La viola, o la classica violetta, è (o almeno lo fu!) il fiore simbolo del ricordo, del pensiero nostalgico di un amore vissuto intensamente e a volte platonicamente nei tempi andati della gioventù: veniva messo tra le pagine di un diario o di un libro, e lasciato lì ad appassire a testimonianza di quel sentimento forte e palpitante che aveva illuminato quei giorni lontani e ora sciupato dal fluire inesorabile del tempo!
E dunque, cosa spinge la nostra brava autrice de La venatura della viola a riferirsi, in questa sua recente e pregevole raccolta poetica, al tradizionale fiore che ha emozionato tanti giovani, e non solo, nel ripercorrere le loro storie sentimentali? Senza dubbio la delicatezza, a mio parere, e poi la genuinità, l'autenticità e aggiungerei la purezza e l'innocenza che caratterizzano l'essenza della natura, dei fiori e in particolare della viola.
Un progetto poetico che voglia essere originale, che abbia delle buone, anzi ottime basi filosofiche per offrire una chiave di lettura importante e preziosa sui perché della società, della storia, dell'umanità, della propria esistenza, non può prescindere da un'attenta osservazione dell'interno di sé e di ciò che è all'esterno tutt'intorno; ma un'osservazione che deve essere supportata non solo dalla propria sensibilità e dalla propria inclinazione artistica e creativa, bensì anche dalla lunga formazione, studio pertinace, ricerca, confronto, approfondimento ed esperienza che donano alla creazione artistica, e nella fattispecie alla produzione poetica, quel valore e quella valenza, quello spessore qualitativo che sempre devono connotare l'opera, altrimenti da relegare nel vasto mare delle cose meramente graziose, ma piatte, retoriche, ovvie e senza alcuna illuminata novità!
Tutta questa lunga parentesi, per confermare, in questa recente pubblicazione di Rita Pacilio, come del resto anche nelle sue precedenti, quell'impronta di grande valore letterario e poetico che permea tutta la sua raccolta. Perché è importante il dire, in poesia, ma è ancora più importante come lo si dice, la forma espressiva che sia propria, unica, originale, e che solleciti e coinvolga il lettore. Come deve esserlo una vera e propria opera d'arte. E c'è tutto questo nelle opere d'arte letterarie di Rita Pacilio, la quale senza dubbio si discosta e si innalza rispetto ad un mondo ormai vasto di scritture poetiche certamente encomiabili per l'intenzione e lo sforzo creativo, ma sovente scarsamente valide per il messaggio innovativo, per la capacità di interessare il lettore e per la appena sufficiente qualità letteraria dell'intera raccolta.
Orbene, l'intuizione poetica di Rita Pacilio, specie in questa sua opera, è illuminata e supportata da un dire immediato, schietto, da un riferirsi costante alle cose di tutti i giorni, ai sentimenti e alle relazioni nella famiglia e nella società. Da attenta osservatrice, anche delle minime cose, come dicevamo prima, Rita Pacilio affronta la denuncia delle malvagità e delle ingiustizie in tutti gli ambiti, dal sociale al familiare e poi anche nella storia del mondo, in una natura graffiata e offesa dall'operato di un uomo indifferente ed egoista. Ma è importante il dirlo con efficacia e con stile, specie in poesia, e quindi con un lessico potente nella sua chiarezza, coinvolgente nella sua capacità di giungere e di "suonare" direttamente nell'animo del lettore. Del resto la stessa autrice, nella sua Lettera al lettore, con la quale introduce la raccolta, afferma di maneggiare la parola poetica adatta a trovare la strada possibile da percorrere quando non ci si arrende all'incuria, all'abbandono, all'assenza, alla miseria umana.
La delicatezza, la chiarezza e l'innocenza della viola, della sua venatura, sono in fondo il simbolo dell'altra realtà, quella sognata e desiderata, quella che ci si illude che esista, oltre l'oscurità di questo mondo, provocata sovente da un uomo e da una società infingarda e bugiarda. Che la Poesia, e in particolare quella di Rita Pacilio, svolga il compito (come del resto la Cultura in genere) di mostrare il vero volto, la vera anima della natura e dell'uomo, è una delle poche cose sacre che ci redime e ci innalza. Così la poesia di Rita Pacilio, nella venatura della viola, trova la strada giusta ed efficace nel mostrare che esiste una possibilità di elevazione dalla confusione e dall'anarchia sentimentale dell'uomo, traendo spunto proprio dalla genuinità della natura, della quale la viola ne è forte e indovinato simbolo. Tutti i suoi testi poetici, nella raccolta, individuano, in modo continuo ma anche singolarmente, questo percorso-denuncia inteso ad infondere maggior consapevolezza nel cuore e nell'anima dell'uomo-lettore. All'incipit, costituito dal primo verso in corsivo, a mo' di titolo, non sussegue il consueto intervallo di righi bianchi ma direttamente il corpo della poesia: Rita Pacilio non vuole disperdersi e non vuole disperdere, ha urgenza di dire, delicatamente ma con fermezza, e con un dettato poetico elevatissimo, la sua visione complessiva delle cose e dell'uomo; ed è questa un'intuizione magnifica che ancora una volta denota la grande esperienza e la profonda conoscenza delle varie forme e stili poetici da parte della nostra Autrice.
Avranno modo di confermare quanto detto, i nostri amici lettori, e di aggiungere altre gradite riflessioni e commenti, leggendo i brani proposti qui di seguito, tratti da "La venatura della viola", di Rita Pacilio, Giuliano Ladolfi Editore.
A un tiro di fune…
Questo istante indimostrato è un punto
smosso dai nostri piedi soldati
ordinati come soprammobili bianco grigio
e tempesta.
Non giubila il frullatore
né il timbro compiuto dell'acqua nel bicchiere.
Al valzer di guerra sulle statuine
fa da sottofondo la polvere.
Lingue rinserrate tra i quadretti del foglio
obbediscono ai ghirigori
per questo motivo giuriamo di traboccare
nello sforzo mantenendo la solita postura
il collo inclinato
i sospiri dietro il naso che tira su
gli occhi voltati.
Il mondo è un corpo devastato
ha l'erba secca per il troppo pianto
è steso di fianco senza parole in bocca
alle dita manca il segno della pace,
si avverte il lamento del lupo in agonia
la neve permanente morire piano, piano.
Qualcuno dice non puoi farci niente
rassegnati al timbro del frastuono,
allora coglierò tutte le viole
le terrò insieme come faceva nonna
adornerò capelli scombinati
e
abbandonata alla saggezza del necessario
sarò povera delle solite cose.
Quando mi avrai perdonata
tornerà il pensiero alle violette
tutte insieme pronunceranno
il mio nome perfetto ad alta voce.
Ci apparirà intatto il muschio sulla porta,
il voto fatto a vent'anni,
i figli neonati nella culla.
Impareremo a parlarci di più
a dire sognami ancora.
Ci toglieremo le scarpe e il disappunto.
La contentezza griderà:
dammi un pegno, dammi un pegno.
Devi farti sottile per rimanere
effettiva presenza, erba primaverile
in questa fitta foresta dell'autunno.
Cancellare la replica dei baci
ogni euforia e partire per altri
continenti. Così perdonerei la qualità
dell'ignoto, la reggenza traballante
rubata alla candela profumata
poggiata tra il mondo e i suoi significati
ringraziare le venature della viola
in attesa di sbrindellare l'amaro del viaggio.
Devi prendere in prestito la parola dell'addio
sottoscrivere la paura che il mare ha un altro cielo
e poi
rimanere l'alone dell'abito steso al sole
una vaga macchia e basta.
Quella venatura della viola
è già compiuta nella tonalità
il batticuore che guarda in alto
guizzo estremo e gentile
senza disperazione.
Sapevamo di essere sorretti
dal mutismo delle cose
per questo è possibile dilatare la retina
abbandonarci alle strisce della penombra
sperare di non cadere presto.
Una viola rafferma in forma spettrale
distante dalla terra fiorita
mi ha confessato il modo per resistere
il suo spirito ha una coscienza quieta
intenta a trasformarsi chissà come
per il piacere di essere stata vista
questo ringraziare perdura
e in attesa di parlare con te
la tengo in mano fino alla prossima neve.
Qualcosa di troppo accresce
l'orgoglio e la colpa di essere nati qui
in questo garbuglio di allarmi profondi
dove porti in rovina e chiusi come porte
rendono l'acqua inutile e il tramonto povero
se esistesse l'origine di una parola
dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie
farlo in segreto, silenziosamente
tracciare una virgola dopo l'apparenza
allargarci sul gambo come fa la viola.
Rita Pacilio, La venatura della viola, Giuliano Ladolfi Editore, 2019
Rita Pacilio è nata a Benevento, vive a San Giorgio del Sannio (Bn). Poetessa, scrittrice, collaboratrice editoriale, sociologa, mediatrice familiare, si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di letteratura per l'infanzia e di vocal jazz. Curatrice di lavori antologici, editing, lettura/valutazione di testi poetici e brevi saggi, dirige per La Vita Felice la selezione Opera prima. Direttrice del Marchio Editoriale RPlibri, è presidente dell'Associazione Arte e Saperi. Ha ideato e coordina il Festival della Poesia nella Cortesia di San Giorgio del Sannio.
Autrice di numerosissime pubblicazioni, tra le quali, recentemente, le raccolte poetiche Quel grido raggrumato (La Vita Felice, 2014), Il suono per obbedienza – poesie sul jazz (Marco Saya, 2015), e Prima di andare (La Vita Felice, 2016); e per la narrativa: Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria, 2011), mentre La principessa con i baffi (Scuderi Edizioni, 2015) è la sua fiaba per bambini.
È stata tradotta in greco, in romeno, in francese, in arabo, in inglese, in spagnolo, in catalano, in georgiano, in napoletano.
A marzo 2018 la pubblicazione dei racconti in prosa poetica: L'amore casomai (La Vita Felice).
Nessun commento:
Posta un commento