Gerardo Pedicini è Poeta, scrittore e critico d’arte. Premiato al Lerici-Pea nel 1969, al Premio di Poesia internazionale Aeclanum nel 2003 e nel 2008 al Premio “Filari in versi”. Ha raccolto i suoi testi poetici in Marame, Admiranda emblemata, Cinque stanze di Murillo, Lisboa, Dodici sonetti ancipiti per dodici capricci incisi, Canto e controcanto, Buthos e Giornale di bordo dal Baltico (edito da Leidykla Kalendorius, Kaunas 2009 con traduzioni in lituano, francese e inglese, e in plaquette a tiratura limitata. Sue poesie si trovano anche in Albe insieme ai versi di Elio Filippo Accrocca, Maria Luisa Spaziani, Bianca Maria Frabotta e Antonio Porta, e in Altre terre insieme ai versi di Giorgio Barberi Squarotti, G.Battista Nazzaro, Alessandro Carandente e Paolo Ruffilli. In prosa, ha pubblicato i racconti Il maestro di Casapuzzano, Circe, Il sogno di Anaceto vasaio, Il pozzo di S. Lorenzo, I puri di cuore di S. Maria La Stella, Una estate piena di pioggia, Don Pedro de Toledo e il romanzo Goethe a Napoli. Come critico d’arte, ha organizzato mostre di pittura e di scultura a livello nazionale e internazionale. Attualmente collabora alla rivista letteraria Secondo Tempo, al quindicinale Sussurri&grida, al bimestrale Sabato è con saggi critici, poesie, racconti, articoli di critica d’arte.
ORATORIO IN QUATTRO STAZIONI
gelido il vento mi si è stretto intorno.
sono confine e misura,
granello di sabbia,
vuota fortezza
abbandonata
in questo cieco carcere della vita.
fuoco vivo, amara come sale
la mia voce trascende
le cimase del Naviglio
e si perde nell‘aria
immota della notte.
nel silenzio del giardino, dietro casa,
Barbara stinge le coperte del sudario
e, come un tempo, mi attende
ferma allo steccato.
ma io sono già dietro
il muro d’ombra della finestra
e guardo chi va e chi viene.
per Lorenzo Calogero
per Alfonso Filieri
sono confine e misura,
granello di sabbia,
vuota fortezza
abbandonata
in questo cieco carcere della vita.
fuoco vivo, amara come sale
la mia voce trascende
le cimase del Naviglio
e si perde nell‘aria
immota della notte.
nel silenzio del giardino, dietro casa,
Barbara stinge le coperte del sudario
e, come un tempo, mi attende
ferma allo steccato.
ma io sono già dietro
il muro d’ombra della finestra
e guardo chi va e chi viene.
per Lorenzo Calogero
e tornano negli occhi le gelide parvenze della vita
cercate di casa in casa
come a un mendicante sperduto nella notte.
ho tra le mani ancora il sapore delle veglie
a lume di candela e i giorni perduti
nell’addiaccio delle ore che passano
nell’arsura del ponte.
andai di soglia in soglia con indosso
la mia pena; andai per monti e valli
con il fiato mozzo di respiri
in attesa del giorno dell’incenso.
trema ancora il mio passo alla tua voce
e il grido mi si spezza in gola
come quando salivi con il cuore in ombra
tra le rose di Villa Nuccia.
arso dal gelo resto in piedi, fermo
alla tua porta, sospeso in dormiveglia
nello strombo della finestra
che odora di sandalo e di miele.
lungo fu il cammino, vana la speranza
e la tua mano si perde,
fievole luce in mezzo al prato,
nel rigore di questo crudo inverno.
quel che rimane
è questo lungo andare nell’eco
che distanzia il tuo saluto
di roccia in roccia.
per Giovanni Frascadore
oltre la grata palazzi sbilenchi,
smarriti soldati, gatti volanti,
ombrelli tenuti dal vento,
insidie di albeggi tra i rami,
finestre sospese nell’aria,
suicidi di mosche depresse,
ingranaggi impossibili,
mutilazioni, terremoti,
lettere mai spedite,
tronconi di donne in scatola,
labbra di carnose conchiglie,
erotiche eruzioni di sperma.
questo è il mondo, questa è la vita
che ci accompagna
nel dissonante piovoso paese.
sarebbe vano ricercare altrove
gioiose e pendule fantasie
nello smorto orizzonte del tempo.
oltre non c’è che questo naufragio
che trascina il marame alla riva
come un corpo corroso dai granchi.
ma se ci guardi bene dentro, ci sei tu
e ci siamo noi in questo eterno
rinviare il tramonto
mentre ogni cosa cede e cade
senza più fondamento.
per Alfonso Filieri
ancora ti guida traverso il cammino
la porta lontana delle stelle.
con solerte inerzia
hai visto spuntare
il sole e la neve sciogliersi
sul tuo corpo coperto di stracci.
hai la pelle maculata
di ossa e roso il viso
come carta impastata nel miele.
nelle tue frecce c’è ancora
il profumo del tasso
e l’ardore della selce perenne.
il sogno è ancora
a mezzo il viaggio.
ma già respiri l’aria
del muschio dorato
e con la bussola in mano
misuri
la linea del vicino azimut.
Poesia di scatti e scarti, di indagine e scoperta, che rinnega la quotidianità nello sforzo di aderire ad un'inedita e straniante alterità; e si connota per novità e robustezza lessicale, oltre che per scelte stilistiche e soluzioni linguistiche che fanno palpitare di vita ogni testo poetico fin nei minimi lacerti.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Una bella forma di poesia a mezzo tra verità e memoria, ricca e ariosa, con metafore leggere e un grande senso di benessere della parola. Bravo Gerardo. Stelvio Di Spigno.
RispondiEliminaEugenio Lucrezi dice: non sempre viene la voce, e molte volte ho mancato di esprimermi quale lettore di Gerardo Pedicini, che mi è parso da subito - quando lo conobbi - come un eroico e solingo soldato delle arti, che coltiva nella lontananza, in artigianato assiduo e meticoloso, con esiti mai scontati, convenzionali, conformi alle ecolalie correnti. Qui sonda gli amici, nel solco della distanza che sempre qualifica la qualità degli incontri, e che permette di accomodare la messa a fuoco, di attrezzare le apparecchiature della sua retorica spoglia, di apparecchiare il desco misurato della decenza.
RispondiEliminaBravo Gerardo Pedicini, poeta di grande sensibilità lirica, lirismo che in questa "plaquette", si carica di grande sensibilità e profondità. Egli è consapevole dell'inconsistenza della vita, quindi prova a colmare, attraverso una sorta di riattivazione della memoria, le proprie dinamiche personali, impastate di un vissuto che si fa presente....
RispondiEliminaCaro Gerardo queste dediche sono stupende, assorbono il respiro del lettore per farlo fluire nell'immenso.
RispondiEliminaGrazie
Olga Danelone
Queste bellissime dediche uniscono diversi confini, quello tra la vita e la morte, quello tra la memoria e il sogno, quello tra passato e presente e dove a tutto il trambusto dell'esistenza che sembra un folle viaggio alla ricerca di quell'attimo, si sostituisce, in maniera inaspettata, la voce riflessiva e armoniosa del tempo. Il tempo del ricordo. Grazie, per averci regalato un attimo. Manuela Batul Giangrande
RispondiElimina….versi pervasi da una drammatica nostalgia, da una dicotomia esistenziale tra il ricordo ormai perduto e la lacerazione struggente di una realtà che forse è priva di senso….
RispondiEliminaTieniti un po su Gerardo
Un amico
…interessanti i versi dedicati a Giovanni Frascadore, pessimistici versi dove vi è tutta la lacerazione di una vita ormai al tramonto che si spegne lentamente e inesorabilmente
RispondiEliminanell’irrecuperabile stanchezza dell’Essere…
Ho letto questi versi con la curiosità di chi esplora per la prima volta un luogo.E vi ho trovato, scrutando a passi lenti, alcune sottilissime metafore incastonate in un lessico robusto dove la forma delle pietre, che lastricano il discorso poetico, non è mai uguale ma varia; quasi riproducesero il gonfiarsi e l'affievolirsi trafelato di un petto, che ora si adagia nella memoria del passato ora si lacera per il pensiero del tempo presente. Stringono la gola queste stazioni della via crucis, belle ed asfissianti. Pensieri che ormai non si scrostano più dall'autore il quale non vede nella realtà nessuna forma di gioia che eguagli il passato. Di cuore non lo invidio.
RispondiElimina- - - - LIGUORO ARTHUR RAFFAELE.
Καταπληκτικά ποιήματα! Το παρελθόν και η σημασία του είναι ένα θέμα διαχρονικής αξίας...Εύχομαι στον ποιητή να έχει την αναγνωσιμότητα που του αξίζει. Αυτά τα ποιήματα πρέπει να μεταφραστούν στα ελληνικά...
RispondiEliminaΈνας Έλληνας αναγνώστης και θαυμαστής (Κ.Λ.)
Grande poesia, che, in realtà, mi ero persa per i momenti che scorrono non sempre appropriati, né identici da vivere, e che, tuttavia, sento di dover commentare, pur non conoscendo personalmente l’autore e non attendendomi, dunque, neppure un semplice grazie. Versi che, a mio avviso, non sono certamente improntati sulle apparenze, né sulle scelte determinate dall’esistenza, ma sulla verità affettiva e su un profondo scavo interiore, che trascende lo stesso personaggio visitato, e diviene spietata, quanto armoniosa analisi personale dei sentimenti, del mondo e della vita stessa. O, per meglio dire, di quella parte di vita che è somma del proprio vissuto e di ogni cosa che circonda l'oggi, ed in cui le stesse metafore non possono che farsi inusitate, forti, ricche di un loro significato recondito, come in “suicidi di mosche depresse” ed altre, per giungere ad una “..vita / che ci accompagna / nel dissonante piovoso paese”.
RispondiEliminaUna poesia, quindi, in cui non vedo la depressione di chi la scrive, bensì l’estrema consapevolezza del poeta, che non ignora le lacerazioni e il dolore legati all’esistere, e tuttavia riesce a oltrepassarli, non col consueto limite, ma con una notevole capacità ed attenzione poetica e quel lirismo, che arriva sino a noi e ci illude di essere ancora possessori dell’infinito, pur facendoci, al tempo stesso, esseri comuni che provano paure e angosce mal velate o stupidamente stordite nella corsa verso una meta terrena di cui, forse, non saremo mai consapevoli che a metà.
Mariolina La Monica
liriche che sanno di saggezza, di consapevolezza di vita e del suo ineluttabile limite che prima di essere quello finale si estrinseca frammentandosi e moltiplicandosi nelle effemeridi quotidiane. Eppure qualcosa c'è che ravviva la speranza...quella consapevolezza di sè quando ci si guarda dentro. Complimenti al mio illustre omonimo.
RispondiEliminaAdriana Pedicini