pervaso da esplicite sofferenze legate alla falsa
cultura, madre, inevitabilmente, di false coscienze capace di deteriorare i
rapporti interpersonali e le nervature generazionali. La denuncia del progresso
esasperato è la colonna portante del discorso poetico finalizzato a
sensibilizzare la capacità di pensiero e il confronto. Stupisce il progetto e
l’esito: l’organismo testuale è lo strumento e il pensiero responsabile della
poesia fornisce gli specchi di lettura (Il
colore della colla secca sulla giacca/e lo stupore assopito dalla fretta/non ci
mantiene accostati al momento. Stagna sulla carta/una macchia di identità
permessa.)
Viviamo
ed esistiamo in poesia sicuramente a prova di nostalgia e memoria come
resistenza all’oblio e implorazione della verità. Cactus di Melania Panico (poesie) e di Matteo Anatrella (fotografie),
Gechiedizioni, 2018, ne è, dunque, la prova provata. Dieci poesie e dieci
fotografie per sezionare l’esperienza emozionale del folgorio vitale: un
dialogo storico e intimo che accade nel destino di ogni uomo, nella natura
delle cose. Traccia e segno che rendono bene comune e prezioso ogni
lacerazione, l’ostinata permanenza, la memoria, la dissoluzione della
spaccatura del transito di una foglia o della pioggia sui vetri. Così vivere
significa scomparire nel nulla, fermare i momenti o camminare a pieni polmoni,
coscientemente. Amare, per questo motivo, la sofferenza delle lacrime sapendo
di aver raggiunto la viva maturità del vissuto.
L’abnegazione del superfluo, l’essenza, il distillato simbolico della radice e
delle vie segrete per riappropriarsi di risposte e ulteriori quesiti filosofici,
la mancanza, il tempo: questo il senso poetico di Cactus in cui la parola e l’immagine arrivano, contemporaneamente,
ai fondamenti estremi dell’offerta e della complicatissima presenza del reale
quale indizio per sospirare, respirare, appartenersi (La fronte mostrerebbe tristezza se potesse/quello che resta è da
considerare:/chiudere la porta come ultimo respiro forzato/maestoso istante di
gioia).
Rita Pacilio
Ringrazio Rita Pacilio
RispondiEliminaper l'attenzione posta alla mia ultima raccolta di versi, con le sue parole precise, all'interno di questa bella nota di lettura collettiva.
Sono davvero lieto di ritrovarsi su TRANSITI POETICI in ottima compagnia, dentro questi particolari consigli di lettura estivi.
Un saluto a Tutti.
Francesco Lorusso