giovedì 11 dicembre 2025

Il "Corpo conduttore" di Tiziana Colusso

"Un poemetto concepito come respiro e canto, che declina il corpo come fisiologia, strumento musicale, cordone ombelicale tra la terra e il cielo, materia, energia, poesia delle membrane, rete neurale, viaggio iniziatico dagli abissi delle viscere alla voce, fino alla musica dei corpi celesti, corpo in bilico tra i generi e le specie, tra materia vivente e materia inerte, voce di un sentire individuale e corale, ancestrale e cosmico..."

Così spiega Tiziana Colusso nella sua nota introduttiva, riportata anche in quarta di copertina, a proposito di “Corpo conduttore”, la sua recente raccolta edita da Progetto Cultura. Si tratta dunque di una raccolta molto originale, un poemetto, come giustamente lo definisce l’autrice, composto da 33 brani (chiamati variazioni) suddivisi in tre sezioni: “Nigredo”, “Albedo” e “Rubedo”, termini mutuati dalle antiche pratiche degli alchimisti.
Con grande intuizione e padronanza della materia poetica, Tiziana Colusso in questo poemetto ripercorre, attraverso le tre fasi alchemiche di decomposizione (nigredo), di purificazione (albedo) e di ricongiungimento finale (rubedo, pietra filosofale), una possibile evoluzione umana e spirituale, partendo da una disgregazione (kintsugi: termine giapponese che sta ad indicare la ricomposizione di frammenti con un collante composto da polvere d’oro), e attraverso una sorta di catarsi (albedo), giunge alla completa evoluzione in cui materia e spirito sono finalmente uniti.
Centralità di questo interessante e originale poemetto è il corpo evidenziato nelle sue varie fasi di trasformazione, un corpo conduttore sensibile alla materia che si degrada, ma attento e capace anche di emanciparsi, attraverso le esperienze della vita, fino ad assumere una gradualità spirituale che gli doni la consapevolezza di far parte integrante del cosmo.
Da grande studiosa delle filosofie orientali in merito alla ricerca del senso della vita e dell’evoluzione, Tiziana Colusso ha voluto così ricostruire il percorso dell’uomo nella società attuale, tenendo conto delle sue molteplici variazioni materiali e spirituali, immerso come è in una realtà che sovente gli è estranea e inspiegabile, ma sempre alla ricerca di un orizzonte di pace e di consapevolezza di sé in quanto essere, e del mondo in quanto culla del Tutto.

Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal libro


I

 

Tempio del buio denso della carne –

da ogni fessura cola la luce

kintsugi che non ripara le ferite

ma le trasforma in oro sapienziale

 

 

VI

 

Carne sorella senza destino –

pensavo guardandoti guaire

goffamente umana, tua unica

lingua un modulato vocalizzo

e una risata rauca, sconnessa.

Intorno alla tua malattia bisbigli

nei corridoi fruscianti di suore

nebbia di non conoscenza fitta

come se terribile fosse il nome

e non la cosa, i cromosomi

di una sorella inattingibile

 

(dalla sezione "Nigredo")

 

XIV

 

Buio, tamburi, il suono si propaga

fulmineo nel flusso, tunnel valvole

rallentamenti e poi a precipizio,

fulmini repentini, codici morse

intermittenti, danza nelle cellule.

Attività febbrili nelle cavità,

un esser qui percorso da scosse

flussi, energie invisibili

anche al microscopio, partecipi

di una materia potenziale

non dimensionata, intuitiva

flusso di pensiero primordiale

cellule connesse da esoterici

impulsi vitali, già prima

di evolversi in individui

involucri dotati di braccia

zampe o rami, esseri esiliati

dalla materia originaria

in una diaspora cieca – e ancora

durerà la materia smisurata

anche quando l’ultimo vivente

con una forma e un nome sarà

ricordo sbiadito, sbriciolato nulla

 

(dalla sezione "Albedo")

 


XXVII

 

Ogni opera è un arto fantasma

che duole di pensieri immortali

come marmo, eppure evanescenti

instabili, anfibi – ogni opera

è alchimia, ma solidificata

in una forma appassisce presto –

farfalla a vivo crocifissa.

I corpi saranno polvere, macerie

i musei, i colori solo orme

che il tempo cancella con il suo eterno

mantra – non avrai altro Dio che questa

impermanenza struggente, preziosa

 

(dalla sezione "Rubedo")

Tiziana Colusso, Corpo conduttore, Edizioni Progetto Cultura, 2025, con una nota di Antonio Casciaro.

Tiziana Colusso è laureata in Letteratura Comparata presso La Sapienza di Roma e si è specializzata alla Sorbona di Parigi. Nel 2009 ha fondato la rivista “Formafluens – International Literary Magazine”. Ha pubblicato narrativa, poesia, testi teatrali, fiabe, saggistica, in totale una quindicina di monografie (la più recente è “Lengua de striga. Teatro delle voci”, 2024). Suoi testi sono tradotti in sedici lingue, pubblicati in varie riviste e antologie estere, e raccolti nel volume “La lingua langue” (2025).

 

lunedì 8 dicembre 2025

La terminologia informatica in "Reboot del sentire" di Giulia Catricalà

Siamo in un’era dominata prevalentemente dalla tecnologia, in particolare da quella inerente alle comunicazioni, con l’uso ormai indispensabile di personal computer, di telefoni cellulari e di altri dispositivi similari. Tutto ciò influisce sulla nostra vita quotidiana e in particolare sulle nostre usanze, sulle nostre modalità di comportamento e persino di linguaggio.
È perciò quasi ovvio aspettarsi che anche il mondo dell’arte, della letteratura e quindi anche della poesia, possa adeguarsi a questo mondo così vivace, veloce, sbrigativo e di conseguenza forse (ma toglierei il forse) troppo superficiale, in quanto viene a mancare l’attenzione profonda, il tempo per riflettere ulteriormente sulle cose e sui problemi della vita.
Ma c’è comunque una particolarità positiva in questa rapida evoluzione della società tecnologizzata, ed è che l’arte, e in particolare la poesia, in un certo qual modo “cavalca la tigre”, facendo di necessità virtù e quindi creando nuove possibilità espressive, utilizzando i termini e i modi di dire di questa nuova società. D’altra parte, la poesia ha sempre contribuito nei secoli, al di là dell’intrinseca qualità e importanza del contenuto, all’evoluzione della lingua, introducendo termini nuovi e nuovi significati.
Qui sembra che tale operazione di accostamento al mondo tecnologico sia stata opportuna e senz’altro valida: questa raccolta di dodici poesie della poetessa romana Giulia Catricalà, entrano molto bene nel quadro di una nuova modalità espressiva che utilizza termini mutuati dal linguaggio informatico, ferma restando però la buona architettura dei brani poetici, non privi di ritmo, di armonia interiore e soprattutto di significanze efficaci.
Ma c’è qualcosa di più, nelle poesie di Giulia, oltre alla costruzione dei testi basati su tantissimi termini informatici. Nel sottofondo, individuando bene i contenuti, si legge una velata ironia, un raffigurare l’odierna società dedita essenzialmente ad un rapido consumismo e ad un superficialismo di facciata, ad una omologazione del modus vivendi, ad un comportamento generalmente stereotipato e ripetitivo. C’è quasi una malinconia, in molti versi della nostra autrice, anzi una nostalgia, per una vita e per un senso della vita più prossimo alla naturalità delle cose e soprattutto degli affetti e dei sentimenti. Un desiderio di un passato non tecnologico ma più sano e più schietto, come di quando “la nonna svaniva tra i fornelli assorta”. D'altra parte, è lo stesso titolo della breve raccolta, Reboot del sentire, a suggerire un desiderio di "azzeramento" (reboot, riavvolgimento) per ritornare ai vecchi valori. Ora, invece, “non c’è molto da fare se non vedersi con gli amici, sognando in caratteri Helvetica e bere in un logoro bar di Trastevere, per distogliersi dal mondo reale!”.
La poesia di Giulia Catricalà vuole qui, forse, essere denuncia, volendo mostrare come il nuovo mondo tecnologico possa, sì, darci dei benefici (materiali?), ma che in fin dei conti è solo un freddo, piatto e a volte triste sopravvivere, avaro di buoni sentimenti e di emozioni.


I

 

C’è sempre tanto da dire,

ma il codice è derubricato

al silenzio.

La parte amputata del verso

zampetta sui nostri volti

come una festosa fragilità.

Mi mancano

i pennacchi ariosi della metrica

il grip del ritmo

la brulicante calca del parlare.

Anche oggi

con gli occhi fissi sullo smartphone

cerco il senso

succhio una radice

dallo schermo.

 

 ***


II

 

Da qualche anno a questa parte

si sogna in Helvetica:

font neutro, sfondo albino

il galoppo dei bit.

Non c’è molto da fare

se non vedersi con gli amici

e berci sopra, magari a Trastevere

nella viva cavità di un locale

acciottolato, ronzante

poggiati su pareti logore

parliamo di questo tilt della cognizione

– luci soffuse, shottino in mano –

diamo forma al concetto

che il nostro sogno rientra in qualche spettro

del sentire straniato, del mezzo inquinato.

Così, davanti al banco

                              fra un sorso e l’altro

guardiamo il bicchiere piccolo, tondo

ed ecco – nel riflesso del cicchetto –

l’annunciazione:

l’alcol come l’onirico

sposta il razionale del mondo

è veicolo distillato

                     swipe da centellinare.

 

 ***

 

V

 

Connessioni, sincronie,

reel di paradisi tropicali.

Mia nonna svanisce tra i fornelli

assorta – col piglio fermo

di chi conosce un mestiere antico –

cosparge pangrattato

su teglie d’argento

e pomodori spaccati a mano.

All’improvviso, controluce,

uno sfolgorìo di briciole

mi abbaglia la vista.

La cerco – lo sguardo alienato:

è un glitch in grembiule,

un frame di un’altra epoca.


***

Brani tratti da

Giulia Catricalà, Reboot del sentire, Fallone Editore, 2025

Giulia Catricalà è nata a Roma nel 1990. Ha studiato Lettere Moderne alla Sapienza e ha conseguito un Master in Giornalismo alla Luiss. I suoi versi sono stati pubblicati su riviste di rilievo e tradotti in altre lingue. Cura una rubrica per il "Tempo" e collabora con giornali e magazine. Ha esordito nel 2023 con La rosa sbagliata, Fallone Editore, con prefazione di Mario Fresa.



sabato 6 dicembre 2025

Il "Fruscio di vento" di Antonella Colonna Vilasi

Se la poesia è un modo per esprimere la propria verità, nell’indagare la realtà circostante e cercando di rapportarla al proprio intimo sentire, alle proprie corde emotive, è anche vero che tutto ciò si rafforza, si evidenzia ancora di più quando poi questo sentire lo si esprime utilizzando una scrittura in versi vicinissima alla fonte da cui attingere tali ricerche: mi riferisco alla poesia vernacolare, o dialettale, sempre autentica e ricca di tutte quelle sfumature che nella lingua “ufficiale” sarebbe complicato esprimere, se non con lunghi giri di parole o perifrasi artificiose.
E quindi molto volentieri segnaliamo in questo spazio l’uscita di Fruscio di vento, una interessante raccolta di poesie in dialetto abruzzese, con testo a fronte in italiano, di Antonella Colonna Vilasi, edita da Monetti e con una approfondita prefazione dello stesso Editore.
Riportiamo qui di seguito alcuni brani del libro, sia in dialetto che in italiano, dai quali si evidenzia subito la delicatezza di un verso che, proprio come un fruscio di vento, descrive brevi panorami da cui l’autrice trae riflessioni sui sentimenti e sul senso della vita. La scrittura in dialetto, qui, è particolarmente aderente al paesaggio abruzzese e alla sua realtà ambientale; i testi sono prevalentemente brevi, ma con una intensità di figurazioni e di significati che solo con l’espressione dialettale, come dicevo più su, possono acquistare spessore e schiettezza.
Un’opera letteraria interessante, non solo per il recupero di valori espressivi peculiari, come l’utilizzo del dialetto in poesia, ma anche per l’eleganza e lo stile di una scrittura in versi ricca di figurazioni e di riflessioni sulla vita.

Chiàcchiere

 

Nen te mbrijachème nche le chiacchiere

pe dàrete na scosse

de currènte che te porte a le cosse

lu paradise de le sunne

mbracce all’àngele de tutte le voglie

voglie di vedè lu manne

fàreze avvedà

 


Chiacchiere

 

Non ti preoccupare delle chiacchiere

per darti una scossa

di corrente che ti porta alle cose

il paradiso dei sogni

abbracciato dagli angeli di tutti i desideri

di vedere il mondo

farsi vedere

 

 ***

 

E m’arrive dell’ônne lu sussurre

 

Huarde

véde la réna d’ore e ll’acque azzurre

ci šta n’ariétta dogge

e m’arrive dell’ônne lu sussurre

tra spiagge scuje vàriche

socce e a ogni vvanne

tu sì’ nu bballecòne

da ndo’ lu paradise pu’ huardà

di rèsse nu gabbiane e di vulà

liggìre piane

 


E mi giunge dell’onda il sussurro

 

Guardo

vedo la sabbia d’oro e l’acqua azzurra

c’è un venticello dolce

e mi giunge dell’onda il sussurro

tra spiaggia scogli barche

è bello dappertutto e in ogni posto

tu sei un balcone

da dove il paradiso puoi guardare

di essere un gabbiano e di volare

leggero piano

 

 ***

 

Luntane da ogne remméure

 

Chenosce a ogni vanne

luntane da ogne remméure

nu ragge ncantate de sole

nu cierchie d’ore

tre farfalle che vòlene

uarde ju munne de fore

come dentr’a na vetréine

 

 

Lontano da ogni rumore

 

Conosco un luogo

lontano da ogni rumore

un raggio obliquo di sole

tre farfalle che volano

guardo il mondo di fuori

come all’interno di una vetrina


Antonella Colonna Vilasi, Fruscio di vento, Poesie di Abruzzo, Monetti Editore, 2025

prefazione di Salvatore Monetti

Antonella Colonna Vilasi è professore universitario, scrittrice e poetessa.
Ha pubblicato la silloge di poesie “Itinerari”, Edizioni del faro, 2024, e nel 2025 con Bertoni Editore, nella collana di poesie a cura di Bruno Mohorovich, la silloge “Natura Poiesis”. Ha partecipato a numerose pubblicazioni collettanee di poesia ed è vincitrice di premi letterari e poetici. È stata giurata in concorsi letterari a partire dal 1994, ed è autrice di molteplici saggi. È responsabile di un Centro studi.

lunedì 10 novembre 2025

La poesia di Gelsomina Perilli

Il mondo della poesia contemporanea è certamente ampio e variegato; ciascun poeta ha delle sue caratteristiche che lo contraddistinguono, per i temi generalmente trattati, ma soprattutto per la forma espositiva, per lo stile, e poi anche per come legge e propone in pubblico i suoi testi.
Una di queste belle realtà è Gelsomina Perilli, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare in occasione del Festival di Poesia Isabella Morra, organizzato da Barbara Gortan a Valsinni, agli inizi di settembre di quest'anno.
Gelsomina Perilli è una giovane poetessa di Calvello, con esperienze di vita e di lavoro a Varese. Si propone qui con tre testi poetici, tratti dalle sue raccolte, i quali individuano subito la sua forte e personale impronta lirica. Il suo mondo poetico è ricco di simboli e di immagini, e vi traspare un intenso impeto emotivo nei confronti della natura e in particolare della figura femminile in armonia con il tutto. Sono versi ben cadenzati e metricamente equilibrati, con versi di sapore aulico che si rifanno alla classicità.

Luna

 

In questa notte un furfante nugolo

ha inghiottito la tua corona regale

e io vado cercando a mo’ di frugolo

i tuoi diademi dall’ugola di cicale.

Deh mia unica e sola amica

ti sei dissolta al cantar del gallo

come lo spettro di Amleto in ballo

tra la morte e la vita nemica.

Salpa con me questo pelago notturno

e attracca il sorriso in riva alla mia loggia

dove ogni notte si distende la mia piaggia

e mi lascio baciare dal tuo sole diurno.

Desio incoronare il tuo capo d’alloro

di liriche coltri che imbottiscono il mio letto

accompagnate dal tuo chiarore sonoro

come a Giulietta gonfiarono il suo petto.

 

(da Calligrammi)

 

 

***

 

Io con me

 

Io che vengo e fuggo da me

Non vorrei essere altro che me

In questo corpo viandante e messaggero

Che alita con la mente e si rifugia nel mistero

Di un calle immaginario e una prigione reale

Da tempo in duello con la sua ombra maniacale

 

Io che vengo e fuggo da me

Non vorrei essere altro che me

In questo lembo empio di vuoto

Dal quale riemergo e annego a nuoto

Scansando ferite e raccattando filoni

Di opere che hanno celebrato Manzoni

 

Io che vengo e fuggo da me

Desidero solo accamparmi in te.

 

(da Sui miei passi in-versi)

 

 

***

 

 

Striscia di Gaza

 

Sotto un pianto grigio di nubi

sulla Striscia, zolla di grumi

la speranza di vita tu rubi

agl’occhi accesi in frantumi

ai mendicanti d’azzurri cieli

in prima fila nella trincea

con ruvi in faccia di grattacieli

e melma civile, un’odissea.

Grappoli di bombe appesi al sole

su bocche gelate dai finti sorrisi

stringono un nodo alle mute gole

i lamenti dell’ora finale dei visi

Mentre un fante di vita fuggiasca

Traghetta la sorellina in spalla

Coi dardi di sogni in una tasca

Rinviene la mamma e una palla.

 

(Inedita)


Gelsomina Perilli è una poetessa, scrittrice e aforista. Nasce a Calvello, in Basilicata, nel 1979, dove risiede dal 2024 dopo aver vissuto a Varese per un ventennio. Sin da giovanissima nutre una genuina passione per la poesia, la scrittura e l’arte in generale. La sua prima pubblicazione vede la luce nel 2000 poco più che ventenne con un saggio filosofico: Tra Ombra e Luce...Tra innamoramento e Amore. Il libro, segnalato alla stampa locale, fu notato in una libreria di Potenza da uno storico e italianista, M. Rinaldi, il quale le attribuì l’appellativo di poetessa ragioniera per la convivenza parallela e costante delle due attività. Successivamente pubblica le raccolte poetiche: La vita a piccole dosi (2010), Sui miei passi in-versi (2016), Calligrammi (2021); il saggio filosofico sull’amore: Tra ombra e Luce… Tra innamoramento e Amore (2° Ediz. 2016), e la raccolta di aforismi Parola?Presente! (2020). È inserita nell'antologia Italian Poetry, Poesia Italiana Contemporanea dal Novecento ad oggi, riconosciuta dalla Poetry Society americana. I suoi scritti sono apparsi su vari cataloghi, blog, rassegne poetiche, antologie di letteratura come la collana Orizzonti, Universum Basilicata, il catalogo Biennale Milano Art Meeting edito da Mondadori in occasione dell'esposizione della sua opera alla Biennale di Milano con Francesco Alberoni e Vittorio Sgarbi. Ha ottenuto vari riconoscimenti per la categoria poesia edita, tra i quali: Premio Internazionale Città di Cattolica Pegasus Literary Awards, Premio Salvatore Quasimodo, Premio Internazionale il Federiciano, Biennale di Letteratura a Sondrio e Premio Nazionale G. De Lorenzo. Partecipa attivamente a Festival di Letteratura e Poesia su tutto il territorio nazionale.


Giuseppe Vetromile
10 novembre 2025

lunedì 3 novembre 2025

Cheryl Wu e il suo progetto "De Flowering - De Armoring"

Ho conosciuto Cheryl Wu, valente artista newyorkese, grazie alla poetessa Lucilla Trapazzo, in occasione di un importante incontro artistico e letterario ad Arena Po, organizzato da Sabrina De Canio e Massimo Silvotti nell'ambito delle iniziative del Piccolo Museo della Poesia.

Cheryl realizza degli acquerelli molto particolari, tutti dedicati ai conflitti che tuttora devastano tantissime zone del nostro pianeta.

E' lei stessa a presentarsi, con queste parole:

"Come medico che ha trascorso oltre 15 anni a prendersi cura dei più vulnerabili tra noi, bambini con disabilità, immigrati senza documenti, famiglie in condizioni di povertà, Cheryl Wu comprende profondamente l’importanza di dare voce a chi non ha voce né potere. Avendo testimoniato la dignità silenziosa e la forza delle persone che la società spesso considera deboli, ha compreso perché i cosiddetti uomini forti ne abbiano tanta paura e cerchino di distruggerli in ogni occasione.

In un mondo in cui la distruzione e la violenza sono diventate routine, spinte dal profitto, dall’arroganza, dal potere e dalla sete di terra, dobbiamo chiederci: come facciamo a non perdere la speranza? Come possiamo riconnetterci con le parti profondamente umane di noi che ogni giorno rischiano l’estinzione?"

In questa serie di acquerelli, De Flowering, De Armoring, Cheryl ci ricorda che la vera forza non sta nelle mani che stringono le armi, ma nel coraggio di onorare e proteggere ciò che è più fragile. Anche dove infuriano le guerre, sono i fiori e gli alberi a rialzarsi, insieme agli esseri umani, portando messaggi di speranza, amore, vita e resilienza: tutti più forti dell’odio e della violenza.

Cheryl ancora afferma: "La fragilità e la forza vivificante dei fiori sono più forti di qualsiasi arma sulla terra".

La serie dei cinque acquerelli qui riportata, mostra i conflitti regionali in alcune parti del mondo e vuole far riflettere sulle modalità di provenienza delle armi (e su chi ne può trarre profitto).

Ogni opera presenta il fiore nazionale di un paese in conflitto. Il fiore si sviluppa attraverso l'arma, trafiggendola. Tale raffigurazione vuole essere quindi un simbolo di distruzione delle armi, che vengono appunto sopraffatte dalla forza e dalla vitalità dei fiori.




Cheryl Wu ha esposto le sue cartoline in occasione dell'incontro con la poetessa giapponese Mari Kashiwagi per la Rassegna "Poesia è... Rinascenza" di Melania Mollo e Giuseppe Vetromile, a Pollena Trocchia (Napoli) il 10 ottobre 2025. Presente all'incontro anche Lucilla Trapazzo.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà