sabato 17 dicembre 2022

"Lascia la rosa nel giardino", di Emilia Santoro

Come nella maggior parte dei filoni poetici di grande interesse, anche in questa pregevole raccolta della napoletana Emilia Santoro, tra l’altro eccellente scrittrice e anima molto sensibile alle problematiche sociali e ambientali, emerge soprattutto una ricerca assidua dei fondamenti che potrebbero dare un senso all’esistenza, o perlomeno alla quotidianità, intesa come tempo da trascorrere giorno dopo giorno dedicandosi opportunamente ad un modo, una modalità creativa sostanziale e formale che possa condurre o almeno tendere in qualche modo alla piena realizzazione di sé. È lo spirito che muove ogni uomo e in particolare ogni artista. Ed è lecito supporre che anche Emilia Santoro non sia da meno rispetto a tanti altri buoni poeti nell’esprimere in versi significativi e propositivi questo impulso interiore, questa necessità di scoprire e di scoprirsi i segreti reconditi del cuore e della mente.
In Lascia la rosa sul bordo del giardino (titolo veramente originale e propositivo), la nostra autrice si avvale di un bagaglio lessicale ampio e colto, adeguato a supportare le idee di base che costituiscono l’ossatura dell’intera raccolta poetica. Ossatura che si fonda essenzialmente su alcuni termini di primaria importanza, come “giardino”, “silenzio”, “itinerario” o “cammino”, più volte allusi anche se non espressi direttamente, e dai quali si diramano poi tutte le altre venature e sfumature del suo discorso poetico. C’è un centro da proteggere, una “stanza” da cui osservare la realtà esterna, da cui tentare il salto oltre il “bordo”, cercando di non sciupare la rosa dei ricordi, anzi aspettando con pazienza e determinazione il momento giusto, in un ipotetico mattino metafora di una qualche speranza di rinnovata visione del domani.
Le quattro “stanze” in cui la nostra poetessa suddivide la sua storia sensibile e squisitamente umana, sono la rappresentazione di altrettanti stati d’animo o modalità di osservazione della realtà esterna, attraverso il filtro della propria esperienza poetica.
In “Macramé” Emilia Santoro cerca di comporre, come in un prezioso merletto, il tessuto delle sue riflessioni sulla vita, incastonando il suo tempo con acqua, sangue e sudore, simboli di purezza, coraggio e tenacia. In “Duetto” c’è il dialogo persistente tra sé e l’altro, presumibilmente l’immagine speculare dell’autrice, il suo io segreto, in cui esorta a non oltrepassare il “giardino”, metafora della realtà quotidiana e dei valori conquistati, portando con sé false illusioni (le rose) e sogni forse irrealizzabili. Una pausa, un respiro, un ricordo: sono i brani che compongono ls terza stanza “Dedicate”, mentre con “Le meraviglie e l’orizzonte” la Santoro conclude la raccolta riepilogando il mistero del creato.
Un libro complesso, dunque, che con le sue “quattro stanze” assume una pienezza progettuale significativa, toccando gli aspetti essenziali della vita e delle sue attese. Con versi puliti, fluidi, in cui l’assenza della punteggiatura denota un certo concatenamento interno che può fare a meno delle pause.



Nuovo cammino

 

Ma il tremolio di un bastone di spago

Non può oscurare un nuovo cammino

Può solo legare la voce ad un albero di melo

E aspettare con ansia che faccia mattino

 

 ***

 

Donna di pietra

 

Come orafo lavoro tre stille

 

D’acqua di sangue di sudore

Senza sciupare particella

Di luce di amore di calore

 

Plasmo negli anni l’esistenza

Di una donna di pietra nera

Da un’ematite appena nata

 

Un’anima ingrosserà il suo ventre

Frantumando in polvere rosso sangue

Quel corpo di marmo eterno di tempo

 

Galleggiando s’aprirà il portone della vita

Avanzerà i primi passi sul tallo del dubbio

Con occhi che sanno d’infinito vuoto

 

(dalla “Prima Stanza, Macramè”)

 

 ***

 

 

Lascia la rosa sul bordo del giardino

 

Lascia la rosa sul bordo del giardino

O incastonata tra spine

Sanguigne e protettive

Non tagliarla

Perché perderebbe il profumo

Denso di freschi respiri

Puoi lasciarmi qui

Delle rose ho il segreto

Tu alza il muro del giardino

 

 

 ***

 

Io invece

 

Io invece

Ho il cuore silenzioso

Piuttosto una nota sola e tagliente

Lo infilo nella valigia

E sospendo il suo respiro

Tutt’uno col profumo

Di lavanda e ciclamino

 

E aspetto

 

Nella valigia ho chiuso il cuore

Umido di sangue e asciutto d’amore

Non voglio guardarlo

Nemmeno salutarlo

Aspetto che parta da solo

E che mi lasci libera e in volo

 

 ***

 

Non disturbare alcun dio

 

Non disturbare alcun dio

Sento solo mille voci

Cantano pensieri liberi

 

Poche braccia accolgono la libertà

Altre protendono verso le gabbie

Perché raccontano la morte lontana

 

E canto pensieri

Rime storte rami storti figli storti

 

- Non hanno ordine le cose!

Non hanno ordine i discorsi!

Il caso, dio, il destino, i miracoli…

Urli dal tuo giardino chiuso

Io cerco solo l’ordine delle cose

E sconfina di continuo la mia libertà

 

(Dalla “Seconda Stanza, Duetto”)

 

 ***


Alle barche senza mare

 

Attraversiamo nudi l’inverno

Eppure l’aria sembra più dolce

Appena appena meno pungente

Come a voler annunciare una primavera

Una delle tante con foglie verde alito

E papaveri come labbra rosso fuoco

 

Forse è perché scrutiamo lontano

A cercare altro prossimo tempo migliore

Teniamo la barca ferma sul piedistallo

Sotto un cielo di tepori e luci artificiali

Senza oceano e neppure mare

Ma stretti a un’illusione pura e trasognata

L’attesa senza tempo del viaggio immaginario

 

Mi sento così ferma nell’avvenire

La barca si rimpicciolisce sul basamento

E torna a essere nana l’anima mia

Come soffio di vento così affine alle idee

Anima di polistirolo sbriciolata di bianco

Paradiso di dolore transitorio

Dove non esiste il silenzio assoluto

 


(Dalla “Terza Stanza, Poesie dedicate”)

 

 

***

 

Una spirale di pallore lunare

 

Una spirale di pallore lunare

Avvolgeva la ghiaia del fiume

Fluiva di scaglie luminose

 

La luna sospesa in un sorriso

Distratto e melenso

Si dondolava in una danza carnale

 

Sul ponte ballavano i mendicanti ciechi

Ciechi e tra pazienti si cercavano le mani

E frusciavano le tuniche d’orbaccia

 

I cuori di giorno turati da bambagia

S’aprivano di notte all’infinito

All’oscurità protettiva e certa

I vapori dei cuori si mescolavano ai sensi

Roteavano come stelle tremolanti

Infuocate e vive

 

Volteggi fluidi al cielo i volti

Occhi enormi soffusi di pudore

Occhi sgranati sull’anima del creatore

 

(Dalla “Quarta Stanza, Le meraviglie e l’orizzonte”)


Brani tratti da:

Emilia Santoro, Lascia la rosa sul bordo del giardino, IOD Edizioni, 2021; prefazione di Lucia Stefanelli Cervelli

Emilia Santoro è nata a Napoli. Dal 1983 insegna nella scuola pubblica a Marano di Napoli e trascorre metà del suo tempo con i bambini, apprendendo dai loro linguaggi.

Negli anni novanta sono stati pubblicati suoi racconti sulle riviste letterarie “Linea d’Ombra” e “Dove sta Zazà”, entrambe dirette da Goffredo Fofi. Sempre in quegli anni, la sua raccolta di poesie Macramè viene segnalata nella rivista di ricerca letteraria “Anterem”.

Nel 2066 ha pubblicato La sparizione (Manni Editore), romanzo che incarna il dramma della scomparsa di un paese e cerca di salvarne le storie.

Nel 2013 vede la luce il suo secondo romanzo, Asino senza lingua (Homoscrivens Editore), in cui si percepisce un’umanità ormai trasformata dalle sorti incerte del nostro pianeta. Infatti, nel 2008, in piena crisi dei rifiuti in Campania, scrive con Ettore Latteri il dossier “Chiaiano. Emergenza ambientale e democratica” (reperibile in rete).

Dal 2019 collabora alla rivista letteraria “Achab” diretta da Nando Vitali.




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