giovedì 29 giugno 2023

La "Zoologia abitativa" di Teodora Mastrototaro

“Vendesi ampio appartamento ristrutturato. / Porta blindata, allarme, parquet, soffitti in legno, / riscaldamento autonomo, aria condizionata. / Animali nel prezzo. / Le spese del loro mantenimento sono incluse / nelle spese condominiali.”

Si apre con questi versi introduttivi la recente raccolta poetica di Teodora Mastrototaro, dal titolo veramente singolare: Zoologia abitativa, edita da Arcipelago itaca nel corrente anno. L’Autrice, originaria di Trani ma residente a Roma, si dedica ad una attività sociale molto particolare, l’antispecismo, movimento che non approva le differenze di trattamento delle specie. Questa sua linea di pensiero viene da lei applicata anche, e con un’aderenza e coerenza veramente eccezionali, alla poesia, anzi la sua è proprio una scrittura poetica che si estrinseca pienamente attraverso i principi dell’antispecismo. Nella fattispecie, Zoologia abitativa è un poemetto sui generis, riferito al mondo animale, laddove i protagonisti assumono identità quasi umana apparendo e comportandosi alla stregua di (normali) persone.
Il poemetto della Mastrototaro si struttura come una architettura abitativa, a partire dallo zerbino davanti all’ingresso, poi un’entrata, un’uscita, e poi addirittura una porta di emergenza. Molto arguta è poi la citazione finale, una sorta di cartello piantato davanti casa, o precisazione in calce ad un avviso pubblicitario: “ATTENZIONE , questa casa è un prodotto deperibile conservare nella memoria.”
Ma c’è qualcosa di più profondo, in questa poetica, oltre al tema dell’antispecismo su cui è modulata. La poesia è sempre un veicolo importante di comunicazione emotiva e a volte di denuncia di situazioni etiche e sociali non sempre virtuose, a dirla con una certa enfasi. Qui a mio avviso la poesia della Mastrototaro è in grado di sconvolgere le prospettive abituali, spostando il baricentro narrativo sul soggetto-animale (lucertola, tartaruga, mosca, ragno, cane, gatto…) e investendoli dei medesimi problemi, crucci, preoccupazioni, quotidianità del consesso umano. C’è inoltre, in quasi tutte le liriche, una similitudine tra l’io narrate (l’Autrice) e la situazione del soggetto-animale, quasi un voler immergersi nella sua realtà per capire, comprendere meglio le circostanze: “Con gli insetti marcisce mio padre / mentre affondi, magari erompi, / sulla cena / la vergogna di una mosca / con cui tremare cadendo / senza volo. (ragno)”.
Una simbiosi perfetta, dunque, dove non ha più importanza il soggetto, che sia umano che descrive o che sia animale descritto, bensì l’azione, il comportamento, il pensiero latente, il dubbio, l’orrore, le sensazioni e le emozioni di un mondo frammentato e a volte ingiusto, forse anche inspiegabile perché abituale e noiosamente ripetitivo. Ma, in fondo, e in realtà, un modo molto intelligente, e davvero poetico, per raccontare, ironicamente, la vita e metterne in risalto pregiudizi e ingiustizie.


Deponi nella polvere dove ti perdo.

È così bella la terra morta con coraggio,

e ti fondi nel finale.

Sono in abbandono alla tua grazia

che fa della spiaggia un lamento.

La solitudine è acqua che nel fuoco scompare

ma non abbandoni la carne né la casa che ha

un cortile, e un angolo aperto di luce: gli occhi.

Ti fai tardi nel tempo da dove ritorni infine.

Ti invecchi quasi per morire e

vieni fuori perché

dirmi di rimanere

mi riposa.

 

(tartaruga)

 

 ***

 

Il sole tramonta o dà le spalle al cortile

ed è tardi agli spigoli dei nostri cespugli.

La casa arde dietro la porta

nessuna ha scampo né il cane

che abbaia di saper volare.

La mia barca ha raggiunto la forma bianca

su un tappeto rosso, al contrario una foglia.

Miagola gatta e butta via la voce

là dove cade.

Il campanile ha finito la sua malinconia,

c’è un corvo che intoni un rumore?

Per caso una stagione, forse una bestemmia.

 

(cane)

 

*** 

 

Curve dal fondo che chiude il canale

per poi sparire con la lentezza di un dolore.

Mi concentro sul dotto lacrimale come

una finestra che chissà quando chissà dove

troverete l’uscita.

Persino le ceneri del mio corpo

vi accompagnano dalla strada al cadere.

La pioggia è un rebus dove la terra finge

del vostro ritornare alla mia casa.

Fermatevi e non dimenticatemi

perché

c’era una volta una stanza.

 

(formiche)

 

 ***


Conosco poco della tua trama

ma è come se mi conoscessi,

come se mi raccontassi.

Come quando non succede mai ma

sei accaduto.

Tu, del sangue dei tuoi mille incontri,

io, a fare della vita un puzzle.

Nel lutto sulla parete

dentro la casa tessi le fila

di un infermo.

Con gli insetti marcisce mio padre

mentre affondi, magari erompi,

sulla cena

la vergogna di una mosca

con cui tremare cadendo

senza volo.

 

(ragno)

 

 ***


Lavori da casa – sei smart –

ogni due ore puoi pisciare

la pausa delle sette è per cenare

(mangi tu mangia il gatto)

Più di tre minuti la telefonata

non deve durare

ma tu ascolti la vecchietta

che ha bisogno di raccontare.

Non cambia gestore né numero

di cellulare ma a fine chiamata

ti invita al suo funerale.

 

Gli scarafaggi

bisogna vederli morire

per rendersi conto

che sono esistiti.

 

(gatto)

 

 ***

 

A Largo Ascianghi

un’impresa funebre,

un fruttivendolo,

un negozio di cellulari.

Lo disegni a tuo padre

sulla mappa accartocciata

come la corteccia celebrale

danneggiata.

(Caccia all’indovinello,

caccia al tesoro, caccia

al palloncino. Caccia

casalinga, caccia con il nonno.

Caccia alla pancia padre botte

piena figlia ubriaca).

“Ti prometto che sarai

l’ultima fermata”.

 

Padre senza fretta

senza senso

senza perdita.

Padre Alzheimer

demente – assente.

Padre museo.

Padre pesce rosso

giri in tondo dentro al vetro.

 

(pesce rosso)

 

 Brani tratti da: Teodora Mastrototaro, Zoologia abitativa, Arcipelago itaca Edizioni, 2023

Teodora Mastrototaro, drammaturga, poetessa e attivista antispecista è nata a Trani nel 1979, vive a Roma. Ha pubblicato due raccolte di versi, Afona del tuo nome (La Vallisa 2009), tradotta dal poeta americano Jack Hirschman con il titolo Can’t voice your name (CC. Marimbo 2010), e Legati i maiali (Marco Saya 2020). Le poesie Carne e Gabbia sono state pubblicate nella rivista di critica antispecista “Liberazioni” (n. 50, 2022). Il racconto Il Mattatoio è stato pubblicato sul magazine radicale internazionale “Menelique”. Il monologo Il riflusso (dalle reali testimonianze dei lavoratori dei mattatoi) è stato pubblicato su “Liberazioni” (n. 51, 2022). È inoltre presente nel volume collettivo, tutto al femminile, Bestie - femminile animale (Vita Activia Nuova APS 2023).

Diversi sono i suoi spettacoli rappresentati e premiati



mercoledì 21 giugno 2023

Giuditta Giuliano e il suo "Sangue illuminato", RPlibri

È una poesia dirompente, quella della giovane ma già brava Giuditta Giuliano, da Cerignola, che con questa sua opera d’esordio, Il sangue illuminato, edita da RPlibri con una approfondita prefazione di Antonio Bux, propone con determinazione e piena consapevolezza del suo graffiante dire poetico, una lunga silloge, divisa in due parti: “Del Sangue” e “Della Luce”.
Dico graffiante scrittura, perché, come sovente accade negli Autori che da poco iniziano il loro impegnativo percorso letterario, Giuditta Giuliano non si sottrae a un’esposizione netta e diretta, spigolosa a volte ma giustamente e necessariamente, efficacemente, coinvolgente e propositiva, senza molti preamboli e inutili svolazzi, ma andando direttamente al centro del suo “dolore”, se così vogliamo dire, per riedificarlo liricamente, una volta interpretato e tradotto il grande marasma interiore che cerca di far emergere con parole poetiche di grande impatto.
C’è dunque un grande lavorìo interiore, schietto e a volte amaro, ma tant’è! La poesia è fatta per espressioni forti e persino drammatiche e non per le melensaggini e le edulcorazioni facili, oppure ci deve essere comunque una vibrazione che scuota l’anima, anche nelle cose belle che si vanno a cantare. Giuditta Giuliano scopre un mondo in cui non si ritrova, ci sta a disagio, notandovi e annotandovi falsità, spigoli aguzzi, pregiudizi e ipocrisie: in tutto questo bailamme, lei giura di restare fedele al tumulto che la scuote, ma è un giuramento ironico, perché sa che la verità del sangue illuminato verrà fuori prima o poi, e magari giusto alle tre di notte… Si tratta quindi di un compromesso tra la propria verità e quella formale esteriore, della realtà circostante spesso egoista e ipocrita? La nostra Giuditta cerca di equilibrarsi tra questi due aspetti rischiosi dell’esistenza? Direi fino a un certo punto: fino a quando la consapevolezza dell’esistenza di questi due mondi (da una parte la verità del sangue illuminato che si porta dentro, da cui non si può derogare perché è la vita stessa che, in barba alle regole e agli schemi, fluisce incontrovertibilmente: “Perché le regole furono caos di incontrovertibile logica”, e dall’altra l’universo omologato) si concilia con una stipula, un patto, un accordo semi-infernale, nel rispetto del quale la mantide assassina e l’allodola ingenua e innocente potranno sedersi allo stesso tavolo.
Seguiamo dunque questa nuova Autrice, con i suoi versi ribollenti e fluidi, a dire una poetica accattivante e singolare, fatta di proposizioni decise, a volte epigrammatiche, a volte anche dolci e sempre, comunque, sorprendenti.


***


Mi affilerò su di te come la lama di un coltello.

 

Giuro di restare fedele,

intimamente fedele al tumulto che

mi scuote,

che mi attorce in un cappio

le vene e le viscere.

Giuro che non sarò mai

divisa

disfatta

smembrata negli anni.

La mantide e l’allodola siederanno

allo stesso tavolo

per mettere a punto questioni,

spartirsi zone d’influenza.

 

La stipula sarà firmata col sangue di

una dozzina di uomini,

quando nell’aria viola

uno sparo affonderà

il suo artiglio,

quando il nastro d’arrivo sarà

spezzato come

pane offerto in pasto agli

affamati.

Quando la sentenza verrà pronunciata,

e parole di grazia, ingiurie, dolcezze

picchieranno nella terra fino

all’ultima voragine,

dove un feroce silenzio ci sarà

ad attendere

gli ultimi sopravvissuti

stretti in un avvinghio di

braccia pallide,

 

alle tre della notte.

 

 

***

 

Non esistono limiti.

Nessuno ha detto che sono leciti,

qui, dove l’ora si piega sotto il peso delle

argomentazioni,

e il corpo è un rigurgito d’odio

sfrenato sulle note del tuo valzer.

Qui dove la terra finisce,

e la valle si spezza in due appena scocca la mezzanotte,

e svela l’interno di ogni bugia,

strato dopo strato,

muscoli tendini e cartilagine ritorti sul nocciolo:

l’origine del male.

 

E nulla è valso a nulla,

e non varrà a nulla.

Perché le regole furono caos di incontrovertibile logica,

nebbia e marasma,

atti senza pudore,

singulti puniti per la loro imprevedibilità.

Perché lo spazio è sempre uno, uno il tempo,

e chi lì si incontra è uno con loro,

e solo per una volta.

 

Ma i nervi miagolano come corde d’arpa,

e le carezze, i graffi ,

avanzano lì dove la memoria cede il

passo ai giorni futuri,

e le accorte pianificazioni si stringono tra

gli svolazzi dei loro mantelli,

perché solo il calcolo salva,

con la sua presa, lascia eretti nel

mezzo della tormenta.

 

E forse è l’unico modo,

affrontare questo gioco al massacro tenendosi

un passo oltre la linea.

Manovrare con violento distacco la

successione delle sue mosse, per

distogliere lo sguardo dall’affronto di

sapersi insidiati.

Abbagliati come insetti.

 

*

 

Lei si spazzolava i capelli sul bordo del letto.

Ai suoi piedi cadevano,

una ad una,

le gocce violacee del suo veleno.

Lui la vedeva:

era lì, lontanissima.

Pallida e assorta.

E nella camera oscura degli anni era

lacerazione su un corpo disteso.

Sibilla che appare in sogno e

annuncia la sua profezia.

Si perdeva in lontananze.

Non c’era.

 

La città si accartoccia.

È un pezzo di latta

che calpesto mentre

cerco di tornare a

casa sotto

questo diluvio

di cocci

di giorni

d’aprile,

passati

mano nella mano

con la mia

Nemesi,

al chiuso di una

stanza viziata

di odori,

aperta a

galassie

di cosmi

esistiti per

pochi istanti poi

murati

in eterno

nell’ippocampo che

ho in dote

fin dalla nascita.

Così, per

qualche strano

errore di calcolo,

resto immune

alla norma che

mi vorrebbe

protetta dal

rischio della

ferita che lacera,

dalla furia

della coazione,

dalla spirale

purpurea di

due corpi che

si fanno

a pezzetti,

si mischiano

il sangue,

le malattie.

 

C’era voluto meno di un attimo perché capissi.

Il resto fu nostalgia di un inferno che si

arrotondò per difetto.

Mi ripudiò.

 

Desideravo vederti

e farti cadere in trappola,

chiuderti in una gabbia

dove non ti sarebbe

mancato nulla.

Ti avrei portato cibo e

acqua e il mio corpo

a tutte le ore del giorno,

ma al primo cenno

di resa ti avrei

mangiato il

cuore, strappandolo

dal tuo petto come

una cosa che mi fosse

stata rubata.

 

Questa la mia

vendetta per avermi

scoperta senza

difese, per

essere rimasta

inascoltata

mentre tu ti donavi

alla sola fanfara della

tua grandezza,

piccolo uomo di carne

 

e di cenere,

io t’insegnerò l’amore

annientandoti.

 

 

***

 

Si può essere divisi a metà.

Immersi nel grigio gorgogliante

strappati

fatti a pezzi

ricuciti con

fili di luce.

 

Si può restare chiusi

in una stanza a guardare

un volto,

un antico volto di dolore

dissolversi.

 

Si può essere

l’ombra di chi se ne va,

un attimo prima

di sparire,

quando tutto si

fissa nel punto dove

la memoria

è tentata di

prendere il bottino e

darsela a gambe.

 

Ma ora so che

ti sei allontanato come

un sogno che

muore al

primo schiudersi

di palpebre.

Il mio dolore si è

sciolto,

l’ho mandato giù

con un sorso di luce,

era inverno.

 

E non ho più nulla da dirti, adesso.

Penso a te come a un uccello che

vola alto in un cielo

di pece.

 

Conosco parte del tuo segreto.

Sei notturno,

sei libero,

sei un vetro infranto

in cerca di carne da lacerare.

 

E non ho più nulla per cui incolparti, adesso.

Di nuovo respiro.

 

 

***

 

Ogni cosa splende di

luce propria.

Allora il buio

ha la sua luce nera,

canto notturno sul

deflagrare del mondo,

fiore desertico:

accoglie, non-visto.

 

Come gli uomini e le

donne di tutti i secoli che

scorsero smisurate iridescenze

oltre il mistero esatto

della materia,

e morirono,

soli.

 


***

 

Vorrei un silenzio da

aprire come una tenda

rannicchiarmi lì dentro

ascoltare il suono della

pioggia contro la sua

stoffa l’odore di terra e

di resina

soffiare appena tra

le mani,

sonnecchiare.

 

Sparire è un privilegio.

 

 

***

 

Qui

 

dilaga

il secondo

 

non c’è assenza

né limite,

il bianco è eroso

fino al suo

 

Nulla.

 

L’infinito lavora

per sottrazione.


 (Brani tratti da: Giuditta Giuliano, Il sangue illuminato, RPlibri, introduzione di Antonio Bux)

Giuditta Giuliano (Cerignola, 1995), dopo aver conseguito la laurea cum laude in Filologia Moderna, vince un dottorato di ricerca in Pedagogia e attualmente vive a Bari. Alcune sue poesie tratte da questa sua raccolta d’esordio sono risultate finaliste in vari concorsi come il Bukowski, il Martelive e il Premio Inedito – Colline di Torino.




domenica 11 giugno 2023

"Lo spirito cuoce", di Francesco Vitale

Ritorniamo a parlare di Francesco Vitale (ved. Transiti Poetici, 1 settembre 2022), giovane e valido poeta romano, di origini cosentine, per complimentarci con lui proponendo in lettura il suo nuovo libro di poesie, dal titolo veramente originale ed esplicativo: Lo spirito cuoce, Edizioni Efesto, 2023, con una dettagliata postfazione di Anna Petrungaro.
Già in quella occasione notammo nella poesia del nostro giovane autore una impellenza e una schiettezza particolare nel portare in emersione sentimenti latenti generati dall’osservazione della realtà circostante. Questa sua peculiarità si affina in questo corposo volume, suddiviso in tre sezioni, di cui la prima, L’etica delle cose minime, è di gran lunga la più ricca di brani; le altre due sezioni, Vita aperta e 24 Febbraio, sono più corte ma mantengono la stessa intensità del dire, anche se c’è qualche lieve differenza strutturale (mancano del titolo).
Si tratta comunque di un dettato poetico in cui prevale la tendenza a “scoprirsi” e a “scoprire” le proprie verità insite nell’animo, attraverso una indagine e una ricerca che coinvolge materia, corpo e sentimenti; una osservazione di sé e del mondo così intensa e così perentoria, da “consumare” lo spirito, come lo stesso titolo della silloge ben sintetizza.
Un lavoro poetico eccellente, che merita plauso e incoraggiamenti per un percorso letterario futuro sicuramente interessante, che darà i suoi buoni frutti.

Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro.


Ferite nascenti

 

Nel buio del reale

come raffiche di mitra

sguardi persi nell’orizzonte del mare

l’occhio dell’inconscio

guarda

contempla

stop!

la critica del fare.

 

Ruvide

di lamenti freddi

di destini nascenti

sei tu

   sono io

nessuno saprà il nostro nome

forse un’ eco

o forse chissà

   o saprà mai

dove termina il navigare.

 


***

 

La parola sorgente

 

Succede

che poi sfugge

l’incomprensibile bisogno

urge

camminare sulla superficie

minima

parola minima

che determina e avvolge

i nostri corpi sudati

caduti più in         

tra gli anfratti illuminati.

 

Una parola strana

sorge invano

da vene morte

e riascoltate

morte e riascoltate

vive

nelle nostre pagine tatuate.

 

Bucata dai nostri respiri

ricucita dal sarto giudizioso

che in noi è vivo

si eclissa

e lascia il segno.

 

Quest’ora è andata

la successiva

la lasciamo al postmoderno.

 

 

***

 

L’incompreso presente (Senza data)

 

L’oggi termina il suo stare

il domani navigante si accinge ad arrivare

annoso il suo reiterare ad un presente incerto

dove non si sa la strada da fare.

 

Fra i due l’eterno restare

delle anime nascoste

tra un passato e un futuro

che scorgono il continuo presente

che naufraga per non farsi comprendere.

 

 

***

 

Canto il corpo che rinasce

amplifico la misericordia

nella costruzione del verbo

che si fa pulsante

si fa clima dolce

per la mietitura del bene.

Canto la vita intera

che sta tutta nei vestiti che indosso

nelle infinite parti

che la rendono linfa

di un urrà festoso

preghiera costante

di gioia fertile.

 


***

 

Batte il tempo

in levare i miei versi

seguono congiunzioni

seguono direttive di misericordia

nell’antipasto primordiale

che ci fa uomini

ci fa crescente equilibrio

di trame e forme

dove la poesia si fa carne

e viene ad abitare in mezzo a noi.

 

 Francesco Vitale, Lo spirito cuoce, Edizioni Efesto, 2023. Postfazione di Anna Petrungaro

 

Francesco Vitale si è laureato nella magistrale di Cinema, televisione e produzione multimediale all’Università Roma Tre. Ha pubblicato Una storia dei giorni che passano (Coessenza, 2015) e Varchi attivi (Edizioni Erranti, 2020). Alcune sue poesie sono state tradotte in spagnolo nel volume argentino Fragmentos de Humanidad (Le Pecore Nere Editorial, Rosario 2018). I suoi testi sono apparsi su siti e riviste.

mercoledì 7 giugno 2023

Nel silenzio della parola, di Valentina Picco

Nell’ossimorico titolo di questa raccolta, Nel silenzio della parola, è racchiuso tutto il mondo emotivo e artistico dell’autrice, Valentina Picco, pregno di impulsi vitali e di afflati umorali che cercano di integrare l’intensa materialità, o per meglio dire corposità dell’io narrante, con uno stato di grazia psichica-spirituale, a cui tendere con tutta l’anima. E la parola, qui, non è appunto profluvio banale di suoni dalle labbra, seppur originati dall'estro creativo, bensì gestualità, corpo, figura, abbraccio, essenza, pura essenza che riesce a penetrare il silenzio e l’abbandono della carne,
Un ossimoro perfetto e molto esplicativo, dunque, ed un titolo che molto bene sintetizza quest’opera artistica della Picco, perché di questo si tratta: il libro va letto con uno sguardo contemporaneo alla pagina destra e a quella sinistra, dove la mente e il cuore del lettore possono identificare integrandole le due forme comunicative: la poesia (a destra) e la fotografia (a sinistra), essendo l'Autrice anche una validissima esponente dell'arte fotografica (sue sono infatti le foto che integrano la raccolta poetica).
La poesia di Valentina Picco è dunque una delicata sospensione, quasi eterea, sottile eppure decisa, sulla realtà del vissuto quotidiano, laddove i sensi trascendono la banale (normale) materialità dei corpi, per posizionarsi in una dimensione di fascinosa purezza. L’eros, appena sottinteso, è espresso con una delicatezza davvero pregevole, eppure accattivante. Il discorso poetico è ricco di immagini e di sfumature allusive, i versi brevi e concisi denotano l’urgenza del dire, in modo diretto, schietto e con una grande morbidezza lessicale.
Sentiamola in questi versi tratti dal suo libro:

La bocca del mondo

domanda, il tuo corpo

tra le mie labbra tace,

 

le tue mani procedono

nello svelare misteri.

 

Nessuno al mondo

può impedire al silenzio

di parlare,

 

ti amo, immersa

in questa immensità

che tace parole.

 

 ***

 

Volgiti e carezzami il cuore, con

la lingua percorrimi i pensieri e

le parole, permetti all’alba di

farsi pelle la tua e la mia

divengano il mare e perdersi e

avvolgersi in quest’oceano di

tempesta che travolge e disseta

il nostro ardore. Fatti in me mani

e bocca che avanza, pezzi di cielo

tra le labbra e terra dappertutto,

erba, alberi, stelle… quando

sono con te.

 

 ***

 

Cruna d’ago, scivolo

scivolo goccia tra le pieghe

della tua pelle, mi faccio

piccola piccola nel palmo

della tua mano.

 

Mi apro tutta, divento

varco, divieni

aperto.

 

Si mostra

il mondo

vasto.

 

 ***


Quando la mia pelle apre

la sua bocca, parola tu

d’amore svesti

 

trovando carezze pelle

su pelle parlo

te, tu me.

 

Nient’altro che il corpo

nel corpo il tuo nel

mio procede e

 

se accosto il viso e

ascolto m’accorgo

tu con me

 

ogni istante sei

lo rivela il canto.

 

 ***

 

Sostando in volo

come fiocco

quando il vento non si muove,

ti posi tra le mie parole

che tacciono

colme d’amore.

 

Riprendi il largo nel cielo

aperto quando soffia

 

- è il corpo che ti aspetta

e trovi me e te

e dappertutto il mare –


Brani tratti dal libro Nel silenzio della parola, di Valentina Picco, Giuliano Ladolfi Editore, 2022, con riproduzioni fotografiche dell’Autrice.

Valentina Picco vive ed opera a Bassano del Grappa (Vi). Si dedica alla ricerca in campo letterario e fotografico, all’insegnamento della Letteratura italiana e della Storia al triennio della Scuola Superiore. Fin da giovane studia e pratica il teatro, la danza e il cinema.

 

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà