domenica 9 ottobre 2022

La Poesia di Carlo Procope tra "Radici e cirri"

La poesia molto spesso assume e assorbe materia e spirito dai luoghi in cui si attua, traducendone tutte le caratteristiche, tutte quelle peculiarità che ad una vista “normale”, distratta dalle solite vicende giornaliere, di solito sfuggono. Voglio dire, che poesia è figlia e madre, nello stesso tempo, dei siti e dei tempi in cui il suo fautore, nella fattispecie il poeta, vive ed opera.
È il caso di Carlo Procope, che io definirei addirittura un novello Plinio, dedito com’è all’osservazione dei fenomeni non solo naturali e geografici, ma anche e soprattutto sociali e familiari. E Carlo Procope parte proprio dalla sua terra, dalla mitica, vulcanica e lussureggiante terra flegrea (il vulcano coltivato, lasciatelo com’è da tempi remoti… declama in una sua poesia), per affacciarsi su Baia e Capo Miseno, raccontandoci i segreti anfratti, i dirupi colmi di spinai, e poi tuffarsi in quel mare così ricco di storia e che ancora, nelle sue profondità, cela capolavori e città sommerse, ferme nel loro antico splendore ma che ancora raccontano la vita e gli aneddoti di quei tempi.
Ecco, tutto questo rivive nelle poesie di questa raccolta di Carlo Procope, autore che sente, che avverte il senso profondo delle radici che lo legano a questi luoghi, e ne traduce in canto l’identità profonda, la storia, il mito.
Il titolo della raccolta, Radici e cirri, è infatti molto aderente a questa atmosfera personale pervasa anche da forti umori ed echi storici e mitici. L’autore è immerso in un mondo frizzante, genuino, schietto, tra radici e cirri, laddove le radici costituiscono un elemento indispensabile e inestirpabile, è il caso di dirlo, della sua storia terrena e del suo sentirsi parte integrante dei luoghi e dei fatti narrati, e del suo essere artefice di progetti artistici e letterari legati alla sua realtà territoriale. Non di meno, i cirri (Vanno, /come vele in un mare d'aria / come le nostre illusioni.) aprono prospettive verticali sui luoghi decantati, verso spazi di sogni, di speranze ma anche di illusioni.
La poesia di Carlo Procope, in ognuna delle sezioni in cui è suddivisa la raccolta, si mostra comunque fortemente caratterizzata da una forma piana e colloquiale, intrisa di velata affettuosa nostalgia, specie nei componimenti dedicati alla madre, la cui figura appare ancora attuale e operante, come se fosse ancora qui: Dormendo te ne sei andata / coi capelli appena tagliati / composta, pulita, / com'è stata la tua vita.
In altri testi, specie nella sezione intitolata La Voce del desiderio, Carlo Procope apre ad una scrittura sanguigna ed erotica, ma sempre elegante e misurata, e sempre legata, pure questa, alla tellurica bellezza dei luoghi che fanno da sfondo.
Le sezioni del libro sono dunque coerenti al progetto poetico complessivo dell’autore, che si muove appunto tra radici e cirri in una lunga e intelligente metafora del vivere e dell’amare, tra ricordi, sentimenti, passioni e prospettive future, quadri umani e sociali (come ad esempio nei testi L’Ambulante, l’Ortolano, a Pier Paolo Pasolini…), con un verso fermo e asciutto, ma denso di contenuti, anche quando si esprime in modo laconico, in flash illuminati di soltanto due o tre versi.
Una poesia, quella di Carlo Procope, che senz’altro a mio modesto parere si colloca tra le più intelligenti e propositive dell’attuale panorama poetico.

Il vulcano coltivato


Lasciatelo com’è

da tempi remoti.

Lasciate ai margini della sua ripida selva

il temibile solitario Lupone,

la casetta rossa irraggiungibile,

lasciate sulla vetta le chiuse vigne in vista del mare,

i dirupi colmi di spinai,

il sentiero ombroso

avvolto dall’erbe e dai rovi,

non disturbate i ragazzi nel fogliame,

lasciate la selva, dove torna

da lontani cieli la beccaccia,

lasciate nella valle l’immoto verde silenzio,

le speciali mele rosse,

il piccolo borgo

con animali e contadini medioevali,

lasciate all’alba la nuvola nel suo centro.

Lasciatelo com’è.

Non fatene una domestica consolazione.

 

***

 

Sono le sei d’un mattino di giugno.

Nuoto nel mare quieto di Baia, a largo.

Scendo sul fondo, in mezzo al corallo,

a pesci variopinti, su prati fluenti,

alghe che racchiudono strade, mosaici,

anfore e ondeggiando blandiscono

distese colonne di marmo; nuoto ancora

e sullo sfondo d’una grotta, nella limosa

acqua verdolina, intravedo corpi bianchi

e spettrali: Ulisse che porge la tazza fatale

a Polifemo e la mitica scena, sul fondo marino,

pare un fatto realmente avvenuto.

 

***


Nell' orto novello

c'era una piantina mai vista.

Di mano in mano è passata,

nessuno la conosceva.

L'hanno portata a mia madre.

Nemmeno lei l'aveva mai veduta

ma scostate le foglie

l'ha indagata dentro,

in fondo al cuore,

ed ha capito cos'era:

un cavolfiore.

 

Seduta al tavolo

mia madre guarda un quiz in televisione.

I suoi occhietti fissano i dettagli

misteriosi e mentre noi

davanti a quelli ci smarriamo

lei comincia: “ A me…me pare... ”

E indovina una borsa! un cappello! un attrezzo!

con un tono così appassionato

che sembra abbia riconosciuto

vecchi compaesani.

 

Mia madre non è una contadina

né ripara borse, cappelli o attrezzi

solo conosce bene

le cose che usa o che mangia.

 

 

***

 

Coppia

 

Era un pomeriggio d'estate.

Nella penombra riposavano sul letto

nudi e placati.

 

D'un tratto lui si sentì sfiorare il fondoschiena,

come da un’onda di seta.

Di scatto volse il capo, poi sorrise.

Era lei: con la sua erba lo aveva sfiorato.

Ora si muoveva lungo il suo corpo,

senza posarsi.

A occhi socchiusi lui ascoltava quel senso sospeso

e un'altra nudità cominciava ad abitarlo.

 

In quell'intima ombra

i nuovi corpi s'amarono in silenzio,

misurando i gesti

e più c'era misura

più c’era infinito.

I confini sparirono.

Respiri, desideri, ferite,

diventarono un'unica esistenza.

 

Quando si ritrovarono viso a viso

congiunsero le bocche con ardore,

e quel bacio fu come un sigillo

su quel sacro mistero.

 

 

***

 

 

Una sera in quell’albergo malandato

mentre stringevo la tua nuda bellezza

un moto profondo mi schiuse l’anima:

“ Ti amo!” dissi, ma con un tono grave

che mi lasciò sorpreso

e in quell’istante vidi lungo il fiato

un’eterea sostanza bianca fluttuare

e poi, fermandosi, aprirsi a corolla:

era il mio “ti amo”

galleggiava nell’aria

in forma di fiore;

lo guardavo con gli occhi allargati,

fermo dentro di te,

incapace di pensare;

lentamente ripresi ad amarti

continuando a fissare quell’entità

poi la tua bellezza m’avvinse

divenendo tutt’uno col mistero.

 


***

 

Cirri

 

 Appaiono

con bianca grazia

                  nei più alti azzurri

vagando dritti nella luce.

 

                           Stanno,

           fiocchi acquosi,

ai confini del cielo,

nelle vertigini rarefatte,

                 galleggiando

 senza ombre.

 

 Sono pochi

 d'improvviso molti.

                              Aneliti ignoti

                       giovani respiri

 

                                  velli dell'Olimpo.

                              

                                   Si muovono

 riprendono il loro lento viaggio aperto.

                                 

                                  Vanno,

    come vele in un mare d'aria

  come le nostre illusioni.

 


***


Quando un incontro

risuona dentro

le ali del tempo

girano in tondo

e in quel vortice

tornano i miti,

le forze che muovono

il nostro destino.

Torna l’uomo che vaga sul mare,

il poeta che scese nell’Ade,

il ragazzo che si mira alla fonte;

tornano i fauni spioni,

i tritoni giocondi,

i centauri irosi,

le amabili ninfe,

esseri che sono ancora fra noi;

li puoi udire nel richiamo delle onde

o quando la brezza muove la foresta;

li puoi vedere nelle ore che Amore

incendia i nostri volti.

Il resto non ci appartiene veramente.

 

E’ nei miti che abita la nostra anima.

 

Brani tratti da "Radici e cirri", di Carlo procope, Edizioni La Vita Felice, 2020; prefazione di Roberto Deidier.

Carlo Procope è nato nel 1962 a Bacoli dove attualmente vive. E' autore di poesie, racconti, testi per canzoni. I suoi libri sono: Le ali raccolte, poesie, ed.Del Giano '94, collana di Dario Bellezza, pref.di Elio Pecora. L'ultimo re, poesie e prose, ed.Cuen '97, pref. di Francesco Scarabicchi. Suoi versi e racconti sono presenti in varie riviste e antologie, tra cui Fiera, Origini, I Limoni, Frigidaire, Antologia poetica campana, Poeti e Poesia. Sue canzoni sono sui cd: Lottatore e Now di Marco Gesualdi; Opere Omus degli Amigdala. Oltre alla scrittura si occupa di arti figurative e di attività culturali.

Il libro è stato presentato nella Biblioteca di Bacoli il 7/10/2022, nell'ambito della Rassegna "La Musa Flegrea", rassegna curata e condotta da Annamaria Varriale e Giuseppe Vetromile.

Relatori: Giuseppe Vetromile e Nicola Magliulo.

Nessun commento:

Posta un commento

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà