venerdì 22 dicembre 2017

Alessia Iuliano: Non negare nessuno

La Poesia fa cose strane. Rende fanciulla la maturità e matura la gioventù. Nel senso che persone pure avanti nell'età, e persone che sono appena entrate nel fatidico mondo degli adulti, vengono egualmente "baciate" dalla Musa; perché la Poesia, la vera poesia, non guarda in faccia a nessuno e non si lascia condizionare né dall'età dell'autore, né dalle sue condizioni o dalla sua storia o dalla sua collocazione geografica. La poesia è pura e vera, e prescinde da tutto. Così capita di incontrare, e di riscontrare, la Poesia in una giovanissima autrice, quale è Alessia Iuliano. Scrive Davide Rondoni della nostra poetessa termolese: "Il tentativo di Alessia Iuliano è di perseguire una poesia abitata da una intensa percezione del mondo. La ricchezza di scoperte interiori, le fulminanti illuminazioni, le discese in una solitudine capace di improvvise coloriture, avvengono sempre in relazione a presenze che la voce della poetessa cerca di trattenere, di "fotografare" spesso da scorci originali e vitali." Troviamo questo brano, che condividiamo pienamente, sulla quarta di copertina del libro "Non negare nessuno", CartaCanta Editore, pubblicato da Alessia nel 2016, la prima raccolta poetica della nostra giovane autrice.
In effetti, la poesia della Iuliano si fa strada attraverso un mondo del tutto personale, intimo, fatto di brevi ma intensi attimi di osservazione e di riflessione, che poi lei ribalta, anzi modella, sulla realtà esterna. E così l'autobus della linea quindici, i "rayban" dell'autista, i cani randagi, la stazione con gente che non si conosce… ogni cosa è un "flash" utile per narrare se stessa, per vedersi, per capirsi, in un mondo che sembra lontano, sincopato: come sincopati sono quasi sempre i versi, concatenati, a volte ripresi per chiudere un giro, un circolo dal quale è difficile uscire; perché è la vita, tutta la vita un circolo: "Tornare a casa / è come non tornare / ma perdersi…"
Alessia Iuliano entra quindi con determinazione nell'essenza delle cose, traendone poi il frutto di verità che in esse è sempre celato, quel nocciolo segreto che solo gli artisti e i sensibili riescono a individuare e poi ad esprimere tramite il grande dono dell'arte creativa e della poesia. Parole che non sono soltanto dei meri significati, termini generali ed universali per indicare un universo di sensazioni e di immagini, ma parole ben definite, profonde, provocanti, graffianti, persino coraggiose: per esprimere quello stato e soltanto quello, ben preciso e individuato, o perlomeno cercato (spesso non trovato: come nel principio di indeterminazione di Heisenberg, laddove più ci si avvicina alla particella-verità, più questa sfugge in infinite vibrazioni probabilistiche…). Un punto, uno stato, le parole cuneo di Alessia Iuliano, che, giustamente come opera la grande poesia, offrono successivamente lo spunto per "allargare" e immedesimare il contingente all'universale. "Mi conosco a rileggere versi / dispersi dettagli d'amare / e la veranda in fiore non saprà / dirmi altro / cerchiamo parole / piove": ecco: quel "piove" è la distrazione della poetessa e dell'uomo, nel senso di una consapevole e forse amara e disperata (seppure composta e serena) constatazione di quanto sia irraggiungibile e inspiegabile il perché ultimo dell'esistenza. Ma la poesia, e la poesia particolarmente acuta e sensibile di Alessia Iuliano, aiuta a dare un senso, supporta e ìncita, incoraggia la ricerca e la speranza.

Altre osservazioni e commenti aspettiamo dai nostri lettori attenti che ci seguono su questo blog, dopo aver letto i testi che seguono, tratti da questo bellissimo libro di Alessia, "Non negare nessuno".


Amen – la messa è finita
andate in pace (andate)

andate piano e diffondete

(diffondete)

la parola amen.

Amen.

Dove hai puntato
l'occhio oggi chi
tradisce chi è
il tradito – Dio

mio la confusione
è poco, confusione
è mondo ma ti sento

anche nelle lontananze


***

Questa notte così folta
ha la violenza
delle cose che stupiscono
quando serrata
la bocca non basta

è il tuo gridare
muto, ingiusto
giusto a metà che mi ferma –

perché lui che dorme sdraiato
sul fianco battuto della stazione
è la tua sete a chiamarlo.

Eppure la nebbia congela

mani come bandiere


***


Abbaiano

giù al parco
cani randagi

randagi che fiutano
cani simili a sé

e la notte danza,
le chiome degli ulivi
si voltano


***

Ho camminato.
Raccoglievo la sabbia
il mare
reclamava i suoi frutti
non c'erano
passi, gialli, verdi
l'estate moriva
sui cigli –
prenditi cura, sì.
Prenditi cura degli occhi


***

È all'altezza della vita
anche maggio, con le ginocchia
al maestrale. L'estate
deve venire, ma non sa
ancora il momento non sa
nessuno il tempo
in cui arrivare, andare via.
Battezziamo giorni ore
rimangono per sbagliare

che poi non esiste
l'errore ma santo
il limite
essere creature
e soltanto questo è –

Ho addosso
cuciti milioni di sguardi
nessun rimpianto


***

Può essere luglio,
dicembre

può essere pioggia
tempo che scorre.

E d'improvviso
la fine di tutto, l'asfalto
bagnato e il silenzio.

E allora un sorriso sarebbe bastato
a fare bene del male –


***

L'autista dell'autobus linea quindici
indossa rayban arancio polo azzurra Pescara
è come lui ma è lei

le sopracciglia in matita
e le vele ormeggiate
al ponte delle ciglia.

Porto di stelle di fuochi.
Fumi e fuochi, dove?
l'occhio, il cuore autobus
linea quindici, uomo azzurro
solo occhiali

nello smarrimento sirena
sali nella sera, ti perdi nel mare…


***

E alla fine, proprio
alla fine soltanto questo
rimane: quasar
galassie esplose
come fiori dalle borse

l'universo torre di controllo tre
due, uno – sei stella
azzurro combustione

e la vita
puoi raccontarla, puoi?
***

La luce stamane
addolora
litanie dipinte sui muri
in stazione gente
che non conoscerò.

Ho parlato con uno
ai binari, il treno
tarda a partire e l'anima mia
ha milioni di anni


***

Pescara come passa
il tempo

e già oggi il vento
ha ammutinato l'estate
il traffico non è quello di ieri
ma alla mia camera
resta ciò che sono stata.

Mi conosco a rileggere versi
dispersi dettagli d'amare

e la veranda in fiore non saprà
dirmi altro

cerchiamo parole
piove


***

Tornare a casa
è come non tornare
ma perdersi,
più bosco e le luci
a non dimenticare –

che del silenzio
puoi fare miniera
e dal baratro rotto
partorire bellezza

Testi poetici tratti dal libro "Non negare nessuno", di Alessia Iuliano, CartaCanta editore, Forlì, 2016; prfazione di Valentino Fossati; nota su quarta di copertina di Davide Rondoni.

Alessia Iuliano è nata a Termoli nel 1995, studia Lettere moderne a Chieti e Musicoterapia presso il Conservatorio di Pescara. Dal 2015 collabora con la rivista online ClanDestino diretta da Davide Rondoni e Gianfranco Lauretano. Nello stesso anno, la Word Federation Music Therapy sceglie Thanks to WFMT, canzone di cui Alessia ha curato interamente il testo, come sua sigla ufficiale.
Nel gennaio 2016 viene pubblicata la sua prima traduzione dall'argentino: Il ladro di ombre, Edizioni di pagina; il libro nel maggio del 2016 risulta super vincitore del Premio Elsa Morante Ragazzi. Non negare nessuno, la sua prima raccolta di poesie, è vincitrice del primo premio al concorso nazionale di poesia Serrapetrona – Le Stanze del Tempo 2016, promosso dalla Fondazione Claudi.
Alessia Iuliano risulta inoltre vincitrice del premio Giovani Autori alla XIV edizione del concorso nazionale di poesia Città di Sant'Anastasia, dicembre 2016.


martedì 19 dicembre 2017

Carla De Angelis: "Mi fido del mare"

Un connubio perfetto tra mare e terra, tra l'elemento classico simbolo e metafora dell'ignoto e del viaggio, e la certezza e l'essenzialità della natura, del seme e delle zolle. Un dimidiarsi tra queste due forze, che con l'afflato e la bontà dei versi, semplici ma scaltri e profondi, si amalgamano e si fondono in un tutt'uno, quasi risacca gentile a lambire la rena o promontorio di terra aggraziato a protendersi verso il largo. Questa l'immagine che scaturisce dalla lettura di "Mi fido del mare", della poetessa romana Carla De Angelis, eccellente scrittrice e solerte organizzatrice di eventi culturali nella Capitale e nell'accogliente sede della Biblioteca Renato Nicolini a Corviale.
Mi fido del mare è dunque una raccolta di poesie (92, per la precisione), generalmente brevi, senza titolo, che la poetessa ha pubblicato recentemente per i tipi di Fara Editore. E' un discorso continuo, il suo, quasi un poema, in cui si nota l'urgenza del dire, la quasi inesauribilità del racconto poetico, che non si disperde e non migra verso altre connotazioni, bensì resta compatto e univoco pur nelle infinite sfaccettature e lacerti, spiragli di luci, riflessioni e speranze, che la poetessa abilmente riesce a mostrare, attraverso il sottofondo della sua scrittura che il lettore volenteroso e attento sa subito interpretare. "Mi fido del mare" è il titolo della raccolta ma nello stesso tempo è il nucleo centrale dell'ispirazione poetica dell'autrice, l'asserto fondamentale da cui ella traccia e indica il suo percorso (che diventerà anche il "nostro" percorso) attraverso le luci e le ombre del vivere quotidiano, laddove è necessario armarsi di amore, di rispetto verso la natura e il creato, e soprattutto di speranza ("rapino la speranza a un chicco maturo"). Dal suo dettato poetico, diretto e illuminato, appare evidente il forte senso di accettazione della realtà, nel bene e nel male, ma sempre supportato e confortato dalla speranza e dalla ricerca dell'autenticità nelle cose e nell'uomo: "Ho pesato l'oro e l'argento / il sale e la farina ho aggiunto / acqua quanto basta / ho modellato una docile palla / e mentre giocava a lievitare / ho gettato un sasso nel rettangolo di gesso / A occhi chiusi resto in bilico sarà, non sarà / Qui c'è sempre il sole". Nonostante tutto, dunque, "qui c'è sempre il sole", afferma con coraggio e fiducia la nostra brava autrice, dedita ad un lavoro letterario costante e proficuo, ammirevole e interessante, non solo per la produzione e pubblicazione di raccolte come questa "Mi fido del mare", ma anche per l'impegno profuso nel promuovere e organizzare eventi culturali di grande rilevanza, a Roma e anche in altre sedi.

Riportiamo dunque qui di seguito una nostra selezione di testi tratti da "Mi fido del mare": i nostri lettori e tutti gli amici che ci seguono sapranno sicuramente aggiungere qualche gradito ulteriore commento.


La cura dell'orto inizia dalle piccole cose
un soffio di luce dove la vanga
spinge la paura che ondeggia
una canna la trattiene
un sudore tiepido ritrova la primavera
nei solchi fluttuano le parole
i merli segnano il confine alla fatica

C'è un odore buono ci sarà un buon sapore
non mi sottraggo al dubbio
la differenza è nel seme o nella terra?


***

I merli danzano lontano dall'uva
sanno che i tempi non sono maturi
nessuna traccia di succo dolce

Camminando ho udito
una richiesta intima e infinita

Come può riposare il corpo
devastato dalle cose del mondo?


***

Ho sentito il rumore di una foglia
parlava mentre
intrecciava il chicco di terra
dava il benvenuto
augurava buona vita con il sole e con la pioggia
insieme a farfalle rapite dai colori
ai passi dell'uomo che muto alzava lo sguardo
al battito d'ali d'un passero

(non è il vuoto che fa paura è la sofferenza
di chi sta accanto a rendere insopportabile
anche il respiro)


***

Ancora una volta andrò in spiaggia
fra la schiuma e il suono delle onde
lascerò una promessa e una storia
mai raccontata

sarà una rivelazione
senza astio senza arroganza

Mi fido del mare


***

Non sappiamo fare di più che
apprendere a vivere e morire

E credere di vivere ogni giorno
insieme a nostalgie che spingono altrove
come la corrente un tronco sul fiume


***

Amo la poesia
sollievo della parola
nascono emozioni che prima si attorcigliano
poi si dispiegano in versi

Vengono avanti li sento comporsi
su sentieri che credevo impervi

Così camminando procedo e incontro
un amico


***

Potresti attraversare la vita con noi?
È così piena di spiriti e briganti
Dove sono gli angeli? La mela?

Dammi un verso come fosse poesia
ne sento l'odore
il fruscio quando mi passa accanto
un grido raduna i minuti
li porta verso sera

Continuo a sentire il ritmo di ogni sfumatura
attenta a quel verso che cerca l'approdo


***

Questa poesia non è fantasia: Che forse
il colore della luna è meno benefico del sole?

Un flusso bianco, immagina storie sempre
più svelte
tante quanti sono gli alberi della foresta
così di tempo ne rimane

Dall'alba al tramonto è tutto quello che occorre
per colmare suoni immagini e pensieri

Questa poesia non è fantasia
è uno squarcio tra i raggi del sole


***

Eppure amo questa vita che fa di me una
persona
impreparata inquieta

Voglia di restare un po' ragazza
studio le parole
veglio l'angelo che dorme sul fiore
cerco l'oro luccicante nel mare

Nella chioma delle nuvole intravedo
quel giallo prezioso come la fede:

Dio poi formò l'uomo con la polvere
della terra e soffiò sul volto
e divenne uomo

(Testi tratti da "Mi fido del mare", di Carla De Angelis, Fara Editore 2017; prefazione di Alessandro Ramberti)

Carla De Angelis è nata e vive a Roma. Sue poesie e racconti sono presenti in riviste e antologie edite da Perrone, Estroverso, David & Matthaus, Limina Mentis, Delta3, Pagine, Aletti. Ha ricevuto vari premi e riconoscimenti. Con Fara ha pubblicato in poesia: Salutami il mare (2006), A dieci minuti da Urano (2010), I giorni e le strade (2014). Con Stefano Martello ha realizzato i saggi: Diversità apparenti (2007), Il resto (parziale) della storia (2008), Il valore dello scarto (2016). Suoi versi nelle antologie Il silenzio della poesia (2007), Poeti profeti? (2008), Chi scrive la fede? (2013) e nella antologie del Concorso "Come farfalle diventeremo immensità" (ultima Il coraggio del bene, 2017). Nel 2011 esce Mi vestirei di mare (Progetto Cultura). Ha ideato e co-curato le antologie Corviale cerca poeti per la Biblioteca "Renato Nicolini" di Roma con la quale collabora tuttora.


sabato 9 dicembre 2017

Rosa Salvia e il suo "Giardino dell'attesa"

Dell'ottimo Samuele Editore, sempre attento nella selezione di opere letterarie e in particolare poetiche di sicuro interesse, proponiamo qui di seguito alcune poesie tratte dal libro "Il giardino dell'attesa", della poetessa romana, ma di origini lucane, Rosa Salvia.
Qualche breve riflessione su questa gradevolissima pubblicazione è d'uopo, ma soltanto per contribuire ad una maggiore diffusione del libro e della sua Autrice nel mondo letterario attuale, se mai ce ne fosse davvero bisogno, constatata la notorietà, la bravura e la qualità indubbie della poetessa.
Ciò che principalmente ci ha colpito, nella lettura della raccolta, è stato il progetto creativo fondato essenzialmente sulla figura del "giardino", anche se poi il libro si completa con ulteriori idee poetiche, non ultime la sezione "Intermezzo" con versi brevissimi, quasi degli aforismi o addirittura haiku, che esulano, almeno in apparenza, dal filo conduttore principale, che resta il "giardino" con tutti i suoi corollari e collegamenti metaforici e allegorici più o meno forti.
Ognuno ha dunque un proprio "luogo" dove incentrare, o meglio proiettare, tutto ciò che è positivamente complementare alla propria quotidianità, al proprio vissuto. Si tratta evidentemente di un luogo, di uno stato, piuttosto "segreto", personale, intimo, coltivato e amato proprio in virtù del fatto che in questo luogo, e da questo luogo, acquisiscono ricchezza e significato gli aneliti e i misteri della vita, le emozioni e, insomma, tutta la sfera sentimentale e spirituale dell'uomo. I Poeti in modo particolare, ma tutte le menti e i cuori creativi, si relazionano a questo "luogo" interiore/esteriore fatto di verità e di valori ineccepibili, basilari, a questo "angolo" del loro mondo quotidiano. Rosa Salvia esplicita questo "locus" nel "Giardino dell'attesa", dove la nostra Autrice colloca e fonda la sua filosofia e il suo credo artistico, traendone esiti di alto lirismo e di grande condivisione da parte del lettore attento e sensibile, che sa leggere oltre la filigrana del dettato poetico, peraltro accattivante e fluido, pur nella giusta sobrietà ed essenzialità dei versi.
Il "giardino" di Rosa Salvia è in effetti una sorta di mondo ideale, una visione propria della vita, tendente alla bontà della Natura e della terra, con i suoi frutti e le sue creature, e con un forte senso escatologico. È un mondo "rovesciato", con le radici dell'albero nel cielo: "il giardino sopra la casa è un punto, un paese, il locus dove si trova il seme e lo spazio che accoglie quel seme". Il giardino è dunque il ricettacolo della verità propria e dell'uomo, di tutti gli uomini, perché è posto al di fuori di un mondo che contamina e comprime, ma è anche la proiezione dell'anima, quella parte di noi che non si lascia corrompere né sviare.
Il libro prosegue, come dicevamo, con altre costruzioni poetiche, sempre di ottima qualità e preservando lo stile e la forma personalissimi, consoni ad un progetto poetico complesso ma uniforme, con testi che trattano largamente ricordi (per esempio "Monte Lifoi") ma anche la natura e le sue creature.

Un testo davvero interessante, che offre spunti di riflessione ulteriori, come proponiamo ai nostri amici che ci seguono su questo sito, dopo aver letto e gradito la selezione dei testi presentati.

Il giardino dell'attesa

Il giardino sopra la tua casa
è un punto, un paese,
il locus in cui si trova
il seme e lo spazio che accoglie
quel seme.

Il giardino è un albero e la terra in cui
quell'albero mette radici.

Il giardino è un albero di noci
il terreno a cui esso fa ombra
e sul quale lascia cadere i suoi semi.

Il giardino è un punto
a cui il campanile coi suoi rintocchi
unisce in un unico cerchio
la musica empedoclea dello sfero.

Il giardino è una frenetica linfa
è un filo di ragno
un sentimento e un pensiero
come il respiro di Saffo.

***

Risvegli

Il giardino stremato comincia a sottrarsi
alla morsa del gelo.

I rami nudi degli alberi, non più pietrificati,
paiono scorrere nell'aria come capelli.
Rigagnoli neri corrono fra cuscini di neve sporca.
Tra i tetti di ruggine e acqua scivola un gatto.

Il tuo corpo assapora lo sboccio dei fiori
e si scioglie con loro
sotto un sole ancor fresco di sonno.

La sua danza stupisce la terra.


Il giardino è paziente
nei suoi piani e denso
accanto a una spina di rosa
si sviluppa e ferisce,

accanto all'improvvisa svolta
nell'ora degli scavi,

si ramifica
in compagnia di ricordi,
è il gioco della pentola
e il dondolio dell'altalena,

la pelliccetta rossa
e i fagioli per la tombola.

Tutto scorre,
ma uno solo è il corso delle cose.

***

Monte Lifoi

Fra le sue buche e le sue gole
mentre incalza l'impervia salita
più leggero si fa il peso
del vivere più lungo il raggio
del pensare –

Sulla cima appena un fiato
che imbruna –

Nella valle il paese fuma –
la torre normanna attende pensosa
nella screpolatura dei tempi
un'aurora di storia.

Scendendo la china
riprendi la gravità del corpo
un osso sbiancato
dal nuvolo grigio dei camini.

Li vedesti tutti.
Sedevano con i loro abiti scuri
sulle sedie a raggiera
attorno al feretro.

C'era Bianca, Tarulli, Tituccio il ferroviere,
Fifì, Salvatore il farmacista, Vitantonio.
C'erano altri vicini di casa…
I nomi li ha con sé il vento.
Parlottavano fra loro in sordina
o tacevano con l'aria compunta –

Pareva che dormisse satollo
come non lo era da anni
tuo padre.

Tituccio s'alzò di scatto;
incerto ti fissò a lungo.
Gli tremava, debole, la bocca
un poco, poi tentennò il capo.
<<Con quale treno sei venuta da Roma, Rosa?>>

***

I resti del castello

Un raggio abbracciava in una nuvola
i resti del castello
e un minuto dopo era una pioggia
    sottile
che si scioglieva sulle pietre.

In una calma stupita fatta di foglie
e di nulla
sentivi come una scia di presenze
che mormoravano sottovoce
le loro misteriose preghiere.

Sul diario fissavi un nome,
una stella,

e dell'eterna immagine
                           il senso e il dolore.

***

La civetta

Poetessa dell'aria, invero, è la civetta
su quell'angolo di tetto del campanile
in cui all'alba apprende, assorta, la
lezione del silenzio.
Sta zitta, guarda in giù sporgendo e
stravolgendo il capo al giorno che si
apre in una sfumatura, in un filo d'erba,
in un sorso d'acqua. In un saluto.
Il tocco dell'orologio segna le sette e
tinge di rosso il suo petto. Il tempo si dilata,
teme che qualcuno rapisca i suoi pensieri.
e quando dalla strada s'odono schiamazzi
replica a gran voce nella sua lingua
simile a Musa sdegnosa e rabbiosetta.

***

Un bruco qualunque

Un bruco qualunque andava a passeggio
alla sua goffa maniera,
lordandosi di polvere.

Si trascinava dietro le tenui vibrazioni
del respiro
vedendole riflesse lungo i muri,
in ritmi, disegni, forme
d'una sintassi che produce
cose aeree come il vento e la luce.

***

Bisogna pensare alla madre

Bisogna pensare alla madre come terra inerte
e al tempo stesso bramosa di frutti
perché, nel gioco fra passività e desiderio,
lo spirito maschile compia la sua riproduzione,
a distanza,
come si addice al sole che, con l'energia dei suoi raggi,
scalda la materia e causa la vita –

Là dove non sei sicuro di sapere se esisti.

Testi tratti da: "Il giardino dell'attesa", di Rosa Salvia, Samuele Editore, 2017; prefazione di Pasquale Di Palmo.

Rosa Salvia è nata a Picerno, in provincia di Potenza; vive a Roma dal 1986. Docente di Storia e Filosofia nei Licei, ha esordito nel 1991 con il romanzo breve La parola di Elsa. Tra le sue successive pubblicazioni in versi: Intermittenze (Aletti, 2003), Luce e polvere (Aletti, 2005), Le parole del mare (LietoColle, 2007, Premio Internazionale di Poesia e Narrativa "Cinque Terre – Siro Guerrieri" e Premio Nazionale di Arti Letterarie, Torino), Mi sta a cuore la trasparenza dell'aria (La Vita Felice, 2012), Dolore dei Sassi (Puntoacapo, 2015). Ha meritato diversi riconoscimenti letterari, fra cui la menzione speciale al Premio Montano 2016. Testi editi o inediti sono stati pubblicati in diverse antologie. Per la critica letteraria, il saggio narrativo Frammenti di un discorso poetico, è stato segnalato al Premio Montano 2015 (sezione prosa inedita).


domenica 22 ottobre 2017

Transiti Poetici: Cinzia Marulli e la sua "Casa delle fate"

Transiti Poetici: Cinzia Marulli e la sua "Casa delle fate": " Un libro crudo e duro ": così esordisce Marco Antonio Campos, poeta messicano di grande talento, nella sua postfazione a &quo...

Cinzia Marulli e la sua "Casa delle fate"

"Un libro crudo e duro": così esordisce Marco Antonio Campos, poeta messicano di grande talento, nella sua postfazione a "La casa delle fate", recente raccolta poetica di Cinzia Marulli. Può in effetti, in qualche modo, scuotere gli animi del lettore questa affermazione così impegnativa e profonda, all'inizio della sua accurata nota critica su questo bellissimo e intenso lavoro della nostra Autrice romana. Ma la poesia, si sa, non è tale se non sconvolge, se non investe il lettore e lo pungola esortandolo a confrontarsi con la realtà interiore e soprattutto esterna, distogliendolo da una sorta di torpore quotidiano che appiattisce la vita e tende a sottovalutare se non proprio a dimenticare o ignorare che esistono dei problemi, delle problematiche, delle situazioni anche scabrose e in un certo senso antipatiche, accanto al sole, alla luce, alle piccole gioie della vita di tutti i giorni.
Ma il grande pregio, il grande fascino e, oserei dire, miracolo, della poesia, della vera poesia, è quello di trattare, proporre, raccontare le difficoltà, le sofferenze, i patimenti e in genere le mestizie umane, anche e persino le cose più orrende, con la delicatezza e la compostezza necessaria, rendendo le cose "brutte" persino accettabili, persino "luminose" e gradevoli, laddove la lirica, la resa poetica e lo stile superano largamente l'entità dei problemi trattati; non si tratta, beninteso, di superficialità o di scarsa considerazione o addirittura di ipocrita visione della vita, ma, tutt'altro, di una sorta di "accarezzamento" e di accoglimento dei patimenti in una sfera di redenzione che sta al di sopra di noi e di tutti.
"La casa delle fate", poema intenso e umanamente pregno di una compostezza pacata ma non rassegnata, è pienamente aderente a questa linea della poesia del sociale che affronta i problemi di tutti i giorni, qui, nella fattispecie, i problemi degli anziani, madri e padri, "abbandonati" nelle case di riposo per motivi sociali e lavorativi quasi inderogabili.
Il libro di Cinzia Marulli è incentrato sulla madre, ospitata negli ultimi anni della sua vita, in una di queste case di riposo, per antonomasia detta casa delle fate, perché la mamma, le signore anziane che dimorano lì, ormai ultima destinazione, sono "fate" per il loro candore, per la loro semplicità, per la loro austera bellezza, per la loro dignità che mai viene meno.
È un problema che Cinzia, parlando della vita che vi si svolge, parlando persino del percorso (il libro è infatti suddiviso in tre parti: "L'entrata", "L'uscita", "Il dopo"), pone sotto gli occhi di tutti, mostrandoci come può sentirsi una madre "fata" consapevole che dovrà trascorere l'ultima parte della sua vita affrontando un ciclo ripetitivo e insapore (la colazione, le signorine / infermiere che l'assistono, la cena, l'andare a letto metodicamente alla stessa ora…), e come può sentirsi una figlia "costretta" ad affidare a queste strutture la propria cara mamma, con i sensi di colpa che galoppano nel suo cuore.
Cinzia Marulli descrive questa vita, questa quotidianità monotona e opaca nella "casa delle fate", ma lo fa con un dettato lirico delicato e nello stesso tempo struggente, mai abbandonandosi alla disperazione o ad eccessive lamentazioni: i suoi versi colgono altresì la profondità dei sentimenti, esprimono liricamente le cose più semplici e genuine, i gesti usuali e ripetitivi che ogni madre / figlia / donna fa nella sua dimora.
Un libro piacevole da leggere, commovente, che offre al lettore molti spunti di riflessione su un argomento così delicato e serio; una poesia che riesce a superare il difficile ostacolo dell'ovvietà che questo aspetto sociale può mostrare, indice della bravura e della comprovata esperienza poetica della nostra Autrice.

Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro, invitando i nostri lettori e gli amicvi che ci seguono su questo blog, ad esprimere graditi ulteriori commenti.


Si ferma il tempo
nel percorso che m'avvicina
in questo luogo risiedi
qui – dove la vita passa nell'attesa.

Il candore della tua pelle m'accarezza
quella pelle tornata bambina
ora che invochi me
come fossi io tua madre.

***

C'erano anche i giorni belli
nella casa delle fate
i giorni dove il sole entrava dalle finestre
e i sorrisi delle bambine diventavano perfino
veri

anche le ossa smettevano di dolere
e i ricordi sembravano quasi inutili

erano i giorni delle visite
delle passeggiate corte un metro
delle pastarelle
e dei <<mangiane poche ché altrimenti ti fanno male>>
ma tu lo sai che a ottant'anni non ti importa del
diabete
ti vuoi bere la vita, tutta quella che ti rimane
e goderti ogni cosa
ché poi si torna a letto, in mezzo all'urina che esce
dall'incerata.

***

Non lo sapevi fata mia
che quel giorno
sarebbe stato l'ultimo tra le tue cose

tra i mobili lucidati a cera
e le scarpe riposte con la carta del giornale

me le chiedi sempre queste cose
ora che sei nel luogo del finire.

So che ti ho ucciso prima della morte
vorrei tenerti a casa con me
e starti accanto invece di andare a lavorare

ma sono sola
e non ho soluzione
solo il tuo perdono.

***

L'ultimo saluto prima di chiudere la bara
poi il corteo
la gente, gli abbracci, i fiori
la chiesa
e mentre il prete parlava
ti ho vista seduta in fondo
finalmente libera

mi hai dato la mano
e siamo andate insieme
a chiudere in un loculo il tuo corpo
ti è piaciuta tanto la lapide
la foto era la tua preferita

alla sera siamo tornate a casa
a farci quattro chiacchiere in segreto.

***

Ho preso il tuo corredo
quello che conservavi come un tesoro
nel baule della nonna

l'ho lavato tutto
col sapone profumato
che usavi tu per le cose buone

l'ho steso al sole
e ho atteso che si asciugasse
come quando andavamo al mare
con gli asciugamani zuppi di sale

poi mi sono chiusa in casa per giorni
e ho stirato ogni cosa lentamente
come si gusta un dolce speciale
ché tu lo sai che sono golosa

ogni volta che passavo il ferro
sui tuoi tessuti
era come accarezzarti di nuovo

quando ho terminato
ho rilavato tutto da capo.

***

Ora basta ricordarti
morta
è la tua vita quella che voglio

non si chiude tutto in una bara
quelle ossa non mi dicono niente

rimettiamoci a parlare sul serio
e facciamocela ancora
qualche litigata
ché non siamo mai andate d'accordo io e te

con questa fissa dell'aspirapolvere
l'ho buttata sai?
ma ho conservato i  tuoi libri
e i nostri sogni.

***

Non manca molto
a quando anche io mi ritroverò
vecchia
con le mani inutili e le gambe finte

dove sarà la mia casa delle fate
e chi mi darà la bacchetta magica della fine?

Testi tratti da: "La casa delle fate", di Cinzia Marulli, Edizioni La Vita Felice, Milano, 2017
Postfazione di Marco Antonio Campos.

Cinzia Marulli è nata a Roma dove tuttora risiede. Ha studiato all'Università "La Sapienza" di Roma Sino-Indologia e sta traducendo alcuni tra i principali poeti cinesi contemporanei e in particolare i poeti brumosi (Bei Dao, Mang Ke e altri).
È curatrice della collezione di quaderni di poesia Le gemme (Ed. Progetto Cultura) e promotrice culturale di rassegne di poesia. Ha partecipato a vari festival internazionali di poesia in Italia e all'estero; le sue poesie sono state tradotte in cinese, francese, greco, inglese e spagnolo e pubblicate in Cina, Bolivia, Colombia, Ecuador, Honduras, Messico e Spagna.
In collaborazione con il Gatestudio Records, ha realizzato progetti di video arte.
Nel 2016 ha vinto la prima edizione del Premio di Poesia "Casa Museo Alda Merini" con la silloge inedita La casa delle fate.
Ha pubblicato: Agave (LietoColle, 2011,  con prefazione di Maria Grazia Calandrone); Las mantas de Dios – Le coperte di Dio (Ed. Progetto Cultura, 2013,  in edizione bilingue italiano–spagnolo con traduzione di Emilio Coco e prefazione di Mario Meléndez); Percorsi (La Vita Felice, 2016, con prefazione di Jean Portante).


venerdì 6 ottobre 2017

"La parola detta", di Stefania Di Lino

Stefania Di Lino è un'artista e poetessa romana di grande valore, una persona sensibile e affabile, che ho avuto modo di conoscere in questi ultimi anni in ambienti letterari di comune frequentazione, sia a Roma che qui a Napoli; la sua possente vena artistica e poetica mi ha subito affascinato e coinvolto, e tra di noi è andato vieppiù consolidandosi quel rapporto di intesa letteraria e di amicizia che ci ha permesso di collaborare insieme nella realizzazione di diversi eventi, con entusiasmo e slanci creativi.
Diciamo subito che la sua poetica è molto particolare. Dal primo volumetto "Percorsi di vetro" (deComporre Edizioni, 2012), la nostra brava Autrice approda a questo recente lavoro dal titolo veramente emblematico: "La parola detta", pubblicato nel giugno di quest'anno per i tipi della Casa Editrice La Vita Felice di Milano, con prefazione di Cinzia Marulli. Da una poesia di tipo "classico" o se vogliamo "standard" nella forma (versi liberi, ma comunque brani senza titolo e punteggiatura ridotta all'essenziale), Stefania Di Lino, in "La parola detta" sperimenta con successo una propria originalissima forma di scrittura poetica, con testi che hanno, sì, forma narrativa, ma nel cui interno i versi vengono sezionati da una barra obliqua ( / ) o anche una doppia barra ( // ) riprendendo in tal modo l'anima della poesia. E in effetti di alta poesia si tratta, dove la "parola detta" è coraggiosamente e liricamente espressa fin nel suo profondo significato, basandosi su una genuinità di sentimento e su un profondo sentire il mondo interiore (la madre, la famiglia, gli amici) e il contesto sociale che la circonda.
È una poesia che ha un "continuum", quella di Stefania Di Lino in "La parola detta", quasi un poema unitario, in cui i vari brani, tutti senza titolo, costituiscono ciascuno un tassello fondamentale di un mosaico poetico compatto eppure dalle argomentazioni multiple e distinte; sovente i brani cominciano con una "e" che ha lo scopo di continuare il discorso precedente, di legare insieme i vari afflati poetici per renderli una espressione quasi unica e propria del pensiero lirico della nostra Autrice.
Ogni Poeta cerca la sua modalità più congeniale per esprimere con le parole il suo pensiero, la sua filosofia di vita, i suoi sentimenti. Stefania Di Lino ha intrapreso una strada artistica e letteraria che certamente la contraddistingue, nel panorama attuale della poesia italiana, per l'incisività del suo discorso, oltre che per la modalità espressiva e per lo stile tutto proprio, e per l'intensità delle emozioni che riesce a suscitare con le sue autentiche "parole dette".
Abbiamo selezionato dal suo libro alcuni brani, con una certa difficoltà perché sono tutti veramente interessanti, ma per comprensibili motivi di spazio non è stato possibile aggiugerne altri, anche per non togliere al lettore affezionato il gusto di acquistare e leggere tutta la sua raccolta, cosa che consigliamo caldamente.
In tutti i modi, saremo grati agli amici che ci seguono se vorranno lasciare qualche ulteriore interessante commento.


[e s'apre una notte intera nello spazio della fronte]

Il poeta conserva in sé / un'antica tragedia / di cui
ancora non conosce i versi.

***

le distanze i perimetri / le angolazioni / il goniometro
giusto per la misurazione / e poi il metro lineare /
quadro o cubico / il rapporto in scala / (di Policleto la
proporzione) / la sezione aurea e non ultima / l'ispira-
zione. // La distanza utopica che avanza all'orizzonte /
con quel punto di fuga a latere o a fronte //

tutto mi disorienta / tutto è mancanza,

***

e noi / per quanto dicessimo / mai fummo ascoltati // e
allora / ci facemmo vento / grumo di sangue rappreso /
appena sotto il ginocchio / ci facemmo sasso forbice
cesoia / perché forse credemmo / in quella via al cielo
celata / tra anfratti di ramoscelli e foglie / una tana
un rifugio / un sentiero nascosto / calpestato / solo da
zampine veloci / ed erano musi pelosi / silenziosi / ad
indicarne la strada // e le foglie tremavano / e il lupo
taceva / e la luna muta si lasciava oscurare // sapevano
bene / gli occhi aperti / brillanti nella notte / sapevano
bene / di quel nero amico che tutto copriva,

***

viviamo noi / per asportazione / e transitori siamo /
persino nell'assenza / conducimi dunque nei luoghi /
dove la luna / non conti più i giorni / dove il cielo al
mattino si affacci / di promesse carico / alla finestra /

[poeti / voi che cantate / sappiate: / io amo la vostra voce /
io ascolto il vostro canto]

***

ho visto mia madre invecchiare / consumarsi / nel
sempre più ristretto ambito delle sue clavicole / e curve
le scapole ossute pesare / sulle vertrebe schiacciate //
la pancia pendula / certo per vecchiezza / ma anche per
via dei figli avuti / e di quelli strappati – non avuti /
– mia madre è stata una donna del Novecento – /
era ormai quasi vuota dentro / per asportazione / via
cistifellea / via utero e tube di Falloppio / le trombe
di Eustachio più non sentivano / via anche il lobo
del polmone sinistro / lei andava via a pezzi / semmai
un giorno fosse stata intera / presa come era da una
lacerazione profonda / da un inguaribile dolore / che
la rendeva distante / anche quando rideva / e sembrava
ci fosse / ma non c'era / e sembrava felice / sembrava //
ma non lo era / una volta mi disse: / <<Ti voglio bene,
non te l'ho mai detto / io ti voglio bene / ma eri così
diversa da me / e io non ce l'ho fatta / non te l'ho mai
detto.>> Mia madre ora è una donna cava / con le sue
ossa cave / su zampette di uccellino,

***

solo ieri parlavo col mare / e un segno dal cielo / un
gabbiano / interloquiva al passaggio / <<Cambierai>>
– diceva – <<Cambierai / e lo farai attraversando lo
specchio / spinta dal vento / e da una carezza di parole
buone>>,

(anche così la vita accade / tra il fiore svettante d'aloe /
e del nespolo il lento maturare / l'aprirsi notturno di un
fiore / e di un corvo l'improvviso volo / un gracchiare
amoroso),

il cielo viaggia /
spinto verso il mare /
alte nuvole 

***

l'esercizio transitorio di chi rimane / è parlare con i
morti / e allora escono dalle labbra appena mosse /
sillabe sfiorate / bisbigli fruscii / alfabeti contrari e
ritorti / e nidi d'api a ronzare nelle orecchie / quel
suono di continua allerta / e allora girano gli occhi
bianchi rivolti dentro / stridio acuto / stiramento /
è l'urlo abnorme di un legamento lento 7 che lascia
rotolare / in ordine di apparizione le ossa / e allora
chiami a raccolta / i nomi precedi / chiedi a voce alta
se c'è qualcuno,

***

di marcata solitudine / si nasce già tristi nel corpo // le
ferite passano / di madre in madre / passano / di figlia
in figlio / le ferite passano in ogni carezza / tra le dita,

ascolteremo la notte / che porta con sé rumori antichi /
sentirai! sarà fragore di corpi / schiocchi di baci
disperati / annodati forte con la lingua / sarà colla /
saliva adesiva / sarà tenersi stretti abbracciati / a non
perdere le ossa / saranno le parole strette a legare /
a raccontare la dolce materia / nell'ora primaria
scambiata,

***

ora si tratta / malgrado / di conservare il fervore sudato
del bambino che gioca / e lentamente da solo svela
il mistero / e in quel gioco crede / di quel bambino
conservarne l'entusiasmo / la fede,

Testi tratti da "La parola detta", di Stefania Di Lino, Edizioni La Vita Felice, Milano, 2017. Prefazione di Cinzia Marulli.

Stefania Di Lino, scultrice e poetessa, è nata e vive a Roma. Allieva dello scultore Pericle Fazzini e del poeta Cesare Vivaldi, presso l'Accademia di Belle Arti di Roma, si specializza in Educazione visiva e Discipline Plastiche per l'insegnamento nei licei. Autrice di racconti per bambini, da sempre si dedica alla poesia con particolare riguardo, negli ultimi anni, alla Visual poetry, con reading poetici pubblici e poetry slam. Aderisce al progetto "World Poetry Movement", la parola nel Mondo. Attualmente collabora con altri artisti per la realizzazione di progetti legati all'arte visuale e alla poesia.
Nel 2012 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie "Percorsi di vetro", per deComporre Edizioni.
È presente in numerose antologie e riviste letterarie, tra cui I fiori del male (2016).
Con un suo testo critico partecipa al X Festival Mondiale di Poesia, Caracas, in Venezuela. Nel 2014 alcuni suoi testi vengono selezionati dall'UNESCO di Torino, per la Giornata "Etica Globale e Pari Opportunità: il contributo delle donne allo sviluppo dell'Europa e del Mediterraneo", pubblicati e tradotti in diverse lingue.

Nel 2015, nell'ambito del programma dedicato alla rassegna Poetica, presso la Galleria Biffi di Piacenza, partecipa con una sua performance denominata Dialoghi poetici.


mercoledì 27 settembre 2017

Sabatina Napolitano e le sue composizioni "Essenziali"


Poesia o prosa? Poesia in forma di prosa, o prosa che contiene in sé l'afflato poetico?... Senza andare a scomodare il Manzoni, che nei "Promessi Sposi" sovente si accosta alla poesia, per immagini e musicalità e ritmo nella narrazione, possiamo ben dire che esempi di brani poetici strutturati in modo "prosastico" ma che mantengono il ritmo, la cadenza e le altre caratteristiche peculiari di una poesia, se ne possono trovare largamente nella produzione attuale, comprendendo anche strutture come il prosimetro, in cui c'è un alternarsi di prosa e versi.
Volentieri quindi presentiamo questi brani inediti della poetessa Sabatina Napolitano, qui proposti con il titolo "Essenziali". E si tratta proprio di un bell'esempio di poesia in forma di prosa, o se vogliamo di prosa poetica, tanto è osmoticamente intrecciata l'una nell'altra, quasi a formare l'ordito e la trama di un tessuto regolare e continuo, arricchito nella propria fondamentale struttura dell'una e dell'altra sostanza. "Essenziali" questi brani, perché essenziale è la parola su cui poggiano, su cui si fondano. Sabatina Napolitano, in questi testi, mira alla spontaneità dell'attimo rivelatore, attingendo con coraggio e perspicacia dalla profondità della sua persona. Utilizza salti di parole e di proposizioni, non tanto per spiazzare il lettore, ma quanto per un collegamento immediato tra una sensazione e l'altra, tra una riflessione/immagine e l'altra: "i poeti hanno sempre dubbi è un gioco continuo di pesci e inchiostri quando mi abbracci vinco il nulla i brividi riempiono la solitudine e diventi semplice come un uomo e abbandoni il poeta,  lasci il tempo, lo prendi, lo mastichi".
È questo raggiungere, qui e là, confini possibili per ritrovare l'"essenza" e la verità degli attimi, del tempo e della materia che nonostante tutto scivola sempre via, che connota la costruzione poetico/prosastica della Napolitano, almeno negli esempi proposti qui.
Una scrittura davvero interessante e sotto certi aspetti originale e innovativa, per l'immediatezza e per la genuinità del progetto, per la forma che abbandona la classica espressione in versi, proponendo una modilità più diretta e coinvolgente.

Ed ora, come sempre, lasciamo al lettore affezionato e interessato, eventuali altri commenti e/o riflessioni su questi scritti di Sabatina Napolitano, alla quale siamo grati per averci dato l'opportunità di conoscere e apprezzare ancora di più la sua attività poetica.


ESSENZIALI

QUANDO SCRIVIAMO POESIE

quando scriviamo poesie disegniamo linee su fogli e quando le leggiamo come in un laboratorio di parole e legni, le nostre sono tensioni di ossigeno, orgasmi, quelle di Kandinskij sembrano cellule: i poeti hanno sempre dubbi è un gioco continuo di pesci e inchiostri quando mi abbracci vinco il nulla i brividi riempiono la solitudine e diventi semplice come un uomo e abbandoni il poeta, lasci il tempo, lo prendi, lo mastichi. E io, analitica, voglio generare luoghi sulla carta, formarci insieme, scrivere le variabili, misurare le voci e qualsiasi caldo del mio più freddo, del mio necessario organismo, tu lo elimini: cancelli il vetro, e il tuo verso segue il mio. Esordiamo così teneramente tutti gli istanti, aspettiamo il penultimo rialzarsi stiamo in macchina a guardarci sollevare, e ti dico: la logica, i segni, le cifre, trascini il pollice dei giorni che vengono dopo, giochi col mio collo, non ci sono più visioni, tu le superi tutte nelle mie parole che si rotolano nell’acqua, le guardo cadere sotto la tua gola. Tutti cercano ancore, io la trovo per caso ogni volta che ci parliamo e mastichiamo non è prendere ma accomodarsi e sono gli occhiali, sono i libri, è quando mi dici sei bella, attraversi gli anni.


NON SEI PIU' NEI FOGLI

negli anni le lettere si appellano al tempo le tue si rivelano come un vocabolario, annoto i vari effetti di luce davanti a me come specchi, superate le visioni che ci fondarono aperti nel fango, e la mia voce come un tonfo continua a incontrarti. L’amore è questo viaggio che ci dà del tu e che chiamiamo per nome. Non sei più nei fogli. Non sei più nelle lettere o vicino alle lettere. Metto le parole più vicine al tuo corpo. Questa sera le geometrie del tuo viso a metà tra l'incarnato e la luce capitano in me senza filtri a dirti mio un moto da consumare sulle tue spalle.


IL DIALOGO SOSPESO

non siamo più eroi a parlare del tempo ritornare all’occasione della genesi, posiamo gli occhi su una idea che sorge da un tronco. Scrivono i nostri nomi in cifre millesimali, avremo tempo per far chiare le immagini a guardare la lancetta porsi domande. E sollevata la fronte parleremo al dialogo sospeso come se la nostra fosse una apertura più in là da ogni dubbio quando nel silenzio t’addormenti e ora ti svegli non per gelosia, non perché è scritto in una poesia in un dopo che ti guarda senza il tempo di capire quando sprofonda il sonno immediato respirando forte ancora nel silenzio, il corpo fuori dal tempo ci dice equidistanti e la sera ci interroghiamo seguendo i movimenti del mistero e ci auguriamo nel giorno nei suoi teoremi che non avesse condiviso con noi la vita e guardiamo le scene come se si muovessero definite mettendo tempo dentro il tempo senza avere fretta senza motivo.


SINCERO

non mi copro più al tuo essere sincero da terra sollevo una giacca respiro fino a guardarla lasciata in macchina dimenticata in locali e la vita scorre, guardiamo la nascita da un balcone, era ora di mutare le cose dette e quelle non dette era ora che un’impronta sprofondasse come pioggia fitta. Al confine delle cose riempiamo una risposta chi siamo io e te una domanda ci stringe non ti somiglierò mai alle ombre mai più i miei seni saranno porti di freddo dentro dove puoi scordare te stesso questa mattina provare ad aprire una strada al vuoto scovarla prima di salpare e prima di saltare in respiri sradicati. Questa mattina mi dimentichi poi poco dopo il caffè mi ricordi e fingi di dimenticarmi per prendere i tuoi discorsi mentre preparo da mangiare. E girare per il corridoio, giocare a nascondino giocare a guardarci allo specchio. Ti imparo ogni mattina così come corpo mentre mi tieni per le caviglie. Siamo anche oggi il rifugio, la calce, ad infilare crune raccogliendo la luce, cucendo la luce.


AL MUSEO


nelle lenzuola c’è un biglietto per il museo. Il caos prende le forme delle tue promesse le inanella mi dici di fermare una poesia la felicità è nostra, è mia in prima persona, scrivono poesie di eventi, non essere la libellula ma il cumulo dei sensi è la strada delle attese. Le scene galoppano, le chiese hanno silenzi, le macchine, la gente corre. Motorini. L’abisso è il meraviglioso fiume degli anni danzano cigni nel disimpegno, dire che siamo ispirati quando l’ispirazione è la vita. Le grandi illusioni ti chiudono alla fede, come sa amare Montale ripristinare una sottile stagione.


UNA SERA AL PORTO

andiamo a una mostra: ci sono orme leggere qualcuno legge una poesia che non è letta. I fenicotteri dicono che la storia rientra. La prima tenerezza suona gli elementi fa venire il mal di fava. Pioppi alle finestre si incastrano agli alberi delle barche come aghi cuciono le cime degli alberi incastrati alle cime delle barche risuonano di archi gialli. Alcune luci sono grappoli d'uova le tue dita digitano orme a riempire finestre quando gli alberi delle barche come punte di piramidi si intersecano a cazzare andature prima di controllare lo spartito come lo spartiacque delle tue mani a rollare controvento con te che cammini avanti a me dopo una caduta e la natura è il molo verde da una finestra come un oblo la luna ci accompagna a casa, tu guidi le tue onde sono in ascissa zero. Eccola la luna, era dietro al monte che ora è dietro la luna ci accompagna così come una virgola. Coito interrotto a vita. Non conosco il morire, le indicazioni sono pelle. Che il respirare è la nostra casa, le carte al monte indicavano l'infinito, le promesse indicavano specchi concentrici di onde di circuiti. Sei bello quando sei lento. Mi baci la schiena. Le barche respirano in un ventre sono tutte vive.


Sabatina Napolitano, nata nel 1989, è vincitrice di numerosi concorsi nazionali per la poesia singola e per la poesia edita. Ha pubblicato: "Metastasi di autonomia" (La Scuola di Pitagora editrice, 2011); "Tango per cigni neri" (Il saggio editore, Eboli, 2013); "A briglie sporche" (con Paolo Bigotto) (Menna editore, Avellino 2013); "Poesie d'amore" (La Scuola di Pitagora editrice, 2015). La raccolta "Negli incastri degli orologi" è stata premiata da Fara Editore; alcuni testi sono on line sul sito della stessa casa editrice.

lunedì 25 settembre 2017

Lina Sanniti: madre di parole

"Madre di parole" è il riuscitissimo frutto di un lavoro poetico considerevole e impegnativo di Lina Sanniti, di Frattamaggiore, un grosso centro nelle vicinanze di Napoli. Docente di lingua inglese nelle scuole medie, esperta traduttrice (troviamo il suo Nome, ultimamente, in un ottimo lavoro di traduzione in lingua inglese, insieme con Michael Palma, del poemetto "Enchanted Anguish" di Salvatore Violante, pubblicato per i tipi di Gradiva Publications di New York, Direttore Luigi Fontanella), Lina Sannita si avvicina alla poesia da poco, ma già raggiunge livelli importanti in campo nazionale, ottenendo numerosi consensi e affermazioni in concorsi letterari di rilievo. Del resto, non essendo la scrittura poetica un mero e superficiale passatempo, Lina Sanniti affronta questa ardua, ma nello stesso tempo entusiasmante, avventura letteraria con consapevole impegno e studio pertinace, che in breve tempo la conduce ad uno stile poetico originale e interessante.
"Madre di parole" è dunque il risultato ben riuscito di questo suo lavoro sulla parola poetica, di questo suo interrogarsi intimamente sulle condizioni del mondo circostante, ma anche, forse soprattutto, sulla propria interiorità, fonte principale di ogni afflato artistico, scaturigine ed estrinsecazione di fatto delle proprie visioni, del proprio cuore, del proprio tormento (o anche gioia) interiore. "Non sono madre di niente se non di parole", ella afferma in una sua poesia centrale (Madre di parole), per ribadire in effetti una difficoltà sostanziale a spiegare se stessi e il mondo, nella confusione globalizzata e nel degrado sostanziale della quotidianità: solo con le parole, e nella fattispecie con le parole poetiche, si può dare un senso alla vita, un senso all'esistenza.
Lina Sanniti ha dunque lavorato molto su questa sua prima raccolta di versi, realizzando così un'opera completa, che tocca problemi sociali (nella prima sezione, intitolata "Gli spazi vuoti"), argomenti più specificamente esistenziali e intimi (seconda sezione: "Parentesi affettive"), e temi marcatamente riflessivi / filosofici (terza sezione: "Madre di parole").

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalle tre sezioni del libro, con l'invito ai lettori di esprimere, se lo desiderano, ulteriori graditi commenti su questo bel testo, opera prima, della poetessa Lina Sanniti.

(Da: Gli spazi vuoti)

Passi di donne

Il mondo è avido di luce
ogni notte una stella muore
un fiore reciso si abbandona
cede la sua linfa allo sterco.
Il respiro del creato si fa dolente
l'aria s'impregna di spasmi
che il tempo non dissolve, non risolve.

Le strade hanno passi di sangue
impronte cieche, pesanti, silenziose.
Corpi di donne che grondano colpe
ignare di un destino che cuce le bocche,
spezza le reni, sconquassa i cuori.
S'insinua sotto pelle una scheggia di dolore
che il tempo non dissolve, non risolve.

In cerca di un dio a cui dare amore
s'affacciano alla vita figure ridenti
degne madonne dal grembo materno
spose regine di un focolare spento.
Le forti braccia non sono più amiche
e il grido prende il posto delle parole
ma il tempo non dissolve, non risolve.


Case impopolari

Perché a noi faiglie numerose
spettava il premio della casa,
a noi numerose famiglie pietose.

Le palazzine ci accolsero trine
con le loro ringhiose teste di Cerbero
che mangiavano quel ritaglio di cielo
protese le braccia a ferro di cavallo.

Rosse come il succo vivo di melograno
orientavano il vento della nuova solitudine
sulle scale lucide di marmo spettrale
nuovo fresco riparo per l'uomo primitivo.

Dai balconi l'immensa campagna smembrata
non entrava nei nostri occhi di bimbi spauriti
svettavano a sinistra croci di cimitero
a destra piccanti fumarole di fabbrica.

Al centro di tutto i nostri giochi inventati
nel cortile che diventava prateria
a sfidare la noia con corse a perdifiato
e a farci del male con trappole mortali.

Di giorno il vociare delle madri abbatteva le pareti
sepolte vive a contare mollichine per i figli
i padri silenziosi apparivano solo a sera tardi
giusto in tempo per chiudere la porta a chiave.

Nell'alveare delle nostre nuove case
mi mancava più di tutto lo sgabello della nonna
sul quale sapevo saltare e cantare felice.

***

(Da: Parentesi affettive)

La tua assenza

La tua assenza
mi ha lasciato senza fiato
senza un alito di vita
eppure… io respiro!

I nostri ingorghi di parole
hanno trovato un senso
approdando ad un muto deserto
eppure… io mi esprimo!

La mia presenza
ciondola tra spazi e figure vuote
ignara della vita che scorre
eppure… io vivo!

***

(Da: Madre di parole)

Madre di parole

Affido la lingua al filo del fuoco
spengo parole povere di senso
soppeso il vuoto di un vivere scritto
scompongo gli argini carichi di segno.

Bianco il foglio del mio corpo aureo
il guizzo attende d'inchiostro etereo
nell'aria svolazza la rima impertinente
riprendo a memoria il racconto silente.

Non sono madre di niente se non di parole
e anch'esse a volte ramingano sole.


Orizzonti

Sbaglio sempre orizzonti, vista, latitudine,
confondo i volti e le intenzioni
vedo il bene che non c'è o forse c'era.
Seguo la mia ombra smarrita
l'abbraccio e la trattengo
erriamo insieme, siamo 'noi',
per questo le parole mi servono,
danno corpo a quel vuoto.
Anche le parole potrei sbagliare
ma mi assolvo da sola.
Il mondo non si accorge di noi.


I segni del Tempo

L'ho capito fin da piccola che dovevo farmi amico il Tempo.
Ora non temo i suoi segni né la sua ossessiva presenza.
Che importa se la mia pelle è più rugosa
e lo sguardo passa tra il miope e il sognante!
Ci vuole tempo per capire tante cose.
Se il Tempo è mio, il mondo è mio.

Lina Sanniti, "Madre di parole", deComporre Edizioni, Gaeta, 2017. Prefazione di Floriana Coppola.

Lina Sanniti, di Frattamaggiore (Napoli), è docente di Lingua Inglese nella Scuola Media. Ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il primo premio al Concorso Internazionale di Poesia "Avellino in versi" nel 2015. Con Michael Palma ha curato la traduzione in inglese della silloge "Enchanted Anguish" di Salvatore Violante, Edizioni Gradiva, New York, 2017. "Madre di parole" è la sua prima pubblicazione poetica.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà