In Lascia la rosa sul bordo del giardino (titolo veramente originale e propositivo), la nostra autrice si avvale di un bagaglio lessicale ampio e colto, adeguato a supportare le idee di base che costituiscono l’ossatura dell’intera raccolta poetica. Ossatura che si fonda essenzialmente su alcuni termini di primaria importanza, come “giardino”, “silenzio”, “itinerario” o “cammino”, più volte allusi anche se non espressi direttamente, e dai quali si diramano poi tutte le altre venature e sfumature del suo discorso poetico. C’è un centro da proteggere, una “stanza” da cui osservare la realtà esterna, da cui tentare il salto oltre il “bordo”, cercando di non sciupare la rosa dei ricordi, anzi aspettando con pazienza e determinazione il momento giusto, in un ipotetico mattino metafora di una qualche speranza di rinnovata visione del domani.
Le quattro “stanze” in cui la nostra poetessa suddivide la sua storia sensibile e squisitamente umana, sono la rappresentazione di altrettanti stati d’animo o modalità di osservazione della realtà esterna, attraverso il filtro della propria esperienza poetica.
In “Macramé” Emilia Santoro cerca di comporre, come in un prezioso merletto, il tessuto delle sue riflessioni sulla vita, incastonando il suo tempo con acqua, sangue e sudore, simboli di purezza, coraggio e tenacia. In “Duetto” c’è il dialogo persistente tra sé e l’altro, presumibilmente l’immagine speculare dell’autrice, il suo io segreto, in cui esorta a non oltrepassare il “giardino”, metafora della realtà quotidiana e dei valori conquistati, portando con sé false illusioni (le rose) e sogni forse irrealizzabili. Una pausa, un respiro, un ricordo: sono i brani che compongono ls terza stanza “Dedicate”, mentre con “Le meraviglie e l’orizzonte” la Santoro conclude la raccolta riepilogando il mistero del creato.
Un libro complesso, dunque, che con le sue “quattro stanze” assume una pienezza progettuale significativa, toccando gli aspetti essenziali della vita e delle sue attese. Con versi puliti, fluidi, in cui l’assenza della punteggiatura denota un certo concatenamento interno che può fare a meno delle pause.
Nuovo cammino
Ma il tremolio di un bastone di spago
Non può oscurare un nuovo cammino
Può solo legare la voce ad un albero di melo
E aspettare con ansia che faccia mattino
Donna di pietra
Come orafo lavoro tre stille
D’acqua di sangue di sudore
Senza sciupare particella
Di luce di amore di calore
Plasmo negli anni l’esistenza
Di una donna di pietra nera
Da un’ematite appena nata
Un’anima ingrosserà il suo ventre
Frantumando in polvere rosso sangue
Quel corpo di marmo eterno di tempo
Galleggiando s’aprirà il portone della vita
Avanzerà i primi passi sul tallo del dubbio
Con occhi che sanno d’infinito vuoto
(dalla “Prima Stanza, Macramè”)
Lascia la rosa sul bordo del giardino
Lascia la rosa sul bordo del giardino
O incastonata tra spine
Sanguigne e protettive
Non tagliarla
Perché perderebbe il profumo
Denso di freschi respiri
Puoi lasciarmi qui
Delle rose ho il segreto
Tu alza il muro del giardino
Io invece
Io invece
Ho il cuore silenzioso
Piuttosto una nota sola e tagliente
Lo infilo nella valigia
E sospendo il suo respiro
Tutt’uno col profumo
Di lavanda e ciclamino
E aspetto
Nella valigia ho chiuso il cuore
Umido di sangue e asciutto d’amore
Non voglio guardarlo
Nemmeno salutarlo
Aspetto che parta da solo
E che mi lasci libera e in volo
Non disturbare alcun dio
Non disturbare alcun dio
Sento solo mille voci
Cantano pensieri liberi
Poche braccia accolgono la libertà
Altre protendono verso le gabbie
Perché raccontano la morte lontana
E canto pensieri
Rime storte rami storti figli storti
- Non hanno ordine le cose!
Non hanno ordine i discorsi!
Il caso, dio, il destino, i miracoli…
Urli dal tuo giardino chiuso
Io cerco solo l’ordine delle cose
E sconfina di continuo la mia libertà
(Dalla “Seconda Stanza, Duetto”)
Alle barche senza mare
Attraversiamo nudi l’inverno
Eppure l’aria sembra più dolce
Appena appena meno pungente
Come a voler annunciare una primavera
Una delle tante con foglie verde alito
E papaveri come labbra rosso fuoco
Forse è perché scrutiamo lontano
A cercare altro prossimo tempo migliore
Teniamo la barca ferma sul piedistallo
Sotto un cielo di tepori e luci artificiali
Senza oceano e neppure mare
Ma stretti a un’illusione pura e trasognata
L’attesa senza tempo del viaggio immaginario
Mi sento così ferma nell’avvenire
La barca si rimpicciolisce sul basamento
E torna a essere nana l’anima mia
Come soffio di vento così affine alle idee
Anima di polistirolo sbriciolata di bianco
Paradiso di dolore transitorio
Dove non esiste il silenzio assoluto
(Dalla “Terza Stanza, Poesie dedicate”)
***
Una spirale di pallore lunare
Una spirale di pallore lunare
Avvolgeva la ghiaia del fiume
Fluiva di scaglie luminose
La luna sospesa in un sorriso
Distratto e melenso
Si dondolava in una danza carnale
Sul ponte ballavano i mendicanti ciechi
Ciechi e tra pazienti si cercavano le mani
E frusciavano le tuniche d’orbaccia
I cuori di giorno turati da bambagia
S’aprivano di notte all’infinito
All’oscurità protettiva e certa
I vapori dei cuori si mescolavano ai sensi
Roteavano come stelle tremolanti
Infuocate e vive
Volteggi fluidi al cielo i volti
Occhi enormi soffusi di pudore
Occhi sgranati sull’anima del creatore
(Dalla “Quarta Stanza, Le meraviglie e l’orizzonte”)
Brani tratti da:
Emilia Santoro, Lascia la rosa sul bordo del giardino, IOD
Edizioni, 2021; prefazione di Lucia Stefanelli Cervelli
Emilia Santoro è nata a Napoli. Dal 1983 insegna nella
scuola pubblica a Marano di Napoli e trascorre metà del suo tempo con i
bambini, apprendendo dai loro linguaggi.
Negli anni novanta sono stati pubblicati suoi racconti sulle
riviste letterarie “Linea d’Ombra” e “Dove sta Zazà”, entrambe dirette da
Goffredo Fofi. Sempre in quegli anni, la sua raccolta di poesie Macramè viene segnalata nella rivista di
ricerca letteraria “Anterem”.
Nel 2066 ha pubblicato La
sparizione (Manni Editore), romanzo che incarna il dramma della scomparsa
di un paese e cerca di salvarne le storie.
Nel 2013 vede la luce il suo secondo romanzo, Asino senza
lingua (Homoscrivens Editore), in cui si percepisce un’umanità ormai
trasformata dalle sorti incerte del nostro pianeta. Infatti, nel 2008, in piena
crisi dei rifiuti in Campania, scrive con Ettore Latteri il dossier “Chiaiano.
Emergenza ambientale e democratica” (reperibile in rete).
Dal 2019 collabora alla rivista letteraria “Achab” diretta
da Nando Vitali.
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