Dell'ottimo Samuele Editore, sempre attento nella selezione
di opere letterarie e in particolare poetiche di sicuro interesse, proponiamo
qui di seguito alcune poesie tratte dal libro "Il giardino
dell'attesa", della poetessa romana, ma di origini lucane, Rosa Salvia.
Qualche breve riflessione su questa gradevolissima
pubblicazione è d'uopo, ma soltanto per contribuire ad una maggiore diffusione
del libro e della sua Autrice nel mondo letterario attuale, se mai ce ne fosse
davvero bisogno, constatata la notorietà, la bravura e la qualità indubbie della poetessa.
Ciò che principalmente ci ha colpito, nella lettura della
raccolta, è stato il progetto creativo fondato essenzialmente sulla figura del "giardino",
anche se poi il libro si completa con ulteriori idee poetiche, non ultime la
sezione "Intermezzo" con versi brevissimi, quasi degli aforismi o
addirittura haiku, che esulano, almeno in apparenza, dal filo conduttore
principale, che resta il "giardino" con tutti i suoi corollari e
collegamenti metaforici e allegorici più o meno forti.
Ognuno ha dunque un proprio "luogo" dove
incentrare, o meglio proiettare, tutto ciò che è positivamente complementare
alla propria quotidianità, al proprio vissuto. Si tratta evidentemente di un
luogo, di uno stato, piuttosto "segreto", personale, intimo,
coltivato e amato proprio in virtù del fatto che in questo luogo, e da questo
luogo, acquisiscono ricchezza e significato gli aneliti e i misteri della vita,
le emozioni e, insomma, tutta la sfera sentimentale e spirituale dell'uomo. I
Poeti in modo particolare, ma tutte le menti e i cuori creativi, si relazionano
a questo "luogo" interiore/esteriore fatto di verità e di valori
ineccepibili, basilari, a questo "angolo" del loro mondo quotidiano.
Rosa Salvia esplicita questo "locus" nel "Giardino
dell'attesa", dove la nostra Autrice colloca e fonda la sua filosofia e il
suo credo artistico, traendone esiti di alto lirismo e di grande condivisione
da parte del lettore attento e sensibile, che sa leggere oltre la filigrana del
dettato poetico, peraltro accattivante e fluido, pur nella giusta sobrietà ed
essenzialità dei versi.
Il "giardino" di Rosa Salvia è in effetti una
sorta di mondo ideale, una visione propria della vita, tendente alla bontà
della Natura e della terra, con i suoi frutti e le sue creature, e con un forte
senso escatologico. È un mondo "rovesciato", con le radici
dell'albero nel cielo: "il giardino
sopra la casa è un punto, un paese, il locus dove si trova il seme e lo spazio
che accoglie quel seme". Il giardino è dunque il ricettacolo della verità propria e
dell'uomo, di tutti gli uomini, perché è posto al di fuori di un mondo che
contamina e comprime, ma è anche la proiezione dell'anima, quella parte di noi
che non si lascia corrompere né sviare.
Il libro prosegue, come dicevamo, con altre costruzioni
poetiche, sempre di ottima qualità e preservando lo stile e la forma
personalissimi, consoni ad un progetto poetico complesso ma uniforme, con testi
che trattano largamente ricordi (per esempio "Monte Lifoi") ma anche
la natura e le sue creature.
Un testo davvero interessante, che offre spunti di
riflessione ulteriori, come proponiamo ai nostri amici che ci seguono su questo
sito, dopo aver letto e gradito la selezione dei testi presentati.
Il giardino
dell'attesa
Il giardino sopra la tua casa
è un punto, un paese,
il locus in cui si trova
il seme e lo spazio che accoglie
quel seme.
Il giardino è un albero e la terra in cui
quell'albero mette radici.
Il giardino è un albero di noci
il terreno a cui esso fa ombra
e sul quale lascia cadere i suoi semi.
Il giardino è un punto
a cui il campanile coi suoi rintocchi
unisce in un unico cerchio
la musica empedoclea dello sfero.
Il giardino è una frenetica linfa
è un filo di ragno
un sentimento e un pensiero
come il respiro di Saffo.
***
Risvegli
Il giardino stremato comincia a sottrarsi
alla morsa del gelo.
I rami nudi degli alberi, non più pietrificati,
paiono scorrere nell'aria come capelli.
Rigagnoli neri corrono fra cuscini di neve sporca.
Tra i tetti di ruggine e acqua scivola un gatto.
Il tuo corpo assapora lo sboccio dei fiori
e si scioglie con loro
sotto un sole ancor fresco di sonno.
La sua danza stupisce la terra.
Il giardino è paziente
nei suoi piani e denso
accanto a una spina di rosa
si sviluppa e ferisce,
accanto all'improvvisa svolta
nell'ora degli scavi,
si ramifica
in compagnia di ricordi,
è il gioco della pentola
e il dondolio dell'altalena,
la pelliccetta rossa
e i fagioli per la tombola.
Tutto scorre,
ma uno solo è il corso delle cose.
***
Monte Lifoi
Fra le sue buche e le sue gole
mentre incalza l'impervia salita
più leggero si fa il peso
del vivere più lungo il raggio
del pensare –
Sulla cima appena un fiato
che imbruna –
Nella valle il paese fuma –
la torre normanna attende pensosa
nella screpolatura dei tempi
un'aurora di storia.
Scendendo la china
riprendi la gravità del corpo
un osso sbiancato
dal nuvolo grigio dei camini.
Li vedesti tutti.
Sedevano con i loro abiti scuri
sulle sedie a raggiera
attorno al feretro.
C'era Bianca, Tarulli, Tituccio il ferroviere,
Fifì, Salvatore il farmacista, Vitantonio.
C'erano altri vicini di casa…
I nomi li ha con sé il vento.
Parlottavano fra loro in sordina
o tacevano con l'aria compunta –
Pareva che dormisse satollo
come non lo era da anni
tuo padre.
Tituccio s'alzò di scatto;
incerto ti fissò a lungo.
Gli tremava, debole, la bocca
un poco, poi tentennò il capo.
<<Con quale treno sei venuta da Roma, Rosa?>>
***
I resti del castello
Un raggio abbracciava in una nuvola
i resti del castello
e un minuto dopo era una pioggia
sottile
che si scioglieva sulle pietre.
In una calma stupita fatta di foglie
e di nulla
sentivi come una scia di presenze
che mormoravano sottovoce
le loro misteriose preghiere.
Sul diario fissavi un nome,
una stella,
e dell'eterna immagine
il senso e il dolore.
***
La civetta
Poetessa dell'aria, invero, è la civetta
su quell'angolo di tetto del campanile
in cui all'alba apprende, assorta, la
lezione del silenzio.
Sta zitta, guarda in giù sporgendo e
stravolgendo il capo al giorno che si
apre in una sfumatura, in un filo d'erba,
in un sorso d'acqua. In un saluto.
Il tocco dell'orologio segna le sette e
tinge di rosso il suo petto. Il tempo si dilata,
teme che qualcuno rapisca i suoi pensieri.
e quando dalla strada s'odono schiamazzi
replica a gran voce nella sua lingua
simile a Musa sdegnosa e rabbiosetta.
***
Un bruco qualunque
Un bruco qualunque andava a passeggio
alla sua goffa maniera,
lordandosi di polvere.
Si trascinava dietro le tenui vibrazioni
del respiro
vedendole riflesse lungo i muri,
in ritmi, disegni, forme
d'una sintassi che produce
cose aeree come il vento e la luce.
***
Bisogna pensare alla
madre
Bisogna pensare alla madre come terra inerte
e al tempo stesso bramosa di frutti
perché, nel gioco fra passività e desiderio,
lo spirito maschile compia la sua riproduzione,
a distanza,
come si addice al sole che, con l'energia dei suoi raggi,
scalda la materia e causa la vita –
Là dove non sei sicuro di sapere se esisti.
Testi tratti da: "Il giardino dell'attesa", di Rosa Salvia, Samuele
Editore, 2017; prefazione di Pasquale Di Palmo.
Rosa Salvia è nata a Picerno, in provincia di Potenza; vive
a Roma dal 1986. Docente di Storia e Filosofia nei Licei, ha esordito nel 1991
con il romanzo breve La parola di Elsa.
Tra le sue successive pubblicazioni in versi: Intermittenze (Aletti, 2003), Luce
e polvere (Aletti, 2005), Le parole
del mare (LietoColle, 2007, Premio Internazionale di Poesia e Narrativa
"Cinque Terre – Siro Guerrieri" e Premio Nazionale di Arti
Letterarie, Torino), Mi sta a cuore la
trasparenza dell'aria (La Vita Felice, 2012), Dolore dei Sassi (Puntoacapo, 2015). Ha meritato diversi
riconoscimenti letterari, fra cui la menzione speciale al Premio Montano 2016. Testi
editi o inediti sono stati pubblicati in diverse antologie. Per la critica
letteraria, il saggio narrativo Frammenti
di un discorso poetico, è stato segnalato al Premio Montano 2015 (sezione
prosa inedita).
Nessun commento:
Posta un commento