Federica Volpe è una giovane poetessa di Carate Brianza, nella nuova provincia di Monza. Come si leggerà nelle note che mi ha inviato insieme ai testi che andremo a pubblicare qui di seguito, la nostra autrice ha un rapporto complicato con la propria terra, ma intesa in senso generale, io penso, in quanto parla di "rinascita" continua, rinascita da velate leggerezze dell'essere, come per affermare, o riaffermare, la propria solidità e la propria presenza attiva. E questo si notava già nei suoi testi apparsi nella interessante Antologia "Quattro giovin/astri" della Kolibris Edizioni di Chiara De Luca (Bologna 2010), insieme a quelli di altre tre valide giovani voci poetiche: Francesco Iannone, Anna Ruotolo e Vittorio Tovoli.
Questo forte desiderio di esserci, non di apparire o di dimostrare, ma di ribadire assolutamente la verità del proprio spazio fisico e spirituale, nell'autenticità della propria vita escludendo dalle prorpie vedute e considerazioni ogni tipo di ipocrisia e di pregiudizio ("Mi sento rocca di radici / incoronata da un ritorno che fu addio e che ora / abbraccia ogni mia fibra come per voler restare"), si esplica attraverso uno schema lirico a volte aspro, ma sempre comunque coerente e sincero, autenticamente poetico.
A questo punto, sarà interessante annotare i commenti dei lettori, e sicuramente saranno molti e ben variegati, perchè la poesia giovane di Federica Volpe merita di essere ben considerata, come la poesia giovane di tante altre valide promesse.
Sento la fiducia risalirmi i ciottoli come il verde
dell'edera. Forse si mangia la salute della pietra
ma, non so come, l'adorna. Mi sento rocca di radici
incoronata da un ritorno che fu addio e che ora
abbraccia ogni mia fibra come per voler restare.
*
Ora sento che dobbiamo rientrarci fino
al midollo, sentirci unica cosa raccolta
nelle viscere del letto, ricomporre le cellule
cadute in sette anni di specchi e di rovine.
Ecco: vedi che la mano non è intera
a palmo vuoto, come in cerca di prigioni?
*
Mi hai detto: riconoscimi
perché mi hai dato un nome
ogni volta che hai pianto,
o tenuto tra le braccia come
incarto di mimose a mezz'estate
-non ti sentivi donna ma
nel chiamarmi ti riconoscevi-.
Mi hai detto: riconoscimi
oppure sai chi sei?
*
M'amalgamo al lucore del mio sangue
a striare la saliva di ragioni, e inietto
la morfina che non lenisce i sentori
ora che anche tu sei pene corporali.
I giovani si attardano al portone.
Si dicono frasi piene di "per sempre".
La vecchia li spia dall'alto del balcone:
"Ragazza, non sai che i "per sempre"
si mutan tutti in "mai"?
Io questo lo sapevo, perciò non mi sposai".
Ciò pensa ritta la zitella colma di orgoglio e calore
senza accorgersi di vivere, anche se di altri, l'odiato amore.
Si dicono frasi piene di "per sempre".
La vecchia li spia dall'alto del balcone:
"Ragazza, non sai che i "per sempre"
si mutan tutti in "mai"?
Io questo lo sapevo, perciò non mi sposai".
Ciò pensa ritta la zitella colma di orgoglio e calore
senza accorgersi di vivere, anche se di altri, l'odiato amore.
(da Se non sono gigli, raccolta pirata)
*
TEORIA
Credo che il vero cuore
sia il cervello.
Il cuore, il muscolo,
non è altro che un mestolo che mesta
il sangue e le impressioni.
La bocca il cucchiaino che accostiamo
agli altri perché c’assaggino.
Gli occhi sono imbuti che s’imbevono
di liquido reale, che lo stringono.
E allora il cervello?
E’ lo stesso calderone
che tiene uniti bocca e occhi
e cuore,
e il resto,
è ciò che ci contiene
e che crediamo, invece,
di contenere.
Ci siamo sempre visti
- a mio parere, per pietà! -
montati ad un piacevole contrario.
*
“Le cose regalate
non vanno più ridate”
salta le corde vocali
la mia voce bimba
e ora m’accorgo
di quanto perfetta
fosse la sapienza
limata in settenari
inconsapevoli. Ma
ora forzata è la metrica,
e le leggi, e la rima,
e tu mi lasci tra le mani
i doni e li fingi mai dati,
poggiati sul palmo come
il niente, o l’inutile,
e lo fingi mai in tremore
il cuore colibrì in selva
accecato. Forse bimbe
avremmo dovuto incontrarci,
giocare, stringerci le mani
senza dentro patti. Avremmo
dovuto conoscerci perfette,
abbozzate. Ora
a me resta la nenia
dei lacci, a te la via.
*
A Roberta D’Aquino
QUADRIFOGLIO
S’è aperta come niente
la porta della mano.
E’ come quando bimbi
si mostra un quadrifoglio.
Io non t’ho detto:
“vedi, guarda, che fortuna”,
ho solo temuto che tu
per contemplarlo prendessi
in mano la mia mano.
Chissà cosa ti lascio di me,
se ti tocco.
E’ come quando s’incrociano
le nubi.
“Sei inquietante”, t’ho detto
mangiandomi il silenzio,
e tu furba mi hai risposto:
“forse tu t’inquieti perché
ti senti d’esser pioggia”.
E hai sorriso perché in mano,
senza dirlo, avevi un quadrifoglio.
*
A Giovanna Salatino,
ponte di poesia
Cammina in un paese
che è fatto di poesia,
si muove, e a mani tese
si dona a qualche via
- “colle dell’infinito”,
“del passero solitario”-,
si mischia a quel nutrito
mondo. Lei fa da estuario
al fiume fossile dei miei scritti,
che in lei incontrano la dolce manna
d’un mare; a Recanati, senza conflitti
Silvia che cuce ha incontrato Giovanna.
*
Mi sto offrendo come un pane scarno,
vedi, nelle luci ancora livide del giorno.
Puoi vedere ogni ditata, ogni intemperia,
- non puoi vedere i grani e l’acqua
e i sali di questa lieve offerta – .
Taci ora, prima ch’io ritorni a reperirmi
solo scarto di cucina, prima che getti quello
che ancora nudo d’ombra puoi mangiare.
*
Quando tornerai a spingerti in me
nel continuo dover arretrare
sarà conoscermi o farti conoscere
nel tocco che conosce – marcarmi - ?
Non so più se era Ulisse che si univa
alla terra o la terra senza volto che si dava.
Federica Volpe vive a Carate Brianza, grembo da cui è nata e da cui tenta la rinascita quasi ogni giorno. Vi giace come cosa senza peso, cullata dai respiri delle esistenze silenziose che le parlano. Questi dialoghi senza nome li chiama "poesia".
Ha pubblicato LEMBI (Onirica Edizioni, 2010) ed è presente nella antologia QUATTRO GIOVIN/ASTRI (Kolibris Edizioni, 2010), oltre che in una serie di altre antologie.
Di ogni cosa che ha scritto sente l'insoddisfazione che sgorga dalla non corrispondenza del canto che solo sa ascoltare e non riprodurre, e non ridare.
Ha creato con Barbara Bracci il sito VIR-US (http://www.vir-uspoesia.beepworld.it/), collabora ai blog I GIOVIN/ASTRI DI KOLIBRIS (http://giovinastridikolibris.wordpress.com/) e FARAPOESIA (http://farapoesia.blogspot.com/). Ha un blog personale destinato alla diffusione della poesia altrui (http://federicavolpe-poetry.blogspot.com/) e un sito personale (http://federicavolpe.beepworld.it/).
Federica è davvero molto brava, appoggia un tessuto lirico fatto di dialogo e tormento amoroso ad una trama di versi solida e spontanea, fatta di offerta di sé e di gratuità come nella migliore poesia. Un saluto da Stelvio Di Spigno
RispondiEliminaEsprimo innanzitutto una preferenza per le poesie iniziali e per quelle finali, e aggiungo che il colloquio lirico che Federica intreccia con se stessa e con le cose è mezzo e, insieme, prodotto di auscultazione, di scavo e di indagine della propria interiorità, da cui prende vita un processo di ritorno e di rinascita, connotato dal desiderio di compattare e ridurre a solida unità la propria esperienza umana e da freschezza e felicità creative.
RispondiEliminaIl commento che precede è mio.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaMi sembra si scorgere in questi versi una grande maturità poetica; per quel che ne capisco, vedo che la "tensione poetica" rimane intatta nello svolgersi delle strofe e dei versi stessi, e questa è una grande dote per chi scrive poesie...
RispondiEliminariconosco soprattutto nelle poesie di "Se non sono gigli", un influsso forte di Dylan Thomas, della cui lingua e visionarietà Federica Volpe si fa abile rigeneratrice. anche i versi successivi dimostrano una volontà consapevole di confrontarsi con metriche e ritmi della poesia migliore, con cui scherza anche apertamente in Ponte di poesia. Interessante anche il dialogo con un'altro io femminile presente in molte delle poesie.
RispondiEliminaTutti presupposti per "belle cose" a venire.
Carmine De Falco