Poesie controcorrente è la recente raccolta poetica di
Fabio Dainotti, pubblicata dalla Biblioteca dei Leoni lo scorso mese di luglio, con prefazione di
Paolo Ruffilli. Partendo dall’assunto che il titolo di una raccolta è, in qualche modo, già molto indicativo riguardo al tema dell’intera opera, mi sono chiesto cosa l’Autore volesse significare con il termine “controcorrente”. Si tratta di una presa di posizione poetica, filosofica, comportamentale? Si tratta di una poetica che, in un certo modo, esula dai canoni convenzionali in base ai quali una poesia può definirsi tale, per forma, stile, struttura e persino per contenuti?
Ma leggendo, anzi “osservando” più attentamente la copertina del libro, ho notato subito che, sotto al titolo, il termine “controcorrente” è riscritto come se la parola fosse stata riflessa da uno specchio. Concentrerei quindi su questo particolare del libro la mia breve attenzione, in quanto mi piace ritrovare “tra i versi” di un autore, lacerti di idee e di figurazioni che a volte esulano dal discorso principale proposto: la poesia, specie quando è intensa e propositiva, offre sempre diversi spunti di riflessione, diversi percorsi da seguire partendo dalla cima, cioè dalla apparenza più significativa e ovvia che si può evincere dal testo, fino a specificare linee parallele di intendimenti: un po’ come scendere dalla cima di una montagna percorrendo i vari sentieri lungo le pendici fino a valle.
In questo senso, vedo in questa recente raccolta di
Fabio Dainotti un tentativo ben riuscito di fondare il suo discorso poetico su un accentuato andamento dal grande al piccolo evento.
Controcorrente, appunto, perché di solito la poesia parte dall’elemento minimo per poi giungere ad una generalizzazione del concetto o dell’argomento trattato. Qui invece Dainotti si “addentra” nella poesia, come aprendo di volta in volta le fatidiche scatole cinesi, verso dopo verso, fino a raggiungere un minimo elemento, il granello di verità o di novità finale. Ad esempio, nella poesia “
La passeggiata”, a pag. 29, il poeta parte da un panorama ampio come può essere un viale alberato di Milano, inondato dalla luminosità di una giornata di giugno, per terminare con il particolare dell’immagine delle signore che
sfilavano eleganti / con ombrellini al braccio: il tutto si concentra in questi due versi finali, tutto il mondo sembra puntualizzarsi nella stereotipia e nell’ovvietà di gesti e abitudini formali, che davvero sembrano prendere il sopravvento sugli aspetti più sostanziali e urgenti, meritevoli di maggiore attenzione al fine di dare un senso alla nostra esistenza. Ma tant’è! Il discorso esistenziale, in
Fabio Dainotti, è appunto evidenziato ottimamente, quasi per “contrappasso”, “controcorrente”, se vogliamo, quando il poeta ci mostra, tramite i suoi versi, un mondo minimale, ridotto a pochi tratti essenziali, quotidianamente ripetitivi e ovvii, specie nell’ambito affettivo: “…
Il giorno dopo udii cigolare / il divano di là: qualcuno forse / tentava di abbracciarti. / Ti sentivo ansimare, / ma poi: C’è lo studente! mormorasti. / Certo non ero l’unico / uomo della tua vita” (pag 54). Ma la potenza della poesia di
Fabio Dainotti sta proprio in questo segreto nascosto generalmente negli ultimi versi: uno stato piatto, usuale, consono alle prospettive di una società omologata e omologante; ed è da questo stato minimo, visto “controcorrente”, che è possibile, una volta provato e vissuto, il riscatto e la riconquista di cieli più elevati, la riconsiderazione di una mentalità e di una esperienza più ampie, partendo dalle piccolezze e dagli errori che la società consumistica a volte induce a commettere.
Fabio Dainotti è dunque testimone di questo stato minimo, come afferma anche
Paolo Ruffilli nella sua dotta prefazione, e la sua poesia ne è cartina al tornasole, indicandone e quasi denunciandone le particolarità, ma nello stesso tempo, come ho già ribadito più sopra, ne indica l’uscita verso orizzonti più vasti. E dunque il dettato poetico di
Fabio Dainotti, in questa raccolta, è aderente a tutto ciò, mostrandosi essenziale e diretto, non privo di una certa ironia.
Ma lasciamo ora ai nostri lettori il compito di aggiungere, se lo vorranno, altre gradite riflessioni o commenti in proposito, dopo aver letto il libro o anche i brani che qui di seguito proponiamo.
In visita Quasi ogni giorno venivo a trovarti
nella casina bassa,
affondata tra il verde dei cespugli;
legavo il mio cavallo
alla grata di ferro del giardino.
Tua madre ti adorava,
impressionata da tutti i tuoi libri
colorati sopra gli scaffali;
tu, però, la trattavi sempre male.
Rimaneva stupita del mio arrivo.
“Quest’umile casina, disse un giorno,
non è adatta nemmeno come stalla
per il cavallo del tuo amico Fabio.”
(
dalla sezione “Strani amori”)
***
La passeggiata La littorina fermava
in un viale alberato di Milano;
era giugno, la luce dilagava.
Vimercate: fermata in pieno centro,
tra un’edicola in fiore di giornali
e il chiosco per la musica d’estate.
Le signore sfilavano eleganti
con ombrellini al braccio.
(
dalla sezione “Figurine”)
***
Vittoria o della gelosia Si chiamava Vittoria: lui non so
più. Venivano i due da Milano;
lui smilzo e alto, lei con un bel seno
sotto il succinto costume da bagno.
Così la trassi dietro una cabina
e l’abbracciai. La spiaggia era dorata.
Ma non gradì per niente la mia fidanzata,
che, furibonda, parlava di un torso.
Il forestiero non la comprendeva,
la guardava, la bocca semi aperta;
allora lei, nervosa: “Il torso, quello
che… si mangia la mela e poi si butta”:
(
dalla sezione “Un amore”)
***
Una chiesa laggiù C’è una chiesa laggiù, ci si arriva
da un vicolo in discesa, che costeggia
un giardino alberato con le aiuole.
C’è uno zampillo chiaro nel giardino,
che canta una sua canzoncina,
di sole quattro note,
ma vorresti ascoltarla sempre, sempre.
È l’acqua primordiale della nascita,
che ti culla e ti invita ad annullarti,
come una macchia, nella nuda terra.
(
dalla sezione “Amor sacro”)
***
Dopo l’amore “M’hai svegliata”, dicesti, dilatando
gli occhi, dopo l’amore.
“Ti amo”, dissi io, studentello inesperto;
ma tu, diretta, senza orpelli: “Io no!”
Il giorno dopo udii cigolare
il divano di là: qualcuno forse
tentava di abbracciarti.
Ti sentivo ansimare,
ma poi: “C’è lo studente!” mormorasti.
Certo non ero l’unico
uomo della tua vita.
(
dalla sezione “Racconti in versi”, dittico per Agostina locandiera)
Brani poetici tratti da Poesie controcorrente, di Fabio Dainotti, Ediz. Biblioteca dei Leoni, 2020, prefazione di Paolo Ruffilli.
Fabio Dainotti (Pavia
1948), presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, di cui è stato per
anni presidente e direttore, condirige l’annuario di poesia e teoria “Il
pensiero poetante”. Ha pubblicato di poesia: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo,
Avagliano editore, 1996; La Ringhiera,
prefazione di Vincenzo Guarracino, Book, 1998; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, 2001; Un mondo gnomo, Stampa alternativa, 2002; Ora comprendo, prefazione di Luigi Reina, Edizioni Scettro del Re,
2004; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina, prefazione di Sandro
Gros-Pietro, Genesi, 2015 (Primo premio “I Murazzi” con pubblicazione premiale
gratuita); in edizione bilingue Requiem
for Gina and other poems, prefazione di Enzo Rega, Gradiva, 2019. Ha collaborato a numerose riviste di settore
(tra cui “Capoverso”, “Misure critiche”, “Gradiva”) ed è presente in molte antologie.
Ha tenuto reading di poesia in Italia e all’estero. Come conferenziere, ha
parlato su argomenti di letteratura e di interesse dantesco e commentato canti
della Divina Commedia. Il mensile
“Poesia” si è occupato criticamente della sua opera e su RAI TRE sono apparsi
servizi su eventi da lui promossi. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de
Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco
(2010).