domenica 10 aprile 2022

"L'oltranza" di Francesco Elios Coviello

È molto chiaro l’incipit poetico di Francesco Elios Coviello in questa sua opera prima: risulta evidente proprio nella prima parola del primo verso della raccolta, “Travidi”. E da qui penso di partire anch’io per un breve, ma spero esplicativo, excursus nel mondo poetico dell’autore, prospettato nel libro e molto accuratamente introdotto da Antonio Bux, competente e abile critico, nonché poeta, scopritore di nuovi talenti letterari, che poi convoglia nella RPlibri di Rita Pacilio, editrice che ha molto a cuore la qualità delle scritture poetiche contemporanee, e in particolare quelle di giovani autori che si trovano ad affrontare la prima opera da pubblicare, come appunto il nostro Coviello. “L’oltranza” è il titolo laconico e dunque molto esplicativo di questa originale raccolta del giovane autore barese, e “travidi” vuole già essere un termine per far intendere che gli orizzonti della realtà in cui è immerso l’autore, non sono affatto ben delineati e univoci, ma offrono lo spunto, o forse meglio le basi, il fondamento, per poter cercare e seguire altre tracce di esistenza, altre possibilità a partire dal punto di osservazione. “Travidi un giorno bianco, lo cambiai / lo resi spada e amazzone…” dice l’autore, rendendosi conto che il bianco, l’insignificanza, la superficialità, la monotonia e quant’altro di ripetitivo e usualmente banale, può essere rimpiazzato, ipotizzando e magari anche costruendo alternative ad "oltranza", per rendere la vita un po’ più sapida, consistente, interessante. L’oltranza è dunque progetto di ricostruzione di sé e del mondo circostante, della realtà inglobante e a volte insapore che ci costringe alla ripetitività e alla stereotipia di gesti, comportamenti, emozioni e visioni. 
Del resto già la poesia è scuotimento dal torpore, se vogliamo. È già cambiamento o tendenza a qualcosa d’altro, a quell’oltranza che tutti sogniamo, forse anche utopicamente, ma necessaria al rinnovo delle nostre cellule neuronali sempre alla ricerca del nuovo stato, della novità, del rinnovamento, della rinascenza.
Si tratta dunque di una protesta, scaturita da una presa di coscienza che le cose si possono anche cambiare, se vogliamo, trasformando il giorno in spada e amazzone, per affrontare una realtà che incombe e a volte soffoca, con regole e puntualità cadenzate: cercare e afferrare l’oltranza, intesa anche come tenacia, determinazione, estrema resistenza, imperterrito andare oltre il limite d’ora.
È una poesia corposa, quella del giovane Coviello, apparentemente dodecafonica ma in realtà ricca di sbalzi umorali schietti, tenuti a bada da un lessico che guizza tra le parole e i significati. Una poesia rilevante, certamente da apprezzare.
Proponiamo ora ai nostri lettori alcuni brani tratti da libro, affinché possano aggiungere, se lo vorranno, ulteriori interessanti commenti in proposito.

Travidi un giorno bianco, lo cambiai

lo resi spada e amazzone, ne affondai

le dita nella fiamma setosa e carni

di stanza lì, non ebbi paura, la ferii.

Poi mi ritrassi, guardai l’ora, aprii le scatole

attesi ancora un po’, che fosse pronto, fosse caldo

il caffè al civico nero alluminio vetro infrangibile

tracciai due linee granulari, compatte

svogliate doglie di una carta. Limite

d’ora, martedì d’incenso dove mi chiami

dove mi porti che hai da solo un sacco

di vernice, la vita stretta al muro

dei rancori e delle piogge, inverti

le linee, muovi il coraggio affollato, scrivi

le tue iniziali sul foglio di plastica.

Solo il cosmo ha speso abbastanza.

 

 ***

 

Se nel palmo ho tutto il piano

dipinto sul capo sono sereno. Mi tocco

piano la testa, raccolgo tutti gli steli

prendo misure ideali, raduno, cambio

accentro, meglio così. È come un porto

pontile nel biado postaccio del tre

volte tremore albatro perso e stanco e

incanutito, la cenere tegola, seme

cemento e frolla fanno a pezzi

il mio foglio. Ecco, sì, è tutto in ordine

prendo le assi per non fare a meno di

versare caffè negli specchi

fi umi di nevischio tigli astratte

suppellettili. E la porta è vuota.

 

***

 

A meno di versare corto frammento e imbracciare

le tempere tumide dei consoni pugili

farei e sono onesto perché non mi va, non è

il mio sarto utile e chiamale, rincorrile a prezzo.

Le strenne a quadretti sono il mio corollario. Ho

freddo e piango di tumide zanne. La smetti

di sorridere ai limiti fonici ludici, umani

che vende regala appalta la rete ora che il tubo

catodico è un fango di ruggine. Imberbi paesaggi.

Schiodami da stati di neroveggenza, supplicami

umano come raschi in sordina. Voltaggi infiniti

installati ora ho nel cervello, chianche fiorite

zotici e vestaglie di lana. Ancora è utile prendere

buste per pacchi anni per giorni e scoprirsi

nudi sotto la stella marziale del tuo solo padrone.

 

*** 

 

Ho pure il mio intrattieni. Più giù

sotterraneo balcone fai clangori

di cotone. Anziano signore vecchia

ferraglia fai a pezzi qualcosa

che soffia fischiando ciniglia

e vapore, mi cola un’occhiata

a stormire la nebbiolina fine

del bucato.

Privilegio intatto

ti stendo un formato che abbevera

tutti, uno stelo stracciato di soglie

ai meriggi inutili forbiti e

sbiancati. Basterebbe intonaco

no schegge no stridi solo

blu dissapore e quindici

giorni di pioggia dentro ai cortili.

 

*** 

 

Le parole fatte a trucioli, gli apostrofi

le notti disegnate e i colori spiegati

sparsi come calici di tulipani.

Prendere parola per poi tacere.

Attorno alla dura piazzola di sosta

c’è il velo, c’è la statua di schiena

e portare rose è un lucido affronto

all’eremo sciolto nel fondo chiarore.

Senti le vecchie lagne e le tele

dei sarti, sentimi coi digiuni stanchi

non divaricare sonni, non inciampare

nel bozzolo primo, nel sordina munito

tostapane, parla ad libitum sui

nidi del casale scolastico. Dubita

sola partenogenesi è arresa

al dubbio, desiderio dei miti.

 

 ***

 

In alto fluorescente fuoco, mobile

cencio sbranato dai cieli vivibili

già passi e vieni fuori del quadro

acciaio laccato, bianche pretese

di umanità, distese vitree di ore

deposte nel fresco dei nidi dei deboli

assurgi a stemma di barattoli

cercami a fondo di venti insensate

questioni e rinserra le dosi, chiama

i caroprezzi, rincara i dolori

suggella i piani misteri dell’Icaro

a pezzi che forse abitai nel solo

soggiorno che diedi alle quattro mie dita.


(Brani tratti da: Francesco Elios Coviello, L’oltranza, RPlibri, 2022, introduzione di Antonio Bux)

Francesco Elios Coviello è nato a Bari nel 1994. Suoi scritti, di argomento letterario e musicale, sono apparsi su alcune riviste di settore. L’oltranza è il suo libro d’esordio.

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