martedì 28 dicembre 2021

"Nocturnes" : la drammatica attualità nelle poesie di Giovanni Bracco


Dalle nostalgiche vedute del suo paese natìo, riflettendo sul rigoglio della natura fiorente sulle rive del Tanagro e meditando sulle incertezze di una cicogna nell’iniziare finalmente la sua migrazione, alle mestizie e alle ingiustizie di un altro mondo, quello più inumano e triste delle immigrazioni clandestine, Giovanni Bracco, attento giornalista di professione ma anche incisivo e colto poeta, narra in questo suo recente libro, Nocturnes, di sé e della realtà attuale con uno stile poetico intenso, appassionato e persino obiettivo, sempre mantenendosi sulle linee di un dettato misurato e propositivo, dove le immagini, le storie, i sentimenti, vengono imbrigliati sapientemente nei versi fortemente espressivi e diretti. La bontà della raccolta è ancor più confermata dall’universalità del dire, testimoniata dall’ottima traduzione in inglese delle varie liriche presenti: una traduzione che non inficia il significato intrinseco dei testi ma anzi ne rafforza l’efficacia e la fruizione da parte di lettori internazionali, vista anche la drammaticità dei contenuti, specie quelli riguardanti il fenomeno dell’immigrazione.
Ne riportiamo qui di seguito alcuni esempi, invitando i nostri lettori ad esprimere ulteriori graditi commenti in merito.



In cucina

a Graziano Conversano

Si confondono i giorni. L’eguaglianza
di questo terso avvio di gennaio
le percezioni assidera. In cucina
il pavimento prima del balcone
è un trapezio in massetto di cemento
con schegge di piastrelle colorate:
un invito alle stelle. Non previdi
l’assenza di una bussola, un sestante.

 

***


Lo specchio

Lo schermo specchio nero dell’ipad
riflette una mia immagine abbronzata,
pochi dettagli, solo gli occhi stanchi.
La piattaia, con le pentole sbreccate
rosse, celesti, gialle alla parete
di fronte mi descrive fedelmente.

 

***


Ritta sopra una lingua di fanghiglia
libera dalle tife e dalle canne
nelle acque impigrite del Tanàgro,
una cicogna tarda,
solitaria, a migrare. Ed io non so,
scrutandola dal ponte accarezzato
da un venticello fresco a fine ottobre,
se attenda uno stormo di passaggio
o guardi le colline
sulle quali è poggiato il mio paese
dai gradoni verdastri,
umido nonostante il sole pieno
del suo stendardo, delle lunghe estati,
come io le guardo prima di partire.
Mi cura ogni ritorno ed è un dolore.

(dalla sezione “Birds” – Uccelli)

  

***



Ora che si è calmato e il movimento
delle onde mi culla in superficie
devo ammettere che non ho lottato
nemmeno un poco, troppo divergenti
le forze in campo in mezzo alla tempesta.
Voi non saprete mai se è la pietà
del mare o la sua cieca indifferenza
ad avere risolto ogni mia pena
e qualche desiderio ormai sfibrato.
Interratemi coi vestiti miei.
Dalle tasche germoglieranno datteri
semi d’acacia, miglio e di basilico.


(dalla sezione "The dark night of the soul")

 

 ***



Ero pronto a sgobbare sui cantieri,
non a schivare il sibilo
delle cinghiate. Quando gli scafisti
hanno intuito la fine imminente,
ci hanno frustato per buttarci a mare.
Nel tumulto di lingue,
di urla, sangue e sale
non so se la manovra
di alleggerimento sia riuscita.
Ho soltanto provato
ad ingoiare l’ultima bestemmia,
anzi, ho sorriso a Dio. Ma non so
se questa immensa quiete
sia esattamente il premio promesso
senza il bacio sugli occhi di mia madre.

(dalla sezione "The dark night of the soul")

 

 ***


Compatta sulla strada polverosa,
qualcuno aveva un sacco o un tappeto,
muoveva l’adunata
mesta e disarmata.
Non ci guidava un patto
sulla terra futura.
Sull’autocarro in mezzo alla colonna
non c’era l’arca, non c’era alleanza.
Per noi rappresentava
solo un riferimento occasionale
all’esodo composto,
pagato al prezzo delle nostre case,
in Siria, bombardate,
senza acqua, nel nome
di un dio che non poteva
guardare, se ha un senso
l’alto comandamento:
non nominarlo invano.
Signore, però, vedi la mia mano
che si aggrappa al canotto.
Il sale mi corrode.
Forse abbiamo guardato troppo in alto
e il varco è là sotto.

(dalla sezione "The dark night of the soul")


 ***



Il serpente

Mi hanno visto strisciare, la baracca
di lamiera, in Libia, era aperta
ma non riuscivo a entrare per le botte.
Di là dal mare ho ritrovato il padre
e la violenza ormai è una spoglia secca.
Possiede anche il serpente un privilegio:
lascia la vecchia pelle e si rigenera.



Giovanni Bracco è nato a Polla (Sa) nel 1961. Poeta e giornalista, vive a Roma, dove è capo della redazione dell’agenzia Il Sole 24 Ore Radiocor. Sue poesie sono state pubblicate in quattro raccolte edite da La Vita Felice di Milano: Le grandi mani calme (2015); Il nostro tempo (2017); Il mare mi ha deposto dalla croce, Mediterraneo, poesie (2019); Sull’orizzonte dei binari in fuga, Carme famigliare (2020).
Sue poesie sono state tradotte in inglese e in spagnolo e sono state pubblicate su varie riviste letterarie internazionali.
Ha quattro figlie, coltiva le lettere e la musica su uno Steinway & Sons del 1938 e su un clavicembalo che ha costruito per lui Urbano Petroselli. A Polla abita nella casa di famiglia, possiede una vigna e un piccolo uliveto.



venerdì 3 dicembre 2021

"Sedimentare il tempo", di Emanuela Dalla Libera

Il nocciolo significativo da cui si sviluppa poi tutta l’architettura poetica di questa bellissima ed elegante raccolta di Emanuela Dalla Libera, penso si possa trovare in quella indovinatissima espressione in lingua greca, ἡσυχία, che costituisce il sottotitolo, ma che in effetti, diventa addirittura primario, fondamentale, rispetto all’indicazione vera e propria che l’Autrice ha voluto dare al libro: Sedimentare il tempo. È in effetti un termine importante, che vuole esprimere con tutta la liricità e la chiarezza classica di una lingua eternamente armoniosa e pura, l’assoluto distacco dai precipizi e dalle ansie della moderna società dedita quotidianamente ad una fuga precipitosa verso non si sa dove, per suggerire, quasi con un recupero di antiche filosofie orientali, una esistenza di meditazioni, di calma, di rilassamento intelligente e perspicace, al fine di poter meglio comprendere il mondo e la realtà circostante.
E così, prendendo a prestito un termine desunto dal linguaggio scientifico, “sedimentare”, ma anche sociale e psicologico, la nostra Autrice costruisce un intero progetto poetico fondato e caratterizzato dall’invito a lasciar cadere l’inarrestabile flusso del tempo in una sorta di recipiente immaginario, dove possa “sedimentare”: sedimentare non per estinguersi, per morire, per annullarsi, bensì per essere pronto, al momento opportuno, di essere “colto”, di essere riproposto alla mente e al cuore dell’autrice e di tutti. Si tratta dunque di prendere una pausa, di aprire una parentesi di pace nel trambusto della vita quotidiana, di respirare per un po’ un’aria più limpida, per tornare a qualche sogno, per considerare con nuovo sguardo la realtà che ci circonda: “Accompagnami ancora, bellezza della vita, / incalzami con le voci che infrangono l’oblio / deposto tra valve di memorie senza suono…”, canta Emanuela Dalla Libera in una sua lirica iniziale, che è quasi un proemio a tutta la sua opera.
La poesia è in fin dei conti anche stato di grazia durante il quale il poeta esprime finalmente le sue sensazioni, le sue motivazioni, le sue idee e la sua filosofia di vita dopo aver osservato attentamente in sé stesso e nella realtà circostante i “segnali” e i messaggi ricevuti: ciò non è possibile realizzare nel trambusto piuttosto continuo del giorno, ma è necessario fare “sedimentare” questi messaggi, questi impulsi, per poter poi meglio indagarli ed esplicitarli, artisticamente e, nel nostro caso, poeticamente.
Per giungere a tutto ciò, Emanuela Dalla Libera si svincola in qualche modo dal flusso tempestoso e irruento, spesso spigoloso, della quotidianità, e lascia “riposare”, decantare, il groviglio emotivo che energicamente alimenta il corso della nostra vita, fatto di attese, gioie, dolori, speranze, impulsi emotivi, dubbi, incertezze, progetti. Il risultato di questa intelligente e soave “sedimentazione” è una poesia altamente lirica, di tono elegiaco, che procede con una delicata e amorevole solennità: una leggerezza che non è affatto superficialità ma piuttosto il simbolo di un tentativo (riuscitissimo!) di innalzamento delle cose e dei cuori a livelli superiori se non proprio eterei e trascendentali.



Accompagnami ancora

Accompagnami ancora, bellezza della vita,
incalzami con le voci che infrangono l’oblio
deposto tra valve di memorie senza suono
e le nebulose dissolvimi gravide d’ombre
negli angoli insonni di giorni immeritati.
Paziente, attenderò alle sillabe pudiche
delle domande grevi in mezzo alle pietraie
aguzze, dove si accecano i passi della sorte,
e alle risposte mute dei sogni sulle soglie
aperte all’eterno ingannevole del tempo.
Altre storie ascolterò dalle tracce emerse
sul ruvido fondale del passato, tra le mani
terrò la loro bava di lumaca luccicante
sotto i palpiti silenziosi delle stelle,
mentre nel ventre trasognato dei tramonti
addormentati sopra il mare, un canto quieto
scivolerà sull’onde e tra rimpiante forme
ormai svanite un’eco amara sentirò di pianto.


***


C’è nei luoghi dell’anima

C’è, nei luoghi dell’anima, un posto
in ombra dove cantare gli assoli
della vita, e lasciar scorrere, tra le pieghe
della notte, parole rimaste a mantener
la luce su voragini scolpite nel silenzio.
C’è un posto dove le voci dei pensieri
fluttuano come chiglie sulle onde,
o al vento si annodano nei sentieri
solitari, quasi viandanti in cerca di riposo
dagli echi polverosi dei giorni dileguati,
ai bivi si arrestano della sera a contemplare
l’azzurro sazio dei cieli all’orizzonte
e negli occhi trattengono il respiro delle aurore.
Si allenta in essi il peso delle ore incatenate
all’incerto esistere nel mondo, e in volo,
come rondini di mare, se ne fugge
il tempo, lieve oscillando per gioco
tra le fronde, a cercare, tra le nubi, varchi
di innocenza nel procedere degli anni,
clemenza al suolo che altri passi attende.


***

È venuto il tempo

È venuto il tempo in cui il tempo
ci è scivolato dalle mani, come acqua
precipitata da una diga nel fondo
del destino, e noi con occhi increduli
lo inseguiamo, e al ramo che sporge
sulla cima vorremmo averlo quieto.
Ali gli diamo per tornare indietro
ma in frammenti esangui si perdono
le cose che abbiamo conosciuto,
parole senza accenti rimangono all’incanto
dietro sporgenze cariche d’ignoto.
Solo rimane nell’incavo dormiente
dei giorni germoglianti nel futuro
un sorriso grato di rimpianto, la spenta
voce di una felicità ignorata e poi perduta.


***

Madre

Ho le tue mani, adesso, sgualcite
come un’erba calpestata, i tuoi gesti
arresi alla voracità del tempo, nei miei passi
sono i tuoi quando salivi lenta le scale
sperando un domani ancora nei resti
dei tuoi anni, e mi prende il tuo silenzio
che un tempo non capivo. E pure, è vicino
il tuo parlare, risuona sulle foglie
secche che emendavi dai gerani, sui panni
stesi nell’aprile che garrula ti sapeva
quando non greve ancora ci circondava
il mondo e sapeva di terra e di stagioni
il tuo pensare, ed era di altri tempi
la tua pazienza accesa. Io so dov’è la casa
adesso, è dentro le stanze dove il tempo
mi è sfuggito e tu ancora vieni, l’alba
è il tuo apparire tra gli effluvi del risveglio,
la sera nelle ombre dolci a coprire la fatica,
e tu ancora vieni e riempi il mio destino.


***

Nostos
primavera 2020

Ci sarà ritorno da questa primavera
naufraga, e avrà un’altra luce il sole
poi che dalle ombre ci risveglieremo,
un altro canto il vento, voci inascoltate
emergeranno dai giacigli per riempire
le albe di calore, e torneranno
i nostri passi tra i silenzi della luna
a respirare il cicaleccio fitto delle stelle,
il riso della risacca in braccio al mare,
parole nuove sentiremo bisbigliare
agli angoli delle strade, la sera,
e in altri angoli nasconderemo la colpa
di non aver capito quanto può essere
grande il cielo dentro le nostre ore.


***

Silenzio

Se troppe parole mi opprimono di vuoto,
se tra le sillabe amari suoni sento stridere
di sera e di scontento, o l’inquieto vento
di un ricordo mi turbina alle spalle col rumore
di un rimpianto, salgo alla macchia mia
selvaggia dove gli ulivi cedono morbidi
il passo alla natura, e, in una solitudine
senza pianto, dei boschi miei sodali
con sguardo lento penetro l’anima silente.
Mi si spoglia il tempo dell’acredine
dolente che i solchi percorre dei passati mali
e nudo intreccio il mio respiro alle lustrali
ombre che riparo danno al mio patire,
nelle fronde ritrovo teneri gli abbracci
e i canti di una madre, e un regno
di silenzio riempie la cavità senza pareti
dei pensieri andati a fondo, tra i rovi
incaglio le note scordate dei miei anni
come effigi d’autunno cadute in abbandono.

Brani tratti da:
Emanuela Dalla Libera, Sedimentare il tempo, Gilgamesh Edizioni, 2020; prefazione di Stefano Iori.

Emanuela Dalla Libera è nata a Vicenza, dove ha condotto i suoi studi. Si è laureata a Padova in Lettere e Filosofia. È stata docente nelle Scuole Superiori. Per ragioni familiari ha vissuto per lunghi periodi all’estero, in India e negli Stati Uniti, esperienza che le ha lasciato tracce profonde e l’ha resa cittadina del mondo, aprendole gli occhi sulle multiformi realtà della vita e della storia. Da qualche tempo si è trasferita in Maremma Toscana, dove trascorre la maggior parte dell’anno e dove, spinta dalle suggestioni della natura e del silenzio, ha iniziato a dedicarsi alla scrittura poetica. Ha pubblicato due raccolte di poesie, entrambe edite da Gilgamesh: Lo sguardo altrove, ed ἡσυχία Sedimentare il tempo, opere che hanno ottenuto premi e riconoscimenti in concorsi nazionali ed internazionali.



lunedì 22 novembre 2021

Il "Corsivo" di Sabatina Napolitano

Un ritorno piacevole e interessante, quello di Sabatina Napolitano ( vedi Transiti Poetici, post del 27/9/2017), poetessa e scrittrice veramente originale, con un’impronta personale e unica, dal carattere scritturale apparentemente disteso ma che in realtà cela, in modo sapientemente controllato, un magma emotivo e passionale davvero considerevoli. La riproponiamo dunque qui, riportando alcuni brani tratti dal suo recente libro intitolato Corsivo, edito da Il Foglio, in cui è manifesta la sua ormai acclarata maturità e complessità poetica. Una poesia dall’aspetto narrativo che però riesce a legare insieme flash, immagini e sensazioni diverse l’una dalle altre anche se in qualche modo concatenate, collegate: a volte è come trovarsi in un “hic et nunc” che va serpeggiando tra i versi, spiazzando il lettore e offrendogli panorami a tutto campo. Dalle cose minime e apparentemente banali, dagli scatti anche i più brevi, dai gesti e dalle azioni anche le più usuali, come ad esempio il trafugamento di un paio d’occhiali, Sabatina Napolitano riesce a costruire una fisica e una metafora psicologica del convulso mondo odierno in cui è immersa, e dove il sentimento, l’amore principalmente, è sezionato e millimetrato attentamente, anche attraverso guizzi di ricordi e sovrapposizioni temporali. Vi è evidente anche la constatazione di una vita piuttosto formale e persino ipocrita nell’immagine dell’altro, compagno o amante che sia, e la descrizione quasi in sottofondo di una relazione difficile, impulsiva e temeraria, ma proprio per questo appassionata e travolgente. Il verso è piano, discorsivo, ma ricco di imprevisti e spiazzamenti, a costruire un edificio poetico solido, nel quale tutte le situazioni, o se vogliamo stanze, sono indagate con dolorosa presa di coscienza; una poesia che libera e scioglie segreti intimi, sfaccettature quotidiane della passione erotica e sentimentale, una vivisezione quasi del rapporto e una affermazione di dominio, o desiderio di dominio, su di esso, con decisa e consapevole femminilità.


Il racconto e la poesia

La poesia ha un andamento narrativo.
È come il piatto che ho davanti,
come l'acqua che scende dal lavandino,
ma anche come odiare un’altra poeta
o come portare il cane a spasso.
La poesia è un racconto.
Questi quattro alberi di limoni
sanno dell'odore delle sue camicie
stirate appena da ragazzo,
sono dentro i miei libri e i personaggi
sono come spiriti, un po' amici
un po' pubblico ma non è tutto nella mia mente
anzi purtroppo è tutto nella natura:
appena scrivo dei miei figli, un gatto
nero si mette sotto la finestra a miagolare
come un bambino strabico.
Per non parlare delle farfalle legate a Nabokov
la natura che parla
non sarebbe giusto farla zittire sempre.
L'uccello con le ali rosse, strano
sarebbe stato un soggetto per un libro di Murakami.
In ogni caso mi ricorda Gustavo ed Edoardo
mi ricorda le scene di quando parlano,
ma sono io che li faccio parlare
faccio zittire un po' la natura
prendo l'abbraccio di mio marito
mentre legge distratto.


***


Come un figlio

Non voglio mai più litigare con te.
Apro ancora questo libro di notte chiedendomi
se mi stai ascoltando. Voglio maledire
l'ultima ladra. Ma ci sei tu alto, e dolce
alle porte di questa notte mite
quando ho perso tutto, avrei voluto solo
sentire il mio nome pronunciato dalle tue labbra.
Non ci sono canzoni che sanno dirlo.
Nonna cuci un filo per me, metti un ago
nel buco di questo palazzo, al modo in cui
si congiungono i destini e gli eventi.
Nella sua cucina voglio che mi chiami,
e voglio che nelle sue camicie
lui pensi di me quello che è di una moglie.
Mancano tre giorni al nostro matrimonio,
muoiono le ladre, prendi un tuo ricordo
di giugno mettilo sul mio velo come un figlio.


***

(Coro dei poeti definitivo, esaustivo, compulsivo)

Sono io all’uscita di
scuola forse diciasette anni
interminabili passi
per attraversare la piazza
l’obelisco esco fino al bus
o dipende a volte
la metro a volte
un tost al macdonald’s
rubano il paio
di occhiali
occhiali da sole di
bellissimi colori chissà il ladro
dove vive ora
dove abita
per aver indossato
venduto o maltrattato
i miei occhiali da sole
sarà stato un immigrato
un drogato, un disoccupato
un isolazionista, un anarchico
un indipendentista, un religioso
un politico, un segretario
un professore intossicato
uno scarcerato, un assassino
un malmenato
uno che cattivo voleva
i miei occhiali da sole
o comunque una vittima
di una società la stessa
dei fortunati
si scartano i disoccupati
la disoccupazione raggiunge
tutti come un virus
lo portano in commissariato
“perché hai rubato
questi occhiali alla signora?”
un cittadino, un poliziotto,
un nuotatore, un chimico
un malavitoso, un generoso
chi ha rubato i miei occhiali
da sole: tu intanto giri per
strada col tuo amico
non mi vedi sono io
ho forse diciassette anni


***


Destino disinvolto

Era l’ora del loro grande riflesso,
decise di regalami un viaggio agli inizi degli anni Duemila.
Commissionò dei registri per un film biografico post-mortem.
Poi lo trafisse un sentimento del tempo tanto forte
che così severo e deciso,
era nella bellezza di un marito poi,
mi lascia svegliarmi, che quando parla
non usa le virgolette. Sapere sentire questo.
Limpidità di un amore commosso.
Con una sola parola cancellava ogni rimorso,
riempiva di una sfiducia snob i giorni della settimana.
Mentre scrivo sento uno stridere di topo,
non c’è alcuna guardia alla torre dell’anima
qualcuno potrebbe affacciarsi all'anima
dimenticare riflessioni sugli elementi naturali
ed essere costantemente in guardia.
Ma in questo non c’è verità e non c’è poesia,
lui si dedica a me, mi colma di comprensione
mi accompagna ogni volta che cade forte
e questo alle Esperidi* non interessa.
Guardo un dipinto delle pittrici suicide.
Ogni suo desiderio si ingigantisce
quando apre le braccia,
è indicativo il mistero, ho poggiato
le mie fantasie sul tuo ombelico di poeta.
Dei film che mi piacevano non ho più memoria,
ho solo tante possibilità necessarie davanti a me.
La dolcezza del parlare d’amore,
valenze idilliache fortemente simboliche
la mia libertà legata alla sua.

*oltre al mito uno dei noti dipinti col tema delle Esperidi è “Il giardino delle Esperidi” di Jones

***


La natura dell’uomo

L’uomo mi difende perché
sono la sua donna alfa.
L’uomo porta ogni tanto il cane a spasso
e il figlio alle mostre,
tende a implementare
la sua natura di descrizioni tecniche,
dice che quando sta zitto
è perché deve lasciare che la poesia lo visiti

così mentre aspetta con sguardo nel vuoto
sbrigo alcune faccende,
gli do giusto il tempo di pensarci;
scrive qualcosa sull’agenda
che non mi fa leggere,
mi guarda negli occhi

come sempre fa riferimento
a un aneddoto che nel testo precede il mio nome
poi tocca piano i miei seni
giusto per rilassarsi, cedere all’attrazione.
Mentre mi abbraccia il mondo è dietro
queste montagne, il suo respiro
mi dà informazioni su come fare
a chiudere gli occhi.

Gli segno delle correzioni
ad uno scritto, non si arrabbia mai
non è mai polemico
è cominciato tutto dall’amicizia
poi sono seguite le notti insieme
gli orgasmi sinceri
i poeti del Novecento ancora
come rampicanti
le vecchie foto del Portogallo
e di Los Angeles, la prima volta
che abbiamo parlato col prete
per sposarci
e lui pretendeva di spiegare
e dire di metafisica.


***


Papà che cosa è il kamasutra

Alessandro gli chiede che cosa
è il kamasutra. Lui gli ha comprato
il motorino quando ha compiuto cinque anni
illudendosi che il figlio
avesse preso una forma di mascolinità
diversa dalla sua.
Il padre che è un accademico ha cercato
di fare una lezione al figlio che ormai ha sette anni.
A scuola gli hanno detto del kamasutra
e lui è andato dal padre a chiedere informazioni.
Rimanevo a guardare la scena indifferente.
Considerando il fatto che per essere genitori
necessariamente e tacitamente
asserivo che lui, mio marito,
è un perfetto educatore, di fatto lo è veramente.
Se non fosse che per parlare del kamasutra
ha usato una metafora del calcio e del campionato italiano.
Confusa mi sono messa a piegare i panni
e li ho lasciati perdere.

Brani tratti da:
Sabatina Napolitano, Corsivo, Edizioni Il Foglio, 2021.

Sabatina Napolitano è poetessa, scrittrice e critico letterario, residente a Napoli. Ha vinto diversi concorsi nazionali per la poesia singola e per la poesia edita, ed è stata membro di giuria del Premio Nabokov. Ha pubblicato nella rubrica di Silvia Castellani; su Poetarum Silva, nell’antologia Secondo repertorio di poesia italiana contemporanea di Arcipelago itaca; nel blog Poesia ultracontemporanea di Sonia Caporossi; su Neobar, Bibbia d’Asfalto, Irisnews, La poesia e lo Spirito, con Pasquale Vitagliano, Poesiadelnostrotempo, Nazione Indiana, La recherche. Ha collaborato con Oubliette Magazine.

Corsivo è la sua pubblicazione più recente.

venerdì 12 novembre 2021

Il viaggio nella carnalità dei sentimenti in "La sete della sera", di Agnese Coppola

Di Agnese Coppola, autentica rivelazione poetica di questi ultimi tempi, ci eravamo già occupati avendola inserita nel volume XXVIII dell’Antologia “Transiti Poetici” (antologieditransiti.blogspot.com). La ritroviamo e la riproponiamo qui, con questi brani tratti dal suo recente libro La sete della sera, edito da La Vita Felice nel corrente anno. Un’opera di spessore, che conferma la rapida ascesa della nostra autrice, originaria di Nola ma residente nel milanese dove svolge nella sua attività di docente. Questo libro, che è ulteriormente impreziosito dalle note introduttive di Rossella Tempesta, altro nome di rilievo nel panorama della poesia italiana, e da una accurata postfazione di Roberto Comelli, è senza alcun dubbio un progetto poetico robusto, intelligente ed anche esteticamente ragguardevole; vi si nota un linguaggio poetico di alto profilo, il che dona a tutta la raccolta la giusta aderenza e coerenza all’autentico modo di fare e scrivere poesia: una non plausibilità di immagini e di riflessioni sul mondo e sui sentimenti, una non ovvietà di certe espressioni sdolcinate e scontate, bensì un vigore sempre nuovo e rinnovatore, un dire anche altro partendo da flash iniziali, che riescono a suscitare nel lettore una visione più ampia e ricca rispetto al corpo primario del testo che, come diceva il buon Ungaretti, deve appunto contenere un velato segreto che potrà rivelarsi solo dopo aver interiorizzato e metabolizzato il brano poetico.
Poesie dunque che partono da asserzioni quasi lapidarie, laconiche, ma che poi deflagrano nel suggerire universi ampi gremiti di luci, di afflati emotivi, di sentimenti ma anche di impeti di carnalità e di forti aneliti di vitalità schietta, quasi primitiva, nel senso di potenziale capacità di ricreare, come all’origine, il tempo e i giorni dell’uomo. Indubbiamente, come si afferma anche nella prefazione della Tempesta, c’è in queste poesie un forte accento erotico, ma un erotismo che maggiormente coinvolge e interessa la sfera della genuina e primaria affermazione della vita, come dicevo più sopra, riferendomi al potenziale vitale insito in ciascuno di noi e che preme dall’interno, sollecita costantemente il nostro comportamento, suggerendoci di superare schermature, falsità, convenzioni, omologazioni, in una società come quella attuale dove ogni cosa e ogni sentimento ha perso ormai la patina dell’autenticità.
E in questo universo fortemente richiamato all’essenzialità e alla genuinità dei sentimenti, l’Autrice individua e centra il progetto poetico di tutta la sua raccolta: una vita svestita di tutte le vane apparenze, dei fronzoli ingombranti, dei fardelli imposti e degli inutili e viziosi giri di parole, per lasciare spazio al vero motore dell’esistenza, la forza generatrice dell’amore, intesa nella sua capacità e potenzialità di rigenerare la vita; e come recita Agnese Coppola in un suo testo iniziale: "Amo di Adamo il miele / dalle labbra scivola / e sazia. /Ripide le rapide dorsali / a mani nude tento / lo scalo di roccia e neve…", questo amore totale, che va al di là di ogni aspetto fisico e sentimentale, al di là di ogni idealizzazione trascendentale, si pone, nel dettato poetico dell’autrice, all’origine e al centro della vita, celebrandone anche il profondo piacere fisico che l’accompagna.
La sete della sera è dunque questo viaggio nella carnalità dei sentimenti, narrato a volte con dolcezza, altre con nervose punte di ironia (“…Uomini misurano distanze / tra le vicinanze strette / dei miei monti…”; “Le costellazioni sono lì / da anni e noi siamo / briciole di pane quotidiano, / Dio mastica l’infinito / e ci sputa.”…), e lungo il quale non mancano feed back di ricordi nostalgici (“…ho ombre e fiato / che si allungano sul sorriso / di mio padre, nella ciotola / le nocciole dicono che / padrona è la sera”).
Un’opera letteraria di grande pregio, che si colloca certamente tra le migliori proposte poetiche di questi ultimi tempi, per l’attualità e per l’originalità della trattazione di un tema alquanto complesso come l’amore, senza scadere in facili e piatte etichettature e formalismi di cui sono piene molte scritture poetiche simili, ma anche per il dettato, convincente e avvincente, sobrio ma diretto e colto.

Da La sete della sera proponiamo qui di seguito alcuni brani, invitando i nostri lettori ad esprimere, se lo vorranno, altri graditi commenti o spunti di riflessione.



Amo di Adamo il miele
dalle labbra scivola
e sazia.
Ripide le rapide dorsali
a mani nude tento
lo scalo di roccia e neve.

Il miele di Adamo bagna
petali di pelle bianca

e lascia che la notte vada.

Uomini misurano distanze
tra le vicinanze strette
dei miei monti.



***


Da vicino il fiume
segue l’incostanza
delle tue parole,
il manto animale
tracciato dalle stelle
sulle sinapsi invisibili
di quel vago sapore di-vino.

Da lontano lo spettacolo
di ogni fiume
ha portate regolari;
in contrasto i pagliacci
agitano il sorriso.

E piove la sete della sera.


***


Mi ostino. Dico. Buona notte
sono coriandoli le stelle
grattugiate nella notte.
Le falde faglie a parola
tra i denti battono
Senti. Lo schianto. Il Silenzio.
Gli angoli di luna
affettano gli occhi.
Le costellazioni sono lì
da anni e noi siamo
briciole di pane quotidiano,
Dio mastica l’infinito
e ci sputa.
Ho appeso corde
ai bottoni del cappotto
Ho cucito gli avanzi
che l’universo mi deve.

***


Questo cuore, Vesuvio, s’affetta,
il sangue s’annetta
mani mute mai stanche d’amore.
La ginestra è giallo profumo,
oltre l’orizzonte
le parole sono radici
l’inverno è un ago
cuce con l’acciaio
i miei occhi di seta.
Eppure ricordo
fu del fuoco la cenere.
Ho mangiato i vetri
lo specchio è senza anima.



***


L’oltre arrotonda in me il vuoto.
Non ti muovere! Muoversi è valle
misura le vette, parti dal fondo.
Rovista tra i boschi
i semi sono stati appena piantati.
Aggrappati ai virgulti,
procedi a piedi scalzi
in cima, pre-ci-pi-ta.
Adagio, piano, aspetta
in volo organi a tempo.
Cuore, continua, danza
impazza, pulsa, respira.
L’oltre non è più nel corpo,
è il mio vuoto pieno.



***

Il tempo si allinea in una mano
e l’olio scorre e poi s’inzuppa
nell’ombra del pane, sulla tavola
si confessa un bicchiere di vino.

Domani sarò supplice
ho ombre e fiato
che si allungano sul sorriso
di mio padre, nella ciotola
le nocciole dicono che
padrona è la sera.

Io sono pronta a sgusciare
e intanto il sole cade e
il vento ha promesso
tornerà e non avrà voce.



***


La pioggia arriva quando vuole
la terra ingoia lacrime di miele
e tavole di profumo negli occhi.
Ricorda tutto all’uomo
il suo essere dettaglio
il suo essere ombrellino aperto
per una sola tempesta di anni.
Questa goccia mi ha detto oggi
riconosce il mio lamento
mi farà spazio nel firmamento.


Agnese Coppola, La sete della sera, Ediz. La Vita Felice, 2021; prefazione di Rossella Tempesta; postfazione di Roberto Comelli.

Agnese Coppola è nata a Nola (NA) e si è laureata in Lettere classiche nel 2004. Vive in provincia di Milano dal 2006 dove insegna presso l’Istituto Alessandrini di Abbiategrasso. Curiosa, appassionata e vorace lettrice, scopre il mito di Lilith che determina un’esplosione poetica e il coinvolgimento dei suoi studenti nel progetto “Io sono Lilith”. È co-fondatrice della Rivista internazionale Tam tam bum bum e attiva organizzatrice di eventi culturali, poetici e artistici, come NaviglioInVersi e Ric-amati. Pubblicazioni: Mario, in Vacanze milane (Guerini e Associati, 2012); Ho sciolto i capelli, abbracciami Frida (La ruota edizioni, 2a ediz, 2018); il romanzo Strisce pedonali, (L'Erudita, 2018); Specchi (dialogo poetico) con Gianni Bombaci (Raccolto, 2019); La sete della sera, (La Vita Felice, gennaio 2021). Presente come autrice nel volume Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla rete (puntoacapo 2021).



venerdì 29 ottobre 2021

Le poesie d'amore di Beatrice Zerbini

Conoscere una nuova voce poetica è sempre un evento che rallegra e conforta: quando la poesia è tale da suscitare interesse ed emozioni, viene da pensare che, nonostante tutto, nonostante l’imperversare di qualunquismi e di grettezze in una società sovente ipocrita e superficiale, l’arte e la buona letteratura trovano ancora spazi sufficienti ed importanti nella nostra quotidianità.
E poi, se parliamo di poesia che abbia in sé anche, e soprattutto, impronte di buona fattura, con versi dall’andamento prevalentemente ritmico, è ancora meglio. Ed è proprio questo il caso di Beatrice Zerbini, da Bologna: una poetessa che ho avuto il grande piacere di contattare e della quale molto volentieri propongo qui alcuni testi, tratti da sue raccolte edite.
Ritmo, rime, assonanze, sono le caratteristiche peculiari del suo dettato poetico, almeno negli esempi proposti. È un fluire armonioso che suggerisce segrete emozioni, ma anche il narrato coinvolge in modo sensibile. L’amore qui è un sentimento indiretto, appare quasi fra le righe, in un dialogo con l’altro che non viene nominato, ma che rappresenta comunque un legame forte, che è stato e che vuole essere ancora: “…Torna, perché ho bisogno che anche tu / e ancora tu, di nuovo / mi voglia bene. / Perché ho paura che un pezzo di me / ti sia rimasto / imbrigliato e anch’io / ho dimenticato: / di darti delle cose, / un bacio, / gli occhi con la campagna di papaveri…” Vi si ritrova, in queste liriche, anche una morbidezza del narrato, un senso di rispetto nei confronti della realtà ma soprattutto del saper attendere con consapevole grazia e delicatezza, i possibili, o sperati, orizzonti di luce e di amore. Una poesia che è, in definitiva, un canto del cuore, misurato e pronunciato con versi intelligenti, schietti, il che dimostra la grande competenza letteraria dell’autrice in materia di originalità, di stile e di contenuti.


Un giorno, saremo.
Io avrò̀ la bocca
da sussurrarti piano – come un raggio – il nome fulgente,
tu prossimità̀ e paraggi
(per sentirlo);
saremo sorgenti luminose,
apparizioni e sbocciamenti,
Orienti,
saremo tutta alba,
barlumi e irraggiamento,
l’Arco di Achille Castiglioni
e semplici lampioni;
il sole saremo,
quando un giorno saremo
e le ombre e le notti scure
saranno solo vite trapassate,
solitudini nostre (accompagnate),

reciproci disconoscerci ormai noti,
e aspettarci senza arrivare, recapitati.

Non avremo paura di accadere,
perché tutto sarà̀ già̀ successo;
non avremo tristezza del futuro,
perché ci anticiperemo i tempi
e sarà̀
tutto un presente, un giorno.
Avremo paura solamente del buio.

 

(da In comode rate. Poesie d’amore, Interno Poesia)


 ***


Torna, se puoi tornare,
confideremo nel miracolo urgente,
nello spavento da dietro
le porte,
lo sgambetto che ti fa
volare;
torna da me,
la morte faceva paura quando
non c’era;
adesso è placata, è tutta presenza
e meno
attesa.
La sopporto da sveglia;
non mi sveglia se dormo.
Mi rimane
una cosa da dire,
è un parlare, un parlarti,
raccogliere le tue orecchie e la risata
come le monete
che prillano per strada,
(e un tombino è lo sgomento);
Ho l’urgenza
della tua bella faccia fredda,
che si imperla di sudore,
ma non muore.
Torna, perché ho bisogno che anche tu
e ancora tu, di nuovo
mi voglia bene.
Perché ho paura che un pezzo di me
ti sia rimasto
imbrigliato e anch’io
ho dimenticato:
di darti delle cose,
un bacio,
gli occhi con la campagna di papaveri,
il sudore sulla mia
camicia stretta;
di dirti grazie per aver guardato,
avermi lasciato
sguazzare nell’azzurro.
Torna e torna
a credere come i vivi
che la morte non esista.

(da In comode rate. Poesie d’amore, Interno Poesia)


***


Sferza fino al rosso
vivo, l’epilogo dei blu:
del cielo, del mare, degli occhi,
fa’ coltre, fa’ sonno, fa’
tu;

poi sbianca, depriva, smungi,
fai torpidi
i giardini dei circoli;

finiscici,
in fuga dai tendoni burrascosi;
chiudici
dentro alle vetrine dei bar,
a scampare il disastro di un metro;

prendi
i bambini da dietro
i cancelli di scuola,
lascia che
s’infanghino i garretti,
sporca, raffredda, zittisci.

Piovi, ingrigisci, sciogli
le foglie sotto
alle suole;
strappa di venti per strada
il velo alle suore.

Ridi nel mosto,
mettici
i frutti nei piatti;

sii autunno, senza
vergogna, tripudio
di niente, preludio
al finire; per quanto
difetti
di gemme, sii
perfettamente autunno.

Qualcuno ti amerà pure,
senza che sbocci,
senza tu splenda,
senza tu dia,
ché tutto prendi;

lo avrai un fiorire tuo
che non ti vedo io,
la tua
stagione degli amori, in te,
come anche il morire dovrà pure
da qualche parte
cominciare.

(da Mezze Stagioni, AnimaMundi Edizioni)



Beatrice Zerbini è nata il 17 gennaio 1983 a Bologna, città che le ha permesso, già̀ dal 1987, di dedicarsi allo studio del ritmo e della parola, grazie al celebre coro, diretto da Mariele Ventre, di cui ha fatto parte. A otto anni, ha iniziato ad avvicinarsi alla lettura e alla scrittura di poesie.
Nel 2006 ha aperto la pagina online di racconti tragicomici e di poesie “In comode rate”, ma solo nel 2019, incoraggiata dai riconoscimenti da parte di alcuni critici, ha cercato e ottenuto la pubblicazione. In comode rate. Poesie d’amore (edito da Interno Poesia) è la sua opera prima in versi, ad oggi alla V ristampa.
Testi e recensioni della raccolta sono comparsi in importanti riviste poetiche (tra cui Poesia di Crocetti, Atelier Poesia, Centro Culturale Tina Modotti) e in trasmissioni radiofoniche e televisive (Tv7 – Rai Uno, il Sabbatico – Rai News 24, Fahrenheit – Rai Radio 3). È stata ospite di diversi Festival, tra cui il PoesiaFestival (2020 e 2021), l’Alzheimer Fest, la rassegna Il Rumore del Lutto (XIV e XV edizione).
A giugno 2021 è uscito il libro Mezze Stagioni, una piccola raccolta di prose e suggestioni poetiche (per la collana Piccole Gigantesche Cose della casa editrice AnimaMundiOtranto). Dall’inizio del 2020, sta inoltre dedicandosi ad un progetto a sostegno delle famiglie dei malati di Alzheimer, diventato, nella primavera di quest’anno, anche uno spettacolo teatrale di musica e poesia.


martedì 26 ottobre 2021

Francesca Innocenzi e il suo "Canto del vuoto cavo"

Cimentarsi in forme poetiche diverse da quelle usuali, come l’haiku e altre espressioni simili, denota da parte dell’autore non solo un grande coraggio (è facile cadere nella superficialità...), ma soprattutto una grande conoscenza e competenza di quello stile. Ne è sicuramente consapevole Francesca Innocenzi, esperta poetessa marchigiana e profonda conoscitrice di culture tardoantiche. La raccolta poetica di cui qui brevemente parliamo, Canto del vuoto cavo, edita da Transeuropa nel corrente anno, è infatti costituita da 40 senryu e da 20 tanka, come recita il sottotitolo, a maggiore chiarimento del fatto che la nostra autrice ha voluto utilizzare una forma che solo per certi aspetti ricorda il tradizionale haiku giapponese, ma che in realtà utilizza di questo soltanto la formula di base (tre versi di cui il primo ha 5 sillabe, il secondo 7 e il terzo di nuovo 5), avendo in sé un più marcato senso di contenuto. Anche il “tanka”, utilizzato dalla Innocenzi nella seconda parte del libro (ma non vi è segno di una netta separazione), è una forma particolare di poesia formata da 5 versi.
Senza però andare più nello specifico o nella tecnica di tali espressioni poetiche, desidero qui semplicemente presentare e proporre questa recente opera della Innocenzi, che è da apprezzare moltissimo, non solo per il difficile compito che certamente ha dovuto affrontare nello scrivere i testi nel pieno rispetto delle regole e degli schemi da osservare, ma soprattutto per la bontà e la profondità di contenuto che ne scaturisce. Leggendo in modo continuo tutte le composizioni, si evidenzia un certo filo conduttore basato proprio sul titolo: canto del vuoto cavo. Vi è sottolineato, in tutta l’opera, un senso di ricerca esistenziale da attuarsi attraverso l’isolamento dalla folla e dai rumori del mondo, per concentrarsi su sé stessi nel silenzio della meditazione: in questo modo, l’utilizzo di forme poetiche simili è perfettamente aderente e consono alla cultura e alla filosofia orientale, che noi “occidentali” purtroppo sottovalutiamo o ignoriamo del tutto.
I pochi versi di ciascuna composizione sono intensamente significativi, racchiudono tutto un mondo e tutta una storia: poche parole ben “sistemate” che armoniosamente dicono un attimo ma raccontano l’eternità e l’infinito. Immagini della realtà, memorie, luoghi, che si trasformano in simboli di vita universali. E come dal vuoto cavo, privo di movimento e di storia, immobile in sé, non sortisce alcun disturbo, alcuna distrazione, così in questi versi della bravissima Innocenzi il vuoto interiore, cavo, limpido, genera un canto sublime ed infinito, mai più frastagliato o inquinato dalla materialità del mondo esterno.


extrasistole

che scende alle ginocchia

da quarant’anni.


padre, tu il primo.

delirio di tormenta,

tonfo nel vuoto

 

 ***

 

coriaceo questo

canto del vuoto cavo

rifranta linea


nera. Tu mise

en abime dell’azzurro,

piuma di pianto

 

 ***

 

pelle di mela

la sera allo specchio

miele che cola


il corpo trema

cosa scartata, molle

sul pavimento

 

 ***

 

on the dark side.

schianto di luna persa

tra i gerani


l’ossesso chiama

spettri di cavo sole

dentro l’abisso

 

 ***

 

[Torino]


La pioggia sfiora

casseforti di case

cruda, a spiare


parole andate

una Olivetti accanto

al davanzale

 

 ***


maggio, racconta

la verità del cuore.

da tanto verde

assorda in silenzio

il parco diroccato

 

***

 

sei così nebbia

che anche le tue parole

di fionda sono

niente, vento caduto

scorie di un fatuo rosso

 

***


le cose stanno

anche se non le vedi.

sul riverbero

sosti, millimetrico

angolo di scacchiera

 

 ***

 

[congedo]


quaranta estati

di tenero amore

per te, mi fosti

spettro e avo, figlio,

mio fratello per sempre


(Brani tratti da: Francesca Innocenzi, Canto del vuoto cavo, 40 senryu doppi / 20 tanka; Transeuropa, 2021)

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (An) nel 1980. È laureata in Lettere classiche e dottore di ricerca in cultura di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012) e Non chiedere parola (2019); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011); il romanzo Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia “Il Mangiaparole”. Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio interiore”.




lunedì 25 ottobre 2021

Carlo di Francescantonio, l'"ultimo argonauta"

Si nota subito la poesia importante, la poesia che lascia un segno, che scuote e coinvolge emotivamente il lettore, specialmente quando il progetto poetico prende spunto e abbrivio da temi particolari o anche da storie, aneddoti e miti. Su Ulisse, per esempio si è scritto tanto, e lo si “usa” ancora, metaforicamente, in intelligenti e originali composizioni poetiche. Qui però la figura simbolo presa a prestito, diciamo così, e in modo davvero arguto e illuminato, è Giasone, il mitico argonauta, alla ricerca del fatidico “vello d’oro”. Giasone dopo mille peripezie, si sa, riesce a conquistare la mitologica pelle d’ariete che gli darà forza e potere.
Ma in un mondo così votato al degrado – come purtroppo sembra, e i segnali sono piuttosto evidenti! – ci sarà ancora qualcuno disposto ad intraprendere un viaggio (più di concetto, magari culturale, umano e sociale, anziché materiale) per riconquistare quel poco di valido e di genuino che ne è rimasto? Ecco dunque che il poeta si assume questa “responsabilità” e, da “ultimo argonauta”, affronta il “periglioso viaggio” verso una novella Colchide, alla ricerca simbolica di quel valore, di quella luce che possa sovvertire, in qualche modo, le sorti dell’umanità. Si tratta, in fin dei conti, di un viaggio di redenzione, di denuncia dei gravi peccati che da sempre, e ancora oggi, affliggono la società, un itinerario quasi cristiano, che fa pensare ai pellegrinaggi nei luoghi sacri di ogni dove, punti di accumulazione di quelle pietre miliari perdute, o nascoste sotto la superficie dell’egoismo e di ogni altra negatività, di ogni altra nequizia che caratterizza questa nostra società frammentata, disarticolata, disarmonica e irrispettosa verso sé stessa e nei confronti della natura.
Ed è allora con questo spirito che Carlo di Francescantonio, in questo suo arguto e indovinato progetto poetico, affronta il tema della ricerca del “vello d’oro”. Ma si tratta di un viaggio piuttosto introspettivo, forse addirittura amaro, in quanto questo suo poemetto “Anche l’ultimo argonauta se n’è andato” appare quasi come una denuncia dello status quo, una sorta di reportage psicologico ma anche dei luoghi, delle storie e delle abitudini, visto e vissuto dall’autore attraverso la sua sensibilità interpretativa. È una dichiarazione di sconfitta? È l’amara rassegnazione che l’autore prova dinanzi a tentativi falliti di riportare indietro il “vello d’oro” metafora o simbolo di entusiasmo, forze e potenzialità tali da ristabilire nel (suo) mondo un equilibrio di schiettezza, di genuinità, di amore, di bene, come più volte narrato nei suoi versi sovente riferiti a figure e luoghi di gioventù semplice e autentica? Direi invece che il prospetto complessivo della silloge sia piuttosto quello di indicare e suggerire a noi tutti che c’è sempre la possibilità di ritrovare noi stessi, la nostra umanità, la nostra verità intrinseca, cercandola magari nelle terre perdute della nostra anima e del nostro cuore, oggi offuscati dalle nebbie del pressapochismo e della superficialità omologante. Possiamo essere tutti l’ultimo argonauta, c’è ancora tempo di rinascita e di redenzione. E qual è l’arma per andare alla conquista del vello d’oro? Ma certamente la parola, la parola poetica, la poesia! Carlo di Francescantonio ne è pienamente consapevole, e perciò utilizza un suo stile assolutamente aderente, cadenzato, con un verseggiare che fluisce rapido e inarrestabile, dove le immagini e le storie di sé e dei luoghi evocati appaiono come pietre ben salde e levigate lungo il fiume in piena.
Un’opera letteraria, questa raccolta, da apprezzare per il simbolismo insito nel progetto e per lo stile originale del dettato.

Proponiamo ai nostri lettori alcuni brani tratti dal libro.

 

Anni Ottanta

noi si andava
passando da un giorno all’altro
come il più volgare dei salti all’ostacolo

ammazzavamo gli anni
negando calendari e orologi

un vivere alla giornata
- come se fossimo ancora nel dopoguerra
invece che negli anni Ottanta -
era antidoto inconsapevole
al più grande impoverimento culturale

in quella decade
gli embrioni di un virus che avrebbe portato
la demenza per le classi politiche di domani

tutto un futuro di incapaci autorevoli
un fallimento epico stava accadendo

le persone fallivano
sedute davanti ai primi Grundig a colori
con la certezza di stare
attraversando il divertimento
- divertirsi da morire -

infatti si moriva e qui siamo arrivati morti



***


Il giorno del mio 43esimo compleanno

i vecchi cimiteri
le tombe che si infossano nel terreno e io
guardo tutti quelli che hanno cercato riparo qui
tra i monti dell’entroterra ligure
luoghi dove il cancello d’ingresso resta sempre aperto

ci sono andato già due volte
a rivedere il viso dei miei parenti diventato marmo
e gli altri con l’aria seria
tutto stipato di fotografie­ scurite dal tempo

a me pare che ognuno abbia ancora una cosa da dire
ma la morte non lascia mai il giusto spazio

in gita per i viali
le lapidi
inizio una preghiera e mi distraggo
non è mica facile concentrarsi in mezzo a tanti nomi
volti e lumini

c’è quasi rumore qui
ci si perde


***

anche oggi sono passato in libreria

anche oggi sono passato in libreria
lo faccio quasi una volta al giorno

oltre ai libri
passaggi partenze arrivi resi
consegne clienti corrieri
movimenti di fretta come nelle stazioni

ogni tanto entra qualcuno che
non c’entra nulla con l’ambiente
elefante dentro la cristalleria

mi piace guardare gli stessi titoli
quelli che non compra nessuno e che
in tempi brevi tornano al magazzino poi al macero
quelli nuovi no perché negli scrittori di oggi
ho il terrore di incontrare gli attuali lettori

troppi i ­finti autori che arrivano da altri territori
la narrativa come hobby o vanità
di solito ex qualcosa
manager medici avvocati
quella piccola itaglietta cameriera del denaro
pochissimo valore ma il pubblico di lettori distratti
misteriosamente risponde
bisogna saltare mine in questa epoca depressa

mi incazzo ma anche questa è la mia ricerca di pace


***


Il fastidio accanto

l’arrogante grassona nel tavolino accanto al mio
parla di disgrazie
mentre si ingozza di cappuccino e cornetto
l’amica di fronte in partecipato ascolto
e preoccupazione per il male che colpisce a caso
ha postura e presenza da attivista
quel tipo di femmina che cerca argomenti sociali
per non pensare ai tanti bisogni della carne
ma entrambe attraversate da un piacere
nel sottolineare la sofferenza degli altri

poi il discorso si sposta sul ­film Master and Commander


***


Lì è trascorsa l’adolescenza

nomi d’angoli di santi e mestieri
nomi antichi di famiglie
che sono ancora oggi il comando

ne hanno fatto il loro territorio
questi avventurieri
con la scusa di cercare lavoro
hanno ­finito con il comprare tutto

l’ospite diventa presto padrone non lo sapevi?
eppure nel mezzo di una ricchezza cafona
si muoveva un sottobosco di povertà
patita con orgoglio
di affetti difesi con i denti
e noi a stare tutti nel mezzo

a seconda delle amicizie che a tredici anni
soffrono ancora di purezza io e tutti gli altri
come me del vecchio ceto medio stavamo in bilico

c’erano i binari della ferrovia
la centrale elettrica il meccanico poco più avanti
e una grande voglia di non lasciare questa vita
senza aver fatto qualcosa che sopravvivesse al tempo
avevamo questa ­fissa
Stefano ti ricordi?

e nel frattempo abbiamo fatto di tutto
ci siamo accaniti come pazzi
e lì è trascorsa l’adolescenza

è ­finito tutto quel pomeriggio
sono andato da mia nonna per chiederle dei soldi
volevo comprarmi un disco
era come se sapessi che mi avrebbe cambiato la vita
quel disco e invece niente

c’erano le fotografi­e incastrate ai vetri della credenza
i guanti di Tiziana sono stati per diverso tempo
il mio peccato


(Testi tratti da: Carlo di Francescantonio, Anche l’ultimo argonauta se n’è andato, RPlibri, 2021; introduzione di Antonio Bux)

Carlo Di Francescantonio è nato a Santa Margherita Ligure nel 1976. Collabora con il Festival della Parola di Chiavari e si occupa di poesia sul blog “Letteratitudine”. Ha pubblicato tre romanzi e nove raccolte di poesia. Tra queste, Memorabilia. Poesie 2000-2015, con la prefazione di Alessandro Fo, Uomini in fiamme, scritto con Mirko Servetti, prefazione di Antonio Bux e Anche l’ultimo argonauta se n’è andato con postfazione di Marco Berisso. È presente nelle antologie Umana, troppo umana. Poesie per Marilyn Monroe e Voci dall’esilio, nelle riviste “Atelier Poesia”, “Banchina”, “Mirino”, “Satisfiction”, “Fluire”, “l’immaginazione” e all’interno della collana Poeti e Poesia a cura di Elio Pecora. Ha partecipato al disco di poesia e musica elettronica Poème électronique. 2016/2020, nato dall’omonima rassegna letteraria a cura di Ksenja Laginja e Stefano Bertoli. Nel 2021 ha fondato, insieme a Stefano Bertoli, Roberto Keller Veirana e Gianni Rossello, “Magazzino CdF” gruppo di ricerca musicale ambient, noise, industrial. 



lunedì 11 ottobre 2021

La poesia di Alessandro Barbato

È un delicato sentimento di amore verso la natura, il mondo e l’umanità, il racconto poetico di Alessandro Barbato, da Roma, del quale proponiamo qui alcuni suoi testi inediti per la rubrica “Proposte in Transito”. Il suo è un canto di ricerca di quelle verità intime, essenziali, che sono alla base di ogni buon rapporto e confronto con l’altro, in una società che l’autore avverte ancora dilaniata, frammentata, quasi dispersa. I versi hanno una sonorità dolce e lirica, con un andamento morbido e armonioso. La poesia richiede un impegno serio e significativo: Alessandro Barbato ne è consapevole e si muove in questi ambiti letterari già con un acclarato talento, con frequentazioni assidue, presenze su blog e riviste letterarie e l’apprezzata pubblicazione di una silloge.


Malerba

Raccoglierò i miei fiori
lì soltanto dove spuntano
tenaci tra malerbe di sospiri,
liberati dall'alone che rimane
sui miei giorni di cristallo.
Li trapianterò tra i gelsi
che pazienti ancora aspettano
sul bordo di ogni notte che finisca
la gelata, per stanare
col profumo più selvatico
del tempo che ci resta
l'assolata eternità
dei tuoi giardini senza vento.


***


D'ogni brivido terrestre

Ci resta dentro gli occhi adesso l'eco
di lontani pomeriggi
di scintille e nubifragi,
come polvere, fuliggine
posata sulle mani mentre afferrano
i respiri e d'ogni brivido terrestre
il debolissimo richiamo.
E hanno anche i pensieri più segreti
dita lunghe, affusolate e unghie dure,
quando graffiano le notti
coi sopiti desideri
che racconta sottovoce
la tua ombra al mio fantasma.
Rimane e si dilata in universi
immaginari quel riverbero
di vita che tormenta ora le carni,
sferza e illude la memoria,
quasi fosse linfa pura
che ci bagna le radici.


***

Solo l'aria che ci sfiori

Vogliamo solo l'aria che ci sfiori
quando stritola la notte
ogni pensiero e dia alla brace
che rimane nella mente il fiato
nuovo ora perduto nella gola.
Ci accarezzi un lampo inutile
di fiamme ancora vive per un attimo,
rimaste come un vizio, un bel ritardo
che non sai giustificare
in fondo al giorno che è trascorso
mentre il vento sparigliava
i tuoi diari e le bugie
dei miei bambini. Annuseremo
forse ancora il sale e il mare aperto
dalle vele che mi indicherai
lontane tra gli oceani di derrate
alimentari e di bollette
da pagare, oppure andremo
sottocosta in tutti i sogni
che faremo e non racconti più
da tempo per timore di affogare.


***


Al passo

Ripetimi la strofa di quel canto
che ero stufo di sentire,
congiungi le parole come vergini
agli sposi, di fronte a questo
altrove dove tutte le mattine
celebriamo i primi raggi
nel ricordo delle oscure
primavere che hai scontato.
È sparso in cento sillabe il tuo mondo
e io raccolgo insieme ai fiori
pure i passi che ho tracciato
nei sentieri che si perdono
al di là dello steccato
che la notte ha costruito.


***

A tempo perso

Si perde il tempo e pure la parola
negli scivoli al contrario
che ho tentato da bambino
per mostrarmi coraggioso, in note
di canzoni che hanno quasi
cinquant’anni. Si spezzano i respiri
quando ingannano i tramonti, spariscono
gli oggetti e qualche volta ritrovarli
pare molto; va perso tutto quello
che non cresce se lo ascolti. Rimangono
tre lampi sempre pronti, un po' di pioggia
per i nostri temporali
da bicchiere; poltiglie di discorsi
fatti in sogno ai tuoi parenti
e poi le code di giornate
che ci addestrano a sentirci
come gli astri che si spengono.


***

Finestate (L'ho riaffidata al mare)

L'ho riaffidata al mare la bottiglia
in cui hai racchiuso il mio destino
come fosse un vino dolce
per brindare in pochi amici.
La spingerà il grecale più lontano
dalla sponda in cui bruciamo vite
e amori in un anelito di voci
che ci chiamano a tentare
di non dare ascolto ai tuoni.
Le parleranno le onde adesso
e l'urlo del gabbiano che volava
tra i tuoi occhi e sparge ancora
qualche piuma tra i miei sogni
mattutini. Ritornerà d'inverno,
forse, e avremo pronti i canti
di cristallo per versarvi ancora
intatte le parole che non dici.



Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini.
Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia. Ha pubblicato anche poesie su riviste, blog letterari e, nel 2019, la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta Solamente quando è inverno, pubblicata in formato ebook da Ali Ribelli Edizioni.
Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.

venerdì 8 ottobre 2021

Pankhuri Sinha, poetessa hindi

Riprendiamo la rubrica “Transiti Esteri” ospitando questa volta alcuni testi della poetessa Pankhuri Sinha, dall’India.
Si tratta di testi molto forti, incentrati sulle problematiche sociali conseguenti alla colonizzazione dell’India, con spiccati riferimenti al pensiero di Gandhi e all’analisi dell’attuale situazione politica.
Si è cercato di rispettare quasi alla lettera il contenuto dei testi nell’operare la traduzione in italiano (per la quale ringrazio la valente artista e poetessa Antje Stehn per la collaborazione). L’Autrice ha presentato i suoi testi già tradotti da lei dall’hindi in inglese, e quindi in questi passaggi è molto probabile, come sovente accade, che qualcosa non sia perfettamente aderente al pensiero originale. Ma nel complesso rimane il senso, l’atmosfera e l’apprezzamento nei confronti di una autrice straniera così sensibile e meritevole.


1857 - A Poem

Though it was the year of 1942
That got immortalised
In public memory
Due to a movie of the same name
With the added adjective of a love story
And there were many love stories in the Raj
Nehru and Edwina were just one of them
And yes, they might top the list, but
An entire generation of Anglo Indians
Came into being, but this isn't a love poem!
Or one about the legitimacy of love, or about illegitimate love!
Concerns both love and hate, perhaps hate more and ways of curbing it
Conquering it, for the colonial raj did one good thing,
With its ideology of inherent superiority and economic exploitation
It first united the warring nation states, then the bickering religions
Giving birth to a third, ultimately
Bringing them all together in opposition
Also drawing some permanent political lines
Facilitating the creation of a nation
The year was 1947, but 1857 before that
The year of the rebellion, when the crown came in
We all know the story, right?

*

I am a historian, or a historian on a break
Doesn't matter, what matters is that the twin nations need a re-invention
A remodelling , a renaissance, a reformation , risorgimento, a re-incarnation
Nothing less than a revolution , the Arab nations have done it
For better or for worse
Spilling blood from Gaddafi 's Libya to Osama's Arabia
Some descended in war even when they were not Syria
And whether our twin brother, the difficult neighbour, needs it or not
We the secular, we the liberal, we the tolerant
We the cognizant, we the cosmopolitan, we the diverse
We the daring, we the respecting , need it, to come together again
To re-bond not just in the face of threats,
And usurpation by the forever plotting others
But against being used by petty politics
Dividing religions , humans, families!
Can we the people, not stand up, not rise up, not march
Rebel, protest against the colonizing force, impulse , power of electoral politics ?
Half drugging, half sedating people with pranks, free bies, false promises
Provoking speeches, and worse silencing them with threats
Beatings , killings , wrongful arrests, disappearances, mayhem!


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This might be 2021, and on some days the darkness feels medieval
But am sure we can ask for more light
We can even make some,
And make it green and cool and peaceful?
Can't we? And we also do remember the year 1942
As the year in between the Second World War
When Gandhi called for the quit India movement
Asking Indians to not fight in the wars of others
Over control of colonies, we do remember, right?
Then, why do we not act upon it as well?
In these post-colonial times of new vested interests?


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Anche se era l'anno 1942
Che è stato immortalato
Nella memoria pubblica
Grazie a un film con lo stesso titolo
Con l'aggettivo aggiunto di una storia d'amore
E c'erano molte storie d'amore nel Raj
Nehru ed Edwina era solo una di queste
E sì, potrebbero essere in cima alla lista, ma
Un'intera generazione di anglo indiani
È nata, ma questa non è una poesia d'amore!
O una sulla legittimità dell'amore, o sull'amore illegittimo!
Riguarda sia l'amore che l'odio, forse l'odio di più e i modi per frenarlo
Conquistandolo, il Raj coloniale ha fatto una cosa buona,
Con la sua ideologia di superiorità intrinseca e lo sfruttamento economico
Prima ha unito gli stati nazione in guerra, poi le religioni litigiose
Ne ha dato alla luce un terzo, alla fine
Riunendoli tutti in opposizione
Tracciando anche alcune linee politiche permanenti
Facilitando la creazione di una nazione.
L'anno era il 1947, ma prima c’era il 1857
L'anno della ribellione, quando arrivò la corona
Conosciamo tutti la storia, giusto?


*

Sono uno storico, o uno storico a riposo
Non importa, l'importante è che le nazioni gemelle abbiano bisogno di una reinvenzione
Un rimodellamento, un rinascimento, una riforma, un risorgimento, una reincarnazione
Niente di meno che una rivoluzione; le nazioni arabe l'hanno fatta
Nel bene e nel male:
Spargimento di sangue dalla Libia di Gheddafi all'Arabia di Osama
Alcuni sono scesi in guerra anche quando non erano in Siria
E anche quando il nostro fratello gemello, il vicino difficile, ne aveva bisogno oppure no
Noi laici, noi liberali, noi tolleranti
Noi i consapevoli, noi i cosmopoliti, noi i diversi
Noi audaci, noi rispettiamo, ne abbiamo bisogno, per tornare insieme
Per ricongiungerci non solo di fronte alle minacce
E le usurpazioni da parte dell’eterno complotto degli altri
Ma contro l'essere usati dalla politica meschina
Che divide le religioni, gli umani, le famiglie!
Possiamo noi gente non elevarci, non marciare?
Ribellarsi, protestare contro la forza colonizzatrice, con slancio, contro il potere della politica elettorale?
Per una metà drogano, per l’altra metà sedano le persone con scherzi, insulti gratuiti, false promesse
Provocando o peggio facendo tacere con minacce
Percosse, uccisioni, arresti illeciti, sparizioni, caos!


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Così potrebbe essere il 2021 e in alcuni giorni l'oscurità sembra medievale
Ma sono sicura che possiamo chiedere più luce
Possiamo anche farla noi di più
E renderlo verde, fresco e pacifico?
Non possiamo? E ricordiamo anche l'anno 1942
Come l'anno centrale della seconda guerra mondiale
Quando Gandhi perorava l'uscita dell'India
Chiedendo agli indiani di non combattere nelle guerre degli altri
Per il controllo delle colonie, lo ricordiamo, giusto?
Allora, perché non operiamo anche per questo anno nello stesso modo?
In questi tempi post-coloniali di nuovi interessi acquisiti?


Pankhuri Sinha is a bilingual writer, although she writes more in her mother tongue Hindi than in English. Her first award is for her Hindi poetry “Ek naya maun, ek naya udghosh’ for which she received the Prestigious Girija Kumar Mathur award in 1995, while studying in BA  Honours part II, in Indraprastha College, Delhi University. Her first two books are collections of stories published in 2006 and 2008, with Gyanpith, a very prestigious name in Hindi publishing. Both these collections have received the love of readers and critical acclaim. She then, went on to publish two collections of Poems in English, Prison Talkies in 2013 and Dear Suzannah in 2014, both with Xlibris, Indiana. Since then, she has published four collections of poems in Hindi, Raktim Sandhiyan, Bahas Paar ki Lambi Dhoop, Pratyancha, and most recently, Geetil Raatein. She has also received numerous prestigious awards in between---Chitra Kumar Shailesh Matiyani Samman in 2007 for her first story collection koi-bhi-din, Rajeev Gandhi Excellence Award in 2013 for outstanding achievements in writing by Seemapuri Times, First Prize for poetry by Rajasthan Patrika in 2017, Pratilipi Kavita Award and many other prestigious awards. She is a student and teacher of Modern British History, currently teaching in a government college in Bihar, India. She did her Master’s in History from SUNY Buffalo in 2007. She has an incomplete Phd from University of Calgary, Alberta, Canada, which she plans to finish in the near future. She received the Dean’s entrance fellowship at the time of her admission in the Phd programme in 2008 in the University of Calgary. Her poems have been translated in several Indian languages like Bengali, Marathi and languages abroad like Spanish, Serbian, Nepali, Turkish and Romanian. These Poems have also been published in magazines of these languages. She herself has translated Hungarian, Romanian, Serbian, Italian and Turkish poets. She also translated stories by Ramnika Gupta from Hindi to English, and the interview of reputed Indian theatre personality Ratan Thiyam by Udayan Vajpai from Hindi to English. She is also a freelance journalist and has interviewed several top politicians and writers like Shashi Tharoor, Mahesh Sharma, Mark Tully, the German dancer Anne Dietrich, Professor Critic Dr Margaret Koves, Prof Istvan Voros.

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Pankhuri Sinha è una scrittrice bilingue, anche se scrive più nella sua lingua madre hindi che in inglese. Il suo primo premio è stato per la poesia hindi “Ek naya maun, ek naya udghosh” per la quale ha ricevuto il prestigioso premio Girija Kumar Mathur nel 1995, mentre studiava in BA Honors parte II, all'Indraprastha College, Università di Delhi. I suoi primi due libri sono raccolte di racconti pubblicati nel 2006 e nel 2008, con Gyanpith, un nome molto prestigioso nell'editoria hindi.
Entrambe queste pubblicazioni hanno ricevuto l'apprezzamento dei lettori e il plauso della critica. Ha poi pubblicato due raccolte di poesie in inglese, Prison Talkies nel 2013 e Dear Suzannah nel 2014, entrambe con Xlibris, Indiana. Da allora, ha pubblicato quattro raccolte di poesie in hindi, Raktim Sandhiyan, Bahas Paar ki Lambi Dhoop, Pratyancha e, più recentemente, Geetil Raatein. Ha anche ricevuto numerosi premi prestigiosi.
È una studentessa e insegnante di Modern British History, attualmente insegna in un college governativo a Bihar, in India. Ha conseguito il Master in Storia presso la SUNY Buffalo nel 2007. Ha un dottorato di ricerca incompleto presso l'Università di Calgary, Alberta, Canada, che prevede di terminare nel prossimo futuro. Ha ricevuto la borsa di studio del preside al momento della sua ammissione al programma di dottorato nel 2008 presso l'Università di Calgary.
Le sue poesie sono state tradotte in diverse lingue indiane come bengalese, marathi e all'estero come spagnolo, serbo, nepalese, turco e rumeno. Queste poesie sono state pubblicate anche su riviste di queste lingue. Lei stessa ha tradotto poeti ungheresi, rumeni, serbi, italiani e turchi.
Ha anche tradotto le storie di Ramnika Gupta dall'hindi all'inglese e l'intervista del famoso personaggio teatrale indiano Ratan Thiyam di Udayan Vajpai dall'hindi all'inglese. È anche una giornalista freelance e ha intervistato diversi importanti politici e scrittori come Shashi Tharoor, Mahesh Sharma, Mark Tully, la ballerina tedesca Anne Dietrich, la professoressa critica Margaret Koves, il professor Istvan Voros.

giovedì 7 ottobre 2021

Patrizia Baglione: un'artista a tutto tondo

Per la rubrica “Proposte in Transito” di “Transiti Poetici” volentieri ospitiamo alcuni testi di una giovane e intraprendente poetessa, e anche pittrice, del frusinate: Patrizia Baglione. Un’artista a tutto tondo, dunque, che riesce ad esprimersi in ambedue le attività artistiche, scrittura poetica e pittura, con grande armonia. In effetti, la freschezza di questi versi denota non solo l’entusiasmo e la passione per le arti, in particolare la scrittura poetica, ma anche la bontà e la consistenza significativa dell’impegno: la poesia (e questo vale per tutte le altre espressioni artistiche), si sa, quando viene praticata solamente per mero divertimento, spesso sfuma e si degrada. Non è sicuramente questo il caso della valente Patrizia Baglione, la quale dimostra di avere un’ottima padronanza della materia poetica, che esprime con una sua marcata originalità (si considerino ad esempio le chiuse, spiazzanti ed epigrammatiche).
Il sentimento, l’amore, ma anche la schiettezza dei comportamenti nella società, un desiderio forte di vedere il mondo redimersi da ogni tipo di negatività, un abbrivio alla luminosità e alla gioiosità della vita: questi i temi che si intravedono nei suoi versi, i quali si susseguono limpidi e genuini, come fresco fluire di ruscello.
Le poesie qui selezionate sono tratte dalle sillogi La mia voce e Malinconia delle nuvole.



Ritorni

Tornerà l’essere umano
il profumo invadente
l’acqua nel bicchiere
e poi le stelle.

Torneranno i fiori
i sogni ad occhi aperti
le lunghe passeggiate
in pomeriggi desolati.

Tornerà dentro la tasca
il fazzoletto di cotone
la gioia prigioniera
di un vivere mancato.

E poi noi -
noi che ci amiamo così tanto
e che aspettiamo il calar della luna
per poterci parlare davvero.


***

La pioggia parla

La pioggia parla.
Parla quando è sera e si è stanchi
la mattina presto all’alba
quando meno te l’aspetti.

Piove
sulle facce tristi
sugli allegri visi
e sulla povera gente.
Piove
e la pioggia se ne frega di tutto.

Romantica come una bambina
disperata come una donna.
Occhi negli occhi
ed è subito arcobaleno.

Però sai -
importante è la pioggia
che ti ascolta
e poi ti dice
che hai bisogno di un cappello.



***


Lontano dal tuo vivere mi è impossibile

Bevo il verde nei tuoi occhi
mi esalti
e mi scongiuri -
non riesco a pensare ad altro.
Tu
sei la pelle viva
sopra la mia carne morta.

Mi consolo un po’
piango se posso
ma
lontano dal tuo vivere
mi è impossibile.


***


Distrazione

Mi distraggo sempre
nelle mie giornate affaticate
desolate
misteriose.
Mi nascondo
lontano da ogni sussulto
e da qualunque prova d’amore.
Mi perdo
nei labirinti più segreti
e aspetto che tu
venga a cercarmi.


***

Amore immortale

Tra le mie mani
il tuo volto amato
dove contemplo il mondo
e il tempo si ferma
e niente continua.
Resta tutto così -
e l'amore per te è immortale
mentre io non invecchio
ma muoio solo.



***


Il mio viaggio

Visione di deserto
viaggio tremante
e fortezza unica.
Pietra calcarea, acqua bollente
e sole notturno.
Il mio cuore
è pronto a correre verso te.
Onnipresenza
disperazione, coraggio.



***


Amo te con il fiore

In fondo
finisco sempre per amare.
Amo l’aria sabbiosa e fertile
che con la sua eleganza mi entra nel naso
amo la roccia e l’onda
che appena può, le si rivolge contro.
Amo il cielo, il monte
l’abisso.
Amo te con il fiore
quando poi mi dici
- vieni qui vicino.



***


Se tu sei

Se tu sei allegria
io allora sarò canto -
per ricordare con note sonore
tutto il tuo valore.
Se tu sei fortuna
allora io sarò salice -
per abbracciarti con i miei lunghi rami
e ricordare che per me
non c’è fortuna più grande
che tenerti tra le mie braccia.
E se infine tu sei bellezza
io allora sarò eternità -
per proteggerti sempre
e per non lasciarti morire mai.

Patrizia Baglione è nata ad Arpino, in provincia di Frosinone, nel 1994. Ha composto la sua prima poesia all'età di tredici anni. Diplomata in “Tecnico della Grafica Pubblicitaria” nel 2013. La mia voce, edito da Quid Edizioni nel 2019, è il suo libro di esordio: una raccolta di poesie, scritte durante la sua adolescenza. Nel febbraio del 2020 pubblica con la Casa Editice Kimerik Malinconia delle nuvole, la sua seconda raccolta di poesie, nella quale non sfugge alle problematiche sociali, ma anzi le individua, le scova e le disintegra con la sola forza della parola che tocca, nella regola della coerenza, quasi con un ago sottile, il punto nevralgico della sensibilità umana. Quest’ultima raccolta è stata presentata anche sulla nota radio Nazionale “RAI Radio Live”. Ha vinto il Premio alla Cultura al “KALOS 2020 - Premio Internazionale di Arte e Letteratura”, a cura del Prof. Massimo Pasqualone. Da quasi tre anni si dedica anche alla pittura, creando una serie di dipinti in stile moderno denominata "Collezione di bambole". Ha avuto modo di esporre in diverse personali e collettive, tra queste la “Venice Art Gallery” di Venezia a cura del Prof. Giorgio Grasso. Con il dipinto Jole, ha vinto il Premio Creatività, Palermo Artexpo 2020. Personale della Collezione nel marzo 2021 all'interno del “Centro Culturale Meridian” a Mosca, in Russia. Trofeo Leone d'oro per le Arti Visive, Venezia 2021. Giurata del Concorso artistico letterario "Autori italiani 2021", a cura del giornalista Fiore Sansalone. È laureanda alla facoltà di Scienze dell'educazione e arteterapeuta in formazione in formazione presso Sipea Onlus, Roma.




Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà