La Poesia non ammette melensaggini, banalità, ovvietà, a meno che
queste cose non emergano nella contestualità di un discorso
poetico più ampio, laddove sia necessario evidenziare ed estremizzare questi
elementi. Ma la forza della Poesia è tale, che la
penetrazione attraverso la pelle di chi la legge o
l’ascolta, è, e deve essere, assolutamente autentica, diretta, sconvolgente, a
prescindere da eventuali remore o insicurezze da parte dell’autore. Voglio dire
che la poesia, quella vera, si autosostiene, vive di luce propria, indipendentemente dal fatto che possa scandalizzare o anche ferire la sensibilità
altrui. E quindi, tramite la poesia è possibile dire tutto, il bello e il
brutto, il dolce e l’amaro, l’ingenua meraviglia quanto la nefandezza più
scabrosa?... Direi di sì. Se è poesia vera, autentica,
profonda.
Come questa silloge di Alessandra Corbetta, Padri, vincitrice del terzo premio del concorso
Transiti Poetici. Ed è una silloge breve ma intensa, divisa in dieci quadri che
rappresentano altrettanti stati d’animo,
altrettante situazioni, più o meno usuali, del rapporto
padre-figlia. È altresì una silloge ideata e articolata con grande coraggio
dall’autrice, ma anche con grande consapevolezza del proprio talento, della
propria grande capacità di affrontare questi aspetti così peculiari, a volte
solo apparentemente formali, che si vivono all’interno di una famiglia.
Come dicevo, la Poesia può affrontare temi e argomenti di ampio
respiro, e in particolare, come in questo poemetto, situazioni personali e
delicate, e lo può fare proprio in virtù di quell’inalienabile spirito di
autenticità e di schiettezza che denota (e ne è permeato) ogni struttura
poetica di spessore: si va diritto al punto essenziale, senza viziosi giri di parole,
e anzi il concetto cardine espresso dal verso dà adito ad ulteriori
rimandi, ad echi allusivi di grande significanza.
La poesia di Alessandra Corbetta, in
questa silloge dedicata e ispirata alla figura del padre, in generale o anche
in particolare, si mostra quindi libera e svincolata da ogni possibile remora,
senso di colpa o pregiudizio, esponendo con un dire poetico sobrio ma puntuale e
profondo, le varie infinite sfaccettature emotive e sentimentali di un
rapporto con il genitore, evidenziandone l’autenticità e le difficoltà di
comprensione reciproca, laddove, alla fine, nonostante tutto, è sempre l’amore
a prevalere.
PADRI
In nessun tempo le nostre
verità,
quella tua di non riconoscere.
Mai nessuna mancanza.
Questa mia di non riuscire a
respingere la tua evidenza.
Roberta Dapunt
I
Il
castigo più grande non è stato
rimanere
immobile bambina
su
un cubo di divano guai se piangi!
non
andare a letto senza cena
né
adulta domandarti la mamma muore?
tu
muto – perché punire è fino in fondo.
Il
castigo più grande
è
questo mio perdono
fermo
affamato silenzioso.
II
Dimenticare
la data colpisce alle spalle.
Mentre
soffio sulle candele
il
tuo sguardo è altrove: una serie TV americana
ti
sorprende meglio
del
passare dei miei anni
III
Osservo
i padri
prendere
per mano le figlie:
divento
mendicante cieco
nel
buio del mai avuto.
IV
Il
calco piccolo delle tue mani
da
cui le mie hanno presa forma
è
la fatica gi-gan-te-sca
ad
afferrare la parte concreta del mondo
o
la ferita che mi segna il volto
nell’abbraccio
grigio tra il fumo
della
tua sigaretta e inconsistenti
le
mie parole nel vento.
V
Per
guardarti,
ho
assunto l’occhio della triglia
quando
l’acqua la bolle.
Ma
del salmone è la mia tempra:
rosa
e controcorrente.
VI
Quando
però cantiamo Baglioni
e
ai Pink Floyd teniamo il tempo
con
le dita sulla pelle del volante,
io
rinasco tua figlia partorendo
nello
stomaco farfalle
e
tu sei – finalmente – la rockstar.
VII
Arrivò
il giorno
- un giorno -
in
cui capii di somigliarti
più
degli altri.
Non
la somiglianza scommessa
in
sala parto,
né
quella al gioco degli scacchi.
Comunanza
strana
quella
che ci lega:
la paura
di
ripetere
gli
errori dei padri.
VIII
Noi
sappiamo cos’è il silenzio.
Lo
sbattere della culla, della porta, delle mani sulla faccia
la
parola atroce, i mille pezzi
del posacenere.
E
poi la goccia del lavandino che perde
per
ore per mesi per anni.
IX
Sono
quella che sfidi e additi,
quella
cui fai la voce grossa
la
stessa con in dote l’interruzione
del
desiderio innocente
di
non generare, di non dare
un
giorno nuovo alla stirpe
Sarà
che il male si tramanda
di generazione in
generazione.
X
Abbiamo
dovuto barattarci
con
qualcosa di irreversibile per forza
tirarci
fuori come corpi dalle lamiere
poi
metterci a tavola seduti composti
Al
dolce del silenzio ci siamo sorrisi
con
la complicità degli avversari storici:
abbiamo
siglato un patto
di
amore straordinario
nonostante tutto.
Alessandra
Corbetta
è nata a Erba (CO) il 4 dicembre 1988.
È dottore di ricerca in Sociologia della
Comunicazione e dei Media, ha conseguito un Master in Digital Communication e
un secondo Master in Storytelling; è Adjunct Professor e Teaching Assistant
presso l’università LIUC – Carlo Cattaneo e lavora come formatrice aziendale in
ambito di Comunicazione e Media.
Ha fondato e dirige il blog Alma Poesia
(www.almapoesia.it), progetto interamente dedicato al linguaggio poetico
italiano e internazionale.
Ha pubblicato il romanzo Oltre Enrico, Cronistoria di
un Amore sul finale (Silele Edizioni, 2016) e le raccolte poetiche Essere gli altri (Lietocolle, 2017) e Corpo della gioventù (Puntoacapo
Editrice, 2019), finalista al Premio Città di Como.
Scrive per il giornale online Gli Stati Generali e per il Progressoline. Per il blog Menti Sommerse ha diretto la rubrica
poetica “I Fiordalisi” e per il blog Tanti
Pensieri ha curato lo spazio poetico “Il pensiero di Alex”.
Ha collaborato come Web e Social Media Director
con La Casa della Poesia di Como, partecipando anche all’organizzazione di
reading ed eventi poetici, tra cui il Festival Europa in Versi.
Ha vinto e ricevuto segnalazioni di merito a
diversi concorsi poetici, tra cui il premio speciale della giuria a “Ossi di
seppia”. Sue poesie sono presenti in diverse antologie e tradotte anche su
riviste straniere.
(www.alessandracorbetta.net)
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