venerdì 31 luglio 2020

Filippo D'Eliso: "Lì un tempo fioriva il mio cuore"


Una sorta di stupore reverenziale nei confronti della natura e, soprattutto, un senso di rispetto profondo verso l'uomo e il suo relazionarsi con gli altri, muove la poesia di Filippo D'Eliso, colmandola di visioni, storie ed emozioni che vibrano fortemente nell'animo del lettore. Questo, ad un primo rapido ed immediato giudizio, emerge sostanzialmente e formalmente nel progetto poetico dell'autore, il primo esperimento, ben riuscito, di una lunga proposizione letteraria di un vero artista ed affinato e sensibile intenditore e amante, nonché protagonista, dell'attività letteraria e poetica quale è il nostro Filippo D'Eliso.
Beninteso, l'essere predisposto a più di una disciplina artistica, come ad esempio la musica e la poesia, come avviene nel caso di Filippo D'Eliso, discipline che si integrano in modo magnifico, non significa che, automaticamente, la frequentazione dell'una possa contribuire al buon esito dell'altra. Ma nel caso del nostro autore, direi che non solo questa integrazione si avvera in modo sublime, ma si esalta addirittura, fino al punto che diventa quasi indistinguibile l'armonia che aleggia intrinsecamente nei versi, dall'armonia, ritmo, musicalità e liricità che avvolge l'intero dettato poetico dell'autore.
Del resto è lo stesso Filippo D'Eliso che, nella sua "poetica" presentazione, afferma che l'amore nei confronti della poesia è innato in lui e fin dalla tenera età egli ha considerato la poesia come un tramite per descrivere, ascoltando e osservando, il mondo e la natura: "Sulle mani, solchi musicali,
consumati a quattro anni con corde di chitarra rosso fuoco prometeico. Percezione della bellezza. Ascoltare, ascoltarsi. Suoni e assonanze, rime dell’infanzia…" Questa introduzione, che già di per sé è una bellissima dichiarazione di poetica, racchiude in effetti tutto il progetto artistico-letterario del nostro autore, indicandocene, quale cartina al tornasole, gli elementi essenziali e rivelatori della sua sensibilità e del suo potenziale creativo, sia nella ricerca musicale, sia nella ricerca poetica.
E' dunque con una vena di celato rammarico, nella constatazione di un mondo che sfugge ai suoi giusti equilibri, per le deviazioni che provoca in esso l'uomo, che il poeta Filippo D'Eliso narra le sue visioni, con un canto a volte mesto, a volte luminoso, ma sempre supportato da quella liricità e ampiezza di respiro che contraddistingue la sua poetica: "Lì un tempo fioriva il mio cuore" è il titolo del libro ma anche la sintesi, malinconica, nostalgica, appassionata, di un osservatore attento e sensibile quale è il nostro autore.
Di Filippo D'Eliso proponiamo qui di seguito alcuni suoi testi tratti dal recente libro "Lì un tempo fioriva il mio cuore" edito dalla RPlibri di Rita Pacilio, marchio editoriale ormai rinomato e pregevole per le scelte operate, soprattutto in campo poetico, e per la cura riposta nelle sue pubblicazioni.
Gli amici lettori che si seguono sono invitati ad esprimere ulteriori interessanti commenti o riflessioni in merito.




Stelle del cielo

Stelle del cielo
erranti
nell’immenso spazio
indifferenti
al mondo umano
logorato dal tempo
viziato
dai miseri mortali
bramosi di basso potere
mostratemi la via che porta alla pace.
Io con audace sforzo
cerco di lenire il dolore
di un destino crudele.
Stelle del cielo
spezzate
i sentimenti dell’odio.
Questo è quello che chiedo
nella speranza di amare la vita.


***


Vita

Il sole riscalda le mie visioni
e irradia i suoi bagliori
di fioche trasparenze.
Nella valle, persa
tra tenere illusioni, quei sentieri
di neve, toccati dal verde, invitano
al sogno. Lì, nella campagna
dove il lieve cinguettio sibila nel vento,
tra le cascine e la terra brulla
cammino e i passi
si perdono nell’aria soave.
Qui respiro profondamente
per dimenticare i rancori passati.
Qui, sotto un cielo mai azzurro,
sopra un mare mai verde,
la mia vita scorre lenta.
Il giorno ormai è andato
e domani, la pioggia
sarà battente.


***

Solitudine

Cammino per lande ignote.
Questo mondo che uccide la mia vita
si dissolve nella mente
e non trovo più il sentiero.
Mi perdo
come carta abbandonata al vento
e alla polvere della deserta distesa.
Nessuno volge il suo sguardo
a cogliere un fiore spezzato.
Così trabocca l’ultima goccia
di linfa nell’infinito.


*** 

Coscienza

Cosa potrei raccontare
a me stesso se non potessi sentire
più il tormento?
Questo brusio di foglie
che fanno ombra alla luce del sole
tramontata svanisce a poco a poco.
Non vedo più dove si perdono
le urla: certo non oltre l’azzurro.
E voi, impavide nubi
perché il vostro silenzio
è così mortale? Possano
le vostre acque bagnarmi l’anima
deserta.
Non rimane che la fioca luce
di uno sguardo tra monti e distese,
lì un tempo fioriva il mio cuore.


***

L’attesa

Nell’attesa della nuova luce
trascorre insonne la notte.
Sono un uomo che sogna oltre la siepe
un ritorno alla terra
vissuta in un altro corpo
guardata con altri occhi.
Credo ancora nella freschezza dei campi
di grano, nelle corse sfrenate
attraverso le pozzanghere,
caderci dentro per poi soffermarsi al sole
a ridere di noi compagni di gioco
sotto la pioggia e nella gioia
con i sorrisi di chi si ferma ancora a sognare.


*** 

Nascita

Quando un albero lascerà cadere
l’ultimo seme dalle sue radici
e niente avrà più dentro di sé
tu avvertirai
l’avventarsi di una possente
presenza asfittica,
l’infiammarsi del freddo
volto di donna,
il coagularsi del lontano
disegno amorfo, il nutrirsi
di una esile bolla d’aria,
e ancora una volta,
nascerai.


***

Il suolo natio

In me la gioia, in me il dolore.
La valle, il fiume
tra le alture infuocate.
L’aurora riversa
amore su ogni ferita,
ma il canto funebre
dell’infanzia sradica i sogni.
Se dai miei occhi
sgorgasse un sorriso,
di una speranza
sarei almeno ricco:
ritornare fra le braccia
della bella, serena ed eterna
madre.




Filippo D’Eliso è compositore esperto degli aspetti interdisciplinari della Composizione Musicale in Ambiente Informatico per i Laboratori del Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli. All’età di otto anni inizia lo studio del pianoforte (S.Carella, I.Kirgis) e in seguito lo studio della composizione (F.Palazzo, Scuola di A.Di Martino). Si diploma in Musica Corale e Direzione di Coro (Napoli 1991, C.Pagliuca), Composizione (Bari 1998, F.d’Avalos) e Musica Elettronica (Napoli Feb. 2004, R.Doati, F.Galante, A. Di Scipio). Si specializza in Musica e Spettacolo (2003, Università Federico II di Napoli). Consegue con lode il Diploma di Laurea di II livello in Teoria e Tecniche della Composizione Musicale (2006, E.Renna) presso il Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli. Segue alcuni insegnamenti del corso di laurea in Fisica Elettronica (1983-1991) con particolare riferimento alla Computer Music e alla Psicoacustica. Elabora musica della tradizione per il teatro. Opera con consulenze e assistenze musicali, ed elabora orchestrazioni, arrangiamenti, digitalizzazioni, programmazioni al computer e composizioni originali per importanti realizzazioni discografiche e cinematografiche quali Ferdinando e Carolina di Lina Wertmüller (1999). Dal 2002 inizia la collaborazione come sound programmer con Louis Siciliano in numerosi lavori, come “Barilla formati blu” (2003) tra gli spot televisivi, “Il bambino della domenica”, tra le miniserie televisive, 55 regia di Maurizio Zaccaro (2008), “Principessa”, regia di Giorgio Arcelli Fontana (2008), “I mostri oggi”, regia di Enrico Oldoini (2009), “Due vite per caso”, regia di Alessandro Aronadio (2010), unico film italiano in concorso al festival di Berlino 2010, tra i film. Tra le numerose colonne sonore composte, quella per l’opera di Alessio Di Benedetto “I figli della Sfinge” (Bastogi Ed., 2008) e il lavoro discografico, in collaborazione con la Dott.ssa Maria Cristina Piras, di ricerca applicata in medicina frequenziale e fisica vibrazionale “2012 Oltre i Confini” (Prismablu, Ed., 2012). Presenta articoli e ricerche musicali partecipando a vari convegni e tenendo seminari su musica ed emozione, musica e olismo. Sue trascrizioni e composizioni di musica contemporanea sono eseguite in numerose rassegne concertistiche nazionali e internazionali. Un suo profilo è stato inserito nell’opera in due volumi “Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei” edita nel Novembre 1999 presso la Flavio Pagano Editore e a cura di Renzo Cresti. Svolge attività di ricerca.



martedì 21 luglio 2020

Marco Bellini e "La complicità del plurale"


"Per dare un posto alla memoria / si mettono via le ossa / fattesi bianche / dell'unico bianco / che la morte sa". Con questa sorta di sillogismo tragico eppure tanto delicato, mi piace iniziare il viaggio nel mistero profondo della vita e della morte vissuto e descritto poeticamente nei versi di questo struggente e profondo libro di Marco Bellini. Un viaggio che cerco di compiere anch'io, accanto a lui, ma con estrema discrezione e con una partecipazione affettuosa e rispettosa. Come quando ci si reca presso l'amico per confortarlo in seguito ad una grave perdita. E di grande perdita si tratta, della perdita del padre, la cui figura, in La complicità del plurale, viene evocata attraverso una trama fitta di memorie e di ricordi, non solo, ma di constatazioni dolci-amare sulla vita, riflessioni su quello che è stato fatto, insieme, e quello che si sarebbe potuto fare.
La perdita di un proprio caro, di un genitore, si sa, può dare adito, a posteriori, a tutta una congerie di ripensamenti e di considerazioni sul senso della vita, della sua evoluzione e della sua dipendenza dalle leggi fisiche che, ineluttabilmente, determina la sua fine materiale; tutto ciò può essere rielaborato in forma artistica e letteraria, se a parlarne è una persona esperta in questi campi, frequentandoli in modo assiduo, impegnativo e qualificato. Marco Bellini ha indagato profondamente, con la sua poesia intensa e commemorativa, non solo nel ricordo del padre, nella sua fisionomia e nella sua storia, ma anche in relazione al senso generale dell'esistenza, della propria e di quella altrui, generando nel lettore la possibilità di una rivisitazione della quotidianità e di una rivalutazione di valori sempre eterni, di sentimenti prima sopiti ed ora lancinanti, di affetti e di memorie ora da custodire come antichi Lari. È senza dubbio un'operazione ardua, quella di Marco Bellini, come di qualsiasi altro poeta che abbia voluto dedicare versi ai propri cari (come riporta giustamente anche Augusto Pivanti nella sua interessante e precisa prefazione al libro): la possibilità di decadere in un mero sentimentalismo, giustificato sì, ma quasi sempre lontano dall'arte letteraria di qualità, è un pericolo costante da tener presente, come anche la prolissità e le inconsapevoli ripetizioni di concetti e ricordi, che possono a volte diluire tutta l'architettura poetica del libro in una sorta di racconti e di immagini dal sentore eccessivamente familiare e cantilenante.
Marco Bellini, ben consapevole di tutto ciò, affronta il viaggio nei ricordi e nel mondo di suo padre con una originalità del dire poetico del tutto sconcertante, nel senso migliore del termine, e come in effetti deve essere la modalità poetica di pregio: nessun tema, nessun argomento, si sa, non può essere considerato e trattato in poesia, fermo restando che questa debba suscitare, in una sorta di "corto circuito", interessi, sorprese e induzioni di "alterità" nel lettore; e ferma restando la buona architettura generale dell'intero progetto poetico. Marco Bellini, in La complicità del plurale, ma non solo in questo suo libro, mantiene alta la bontà e la qualità del suo dire poetico.
Ma veniamo ora al titolo che, come ho sempre affermato, e credo che ciò sia condivisibile da tutti, rimane sempre l'estrema sintesi di un progetto poetico che va poi sviluppandosi in tutto il libro.
Quasi tutto il discorso s'incentra dunque in quei due versi finali di pagina 67, dove Marco Bellini chiude (per il momento) una riflessione importante: "… Lasciamo a domani / il silenzio che hai per me / lasciamo agli altri / ciò che è sempre accaduto. / Del verbo lasciare mi sorprende / la complicità del plurale". Qui dunque il poeta puntualizza con controllata amarezza che il dolore è rimasto chiuso dentro di sé, mentre ogni altro contorno, storia, memoria, gesto, è come infiltrato nella quotidianità "esterna", dei più, del mondo di fuori: ed è questo mondo esterno "complice" silenzioso degli accadimenti, nel bene e nel male, nell'ineluttabilità della morte come nella gioia momentanea di un ricordo, di un quadro, di un momento, di un daffare necessario nonostante tutto, come "… pensare alla SIM da chiudere / portare il silenzio; la voce di lei: / preavvertirla / che lo sappia".
Il controllo del verso, la misura, l'attenzione e la cura particolare riposta in ogni parola, i rimandi, le allusioni, fanno sì che i componimenti poetici di Marco Bellini, in questo libro ma anche in tutti gli altri, risultino significativi e propositivi sia per il lettore attento ed esigente, quanto per un pubblico meno incline al mondo della poesia. Inoltre pur rimanendo unico il tema, quello della morte e del ricordo del padre, i vari brani rifulgono di luce e di vita propria, singolarmente: il discorso non è mai chiuso, potrebbe continuare all'infinito senza stancare e magari con "stacchi" sempre nuovi e rivelatori di una profondità di concetti (esistenziali, filosofici, sociali, familiari, affettivi) straordinaria. La morte non è banalizzata, nonostante la purezza e la semplicità (intesa come immediatezza) del dire poetico, ma è resa sacra anche attraverso i ricordi, vividi e nostalgici, di momenti anche i più semplici, puri ed immediati, per l'appunto.
Un libro che fa meditare, dunque, sugli aspetti della "mancanza affettiva" in seguito alla perdita di un genitore, non solo, ma che invita anche a soffermarsi un attimo a considerare e ad approfondire i veri valori della vita, in un contesto, come quello attuale, di eccessiva freneticità e superficialità di comportamento sociale. La poesia, in fondo, indica anche questo: "Insistere nella nascita / chi è capace: il fiume / la fatica della sorgente ancora / come una resurrezione il fiume / che affiora tutti i giorni distante da te / che insisti nella morte". Senza timore, senza drammi, ma con la dignitosa consapevolezza di una ineluttabilità che davvero ci arricchisce spiritualmente.
Proponiamo ora ai nostri lettori alcuni testi poetici di Marco Bellini tratti dal libro, invitandoli ad esprimere ulteriori graditi commenti.


***

Una alla volta le vorrei richiamare
da dove non so. Prenderle dal vento
o dall'ultimo raggio chino dentro una serratura.
Solo un'impressione
di quelle vite passate. Richiamarle
dall'odore della polvere o dal riflesso
di una galassia nella pozzanghera
per una giusta attenzione
un disturbo consentito.

Di là, forse, il dispetto
come per un numero sgradito sul cellulare.


***

Spostando dall'angolo
un mobile mai rimosso
sollevando d'aria residui lievi
impigliata in una piuma
per caso una mosca vuota:
involucro d'ali e corpo senza peso.
Viscere perse, riverberi fiacchi
luce che passa e scompone.

La casualità di un angolo e l'ingombro
di un mobile: nessuna tomba o lapide
solo una silenziosa noncuranza
della morte per la vita.


***

Non ti abbiamo lasciato l'orologio
dove riposi al polso solo il polsino
nudo della camicia. Il ticchettio
lento si sarebbe fermato presto.

Pensata inutile se messa lì
la compagnia distratta, tenue
rimbalzo, vibrazione di poco conto.
Il tempo ha preso altre strade
non è per te quella voce

non è per te il primo canto sommesso
di fine inverno, il merlo
sulla cima del cipresso.


*** 

Ci pensavi alla morte
mentre guardavi il giardino rimasto
al di là dal vetro? Aveva conosciuto
le tue mani, i nodi del lavoro.
Da settimane metteva arbusti irregolari
una spinta incontrollata; osa di più
prendeva l'aiuola che sembrava cercare
come un figlio distante
le cure di una zappa o una parola
per un pensiero da dissodare.


*** 

Tracciavi il tempo stando dentro
il bosco; educato dagli alberi
leggevi le venature delle foglie
per sopravvivere alle distanze
tra un atto e il suo ricordo. Così
per questo tempo, in questo giorno
voglio spegnere ogni gesto
stare al centro del campo lontano
dove hai lasciato gli attrezzi
dove la pioggia e le foglie
si sono sempre parlate
e lì aspettare
che a dirmi l'ora
sia la fatica del campanile
che ti portava a casa.

Spegnere
è la voce del verbo
che ti porta.


*** 

D'improvviso, mentre cammino
mi accorgo di non avere la tua firma.
E' un passaggio della mente
senza preavviso
perché tu capiti e abiti.

Inconsapevole il passo rallenta
cercando nella memoria un foglietto
un appunto conservato che porti
quel tratto elegante delle linee
l'alternanza di curve e spigoli
a definire un profilo che non trovo.

D'improvviso, mentre cammino
mi accorgo di non avere
il tuo nome
scritto da te. Scrivere
è il verbo che ti perde.


*** 

Ora ti metto un po' da parte
i verbi un po' da parte. Ora
sembra che certi posti parlino meno
come una distrazione della mente
odori andati e suoni
una trasparenza nei colori.

Sei stanco ora, siamo stanchi

lasciamo stare ogni cosa.

(Testi tratti da "La complicità del plurale", di Marco Bellini, LietoColle, 2020; prefazione di Augusto Pivanti)

Marco Bellini, nato nel 1964, vive in Brianza. Sue pubblicazioni sono: Semi di terra (LietoColle, 2007); per le Edizioni Pulcinoelefante la poesia Le parole (2008); la plaquette E in mezzo un buio veloce (Edizioni Seregn de la memoria, 2010); Attraverso la tela (La Vita Felice, 2010); Sotto l’ultima pietra (La Vita Felice, 2013), La distanza delle orme @ – Poesie con CD Inserti (La Vita Felice, 2015); il libro d’artista Tra le spine (Edizioni Il ragazzo innocuo, 2018). Nel 2013 è risultato vincitore con inedito nelle selezioni italiane per l’European Poetry Tournament. Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi e sono presenti in numerose antologie, su blog e riviste di settore. È stato tradotto in diverse lingue europee. Fa parte delle giurie del Premio Letterario Nazionale Galbiate e del Premio Nazionale di Poesia Umbertide 25 Aprile. Collabora con il semestrale di letteratura Incroci e con la rivista Qui Libri. Ha curato l’antologia poetica Muri a secco (RPlibri, 2019). Cura la rassegna di eventi sulla poesia in collaborazione con l'Associazione artistico culturale Artee20 di Merate (Lc).


venerdì 10 luglio 2020

L'"Alienità" di Stefano Taccone


Nella dettagliata prefazione a questa raccolta poetica di Stefano Taccone, l'ottimo Ivano Mugnaini chiosa: "Alienità (che è poi il titolo del libro) nel linguaggio giuridico esprime l'essere di proprietà d'altri". Osservazione più che giusta, e che mi trova d'accordo, nell'esprimere qui qualche breve riflessione sul lavoro di Stefano Taccone. Tutti i brani del libro, infatti, rimandano, a mio parere, a qualcosa di non appartenente alla persona, al contesto sociale figurato dall'autore; o perlomeno, l'autore tenta di puntualizzare situazioni, le più varie e, anche, ambigue possibili, e comportamenti, che deviano in qualche modo dalle corrette, direi quasi ovvie, aspettative di ciascuno di noi. E sono situazioni e comportamenti che impattano sulla storia e sul consesso civile, sulla politica e sulla religione, anzi sulla religiosità, sulla giustizia e sui sentimenti.
Stefano Taccone utilizza un dettato poetico stringato, a volte lancinante, con un intenso contenuto di denuncia e un velo di sottile ironia. Componimenti che si avvicinano molto all'aforisma, e che si sviluppano via via in una sorta di sillogismo chiuso in se stesso: "Continuiamo / a baciare rospi / che non diventano / mai principi." Oppure ancora: "Un angelo / di purezza / muta / in angelo / di malinconia."
Il risultato di questa suo dire poetico è lo spiazzamento da parte del lettore, il quale resta coinvolto e affascinato da una conclusione inaspettata, dunque aliena. Il che rende merito all'autore, in quanto il fare poetico deve essere tale da proporre certamente il contenuto in sé, ma con una forma, un modo, soprattutto, che sia il più diretto e incisivo possibile.
Invitiamo ora i nostri lettori ad aggiungere altre gradite riflessioni o commenti sulla poesia di Stefano Taccone, della quale proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro "Alienità".


II

Più si offrono
olocausti all'Amore
e più Egli castiga
l'amante-donatore.


VI

La felicità è sterminata
quanto un deserto,
ma la sua eco è racchiusa
in ogni granello di sabbia,
e – perché no? –
in ogni punto
di lavoro a maglia.


XII

Trasformare
l'horror vacui
in stupor pleni.


XXIII

Il giorno in cui
si esaurirà il petrolio
raschieremo l'asfalto
fino a raggiungere
la Madre Terra
per baciarla in grembo
e riprendere
a confidare in lei,
nella morte dei semi,
nella vita dei frutti.

XXXI

La coercizione all'iperrealtà
prospera
laddove inaridisce
la fertilità dell'astrazione.

Eppure l'astrazione
è profondità
laddove l'iperrealtà
è pelle che raschia via
ogni nuova stagione.


XLVI

Prego
il Salvatore del Mondo
di liberarmi
dai salvatori di questo mondo.

(Brani tratti di "Alienità", di Stefano Taccone, Edizioni Divinafollia, 2019; prefazione di Ivano Mugnaini).

Stefano Taccone (Napoli, 1981), dottore di ricerca in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica, è attualmente docente di storia dell’arte nei licei. Dal 2013 al 2015 ha insegnato storia dell’arte contemporanea presso la RUFA – Rome University of Fine Arts. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (Plectica, 2010), La contestazione dell’arte (Phoebus, 2013), La radicalità dell’avanguardia (Ombre Corte, 2017), La cooperazione dell’arte (Iod, 2020); le raccolte di racconti Sogniloqui (Iod, 2018) e Morfeologie (Iod, 2019) e la silloge poetica Alienità (Divinafollia, 2019). Ha curato il volume Contro l’infelicità. L’Internazionale Situazionista e la sua attualità (Ombre Corte, 2014). Collabora stabilmente con le riviste «Frequenze poetiche», «Segno» e «OperaViva Magazine». Ha pubblicato sulle riviste «Boîte», «sdefinizioni», «Roots§Routes», «Titolo», «Tracce», «undo.net», «TK-21», «Walktable», «Titolo», «Sudcomune» .



domenica 5 luglio 2020

Antonella Bianco: "Il risvolto dei volti"


Il risvolto dei volti, Italic Pequod Edizioni, è la prima pubblicazione di testi poetici di Antonella Bianco. Si giunge generalmente alla prima realizzazione di un lavoro letterario, nella fattispecie poetico, quando l'autore, o l'autrice, si rende conto di aver maturato complessivamente un certo percorso creativo, un determinato progetto che abbia, nell'insieme, un sottofondo contestuale che leghi tra loro i vari brani che fanno parte della silloge. In questo modo, si da senso e valore al libro, fornendo a tutti una chiave di lettura adeguata, altrimenti sortirebbe solo una mera raccolta di versi, slegata e frammentata per quanto, singolarmente, possano apparire gradevoli e significativi i vari brani poetici.
Antonella Bianco giunge quindi a quest'opera prima con piena consapevolezza dell'importanza di una esposizione al pubblico, per quanto relativamente ristretto e preparato, di una raccolta di poesie che sia davvero considerevole e propositiva, che sia rivelatrice di idee e di riflessioni non nuove ma  suggerite e indicate con luci, aspetti, consistenze, aperture - queste sì! - certamente nuove. Perché la poesia, pur trattando argomenti, idee, emozioni, pensieri comuni e quotidiani, deve comunque saper "agitare le acque" chete del lettore, deve saperlo sorprendere, meravigliarlo addirittura: compito dell'arte, questo, e la poesia non è da meno!
Il risvolto dei volti è dunque un maturo lavoro di cesello poetico, con il quale la nostra brava autrice costruisce e suggerisce, con successo, un mondo autentico che, sovente, per quieto vivere o per abitudini formalizzate o per timore, viene messo da parte, sminuito se non addirittura represso: si tratta della propria intima verità, che attraverso i vari sensi dell'uomo dovrebbe essere espressa agli altri con serenità ma anche con forte determinazione, per non cedere ai pregiudizi, ai falsi valori e, anche, alle prepotenze che molto spesso il sistema sociale impone al singolo per condurlo su una linea di omologazioni generalizzata. La sincerità e la coerenza nei rapporti sentimentali, nell'amore di coppia come nella famiglia e fra gli amici, devono essere una prerogativa essenziale del comportamento nella società; la genuinità e la semplicità del fanciullo che è in noi, devono sempre accompagnarci nel percorso della vita. Antonella Bianco, poetessa sensibile, ha consapevolezza di questa crudezza, di questa ipocrisia che ci portiamo dentro, e con la sua poesia ci mostra il rammarico per "esserci innamorati di quei bambini già adulti con cui l'unico gioco riuscito è il nascondino"! Il risvolto dei volti è allora quella sincerità e quella coerenza, nei sentimenti e nel comportamento, che ognuno di noi sacrifica sull'altare delle false apparenze e dell'ambiguo e incerto nascondersi dietro le comodità e gli assecondamenti del trantran quotidiano. E la poesia, essendo tra l'altro espressione cristallina e libera, autentica e sincera, non può esimersi dal denunciare distorsioni e negatività: Antonella Bianco sente in sé questa urgenza e ne fa poesia, direi con risultato eccellente. Il libro, da leggere senz'altro, rappresenta il compendio di questa approfondita riflessione dell'autrice sul concetto dell'autenticità della persona; Antonella Bianco utilizza tutte le modalità poetiche di cui ha esperienza, anche come provetta giornalista: dal verso classico e dotato di una certa liricità, alla prosa poetica, all'aforisma persino.
Proponiamo dunque ai nostri lettori alcuni brani tratti dal libro di Antonella Bianco, invitandoli ad esprimere altri graditi commenti in proposito.



Il risvolto dei volti

Di quelli che si amarono da bambini nei giochi
e pensarono di poter stare insieme per sempre.
Da adulti non s'apprende lo scherzo del continuo
e ci si innamora di quei bambini già adulti
con cui l'unico gioco riuscito è il nascondino.


***

Fuori dal mondo

Il misero tempo ci sostiene, scivoliamo tra i suoi gradini.

Chi mai si ricorderà dei nostri nomi nei giorni anonimi?
Alla stazione di fronte partono treni dai vagoni vuoti.

Nemmeno noi sappiamo ubriacarci dei momenti
migliori: sono i peggiori a stagnarci a lungo dentro.
Ne abbiamo cantine piene. Ad ogni pranzo siamo lì,
a riempirci i bicchieri di passati remoti emozionali.

Mentre tu fuggi per le stanze in cerca di un riparo,
io resto chiusa fuori. Si contano in noi i pezzi ancora vivi
di una casa di cui non resta che una porta in piedi.


***

Canto d'andata

Astruso movimento:
l'insorgere dei venti che sanguinano tra i flutti celesti
spodesta, annichilisce
e la battaglia si allunga e continua fino a noi:
siamo tutti traditori, io sono Paolo e tu Francesca.
Anche i nostri vicini di casa si chiamano così
eppure si amano alla luce del sole.
Ma questo vento no, non sa darci tregua,
né dirci se soffiava anche a Troia,
quando spingeva la nave di Elena e il suo amato.

Quando urla a marzo ci ricorda che siamo umile carne:
la ragione è una scusa per invecchiare prima.


***

Esistere è un'illusione

Sento
che sta per crollarmi qualcosa addosso.
Non so dire cosa: forse tegola, ramo, nuvola.
Ho una casa
senza porte: non so difendermi dalla
sofferenza che – come un ladro –
entra indisturbata. Ed io, legata senza legami,
lascio che si prenda tutto: l'anima resta
solo in poche parti del mio corpo,
tra le orecchie e il cuore,
così che io possa
sentire
senza intervenire.


*** 

Salire in discesa

Siamo scesi per una scala mano nella mano. C'era il
silenzio di un paese in riposo. Le mie mani incorniciavano
momenti. Come una vecchia polaroid di occhi che non
abbiamo comprato e ci ha assicurato ricordi sistemati
dentro, confusi e mischiati ai sapori, agli odori buoni.
Ti ho detto fermiamoci e fermiamo il tempo. Siamo scesi
mano nella mano ma a noi sembrava di salire. Scorreva
una fontana ed era Provvidenza. Averci accanto ci ha
ricordato che siamo vivi.


*** 

Il tuo sguardo altrove

Puoi tenerti le mie cose:
il computer con i tuoi file,
il telefono pieno di segreti
a me negati, l'anello d'amore
che non indossi, i viaggi mano
nella mano, l'orologio che ti ricorda
i tuoi appuntamenti. Puoi tenerti tutto:
persino tutto il mio amore. Ridammi
indietro solo una cosa sola: l'ultimo
bacio da soli, prima che arrivassero tutti
gli altri, a riempirti la testa di candeline
da spegnere ogni giorno e il cuore
di presenze, troppo spesso mancanti.


***

Le nostre scarpe legate male

Com'è la faccia delle persone
Che non si amano più
E continuano a stare insieme?

Non ce ne siamo accorti
E siamo andati in giro così:
sospeso a me, sospesa a te.
La dipendenza della nostra indipendenza.
Questo legame ci ha fatto zoppicare.
Ti sei spostato e hai pianto.
Due pedoni per strada ci hanno detto di stare zitti.



(Testi tratti da Il risvolto dei volti, di Antonella Bianco, Italic, 2019)

Antonella Bianco è nata nel 1990. È laureata in Lettere Classiche, è docente e giornalista pubblicista. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche e ha ideato e condotto la rubrica letteraria televisiva “Parole per fare parole”, edita da “Il Vesuviano” e trasmessa sull’emittente Italiamia, in cui ha ospitato molti scrittori e poeti del panorama culturale italiano. Considera la scrittura un’isola sperduta nei mari dei perché, verso cui è inevitabile fare ritorno per colmare continentali assenze. Il risvolto dei volti, edita da Italic, 2019, è la sua prima raccolta di poesie.



giovedì 2 luglio 2020

Su "Lì un tempo fioriva il mio cuore", di Filippo D'Eliso





Riportiamo qui di seguito un approfondito commento, in forma di lettera, di Mariano Lizzadro sul recente libro di Filippo D'Eliso, "Lì un tempo fioriva il mio cuore", di cui ci occuperemo prossimamente.
Intanto ringraziamo Mariano Lizzadro e Rita Pacilio di RPlibri per averci proposto di pubblicare questa lettera/recensione.



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Caro Filippo,
bellissime le tue poesie. In molti versi mi ci sono ritrovato, forse perché l'adolescenza è la fase in cui un po’ tutti riflettiamo. Gli animi sensibili, infatti, si lasciano attraversare da turbamenti, dal desiderio di scoprire, esplorare. Le tue poesie, in un certo senso, mi appartengono anche perché la natura che descrivi,  acqua e fango e altri elementi, è la stessa della mia adolescenza.  Quello che mi colpisce di più è l'uso di costruzioni poetiche non convenzionali.  Mi spiego: durante l'adolescenza spesso capita di voler imitare i Poeti che uno sente più prossimi, invece, nel tuo modo di vedere il mondo e di costruire la realtà, noto un linguaggio profondamente personale, autentico. E poi la musica è presente già dal primo rigo fino ad arrivare all'ultimo.  La musica, grande compagna di viaggio di chi ha un animo empatico,  la musica come ispiratrice,  la musica che studiavi e che si rifletteva in quello che scrivevi. Ecco, tutto questo fa di Lì un tempo fioriva il mio cuore un piacevole cammino in compagnia di un giovane Filippo alla scoperta del mondo. E aggiungo, anche tutte le considerazioni filosofiche esistenziali che pur essendo tipiche di tanti adolescenti,  in te, attraverso un linguaggio poetico maturo, acquistano un'altra valenza:  la valenza di un suonatore di parole che cerca di mettere sulla carta quello che prova e che sente.

Mariano Lizzadro

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà