mercoledì 15 giugno 2022

La ricerca dell'"Ideale" nella poesia di Alessandra Callegari

Nei lunghi viaggi nel mondo della poesia contemporanea, capita a volte di incontrare sorgenti di eccezionale freschezza e purezza: un meraviglioso fluire di versi brillanti che offrono, dicono, affermano con schiettezza e determinazione l’originalità della fonte. È il caso della giovane poetessa Alessandra Callegari, la quale mostra di avere senza alcun dubbio una sua linea e struttura poetica decisamente propositiva e dai contenuti molto interessanti, incentrati prevalentemente sulla ricerca determinata e costante di una possibile personale verità interiore in opposizione a tutte le omologazioni e ai cliché imposti da una società quasi sempre stereotipata e superficiale.
C’è dunque, nei versi di Alessandra Callegari, questo tormento “ordinato”, controllato, misurato ma impetuoso e coinvolgente, che spinge il proprio io, e nello stesso tempo invita il lettore, a interrogarsi profondamente sul senso dell’esistenza, traguardando possibili sogni, ideali, persino utopie, che possano strappare l’uomo ad una realtà fasulla, opprimente, per ricondurlo in un mondo che sia veramente autentico, proprio, e in cui si possa finalmente affermare e confermare la propria umanità, la libertà della propria creatività.
Una poesia forte e di sostanza, quella di Alessandra Callegari, che si annuncia perentoria, indica una necessità di cambiamento di prospettiva, per sé stessa e per il lettore, con versi che si susseguono incalzanti, con una incisività profonda e convincente. 

Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalla recente raccolta “Afonia diurna”, edita da Rogiosi nel 2020. Sono testi che, a mio avviso, testimoniano in modo eccellente il dettato poetico della nostra autrice. Saranno comunque graditi ulteriori commenti e riflessioni in proposito, da parte dei lettori che da tempo ci seguono con interesse.


I. ARS POETICA

 

“Perché realizzare un’opera d’arte

quando è così bello sognarla soltanto?”

             (Pier Paolo Pasolini, Decameron, 1971)

 

Amo solo ciò che è distante

Ciò che non ha mai visto le luci infernali

Ciò che non è mai esistito.

Amo la de-realizzazione del vissuto consapevolmente,

Cenere che cade da dita rugose,

 

perché ti ostini a plasmare nell’argilla

infinitamente

ciò che solo esiste come Idea?

 

Amo l’Ideale dell’esistenza sussurrata

Del letto disfatto dopo la notte di poesia

Dei corpi avidi che si stringono alla bianca parete

Dopo essersi cercati nel sordo nulla della non-realtà

Della felicità possibile su una lunga scogliera

Ove ogni onda mi restituisce le lacrime

Ove il cielo mi riempie la bocca mentre ti ammiro

nella piena realizzazione dell’impossibile

Ove la promessa non è un delitto

 

Credo in una sola verità onnipotente

Che non coincida con quella morale

Con la doxa

Con voi tutti, che persistete nella vittoria del concreto

Nella liturgia dell’azione.

 

Credo nella mia verità perpetua

Dell’essere aria inarrestabile

E indefinita

Dell’essere acqua che fluisce

placida

dalle rocce

E che si infrange

poderosa

sul lungomare, porta della libertà non vigilata

Dell’essere sogno

Di chi non conosce le sue preghiere

Dell’essere Musa

inconsapevole

Di ogni rima incatenata.

 

Credo nella mia verità

Non meno piena di una volgarmente condivisa

Di una che semina morte

E che canta se stessa prima di ogni cosa

E che si afferra alle labbra

Di chi, folle,

incita all’azione come massima virtù mondana

Contro il dolce ozio dei sensi

Nella speranza di un Oltre non ancora inventato.

Si costruiscono muri

Che osano disturbare gli dei

si nega l’Essere

si strappano occhi

si ama male

pur di non pronunciare

l’Assurdo

ancora in vita.

 

Io,

la mia verità,

Non ho bisogno di proteggerla

Non ho bisogno della morte

Perché essa sia conosciuta.

 

Io mi innamoro dell’Assurdo.

 

Io,

La mia verità,

La diffondo con la Bellezza

Dello sguardo affamato

Con la cupidigia

Delle dita bianche

Con le forme

Velate di altrui desiderio

Con le immagini

Fasciate di un nero manto

Con le parole

Che imperiosamente mescolo e adorno e cospargo di

fiori secchi

Ormai ricordo, ormai immagine, ormai Idea

Che lascio bere come fatale filtro

A chi desidero mio adepto

voluttà di ciò che non può esistere al di fuori dei miei

atomi.

Io,

la mia verità,

lascio che viaggi come dardo infuocato

su ogni singola testa con corona di alloro trovata tra

pagine prosaiche

su ogni singolo corpo imbalsamato per i riti d’amore

su ogni anima debole che segue la falsa, accecante,

scia.

 

Credo in una sola verità onnipotente

Che è madre

Che è figlia

Che è spirito profano

 

Della mia sublimata esistenza

Che si erge nella coltre di chi arranca

Della mia imperitura bramosia

Di ciò che non voglio avere in questa vita

Ché perderebbe tutta la perfezione del non vissuto

Tra le mie mani di peccatrice

Inesperta dell’agire

Forzosa educanda della vita.

 

Mi inginocchio alla poetica del vago

Del colore sbiadito

Dell’attimo immaginato

Dell’incontro sperato

Della melodia interrotta

Del profumo sbiadito

Della voce assegnata

Dell’amplesso frammentato

Del paesaggio scorrevole

Fugace

Inesistente.

Eppure, violento.

Come me,

spirito inviolabile,

peccatrice dell’Ideale

Martoriata da un dogma che non si è mai espresso.

 

 ***

 

XIV. QUASIMODO

 

E come potevamo noi amarci

Con il gelo nel cuore

E le membra tremanti

Sconvolte dal passato;

E come potevamo noi cercarci

Con generosità e pudore

Quando siamo gettati in un’arena

Con corpi vellutati, puliti, perfetti.

Mi strazio l’anima

Mi strappo gli occhi

Urlo l’indifferenza che bevo

Dalle parole;

E come potevamo noi dimenticarci

Di essere noi

Noi, che viviamo adesso

E non ci interessa null’altro

Che la frenesia di un vivere pubblicitario.

 

Addio, sparisco qui,

mi scopro ancora viva

ma

innamorata dell’indifferenza del secolo del simbolico.

 

 ***

 

XXII. IMAGO MUNDI

 

Ho sostituito parole

Con immagini.

 

Sono per la povertà del linguaggio:

non conosco grammatica

ma traduzione.

 

Il mondo non è reale

Mediato

In figure, simboli, clichés, correnti, intertesti;

il mondo non è mai

reale

non è

più reale di me.

E cosa posso dire, allora, Io.

 

Io non mi appartengo,

non più di quanto il mondo rappresentato

appartenga a me;

Io sono il rappresentante del mondo

Che in me ha riversato se stesso,

ché con esso mi sono fuso

tetra nebbia di molecole in serie.


(Brani tratti da Afonia diurna - Esercizi letterari, di Alessandra Callegari, Rogiosi Editore, 2020)

Alessandra Callegari, nata a Napoli nel 1992, vive tra Bracciano e Napoli, sua eterna nostalgia. Si forma come umanista, affascinata da tutte le modalità di creazione umana, presso l’Università degli studi di Napoli L’Orientale, dove si laurea in letterature straniere nel 2016. Nel 2017 frequenta presso l’Istituto Cervantes di Napoli un master in Traduzione letteraria per l’Editoria, che le dà la possibilità di indagare ancora più dall’interno i meccanismi della poesia e di curare la traduzione di alcune liriche pubblicate nella rivista letteraria messicana Círculo de poesía. Nel 2018 cura la traduzione dall’italiano allo spagnolo della raccolta poetica Sorgente di giardini di Maria d’Albo (Raffaelli Editore). Tra il 2019 e il 2021 si concentra sullo studio del linguaggio nella letteratura spagnola degli anni '60, partecipando ad alcuni convegni internazionali (L'Orientale, 2019; University of Massachussets, 2021) con degli interventi sullo scrittore Luis Martín-Santos. Attualmente lavora come consulente letterario presso una casa editrice romana. Afonia diurna – esercizi letterari, è la sua prima raccolta di poesie. 

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