giovedì 22 dicembre 2022

Giovanni Ibello e il suo "Dialogo con Amin"

Giovanni Ibello è il più antico dei nostri giovani poeti. Il suo verso si immerge nelle origini, possiede il respiro cosmico dei poemi greci e indiani, è ricco di archetipi, presagi, divinazioni, tutto un universo di simboli arcaici che però viene esplorato da una parola conficcata nei nostri giorni.” Così afferma Milo De Angelis nella sua magistrale introduzione a questo bellissimo poemetto di Giovanni Ibello, dal titolo Dialoghi con Amin. E non si può che concordare pienamente con questa sua “presentazione” del giovane/antico poeta napoletano, sicuramente uno dei più importanti e significativi del nostro attuale panorama poetico italiano. L’analisi di Milo De Angelis è precisa e motivata, profonda nel sintetizzare in poche frasi tutto il progetto poetico del nostro autore, che con questa recente raccolta edita da Crocetti, conferma ancora una volta la bontà e la consistenza del suo dire poetico.
Viene da chiedersi chi sia Amin, con il quale Ibello si intrattiene in dialogo. Ma non ha nessuna importanza, in quanto la poesia pura è avulsa dai personaggi, vive di luce propria: voglio dire, che qui la protagonista principale è senz’altro la poesia stessa, indipendentemente dal personaggio o dai fatti sulla quale si “appoggia”. Al posto di Amin poteva esserci qualche altro riferimento, sebbene l’allusione al mondo orientale e in un certo qual modo mitico, possa essere un indizio coerente del suo discorso poetico. In effetti, Amin è ben collocato nel corpo poematico e offre la giusta “spalla” al poeta nel procedere del suo canto. Amin è, in fin dei conti, il riflesso segreto del protagonista, l’alter ego se vogliamo, l’ente con il quale ragionare e poetare.
E dunque basandosi su questa struttura dialogante, Ibello costruisce la sua proposta poetica, un’idea della vita e dell’esistenza che presuppone un distacco, un isolamento, una sorta di retroguardia da cui riflettere sullo stato delle cose e dell’universo: “È tutto calmo / qui è davvero tutto calmo, / il sole è una biglia di benzodiazepine”… La stasi, il guardingo celarsi dietro i muri della società asfittica, permette al nostro poeta di ragionare con controllata serenità e anche con una leggera ironia sulle vicissitudini del mondo, lasciando anche trapelare una qualche speranza, laddove suggerisce, consiglia, di rimanere in attesa, muti, senza proferire alcuna parola, in quanto si “troverà un altro modo per fare alta la vita”.
E in fondo, è proprio così: siamo davvero soli, isolati in una realtà che forse ci precipita addosso e cerca di ferirci, per cui è necessario l’estraniamento, il ramingo punto d’osservazione virtuale, per tenere lontano il buio (“quanti millimetri ci separano dal buio?”: basta un nonnulla, e ci cadiamo dentro, ineluttabilmente!). Per cui: “Amin, / noi / siamo / soli”, e questa assoluta, perentoria e laconica certezza poetica e filosofica è accentuata dai quattro versi costituiti dalle singole parole dell’enunciato. Come a ribadire l’assoluta necessità di una riforma di vita, di una redenzione che porti ad altra umanità: “Stanotte muoio cane e poi rinasco / ragno di luce estenuata. / Anche tu la chiami morte / questa armata / silenziosa, senza luna? / La preghiera del giorno: siamo muti. / Tutto si separa per venire alla luce.”
È una poesia colta e robusta, quella di Giovanni Ibello, che riesce in pochi versi ad abbracciare significanze eterogenee da un punto all’altro del cosmo, con la sua forza propositiva ricca di figure simboliche, di allusioni, di riferimenti mitici e del mondo orientale, e di metafore. Una poesia della solitudine, certamente, ma una solitudine necessaria per individuare con il dovuto e sereno distacco la confusione del mondo con tutte le sue corse al potere, al fuoco rimasto nelle pietre, affinché si possa ripartire in modo sobrio, rinunciando e confutando falsi cieli e falsi splendori: “Rinuncio al cielo-ziqqurat, baratro di uccelli. Rinuncio ai falsi om



Cercava la risacca nelle pinete

fiutava l’ombra di un ago sul fondale,

la panacea di un abbandono.

Conta fino a zero, le dissi

salta nell’arco cinerino.

È tutto calmo

qui è davvero tutto calmo,

il sole è una biglia di benzodiazepine.

C’è ancora un intreccio

di gelsomini carbonizzati sulla pietra.

L’estate,

una valanga di aceto sopra i fiori.

Ma in questo valzer di occhi crociati

non dire una parola,

non parlare.

Troveremo un altro modo per fare alta la vita.

 

 

 

Amin, è quasi giorno,

è la resa dei fuochi invernali

l’ectoplasma del divenire.

Dio, gheriglio di stella

insegnaci a svanire

poco a poco

insegnaci il dialogo amoroso

tra i picchi delle braci

e l’arpionata notte.

Adesso è tutta luna nuova

mentre ancora

tiri a sorte la vena

dio anatema,

ti sfiori trasognato le palpebre…

Quanti millimetri ci separano dal buio?

 

 (Da: Parte Prima. Yucatan)


***


io non torno più

Ricavo dai roghi autunnali

un altare di gemme,

è il menhir dell'esiliata luna.

Io sono Giovanni

e non ho mai chiesto di essere amato.

L'amore stringe nel seno

la sorte del tuono:

frantumare il vetro dell'esistenza.

Così noi, ebbri di giovinezza

corriamo a perdifiato nell'oltrenero,

succhiamo avidamente

il fuoco rimasto nelle pietre

e brindiamo / all'ombra che fu delle pinete.

Ogni cosa rivela

quel nulla che siamo già stati.

Tutto simula la quiete.

Poco distante, un uomo prende a pugni la rena.

Dice: “Credimi, noi non stiamo per rinascere.

Nessun verso sconta la primavera”.

 

 

 

Di quello che sognavi veramente

non resta che un silenzio siderale

una lenta recessione delle stelle

in pozzanghere e filamenti d’oro.

E il riverbero delle sirene accese

sui muri crepati delle case.

Così dormi, non vedi e manchi

il teatro spaziale delle ombre.

Il desiderio è l’ultimo discanto.

Ma quanti gatti si amano di notte

mentre l’acqua scanala nelle fogne.

 

(Da: Parte Seconda. Teorema dei roghi)


***


Ecco il primo giorno senza luce,

i lemuri lunari e altre asfissiate divinità.

Sempreverdi di pena

e stanze inchiavardate nel disamore.

Amin,

noi

siamo

soli.

E anche per questo

non abbiamo tollerato la vita.

 

 

 

dentro un cielo che fu lunato / io, oscuro natante...

Rinuncio al cielo-ziqqurat,

baratro di uccelli.

Rinuncio ai falsi om,

al sacerdozio della luna.

Stanotte muoio cane e poi rinasco

ragno di luce estenuata.

Anche tu la chiami morte

questa armata / silenziosa, senza luna?

La preghiera del giorno: siamo muti.

Tutto si separa per venire alla luce.

 

(Da: Parte Terza. Be aware of god)


***


Cosa resta del sogno?

 

Io non lo so cosa resta del sogno. Io sono inutile come

la pace. Sono il ras delle ombre, luce cariata dall'avveni-

re. Conservo questa macellazione del bianco e tracanno,

da ogni vena di luna, quel vino fatto aceto che chiamavo

incanto.

 

 

Quando tutto sarà finito

sarà il sonno a irrigidire gli occhi

ma prima della fine

c’è una retrospettiva lenta dell’infanzia,

una campionatura degli amori.

Poi il respiro si risolve

in un orgasmo neuronale,

è come un’implosione di pianeti nella mente

una turbativa siderale

del corpo che ritorna seme.

 

(Da: Parte Quarta. Luce cariata dall'avvenire)

 

Brani tratti da Dialoghi con Amin, di Giovanni Ibello; Crocetti Editore, 2022; Introduzione di Milo De Angelis

Giovanni Ibello (Napoli, 1989) vive e lavora a Napoli. Nel 2017 pubblica il suo primo libro, Turbative Siderali (Terra d’Ulivi edizioni, con una postfazione di Francesco Tomada). L’opera vince il “premio Città di Como” (sez. opera prima), il "premio dell'Osservatorio letterario permanente della Fondazione Lermontov" e risulta finalista al “Ponte di Legno Poesia”, al “Città di Fiumicino” (come opera prima) e al “Camaiore Proposta – Vittorio Grotti”. Il lavoro è stato recensito su diverse riviste letterarie e lit-blog italiani. È direttore della rivista «Atelier» (sezione online) e collabora con il blog di poesia della Rai di Luigia Sorrentino in qualità di traduttore. Cura e seleziona i contenuti del canale instagram "Rai Poesia". I suoi versi sono stati tradotti in sei lingue tra riviste, blog e volumi antologici di poeti italiani all’estero. Nel 2018 si aggiudica il “premio Città di Fiumicino” per la sezione “opera inedita” con una prima versione del poemetto “Dialoghi con Amin”. Una sua antologia poetica è stata pubblicata in Russia per l'editore Igor Ulangin nella collana "Contemporary italian poets" a cura di Paolo Galvagni (traduzione di Tatiana Grauz). Nel  gennaio 2021 inaugura la rubrica di Milo De Angelis “I poeti di trent'anni” sulla rivista Poesia di Crocetti.



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