mercoledì 20 agosto 2025

I "Corpi estranei" di Antonella Sica

Sembra che il poeta, in genere, tratti con una sorta di sufficienza letteraria la realtà circostante, proprio per penetrarne con maggiore rendimento l’arcano e quindi poterne poi esprimere in versi l’essenza, e da questa prendere l’abbrivio, l’input, al fine di ampliare quel nocciolo di partenza, estenderlo verso altri piani semantici, altre dimensioni, altri significati. E tutto questo, senza esserne emotivamente coinvolti. Giacché occorre una certa lucidità, quasi un certo distacco, per affrontare poi, con vigore e serenità, il lavoro poetico che da quei messaggi dalla realtà ha preso spunto.
Tuttavia, una minima dose di coinvolgimento emotivo deve pure esserci nella mano che va scrivendo i versi. I corpi estranei sono fuori, sono là, ci chiamano, pretendono di essere spiegati, compresi, persino, forse, ammaestrati. È compito del poeta, un po’ come il classico domatore di leoni, lavorare nella gabbia delle emozioni, dei ricordi, dei fatti, e cercare di mettere ordine, di ammansire quei guizzi emotivi che il mondo, dalla più lontana terra del mistero, alla più vicina, anzi prossima, stanza abitativa e familiare, ci mostra continuamente. Il groviglio informe e ribollente che preme dal di dentro va dunque gestito dal poeta con una certa abilità e maestria, onde ricavarne il profondo senso e spessore di significati validi e condivisibili per tutti coloro, lettori e amanti dell’arte poetica, ne vorranno gustare gli echi. Altrimenti il tutto diverrebbe un disordinato sproloquio di versi, magari anche ben costruiti tecnicamente, ma privi di anima.
I corpi estranei di Antonella Sica sono oggetti non oggetti, luoghi non luoghi, persone non persone: voglio dire, che la maestria poetica dell’autrice, in questa silloge, è tale da renderla partecipe delle vicende e delle emozioni che lei stessa narra, pur rimanendone, non dico distaccata, ma sicuramente in grado di gestire l’intensità e la complessità della sfera emotiva che questi corpi le suggeriscono.
Corpi sono evidentemente la madre, il padre, il fratello; luoghi sono la casa, le stanze, ma anche il mondo di fuori. I corpi non hanno poi identità precisa, appunto, essendo corpi. E quindi troviamo la bellezza e l’intensità retorica che solo la poesia può dare, accorpando, unendo più oggetti o persone in un unico drammatico significante: “Madre di Luna pietra madre ragnatela” è solo un esempio di come l’autrice riesca in un solo verso a concentrare l’evanescente figura della madre, il corpo della madre, donandole peculiarità di altri oggetti: luna, pietra, ragnatela…
Antonella Sica si muove dunque con ispirata sensibilità tra questi corpi estranei, vivendoli ed osservandoli in profondità, e con la sua grande competenza letteraria riesce a svelarne il segreto nucleo palpitante, ancora palpitante, laddove questi corpi hanno una voce e una vita, che solo un poeta attento riesce a cogliere: che si tratti della figura della madre o di un angolo di casa o di strada, di una particolarità esterna, sono comunque tutti originari di un flusso emotivo o perlomeno di un messaggio che innesca nell’animo del poeta quell’input necessario a sommuovere l’idea, il progetto creativo che porterà alla realizzazione della poesia.
Un progetto poetico considerevole e valido, questo libro di Antonella Sica, che ha giustamente meritato il premio “InediTo – Colline di Torino”, nella sua 22a. edizione, e che è inoltre arricchito da una dettagliata prefazione di un’altra poetessa di grande spessore, Camilla Ziglia.

Qui di seguito alcuni brani tratti dal libro:


Madre di Luna pietra madre ragnatela

di capelli sul guanciale madre pallido

ansimare madre spenta nella parola

madre impiccata al sorriso

in bianco e nero madre

che non ricordo madre

impastata nel corpo

madre

 

che sei andata via

come si spegne la luce

nella stanza di un bambino

 

 

***

 

 

Era una casa divisa in gabbie

perimetri di fiato e dolore

corpi estranei cuciti dal sangue.

 

A tavola a ognuno il suo posto

geometria instabile dei pasti,

la luce piombata dall’alto

un ritratto di famiglia elettrico.

 

Corpi stretti nella notte alle coperte

galleggianti nella trama dei respiri

la sveglia scandiva l’assenza ai miei occhi

spalancate finestre alla fuga.

 

 

***

 

Ho una bambina sulla schiena

il suo corpo è nuda cantilena

mi riempie i capelli di nodi

per divorare il mio pianto

 

la bambina di notte dondola

cigola come un’altalena

col suo alito di bosco sussurra

cristalli di sale sul cuscino

 

mentre sogno indossa le mie mani

disegna una volpe che gioca coi cani

fuscelli i fremiti del suo respiro

un nido di parole che scopro al mattino.

 

 

***

 

Sul precipizio domestico del letto

il silenzio è un rombo di valanga

uccide lentamente nel sonno

 

oltre la parete esposta al mare

la città si ostina ad impazzire

fatica a pagare l’affitto

 

migliaia di luci elettriche

nascondono la morte delle stelle.

 

 

***

 

Non è ancora l’alba. Non ancora.

Il silenzio al di là delle tende

è uno sciame d’api

pronto a colpire. Alle spalle il frigorifero,

col suo reticolo elettrico

combatte per il freddo interno

parla da solo come un ventre troppo pieno.

Sotto una luce pendente

scrivo con l’ombra

della mano sul foglio. Briciole

si attaccano al palmo che scorre

quasi a chiedere un ultimo gesto d’attenzione

colonizzando il bianco.

 

Mi sono alzata per un sogno, forse.


***

Antonella Sica, Corpi estranei, Arcipelago itaca Edizioni, 2025; prefazione di Camilla Ziglia. Opera vincitrice alla XXII Edizione del Premio InediTO – Colline di Torino.

Antonella Sica, genovese, è laureata in Lettere Moderne. È regista e manager culturale in ambito audiovisivo e cinematografico. Ha fondato e co-diretto il “Genova Film Festival” dal 1998 al 2015. Nel 2014 ha vinto il premio per la migliore silloge del concorso indetto dalla Casa Editrice Prospero. Nel 2017 ha vinto il Premio Internazionale di Poesia “Città di Milano”. Nel 2019 ha vinto, ancora come migliore silloge, il XX Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle donne”. Ha partecipato a diversi incontri di poesia in varie città italiane.

domenica 17 agosto 2025

"L'anima dei poeti estinti", il saggio di Angela Greco e Caterina Lazzarini sull'opera di Brina Maurer, Premio Pollino-Ponte D'Argento 2025. Macabor Edizioni

Segnaliamo volentieri in questo nostro spazio di Transiti Poetici un interessante volume dedicato all’opera letteraria di una valente poetessa e scrittrice, Claudia Manuela Turco, in arte Brina Maurer. Il libro, che s’intitola “L’anima dei poeti estinti”, è edito da Macabor, nel corrente anno 2025, in occasione del Premio Pollino – Ponte d’Argento, seconda edizione 2025, assegnato all’autrice.
Il Premio è stato fondato da Bonifacio Vincenzi, direttore editoriale di Macabor nonché poeta e attivissimo operatore culturale che si prodiga da anni nell’organizzare importanti incontri ed eventi letterari, in particolare nel nostro sud peninsulare, e validissimi premi letterari, quali, appunto, il Pollino.
La pubblicazione di questo libro è, tra l’altro, il risultato di un lavoro intenso e certosino, di altissima qualità, il che sta a denotare la grande serietà e professionalità degli organizzatori del Premio, laddove ben difficilmente, in altre iniziative del genere, seppur lodevoli e validissime, è possibile che l’autore premiato riceva un così ampio trattamento critico-letterario.
In questo libro, infatti, c’è praticamente tutta l’attività letteraria di Brina Maurer, almeno fino al 2025. Sono esaurientemente riportate note critiche sulla sua attività, scritte da personalità importanti del panorama letterario nazionale, e poi vi è un dettagliato curriculum con i premi e i riconoscimenti ottenuti. La figura dell’autrice e la relativa vena letteraria sono ampiamente descritte nelle prefazioni e introduzioni di Angela Greco AnGre e Caterina Lazzarini, curatrici del libro.
Chiude il volume una interessante sezione antologica con brani poetici e di narrativa tratti dalle ultime opere dell’Autrice.
Soltanto per motivi di spazio, e per offrire ai nostri lettori qualche esempio di buona poesia, riportiamo qui di seguito alcuni versi.


Da L’innocenza usurpata, 2021

(La stesura del libro risale al periodo ottobre-novembre 2017)

 

Crocifissione blasfema


Con le unghie spezzate e i denti insanguinati

la ragazza aveva difeso

la sua inviolabilità

soltanto nella finzione del pensiero.

Nella realtà, invece,

il respiro soffocato

e la paralisi

l’avevano salvata

fingendosi morta.

Poi una vita agra,

spesa a dimenticare e nascondere

il proprio corpo,

ma non le sue ferite.

Sanguina,

il mosaico di vetri aguzzi,

e l’anima oscilla

come carne appesa al gancio.

Senzafigli, ella desta invidie

e accuse di egoismo,

come se la sua testa,

servita su un vassoio d’amianto

al mattatoio,

non fosse mai stata sulle spalle.

Senzasesso, ella irrita persino

la donna che scruta

nel suo ventre:

–ecografia di vergine adulta

brucia la santità

sull’altare della follia –.

E gli anelli

non chiudono

la perfezione,

bensì creano supporti,

che divengono ceppi alle caviglie.

Per piedi ancora inchiodati

al trauma

della croce.


***


A merenda, dalla mamma

 

Non gli bastava

la pelle di animali abbattuti

a fini alimentari,

da prendere a calci.

I ragazzini del quartiere

Italian History X,

annoiati in un pomeriggio assolato

di inizio estate,

catturarono

un inerme gattino di strada,

per disputare

la partita della loro vita.

La creatura

–poco più che cucciolo e già orfano,

miracolosamente sopravvissuto

a un difficile inverno –

si era fidata

di quel sorriso e di quelle mani.

Ma poco dopo il branco

–tutto umano –

se lo passò di piede in piede,

in un cerchio di fratellanza

che garantiva l’impunità.

L’ultimo colpo di tacco

e il lancio più lungo.

Poi ognuno a casa propria,

dalla mamma per l’ora del tè.

martedì 22 luglio 2025

I nuovi "Nocturnos" di Giovanni Bracco, con una carta di Papa Francisco

Di Giovanni Bracco, poeta e giornalista di grande talento, originario di Polla in provincia di Salerno ma residente da anni a Roma, abbiamo già avuto modo di apprezzare la sua intensa produzione letteraria in ambito poetico, con alcune riflessioni pubblicate su Transiti Poetici. In particolare, abbiamo sottolineato la sua peculiare linea poetica in “Nocturnes” con una nota del 28 dicembre 2021 (https://transitipoetici.blogspot.com/2021/12/nocturnes-la-drammatica-attualita-nelle.html).
Questa raccolta, veramente complessa e pietra miliare, direi, della già importante e vasta attività letteraria dell’autore, dimostra l’assidua dedizione da parte del nostro Poeta nei confronti di un’opera che sta in effetti all’apice della sua attuale produzione, ritrattandola nuovamente e con ulteriori importanti elementi.
Elemento più rilevante della nuova raccolta è senz’altro la lettera di Papa Francesco, inserita a mo’ di prefazione nel libro. Una lettera che impreziosisce l’opera, con considerazioni di elogio e di fraterni apprezzamenti nei confronti dell’autore. Lettera scritta in spagnolo originale e per la quale non è stata necessaria la traduzione, dando così maggiore risalto ed unicità alla poetica della raccolta.
L’altro elemento è la riproposta della silloge con i testi in italiano e la relativa traduzione in spagnolo, mentre la precedente era con la traduzione in inglese.
Si tratta quindi di un ulteriore proposta per noi lettori, a livello internazionale e, con in più, la luce delle parole di Papa Francesco. Una poesia, quella di Giovanni Bracco, che ancora ci emoziona e ci coinvolge, per la sua intensità e per il suo spessore, in grado di trattare argomenti e stati d’animo i più svariati, dal personale alle più complesse problematiche sociali.

Giovanni BraccoNocturnos, Con una carta del Papa Francisco, Europa Ediciones, Madrid, 2025


martedì 15 luglio 2025

Due poesie di Maria Pia Latorre

Proponiamo qui di seguito alcuni versi della poetessa Maria Pia Latorre, di Bari.

Due sole poesie ma sufficienti per individuare già la grande esperienza poetica dell’Autrice, Maria Pia Latorre, originaria di Bari. I due testi sono tratti dalla recente raccolta È stato per caos, edita da Tabula fati. Nella prima poesia emerge una consapevolezza di lontananza da una realtà osservata con gli occhi e con il cuore desiderosi di vivere stupori e meraviglie: la quotidianità non dà né tempo né spazi per soffermarsi a mirare panorami di cieli che possano far riflettere sulla grandezza del creato, e la poesia colma questa distanza, ricollega le piccole cose alla complessità del mondo.
Nella seconda poesia il senso di distacco assume forma nel ricordo dolorante del padre ammalato, che l’Autrice descrive con versi amorevoli, riproponendo la figura del genitore come se fosse ancora lì ad attenderla, nel gelo di uno sguardo azzurro perduto a interrogare i muri.




Prospettive aeree

Di solito alzo lo sguardo
per parlare col cielo

Certe mattine è incorniciato in una gru
e resta immobile in posa sulla tela

Certe altre conviene spostarsi più in là,
tanto non ascolta nessuno

Poi se passa un aeroplano
ti distrai a chiederti
dove va a finire tutto il nostro stupore

E se ci voli in aeroplano
cambia prospettiva l'umore

Ti metti a considerare
la misura di ogni distanza
il piccolo che era stato grande
ed il grande che non si sa

e resti in attesa che il mondo
si ricomponga come lo hai sempre saputo


***



Casa di mio padre* (In tuo ricordo)

Sono entrata piano
nel tuo silenzio
come un tempo
Ai miei piedi cumuli di singulti
senza più radioattività

"il freddo non passa dalle finestre sprangate"
dicevi

Eppure il gelo è seduto lì
dov'era il tuo sguardo azzurro
a interrogare i muri
Non sopporto il buio quando è freddo
così sono corsa in terrazza
e in un coccio abbandonato
tra l'erba
il tuo dono di fiori per me


* tra queste righe un fascio fiorito di ricordi e il dramma della demenza senile


(Testi tratti da E' stato per caos, Tabula fati ediz.)

Maria Pia Latorre è nata a Bari, il 14 gennaio 1964. Laureata in Scienze pedagogiche, insegnante, autrice di narrativa e di saggi di letteratura giovanile, è stata cultrice di Letteratura dell’Infanzia presso l’Università degli Studi di Bari. Svolge attività di promozione alla lettura e alla poesia. Tra le pubblicazioni per ragazzi: RaccontinascensoreMissione di marzoStrade StrambeLo spettro di AzzurrinaTutti con AgoPasticcio di FataVai IvanNon capisco l’asteriscoSbocciano guaiStelle controventoOlè che tele!, Un gol da gigante, In viaggio con Eco.




martedì 24 giugno 2025

Monica Messa e la sua "pistola al Luna Park"

È una poesia immediata, quella di Monica Messa in Una pistola al Luna Park, recente sua raccolta edita da RPlibri e con puntuale introduzione critica di Antonio Bux. Una poesia immediata e rapida, capace di fluire da un’immagine all’altra, da un quadro all’altro, mantenendo integro il ritmo e l’armonia nonostante il dettato diretto e scarno. Forse la società moderna, convulsa nel suo procedere lungo la monotonia dei giorni tutti uguali, forse il pressapochismo e la superficialità del modus vivendi attuale, in cui è primaria la necessità del sopravvivere, e forse anche la diminuzione di valori forti e la mancanza o l’affievolimento delle speranze e dei sogni; forse tutto questo condiziona in qualche modo il sentire e il fare poesia oggi, e la stessa poesia veste i panni dell’urgenza, della necessità di dire tutto in fretta, subito, in un concentrato di emozioni e di immagini che il lettore attento dovrà poi decifrare e tradurre, per assaporarne e goderne appieno la luce di verità e di onestà descrittiva che ne emerge. Ma si sa, la poesia è stata sempre cartina al tornasole degli scenari storici, culturali ed emotivi delle varie situazioni sociali in cui vive, riassumendo e interpretando in modo artistico i lacerti, gli spaccati, gli sbalzi e gli echi umorali che in essa e da essa si manifestano. La vita, specialmente quella della società attuale, è verosimilmente un grande Lunapark, se vogliamo inteso amaramente, perché è un divertimento allegorico o addirittura alternativo, per coprire o almeno alleggerire le punte drammatiche e impegnative di un’esistenza precaria sotto tanti punti di vista, difficile da condurre e che offre poco spazio alla gioia e alla serenità.
Detto questo, anche la poesia di Monica Messa, in questa raccolta, segue intuitivamente il filone di spaesamento della società attuale, con descrizioni appropriate e ricche di metafore di una realtà contingente adusa ai salti repentini di umore a seconda del momento più o meno favorevole, più o meno corrispondente al proprio sentire. Una realtà, quella descritta da Monica Messa, che appare in contemporanea pur essendo composta da tasselli diversi e dislocati qui e là, verosimilmente scollegati ma comunque tenuti insieme da una poesia che, proprio in questo caso, è il collante necessario, è il punto di vista orizzontale e verticale in grado di dare un senso al tutto, fino all’orizzonte. La poesia di Monica Messa, oltre a ricostruire il puzzle di una società distaccata, ne è anche sottile denuncia, laddove con il suo canto stentoreo richiama alla nostra attenzione l’autenticità dell’esistenza, e di quei valori fortemente ad essa legati e che sovente trascuriamo. Umanità, senso della storia, la meraviglia per il nostro creato, dal più vicino paese (dove tanti vengono a suicidarsi – e qui è maestra l’autrice nell’esprimersi con un’amara ironia), al più lontano dei confini (“Troppo grande questo mondo / per le tue mani, bambina, / bastano appena appena per spingere / barchette di giornale”...). E dunque, a concludere come afferma Antonio Bux nella sua dotta introduzione, è un Lunapark il mondo descritto da Monica Messa, in cui è difficile non premere il grilletto, davanti al baraccone del tiro a segno: la poesia della nostra autrice può essere l’alternativa giusta, il modo artistico per generare e offrire consapevolezza di una realtà più profonda.
Seguiamola in questi brani tratti dalla sua raccolta.

Il gatto marmorizzato

dietro l’angolo sonnecchia.

Un cielo plumbago azzurro

ha inondato il lato sud.

“Occhipinti aglio e menta

al tavolo ventidue!”.

Muta la zultanite

sull’anello di Samir.

Tiri fuori

un piccolo seme dalla tasca.

Bustrofedico procedi. Sogni

idromele e mescalina.

 

 ***

 

Ai bordi della città diorama,

Samir beve vino

e ingoia bignè.

Sulla barba ha dodici stelle

di miglio perlato.

 

Il fumido chiasso della stazione

ti chiama.

Il cieco canta.

Le mosche banchettano

su ciarpame e mani.

 

Un pugno diretto

un coltello mancino,

cade la sigaretta.

Samir sorride, non capisce,

ha sangue fra le dita.

 

Solo ricordi

come fiorisce in fretta

una ferita.

 

*** 

 

Sedici anni il prossimo dicembre.

Distesa al buio nel granaio,

fuochi d’artificio

sulle palpebre schiacciate,

le scarpe di vernice nuove,

i talloni scorticati,

ridevi alle sue battute sconce.

– È vietato baciare la Regina!

sussurravi.

 

La Luna del Cervo era alta,

alta la tua scollatura,

il mascara calato.

 

Rosa di Spagna ti chiamava

tua madre, ma avevi un’anima

di pan bagnato, Geremina

e l’oro dei campi più non ti si addice.

 

Come magma la dose nelle vene.

Ti arrendesti sognando un lieto fine.

 

(Ho tagliato la testa

ai miei gelsomini

questa mattina,

è da un po’ di tempo

che non mi parlano più).

 

*** 

 

Trasformati, trasformati

in poesia

rabbia bastarda,

con la stessa potenza

prima che mi consumi,

prima che mi consumi.

 

Trasformati

ragazzina scalza

prendi ossigeno e brucia,

brucia.

 

 ***

 

Troppo grande questo mondo

per le tue mani, bambina,

bastano appena appena per spingere

barchette di giornale.

 

Un passo, dall’asfalto alla sabbia.

Sorridi in debito di luce,

capelli nuovi di chemio

e il libero arbitrio in una falange.

 

 ***

 

La carpa è nel castello.

Ripeto, la carpa è nel castello.

La turbata libertà degli incanti.

Il movimento.

Il motore poetico, la motrice.

La materia.

Oscura, vischiosa, radioattiva.

Trama dell’universo.

Il dolore pulsante e cieco.

Il gioco e la candela.

Il Greco. Alfa, beta, gamma.

La cassetta degli attrezzi.

Tutti gli attrezzi.

Un davanzale.

Quegli scalini a scendere.

Un inciampo, una battigia.

Una feritoia nel buio

muschio umido fluorescente.

E il mare che batte, batte.

Urla.

 

 ***

 

Una lapide stretta

sul ciglio della strada,

la foto di un ragazzo pelle e ossa,

tulipani di seta blu.

 

Dicono che

nei primi trenta secondi

dopo la morte

il cervello sogni.

 

Margherite e urina l’ultimo odore

e nel sogno il ricordo

di un amore piccolo piccolo.

 

*** 

 

Nel mio paese c’è un binario

e un passaggio a livello fra i ciliegi.

Vengono dalla città

e dai paesi limitrofi

a suicidarsi.

 

Perché un paese ci vuole,

un paese per morire da soli.


Brani tratti da:

Monica Messa, Una pistola al Luna Park, RPlibri, 2024. Introduzione di Antonio Bux.

Monica Messa è nata nel 1974 a Monopoli. Ha esordito nel 2018 con Poesiole, una raccolta di poesie su vari temi, scritte nell’arco di trent’anni. Ha poi pubblicato Seppie Ripiene – Poesie per poche lire (2018) e Il Logorio della vita moderna (2021). A settembre 2022 ha pubblicato la plaquette /imagine: l’universo è nato dall’immaginazione, dove accanto ad alcune poesie edite propone delle immagini generate mediante l’applicazione della IA Midjourney. Ha partecipato a diversi Festival. Alcune poesie sono state pubblicate in blog, riviste cartacee e online, in antologie nazionali e internazionali e nella rubrica “La Bottega della Poesia” di Repubblica – Bari. È stata nelle redazioni delle riviste di poesia “La Vallisa” e “La Confraternita Letteraria”. Alcune poesie sono state tradotte in albanese e in spagnolo. Cura, inoltre, un blog e una pagina Facebook.



Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà