giovedì 14 novembre 2019

Raffaele Urraro e il "lato oscuro delle cose"


"…Ma conosceremo un giorno / il lato oscuro delle cose?", si chiede Raffaele Urraro nella poesia che apre la sua recente raccolta "Il lato oscuro delle cose", edita da RPlibri di Rita Pacilio. Sono gli ultimi due versi della poesia che costituiscono dunque il pilastro, il concetto assolutamente perentorio, urgente e nello stesso tempo immane, del pensiero filosofico dell'autore, di cui è pregno tutto il contenuto del libro. In effetti l'intento è davvero arduo, complesso e finanche avventuroso, sia dal punto di vista figurativo, che da quello del contenuto e della trama fortemente filosofica, se vogliamo, e questo intento è anche chiaramente esplicitato nell'introduzione dello stesso Urraro, quando afferma che le poesie raccolte in questa silloge ruotano tutte attorno a un concetto che riflette il senso più profondo che io attribuisco generalmente al fare poetico: il tentativo di scoprire il vero significato delle cose.
Il vero significato delle cose che ogni uomo di una certa sensibilità e capacità critica introspettiva, ha sempre cercato, fin dall'antichità, studiando, valutando, elucubrando sui misteri della natura e del mondo, costruendo sistemi filosofici e ipotizzando le teorie più svariate sul perché ultimo della vita e del cosmo. Le scienze, come la fisica, la matematica, la chimica, l'astronomia, hanno attraverso i secoli "sistemato" in qualche modo "il lato oscuro delle cose", risolvendone e chiarendone gli aspetti, le modalità e le reciproche interrelazioni, anche se tantissimi quesiti sono tuttora senza risposta: si tratta di un continuo e forse asintotico avvicinarsi alla verità ultima del cosmo, che probabilmente resterà irraggiungibile. Ma le risposte agli eterni interrogativi dell'uomo non fanno che "spostare" il senso profondo più in là, fino ad affermare con Urraro: "non abbiamo penetrato delle cose / il seme più interno / e inesplorabile": la verità ultima, il seme più interno, rimane inesorabilmente un traguardo irraggiungibile!
D'altra parte c'è il ripiegamento sull'ineffabilità, sulla spiritualità, sulla religione, sulla fede in qualcosa che sta al di là della nostra comprensione umana, della nostra razionalità e della nostra materialità. L'uomo primitivo si è sempre rifugiato in qualche modo in quegli ambiti per dare "un senso alle cose", all'esistenza, ai perché del creato. Quelle domande sono ancora attuali, e l'ambito religioso ancora le accoglie rispondendo all'uomo con i canoni della fede.
Ma qui si tratta di penetrare ancora di più nel seme interno, nel nocciolo delle cose, cercando di fare a meno quanto più è possibile della sicurezza offerta dalla fede o da una qualsiasi religione. L'uomo-Urraro non si accontenta delle risposte primarie date dalla scienza o anche dalla religione, considerandole quasi propedeutiche ad un fine escatologico ancora più misterioso, lontano, vago, confuso, indeterminato: "… e gira e gira (la stella) / fra le strade scorticate del cielo / fu attratta da un buco nero / che la travolse e ingoiò / come fosse una mela / e noi siamo fatti / della stessa sostanza delle stelle", cioè a dire: se l'annichilamento ci prenderà tutti, come se fossimo prima o poi inghiottiti da un buco nero, cosa ipotizzare della nostra esistenza effimera? del nostro senso di esistenza e del senso di tutte le cose?
Se lo scienziato o il religioso, attraverso le sue ricerche e la sua fede, trova comunque un senso nelle cose, o perlomeno cerca di "sistemare" il "suo" universo utilizzando i vari tasselli fisici, matematici e spirituali, fino a formare un quadro, un mosaico abbastanza completo, esaustivo e soddisfacente dell'esistenza, il poeta invece va oltre. Il poeta necessariamente, proprio in quanto poeta, deve andare oltre. O meglio, deve scendere in profondità o risalire le vertigini del creato, cercando di varcare se non proprio di scardinare gli usci dell'incomprensibile e dell'inconoscibile, in tutti gli ambiti: fisici, matematici, religiosi, e persino trascendentali. La parola è la sua arma principale, e Raffaele Urraro ben lo sa: "Si scava nel senso delle cose – afferma ancora nella sua puntualissima introduzione – o, per dir meglio, nelle cose per scoprirne il senso, armati soltanto dello strumento della parola, quella che in effetti ci fa vivere e soffrire…".
Dunque la poesia, la poesia fatta di parole appropriate a descrivere l'ineluttabilità, il rovello interiore, il dubbio, la speranza, l'amarezza, la disillusione che prende l'uomo ogniqualvolta si avvicina a dare un senso alle cose, a spiegarsi cos'è questa esistenza terrena, perché nasciamo e poi moriamo. Dice il poeta-Urraro: è la parola poetica che ci sostiene e che può legare "…l'anima a una stella, facendola vibrare come vibra un fiore…"; e "solo così una cosa può vivere / e morire / perché questo è alla fine / il magico potere della parola".
Il libro di Raffaele Urraro è importante e interessante, perché apre a dibattiti e approfondimenti ulteriori, di carattere filosofico ma anche scientifico e religioso, su quanto da millenni l'uomo, prima timidamente e poi sempre con maggiore determinazione, avendo conquistato gli strumenti adeguati, si è sempre chiesto: cosa siamo, da dove veniamo e dove andiamo? Ci sarà mai svelato questo senso oscuro delle cose e del creato? La conclusione che Raffaele Urraro ci propone è, apparentemente, quella di vivere cercando noi stessi di dare un senso alle cose, anche se le cose, spesso, un senso davvero non ce l'hanno! Altrimenti – dice sempre Urraro – vivere in un universo senza senso ci porterebbe diritti allo sconforto o alla depressione.
Ed ora proponiamo qui di seguito alcuni testi tratti da "Il lato oscuro delle cose", invitando i nostri lettori ad aggiungere ulteriori graditi e interessanti commenti o riflessioni in proposito.



Il lato oscuro delle cose

Mentre ascolto una musica
coperta lievemente da veli variopinti
sento che la mente si accartoccia
nelle sue emozioni

anche l'aria che sembra stonata
nello stormire delle foglie
vibra di incerte tensioni
ed io cerco di scoprire
cosa dice quella voce
che parla la lingua
indecifrabile e arcana
della natura

ma conosceremo un giorno
il lato oscuro delle cose?


***

L'onda del mare

Ritrae l'onda stanca la sua lingua
dalla riva in attesa

chissà da dove viene
chissà dove ritorna
in quell'andare sconvolgente e inquieto

poi l'onda si alza e se ne va
per le immense praterie del mare
senza neanche sapere
se ti ha lambito la mano

e ti lascia lì
chiuso nel tuo silenzio
dubbioso e confuso
mentre guardi con l'occhio socchiuso
l'orizzonte lontano che confonde


*** 

Il dramma della clessidra

L'abisso è un imbuto e ha la forma
della parte superiore della clessidra
quella da dove scendono
i granelli del tempo e ciò che resta
delle nostre illusioni e attese

mentre la parte inferiore
accoglie le scorie
e le nientifica come neve al sole

e nell'abisso cadranno anche le stelle
quando finirà la sua forza
il moto che le spinge e tira


***

Il tempo del trapasso

Cosa muore quando un uomo
saluta e se ne va
o se ne va senza neanche salutare
perché non ha la forza o il tempo
di guardare al futuro
né al presente?

se ne va portando nell'ombra che l'involge
un sogno che svanisce
o il senso annullato delle cose

ma forse davvero il tempo del trapasso
è un attimo
un attimo che arriva sempre in anticipo
e lascia nell'aria
un senso di sospensione che stordisce


***

Il senso della vita

Come le stelle deflagrano
e polvere e luce disperdono
nello spazio vuoto
così partiremo da questo luogo
verso un orizzonte che sa
di buio e di nulla

non ci resta che dare un senso
a questo segmento di vita
che s'accorcia giorno per giorno
ora per ora
momento per momento

io ci riesco
perciò non ho paura
né timore
di contare le stelle
ogni sera


***

Il poeta
(Ad Arthur Rimbaud)

Una volta dicevo
"mai un poeta
  riuscirà a dire
  quanto è grande il mondo"

ora dico
"mai il mondo
  riuscirà a ripetere
  ciò che ha visto un poeta"

Il terzo occhio
sprofonda nei punti più lontani delle cose
navigando finanche
nelle oscure profondità del buio


***

Chi lo sa?

Alla fin dei conti
nessuno può dire
di essere penetrato
nelle oscure profondità
delle cose della vita

abitiamo per anni
nella casa della nostra esistenza
o
come dice il filosofo
nella casa dell'essere
e quando con la valigia pronta
piena di certezze
partiamo diretti al solo
vero infinito che conosco
allora cade il velo dalla nostra mente
e il tutto ci disvela
: non abbiamo penetrato delle cose
  il seme più interno
  e inesplorabile

chi sa dire perché e come
all'improvviso
parte il destino incomprensibile di un seme?

Raffaele Urraro, "Il lato oscuro delle cose", RPlibri

Raffaele Urraro è nato a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), dove tuttora vive ed opera. È poeta, scrittore, saggista, critico letterario. Dopo aver insegnato italiano e latino nei Licei, ora si dedica esclusivamente al lavoro letterario.
Ha pubblicato numerosi libri di poesia, tra i quali, ultimamente, Ero il ragazzo scalzo nel cortile, Marcus Edizioni, Napoli 2011; La parola incolpevole, Marcus Edizioni, Napoli 2014; Bereshit – In principio, Marcus Edizioni, Napoli, 2017.
Tra le pubblicazioni di saggistica ricordiamo La fabbrica della parola – Studi di poetologia, Manni Editore, 2011; Giacomo Leopardi: le donne, gli amori, Olschki Editore, Firenze, 2008; Questa maledetta vita – Il romanzo autobiografico di Giacomo Leopardi, Olschki Editore, Firenze, 2015; Le forme della poesia – Saggi critici, La Vita felice, Milano, 2015.

Ha pubblicato inoltre opere di cultura popolare e, in collaborazione con Giuseppe Casillo, molte antologie di classici latini per il triennio delle Scuole Superiori (Loffredo, Napoli) e la Storia della Letteratura Latina (Bulgarini, Firenze).


sabato 2 novembre 2019

La schiettezza del dire poetico in "La venatura della viola" di Rita Pacilio


La viola, o la classica violetta, è (o almeno lo fu!) il fiore simbolo del ricordo, del pensiero nostalgico di un amore vissuto intensamente e a volte platonicamente nei tempi andati della gioventù: veniva messo tra le pagine di un diario o di un libro, e lasciato lì ad appassire a testimonianza di quel sentimento forte e palpitante che aveva illuminato quei giorni lontani e ora sciupato dal fluire inesorabile del tempo!
E dunque, cosa spinge la nostra brava autrice de La venatura della viola a riferirsi, in questa sua recente e pregevole raccolta poetica, al tradizionale fiore che ha emozionato tanti giovani, e non solo, nel ripercorrere le loro storie sentimentali? Senza dubbio la delicatezza, a mio parere, e poi la genuinità, l'autenticità e aggiungerei la purezza e l'innocenza che caratterizzano l'essenza della natura, dei fiori e in particolare della viola.
Un progetto poetico che voglia essere originale, che abbia delle buone, anzi ottime basi filosofiche per offrire una chiave di lettura importante e preziosa sui perché della società, della storia, dell'umanità, della propria esistenza, non può prescindere da un'attenta osservazione dell'interno di sé e di ciò che è all'esterno tutt'intorno; ma un'osservazione che deve essere supportata non solo dalla propria sensibilità e dalla propria inclinazione artistica e creativa, bensì anche dalla lunga formazione, studio pertinace, ricerca, confronto, approfondimento ed esperienza che donano alla creazione artistica, e nella fattispecie alla produzione poetica, quel valore e quella valenza, quello spessore qualitativo che sempre devono connotare l'opera, altrimenti da relegare nel vasto mare delle cose meramente graziose, ma piatte, retoriche, ovvie e senza alcuna illuminata novità!
Tutta questa lunga parentesi, per confermare, in questa recente pubblicazione di Rita Pacilio, come del resto anche nelle sue precedenti, quell'impronta di grande valore letterario e poetico che permea tutta la sua raccolta. Perché è importante il dire, in poesia, ma è ancora più importante come lo si dice, la forma espressiva che sia propria, unica, originale, e che solleciti e coinvolga il lettore. Come deve esserlo una vera e propria opera d'arte. E c'è tutto questo nelle opere d'arte letterarie di Rita Pacilio, la quale senza dubbio si discosta e si innalza rispetto ad un mondo ormai vasto di scritture poetiche certamente encomiabili per l'intenzione e lo sforzo creativo, ma sovente scarsamente valide per il messaggio innovativo, per la capacità di interessare il lettore e per la appena sufficiente qualità letteraria dell'intera raccolta.
Orbene, l'intuizione poetica di Rita Pacilio, specie in questa sua opera, è illuminata e supportata da un dire immediato, schietto, da un riferirsi costante alle cose di tutti i giorni, ai sentimenti e alle relazioni nella famiglia e nella società. Da attenta osservatrice, anche delle minime cose, come dicevamo prima, Rita Pacilio affronta la denuncia delle malvagità e delle ingiustizie in tutti gli ambiti, dal sociale al familiare e poi anche nella storia del mondo, in una natura graffiata e offesa dall'operato di un uomo indifferente ed egoista. Ma è importante il dirlo con efficacia e con stile, specie in poesia, e quindi con un lessico potente nella sua chiarezza, coinvolgente nella sua capacità di giungere e di "suonare" direttamente nell'animo del lettore. Del resto la stessa autrice, nella sua Lettera al lettore, con la quale introduce la raccolta, afferma di maneggiare la parola poetica adatta a trovare la strada possibile da percorrere quando non ci si arrende all'incuria, all'abbandono, all'assenza, alla miseria umana.
La delicatezza, la chiarezza e l'innocenza della viola, della sua venatura, sono in fondo il simbolo dell'altra realtà, quella sognata e desiderata, quella che ci si illude che esista, oltre l'oscurità di questo mondo, provocata sovente da un uomo e da una società infingarda e bugiarda. Che la Poesia, e in particolare quella di Rita Pacilio, svolga il compito (come del resto la Cultura in genere) di mostrare il vero volto, la vera anima della natura e dell'uomo, è una delle poche cose sacre che ci redime e ci innalza. Così la poesia di Rita Pacilio, nella venatura della viola, trova la strada giusta ed efficace nel mostrare che esiste una possibilità di elevazione dalla confusione e dall'anarchia sentimentale dell'uomo, traendo spunto proprio dalla genuinità della natura, della quale la viola ne è forte e indovinato simbolo. Tutti i suoi testi poetici, nella raccolta, individuano, in modo continuo ma anche singolarmente, questo percorso-denuncia inteso ad infondere maggior consapevolezza nel cuore e nell'anima dell'uomo-lettore. All'incipit, costituito dal primo verso in corsivo, a mo' di titolo, non sussegue il consueto intervallo di righi bianchi ma direttamente il corpo della poesia: Rita Pacilio non vuole disperdersi e non vuole disperdere, ha urgenza di dire, delicatamente ma con fermezza, e con un dettato poetico elevatissimo, la sua visione complessiva delle cose e dell'uomo; ed è questa un'intuizione magnifica che ancora una volta denota la grande esperienza e la profonda conoscenza delle varie forme e stili poetici da parte della nostra Autrice.
Avranno modo di confermare quanto detto, i nostri amici lettori, e di aggiungere altre gradite riflessioni e commenti, leggendo i brani proposti qui di seguito, tratti da "La venatura della viola", di Rita Pacilio, Giuliano Ladolfi Editore.




A un tiro di fune…

Questo istante indimostrato è un punto
smosso dai nostri piedi soldati
ordinati come soprammobili bianco grigio
e tempesta.
Non giubila il frullatore
né il timbro compiuto dell'acqua nel bicchiere.
Al valzer di guerra sulle statuine
fa da sottofondo la polvere.
Lingue rinserrate tra i quadretti del foglio
obbediscono ai ghirigori
per questo motivo giuriamo di traboccare
nello sforzo mantenendo la solita postura
il collo inclinato
i sospiri dietro il naso che tira su
gli occhi voltati.


***

Il mondo è un corpo devastato
ha l'erba secca per il troppo pianto
è steso di fianco senza parole in bocca
alle dita manca il segno della pace,
si avverte il lamento del lupo in agonia
la neve permanente morire piano, piano.
Qualcuno dice non puoi farci niente
rassegnati al timbro del frastuono,
allora coglierò tutte le viole
le terrò insieme come faceva nonna
adornerò capelli scombinati
e
abbandonata alla saggezza del necessario
sarò povera delle solite cose.


***

Quando mi avrai perdonata
tornerà il pensiero alle violette
tutte insieme pronunceranno
il mio nome perfetto ad alta voce.
Ci apparirà intatto il muschio sulla porta,
il voto fatto a vent'anni,
i figli neonati nella culla.
Impareremo a parlarci di più
a dire sognami ancora.
Ci toglieremo le scarpe e il disappunto.
La contentezza griderà:
dammi un pegno, dammi un pegno.


***

Devi farti sottile per rimanere
effettiva presenza, erba primaverile
in questa fitta foresta dell'autunno.
Cancellare la replica dei baci
ogni euforia e partire per altri
continenti. Così perdonerei la qualità
dell'ignoto, la reggenza traballante
rubata alla candela profumata
poggiata tra il mondo e i suoi significati
ringraziare le venature della viola
in attesa di sbrindellare l'amaro del viaggio.
Devi prendere in prestito la parola dell'addio
sottoscrivere la paura che il mare ha un altro cielo
e poi
rimanere l'alone dell'abito steso al sole
una vaga macchia e basta.


*** 

Quella venatura della viola
è già compiuta nella tonalità
il batticuore che guarda in alto
guizzo estremo e gentile
senza disperazione.
Sapevamo di essere sorretti
dal mutismo delle cose
per questo è possibile dilatare la retina
abbandonarci alle strisce della penombra
sperare di non cadere presto.


*** 

Una viola rafferma in forma spettrale
distante dalla terra fiorita
mi ha confessato il modo per resistere
il suo spirito ha una coscienza quieta
intenta a trasformarsi chissà come
per il piacere di essere stata vista
questo ringraziare perdura
e in attesa di parlare con te
la tengo in mano fino alla prossima neve.


***

Qualcosa di troppo accresce
l'orgoglio e la colpa di essere nati qui
in questo garbuglio di allarmi profondi
dove porti in rovina e chiusi come porte
rendono l'acqua inutile e il tramonto povero
se esistesse l'origine di una parola
dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie
farlo in segreto, silenziosamente
tracciare una virgola dopo l'apparenza
allargarci sul gambo come fa la viola.


Rita PacilioLa venatura della viola, Giuliano Ladolfi Editore, 2019

Rita Pacilio è nata a Benevento, vive a San Giorgio del Sannio (Bn). Poetessa, scrittrice, collaboratrice editoriale, sociologa, mediatrice familiare, si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di letteratura per l'infanzia e di vocal jazz. Curatrice di lavori antologici, editing, lettura/valutazione di testi poetici e brevi saggi, dirige per La Vita Felice la selezione Opera prima. Direttrice del Marchio Editoriale RPlibri, è presidente dell'Associazione Arte e Saperi. Ha ideato e coordina il Festival della Poesia nella Cortesia di San Giorgio del Sannio.

Autrice di numerosissime pubblicazioni, tra le quali, recentemente, le raccolte poetiche Quel grido raggrumato (La Vita Felice, 2014), Il suono per obbedienza – poesie sul jazz (Marco Saya, 2015), e Prima di andare (La Vita Felice, 2016); e per la narrativa: Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria, 2011), mentre La principessa con i baffi (Scuderi Edizioni, 2015) è la sua fiaba per bambini.
È stata tradotta in greco, in romeno, in francese, in arabo, in inglese, in spagnolo, in catalano, in georgiano, in napoletano.
A marzo 2018 la pubblicazione dei racconti in prosa poetica: L'amore casomai (La Vita Felice).


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà