sabato 28 novembre 2020

Il "Sillabario senza condono" di Giorgia Deidda

 

Di questa silloge della giovane poetessa Giorgia Deidda, i versi che maggiormente desidero prendere come sintesi dell’intera architettura poetica, sono i seguenti: ... perché il dolore ti circoscrive e ti vuole far rimanere / solo, / no, nessuno, solo tu e lui, / compagni di vita, a braccetto come Montale / su un milione di scale / e ad ogni scala una fitta al petto, / e tu cerchi di spiegare ma sei solo, / sei solo, /sei solo. Sono versi tratti dal libro “Sillabario senza condono”, edita da Amazon nel corrente anno, e che segna l’esordio poetico della nostra autrice pugliese. Dicevo, sono versi importanti e significativi, in cui la Deidda concentra, a mio parere, la sua linea poetica, incentrata sulla consapevolezza di essere immersa in un mondo essenzialmente pervaso dal dolore e in cui lei stessa si vede anima e corpo minimi rispetto alla complessità dell’universo; una consapevolezza che denota la sua indubbia maturità ma anche la sua volontà di confutare questo dolore attraverso la poesia; si tratta, beninteso, di un dolore esistenziale, affettivo, il quale però può persino interessare la fisicità del corpo, tanta è la sua intensità. La nostra giovane autrice ha voluto dedicare la sua poesia al fidanzato, Gabriele Galloni, che, come è noto, è venuto a mancare proprio quest’anno. Mai dedica è stata più appropriata, per la coincidenza dei contenuti poetici dei due autori, per la medesima serietà e consapevolezza profusi nel loro percorso creativo. La Deidda aveva nel classico cassetto questo “vulcano” letterario che ora erompe come lava di fuoco dal suo cuore, ma con una misura ben controllata delle parole e dei versi, già da esperta conoscitrice di quella materia lavica che è, in fondo, la poesia.
In “Sillabario senza condono”, titolo alquanto esplicativo, la Deidda sceglie con coraggio da eroina le posizioni e i comportamenti più adeguati per “stare” nel mondo, accettandone, senza condono, tutti i frangenti dolorosi, le perdite, le mancanze, le negatività ma anche segretamente accendendo qualche lume di speranza: "C’è una vita dentro di me. / È l’assenza, non preghiera, delle cose lontane".
È un libro molto denso e articolato, a testimonianza di un percorso affettivo e psicologico maturato da lungo tempo, nonostante la giovane età, e che la nostra poetessa è riuscita ad incanalare nella sua originale espressività poetica con particolare veemenza e determinazione. Anche il suo dettato poetico si mostra deciso e variamente configurato a seconda dello stato d’animo contingente, del tema, del ricordo, della riflessione, e quindi si struttura su brani poetici succinti, a volte allusivi, mentre in altre parti della raccolta i testi sono più lunghi e discorsivi.
Nell’augurare alla nostra brava e giovane autrice Giorgia Deidda gli apprezzamenti che merita nel suo procedere lungo le luminose vie della poesia, proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo recente libro; i lettori che ci seguono potranno aggiungere ulteriori graditi commenti in merito. 



Radici

Io avanzo perfino immobile
sopra la terra aperta e scopro
che son tutta lavorata e ugualmente
ricca di pioggia.
Non faccio che osservare
dentro la scintilla e nelle cose
che occupano uno spazio
tra le fratture
la gente nuova e quella perduta.
Buona la terra e buono il mare
se oltrepassa la frontiera
o quando – come me –
si lascia attraversare.


***

Tessuti

Da oggi il bianco si riaccende
afferra la spina dell’inesistente,
il mio sillabario senza condono
con abiti uguali tutti gli anni,
ci svia mentre parliamo del vulnerabile
che formiamo.
Specialmente se il vento con dita gelate
mi accarezza il viso.
E lancio un grido d’ombra che il mare,
udendo,
tossisce e trema.


***

Assenza

C’è una vita dentro di me.
È l’assenza, non preghiera, delle cose lontane.
È il guardare la pellicola da vicino
e toccarne gli arabeschi e le intarsiature,
è godere della bellezza nascosta
nelle cose dimenticate,
è guardare
senza rimpianti i propri occhi, è guardare
quelli degli altri senza più paura.


***



A volte vorrei che il mio pianto fosse rispettato,
perché ha una dignità e cresce alimentandosi con le lacrime,
una radice da giardino, si innaffia ogni tanto,
gli si parla vicino per farlo crescere in torrenti mostruosi,
e poi si aspetta che plachi le bufere e i maremoti,
che si dissolva come gocce bagnate uniformate sulle guance,
il viso tutto spettinato, le ciglia pini grondanti d’acqua che ancora scrollano via l’acqua rimasta putrida.
A volte vorrei che si rispettasse il dolore,
che è un semino in potenza ma che spazza via tutto,
anche il respiro
- mamma non sento più niente -
e ti anestetizza il lugubre appiccicaticcio
sulle fronde del cuore, incurante delle carezze
ti butta a terra e gridi strilli
- Signorina la smetta si rialzi -
mi diceva la guardia in ospedale, come se fossi
una bambola da buttare via, o una malata senza speranza,
io vi chiedo di non calpestarlo questo dolore,
che brucia le viscere e buca i polmoni,
così che tu non possa più respirare,
e neanche dire addio,
perché il dolore ti circoscrive e ti vuole far rimanere
solo,
no, nessuno, solo tu e lui,
compagni di vita, a braccetto come Montale
su un milione di scale
e ad ogni scala una fitta al petto,
e tu cerchi di spiegare ma sei solo,
sei solo,
sei solo.

***


Le rotaie sono il mio prossimo treno
rigore del tempo cronometrato nei
segnali orari. Hanno memoria
di un vecchio appuntamento,
un lavoro continuo per pagare
false risate, un pomodoro a fette
sul pane come soglia del mio sguardo,
una domanda lontana si impossessa
di me, sonnambula e trasparente
attorno a questo mio corpo in tante
schegge. Un doppio effetto a cui
non posso pensare, dovevo perdere
prima con un nervoso silenzio.


(Brani tratti dal libro "Sillabario senza condono", di Giorgia Deidda, Amazon ediz., 2020)

Giorgia Deidda è nata a Orta Nova (Foggia) nel 1994. Ha studiato Lingue presso l'Università di Bari.

1994 Orta Nova (Fg) studiato lingue all’università di Bari

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