lunedì 10 novembre 2025

La poesia di Gelsomina Perilli

Il mondo della poesia contemporanea è certamente ampio e variegato; ciascun poeta ha delle sue caratteristiche che lo contraddistinguono, per i temi generalmente trattati, ma soprattutto per la forma espositiva, per lo stile, e poi anche per come legge e propone in pubblico i suoi testi.
Una di queste belle realtà è Gelsomina Perilli, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare in occasione del Festival di Poesia Isabella Morra, organizzato da Barbara Gortan a Valsinni, agli inizi di settembre di quest'anno.
Gelsomina Perilli è una giovane poetessa di Calvello, con esperienze di vita e di lavoro a Varese. Si propone qui con tre testi poetici, tratti dalle sue raccolte, i quali individuano subito la sua forte e personale impronta lirica. Il suo mondo poetico è ricco di simboli e di immagini, e vi traspare un intenso impeto emotivo nei confronti della natura e in particolare della figura femminile in armonia con il tutto. Sono versi ben cadenzati e metricamente equilibrati, con versi di sapore aulico che si rifanno alla classicità.

Luna

 

In questa notte un furfante nugolo

ha inghiottito la tua corona regale

e io vado cercando a mo’ di frugolo

i tuoi diademi dall’ugola di cicale.

Deh mia unica e sola amica

ti sei dissolta al cantar del gallo

come lo spettro di Amleto in ballo

tra la morte e la vita nemica.

Salpa con me questo pelago notturno

e attracca il sorriso in riva alla mia loggia

dove ogni notte si distende la mia piaggia

e mi lascio baciare dal tuo sole diurno.

Desio incoronare il tuo capo d’alloro

di liriche coltri che imbottiscono il mio letto

accompagnate dal tuo chiarore sonoro

come a Giulietta gonfiarono il suo petto.

 

(da Calligrammi)

 

 

***

 

Io con me

 

Io che vengo e fuggo da me

Non vorrei essere altro che me

In questo corpo viandante e messaggero

Che alita con la mente e si rifugia nel mistero

Di un calle immaginario e una prigione reale

Da tempo in duello con la sua ombra maniacale

 

Io che vengo e fuggo da me

Non vorrei essere altro che me

In questo lembo empio di vuoto

Dal quale riemergo e annego a nuoto

Scansando ferite e raccattando filoni

Di opere che hanno celebrato Manzoni

 

Io che vengo e fuggo da me

Desidero solo accamparmi in te.

 

(da Sui miei passi in-versi)

 

 

***

 

 

Striscia di Gaza

 

Sotto un pianto grigio di nubi

sulla Striscia, zolla di grumi

la speranza di vita tu rubi

agl’occhi accesi in frantumi

ai mendicanti d’azzurri cieli

in prima fila nella trincea

con ruvi in faccia di grattacieli

e melma civile, un’odissea.

Grappoli di bombe appesi al sole

su bocche gelate dai finti sorrisi

stringono un nodo alle mute gole

i lamenti dell’ora finale dei visi

Mentre un fante di vita fuggiasca

Traghetta la sorellina in spalla

Coi dardi di sogni in una tasca

Rinviene la mamma e una palla.

 

(Inedita)


Gelsomina Perilli è una poetessa, scrittrice e aforista. Nasce a Calvello, in Basilicata, nel 1979, dove risiede dal 2024 dopo aver vissuto a Varese per un ventennio. Sin da giovanissima nutre una genuina passione per la poesia, la scrittura e l’arte in generale. La sua prima pubblicazione vede la luce nel 2000 poco più che ventenne con un saggio filosofico: Tra Ombra e Luce...Tra innamoramento e Amore. Il libro, segnalato alla stampa locale, fu notato in una libreria di Potenza da uno storico e italianista, M. Rinaldi, il quale le attribuì l’appellativo di poetessa ragioniera per la convivenza parallela e costante delle due attività. Successivamente pubblica le raccolte poetiche: La vita a piccole dosi (2010), Sui miei passi in-versi (2016), Calligrammi (2021); il saggio filosofico sull’amore: Tra ombra e Luce… Tra innamoramento e Amore (2° Ediz. 2016), e la raccolta di aforismi Parola?Presente! (2020). È inserita nell'antologia Italian Poetry, Poesia Italiana Contemporanea dal Novecento ad oggi, riconosciuta dalla Poetry Society americana. I suoi scritti sono apparsi su vari cataloghi, blog, rassegne poetiche, antologie di letteratura come la collana Orizzonti, Universum Basilicata, il catalogo Biennale Milano Art Meeting edito da Mondadori in occasione dell'esposizione della sua opera alla Biennale di Milano con Francesco Alberoni e Vittorio Sgarbi. Ha ottenuto vari riconoscimenti per la categoria poesia edita, tra i quali: Premio Internazionale Città di Cattolica Pegasus Literary Awards, Premio Salvatore Quasimodo, Premio Internazionale il Federiciano, Biennale di Letteratura a Sondrio e Premio Nazionale G. De Lorenzo. Partecipa attivamente a Festival di Letteratura e Poesia su tutto il territorio nazionale.


Giuseppe Vetromile
10 novembre 2025

lunedì 3 novembre 2025

Cheryl Wu e il suo progetto "De Flowering - De Armoring"

Ho conosciuto Cheryl Wu, valente artista newyorkese, grazie alla poetessa Lucilla Trapazzo, in occasione di un importante incontro artistico e letterario ad Arena Po, organizzato da Sabrina De Canio e Massimo Silvotti nell'ambito delle iniziative del Piccolo Museo della Poesia.

Cheryl realizza degli acquerelli molto particolari, tutti dedicati ai conflitti che tuttora devastano tantissime zone del nostro pianeta.

E' lei stessa a presentarsi, con queste parole:

"Come medico che ha trascorso oltre 15 anni a prendersi cura dei più vulnerabili tra noi, bambini con disabilità, immigrati senza documenti, famiglie in condizioni di povertà, Cheryl Wu comprende profondamente l’importanza di dare voce a chi non ha voce né potere. Avendo testimoniato la dignità silenziosa e la forza delle persone che la società spesso considera deboli, ha compreso perché i cosiddetti uomini forti ne abbiano tanta paura e cerchino di distruggerli in ogni occasione.

In un mondo in cui la distruzione e la violenza sono diventate routine, spinte dal profitto, dall’arroganza, dal potere e dalla sete di terra, dobbiamo chiederci: come facciamo a non perdere la speranza? Come possiamo riconnetterci con le parti profondamente umane di noi che ogni giorno rischiano l’estinzione?"

In questa serie di acquerelli, De Flowering, De Armoring, Cheryl ci ricorda che la vera forza non sta nelle mani che stringono le armi, ma nel coraggio di onorare e proteggere ciò che è più fragile. Anche dove infuriano le guerre, sono i fiori e gli alberi a rialzarsi, insieme agli esseri umani, portando messaggi di speranza, amore, vita e resilienza: tutti più forti dell’odio e della violenza.

Cheryl ancora afferma: "La fragilità e la forza vivificante dei fiori sono più forti di qualsiasi arma sulla terra".

La serie dei cinque acquerelli qui riportata, mostra i conflitti regionali in alcune parti del mondo e vuole far riflettere sulle modalità di provenienza delle armi (e su chi ne può trarre profitto).

Ogni opera presenta il fiore nazionale di un paese in conflitto. Il fiore si sviluppa attraverso l'arma, trafiggendola. Tale raffigurazione vuole essere quindi un simbolo di distruzione delle armi, che vengono appunto sopraffatte dalla forza e dalla vitalità dei fiori.




Cheryl Wu ha esposto le sue cartoline in occasione dell'incontro con la poetessa giapponese Mari Kashiwagi per la Rassegna "Poesia è... Rinascenza" di Melania Mollo e Giuseppe Vetromile, a Pollena Trocchia (Napoli) il 10 ottobre 2025. Presente all'incontro anche Lucilla Trapazzo.

mercoledì 29 ottobre 2025

La "Diaspora" di Mario Guerrera

“Diaspora potrei definirlo il lungo viaggio, dalla gioventù a un’età avanzata, di un uomo pervenuto abbastanza presto alla fede che ravvisa nel vivere una contrapposizione tra bene e male, tra l’attesa dell’eterno e la caducità delle cose, un viaggio di dolore, ma anche di speranza. Quando il senso ineluttabile della sofferenza sembra prevalere e far quasi rassegnare a una resa incondizionata, risorge invece la certezza di un possibile riscatto.”

Così scrive Mario Guerrera nell’introduzione del suo libro “Diaspora”, Homo Scrivens edizioni, volendo offrire al lettore una traccia per il suo lungo percorso poetico, dalle prime composizioni risalenti agli anni Ottanta fino a quelle più recenti di questo ultimo periodo. E già l’introduzione è in effetti un racconto piuttosto dettagliato della sua storia, sia dal punto di vista biografico che da quello familiare, lavorativo e poi anche creativo e letterario, se vogliamo, in quanto riesce con discrezione e anche con eleganza di stile, a narrare episodi della sua vita e altre riflessioni che, pur essendo strettamente personali, risultano condivisibili e apprezzabili in generale da tutti.
L’autore si rifà al termine “diaspora” per indicare un ritorno, e nella fattispecie un ritorno espresso poeticamente, alle cose veramente amate e intensamente vissute, dopo che le esperienze della vita, la professione, il lavoro e altre esigenze, lo hanno in qualche modo “esiliato”, relegandolo in una sfera esistenziale lontana da quei valori, da quelle emozioni e da quei ricordi che hanno contribuito alla sua maturazione, fin dalla gioventù.
Questa raccolta di poesie è dunque un ricapitolare, in forma prettamente poetica, la vita e la memoria, i ricordi essenziali o per lo meno i più significativi e quelli che maggiormente lo hanno interessato e emozionato, con un racconto in versi che tratta i temi più vari, ma in particolare quelli inerenti ai ricordi affettivi, ai momenti più intensi della sua gioventù, agli amori giovanili, al periodo scolastico. Traspare, in questi versi, un desiderio di rinascita, quasi, di rivalutazione di tutta la sfera valoriale, affettiva ed emotiva, di una esistenza trascorsa forse troppo lontana da quella: un riaffermare le basi importanti dell’esistenza propria, e quindi un suggerimento anche per tutti, un ritrovare l’essenzialità della propria vita e delle proprie radici.
Ed è proprio per questi motivi che l’autore ci propone questi versi, introducendoli con brevi commenti esplicativi che stabilizzano il quadro poetico nel luogo e nel tempo, rinnovandone però i motivi ispiratori e riattualizzandone contemporaneamente il contenuto: è un portarci per mano lungo il suo percorso memoriale ricco di valori e di emozioni, ancora vivido e ancora pienamente condivisibile.
Proponiamo qui di seguito alcuni brani, omettendo la parte introduttiva in prosa per ovvii motivi di spazio.

L’odore del pane

 

L’odore del pane

ti sorprese a un angolo di strada

ed era sussurro di voce perduta.

Rincorrere ancora bisbigli trattenuti

dalle maglie del tempo

o arrovellarsi col vacuo resoconto d’una vita.

 

Addentrarsi inermi nel supplizio dei giorni

che saccheggiano e devastano

per carpire un richiamo.

Scorreva la strada al mattino

nella mano della nonna:

chiasso di vicoli

scoperte d’un cammino nel sole

un pezzo di pane caldo.

 

L’odore del pane

nelle voci della mia terra

in quella storia stretta nella mano

nel volgermi al giorno

guardare alla vita

con gli occhi nuovi che colsero

un primo raggio di sole.

(1982)

 

***


La ricostruzione

 

C’era una guerra

segnata nelle rughe di volti ancora giovani

eterna disputa tra bene e male

ragguaglio perenne di testimoni veraci

guerra compenetrata infine

in un barlume di quiete domestica

tepore appagante di voci familiari.

 

Guerra della gente

che aveva sconquassato i pilastri dei secoli

e deportato l’intelletto

a confini di filo spinato

profanato ogni soglia

radendo al suolo efferati altari

intitolati alla follia

- era rimasta infine soltanto la vita

uguale a sé stessa

la vita che non sa morire-

 

Su un muro dal sonno d’una notte

galleggiava un’eco di libertà

ed era la ricostruzione.

 

***


A ritroso

 

Ci s’innamora sempre da bambini

per sua natura l’amore

va a ritroso

un silenzio o un bacio estorto

resteranno un sole scolpito

contro il muro del tempo mancato.

 

Si accumula gioco forza del tempo mancato

e le foglie degli anni

ingiallite aggrinzite che il vento

agita in mulinelli

al ceppo di alberi accasciati

fanno da sfondo

al crepitio dei tuoi passi

che non tornano a casa.

 

Tutto si azzera

anche l’attimo fuggente

frodato a chi ci credeva

tutto finisce coi dubbi

che galleggiano sulla sponda

delle nostre vite spese male.

(1996)

 

***


Nicodemo

 

Ne ho conosciuta di gente che sapeva morire

anche solo per questo l’ho cercata

che andava leggera per sentieri tortuosi

abbacinata su alture da orizzonti a perdita d’occhio

gente che parlava con le nuvole.

Brancolante origliava sussurri incomprensibili

e con lo sguardo ti caricava di risposte

premonendo d’ogni evento il giorno e l’ora.

Ne ho conosciuta di gente

che aveva varcato la sua soglia

e si vestiva di luce a ogni mattina

angeli a piedi nudi che non lasciano impronte

lungo le sconfinate spiagge della vita.

 

Certo, si può anche essere un animo gentile

e dividere il pane con gli amici

rapire il cuore a una donna

e lasciarla di notte a piangere da sola

e tu che fingi ancora di dormire

perché non sai che dire.

 

Su mille strade nessuna da seguire

e rimandare ancora una volta l’incontro

aggrappato alla spalla d’un amico senza più parole

con gli occhi sgranati sul tuo dolore

e patteggiare il futuro col tuo dio

senza sapere mai se ti è accordato.

 

Nessuno può tornare nel grembo di sua madre

e il sole non te lo costruisci con le mani

in un gioco al massacro di abbagli e inganni

ma verrà sempre il giorno che dovrai dare conto

non dei tuoi peccati o delle colpe

ma del senso e delle carenze di tutta una vita.

(2024)


Brani tratti da:

Mario Guerrera, Diaspora, Edizioni Homo Scrivens, 2024

sabato 25 ottobre 2025

"L'aurea vena", di Cosima Di Tommaso

Il panorama letterario e poetico attuale evidenzia una grande attività operativa, un fermento creativo che, purtroppo, non sempre viene notato in questa nostra società dedita prevalentemente a seguire vie esistenziali piuttosto scarne e superficiali, data l’urgenza e l’impellenza di ben altre necessità consumistiche quotidiane. È perciò sempre una bellissima sorpresa scoprire che, in questo mare magnum della fretta, dell’uso-e-getta, delle tribolazioni varie, appare un’oasi artistica e culturale appagante che dà ulteriore impulso alla creatività realizzando opere letterarie di pregio. È questo il caso di Cosima Di Tommaso, scrittrice, poetessa, attrice pugliese, che con il suo libro L’aurea vena edito da Il Sextante di Mariapia Ciaghi, ci offre davvero una preziosità letteraria di grande spessore, e che qui segnaliamo volentieri.
Si tratta di un volume tipograficamente elegante, composto di due parti: la prima consiste di una silloge poetica, mentre nella seconda scopriamo l’altro lato della competenza letteraria dell’autrice, e cioè la narrativa, ma più specificamente la fiaba (ve ne sono due).
L’idea di unire insieme, nello stesso libro, la poesia e la narrativa, sembra essere un’esigenza dell’autrice per completare e integrare la sua visione del mondo, sia interiore che esteriore, con entrambe le modalità espressive, laddove alla poesia affida un discorso intimistico ma ricco di simboli e di afflati emotivi, liricamente ben costruiti e pregni di una grande armonia, mentre con la narrativa e le fiabe vuole distendersi e ulteriormente allargare i confini meravigliosi della realtà, includendo attori, personaggi e panorami suggestivi e liberi da ogni stereotipo o costrizione e inquadratura. L’aurea vena, titolo per questi motivi veramente indovinato, è dunque, come anche ribadito nella dotta prefazione di Mariapia Ciaghi, questo anelito urgente dell’autrice a ricercare, ad indagare il segreto filo conduttore che muove gli animi, quei lacerti di luce, di bontà, di schiettezza e di autenticità che abitano nel cuore e nell’animo di ciascuno, e che sovente vengono trascurati se non addirittura rimossi, in una vita materiale che ignora il sentimento, l’amore, la bellezza e il canto del creato.

Riportiamo qui di seguito alcuni testi poetici tratti dal libro.


Ultimo Atto

 

E lascia che cada questo tempo

nel cerchio muto dell’invisibile

sentire, ove s’infrange la spuma e il sogno,

ove ondeggia l’immeritata assenza.

«Tanto non mi prenderai» – dissi, ridendo.

Non sapevo. E se anche ci riuscissi,

sguscerei dalle coste del tuo

brandirmi, perché forse tu non udisti

(eri troppo lontano) il suono delle mie

membra sciolte. E ti lasciai andare,

ché non ebbi scampo che d’amarti

al di là della soglia della notte

e di restituirti nudo al delirio

del tuo libero, libero arbitrio.

 

 ***

 

Aurora messapica

 

E se vedi falare una stella

nella notte sfiorata, non è che

l’aurora che dirige mani

di polline incantato e slarga il

giorno nuovo: lì, tra il cielo e l’infinito

dispare: ancora tutto può accadere,

anima mia, che t’appresti al volo.

 

 ***

 

Quando più non sarò qui

 

Quando più non sarò qui e l’argenteo

filo sarà riconsegnato all’etere infinito,

non toccare il mio corpo per tre ore,

che ancora arde nell’anima frastornata.

Aspetta tre dì, poi ridammi a Lui.

Non vestirmi di nero né d’altro colore…

Lasciami andare nuda in un lenzuolo di luna,

l’unico bramato sudario.

Non scarpe, che troppo poco ho indossato e pesano.

Non lasciarmi in pasto ai vermi che spauro:

lasciami divenire fiamma, l’ultimo

volo di una stella stordita.

Rimanga solo cenere d’acquerello

o nei versi smarriti di chi ricorda.

E poi divenni fiamma, guglia di diamante.

 

 ***

 

Vado scaricando il mio fardello

 

Vado scaricando il mio fardello

di fili d’erba tra le tempie affaticate.

Le membra ormai si sciolgono ogni giorno.

Ci ho provato a resistermi e

ho fatto quel che ho potuto…

sapevo bene che lentamente me ne andavo

e nessuno mi avrebbe trattenuta.

Eppure io sapevo bene della bellezza

della lucertola che correva distratta tra

i piedi, e del chiacchierare spensierato

delle foglie del susino… Me la ricordo io

la tenerezza gratuita dei miei

compagni di giochi nella terra e nel vento.


Cosima Di Tommaso, L’aurea vena Poesie e racconti, Edizioni IL SEXTANTE, 2025

Curatela e critica: Mariapia Ciaghi

Cosima Di Tommaso (Puglia, 21 marzo 1965) è scrittrice, attrice e cantante. Per molti anni ha insegnato lettere nelle scuole superiori, promuovendo laboratori di scrittura e rappresentazioni teatrali con i suoi studenti. Parallelamente ha coltivato una profonda esperienza musicale e teatrale, formandosi con maestri quali Pietro Cimatti, Bruno Brancher, Adriano Iurissevich, Lee Brown e Guido Sodo.
Ha pubblicato Poesie e racconti (Lampi di Stampa, 2007) e Cantico per chi si ama (Il Sextante, 2010), tradotto in dodici lingue e spesso interpretato in scena. Ha scritto inoltre racconti, fiabe e collaborato con riviste e periodici, tra cui L’Eco delle Dolomiti. Come interprete ha preso parte a diversi progetti musicali, sia come solista che come corista.
Dal 2001 si dedica anche all’acquerello steineriano, studiando con Fiorenza De Angelis, Gabriela Sutter e Stefano Signorin. Oggi conduce una vita più riservata, dedicata allo studio e alla ricerca interiore.

domenica 19 ottobre 2025

"La cura di te e altre insistenze", di Mariella De Santis

Le Gemme, collezione di quaderni di poesia curata dalla bravissima Cinzia Marulli da diversi anni, si può affermare che sia una collana di altissimo pregio, nota nell’ambiente letterario non solo della Capitale, ma anche in ambito nazionale, per le selezioni accurate di testi di poeti importanti e di grande levatura nell’odierno panorama poetico. Panorama poetico che, si sa, è talmente ampio, che di conseguenza non appare certamente semplice né facile effettuare le opportune operazioni di valutazione e di invito. Ma in questo panorama si colloca certamente molto bene in vista, e senz’altro meritevole di particolare attenzione, la poetessa romana Mariella De Santis, impegnata sia nella sua prolifica attività di scrittura poetica, sia nel suo intenso lavoro di diffusione e promozione culturale in vari eventi romani e in altre sedi.
Qui ci piace segnalare questa sua plaquette pubblicata da Progetto Cultura che, come sempre, ci offre una preziosità sia dal punto di vista tipografico che del contenuto. Mariella De Santis si presenta con tre poemetti molto intensi, eleganti nello stile e di una profondità emotiva, affettiva, psichica e persino direi filosofica, davvero eccezionali: “La cura di te”, “Ipnos” e “La disobbedienza”. Di questi tre poemetti proponiamo per i nostri lettori soltanto alcuni brani, non potendo per ovvie ragioni di spazio ed anche di rispetto nei confronti dell’editore, riportarli interamente.
Ma già questi brani sono sufficienti a captare la grande arte poetica della nostra autrice. Risalta intanto evidente la forma poematica del suo dettato poetico, elegante e lirico, che sottintende l’amplissima carica emotiva e sentimentale con le quali si rapporta alle figure femminili descritte nel primo poemetto, dove queste appaiono in tutta la loro naturalità, anche nelle figurazioni e situazioni più minute e abituali della vita di tutti i giorni: vi è un grande afflato affettivo, un trasporto sentimentale intenso che racchiude la sfera sia fisica sia psichica e persino spirituale (“Sono i gesti di ogni giorno a darmi struggimento / Il segno della croce, la vasca da lavare, / I quaderni dei bambini che tu porti nell’ombra. / Ma quanto io ho perduto con te diventa tomba.”…).
Analogamente, il poemetto “Ipnos”, il poema del sonno, è un canto che celebra la nostra parte incognita, laddove il sonno, e nel sonno, si manifesta a volte la nostra essenza segreta: “Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni”…
Nel poemetto conclusivo, “La disobbedienza”, Mariella De Santis esprime tutto il suo impeto vitale, volto alla conferma della dignità assoluta della donna e della sua libertà, in una realtà ancora opprimente e pregiudizievole in tantissimi ambiti sociali e familiari.
La poesia, e qui la poesia della nostra brava autrice, è ancora testimonianza, denuncia, specchio della realtà, linguaggio che scolpisce un nuovo mondo, un monumento incrollabile della verità, dell’amore e della giustizia.



La cura di te

Per Viviana e Manuela, creature

 

Prendo su di me la tua cura

Animula piccola silente nella gioia

Scuro cielo d’osso in carne infisso

Prendi la mia cura.

Tu che sei o sei stata in nascita celata carne

Di donna e dovizioso popolo in cammino

Nutriti dell’abbondante umor mio.

 

Timida parca su destriero lanciata

Di te dico, predìco, l’amata sorte il molesto istinto.

La fiamma che mi agita ti fa una e tante.

 

Ora ti tocco piccola creatura

Unica tra tutte figlia di madre incerta

Ascolta il mio perdono. Io non ti fui carne

Tu mi fosti figlia. Tocchiamo la deriva

Lontane, più lontane.

 

Tu bionda naturale nei capelli

Nelle segrete cave, mi attiri senza méta

Mozia tra i mulini salata sospensione

Mi sciogli quale lievito dentro il tuo tepore.

Alga marina protegge la tua salina io fuggo

Dall’incanto, mai ho sperato tanto.

 

I tuoi vestiti su di me, gruccia o stenditoio

Ti scoprono il costato. Ti sano con la bocca

La mano dilaniata, la ferita augusta.

Cresce nuova specie da questa iniziazione

Corpi di vele e vento, teorema e congiunzione,

esatta geometria, mirabile afasia.


………………………..

 

Dammi la mano, il braccio, il piede

Lasciati trascinare fuori da queste mura,

Sdraiati in giardino. Ho curato per te la rosa

Che non punge, il lilium che non tinge,

L’erba che non bagna. Ma lesta rifuggi

La luce e l’infinzione, torni al luogo scabro

Dove eco rompe ricordo del rumore.

 

…………………………….

 

Mia splendida Gradiva, tu non sarai museo

Incedi pronta al tuffo sorprendente. Vado via.

In luminosa evidenza ora tu sei, clinicamente viva.

 

 

***

 

IPNOS

Il poema del sonno

 

Nella mia camera buia ascolto

ogni secondo d’argento tintinnare,

un suono lontano di pompa pulsare.

 

Immagino in alto e in basso i letti

dei vicini, i loro volti

dalle tenebre avvolti.

Li seguo col passare delle ore

sino al primo trillo di sveglia.

 

Il bagno, la cucina, la nebbia sul balcone

la città bocca vorace attende di succhiare

i residui gesti lenti del mattino.

 

Incontro nelle ante dell’armadio

la mia immagine allo specchio

dal grigio intorno agli occhi

dalla ruga alla radice del naso

e dalle labbra esangui mi accorgo

che anche stanotte ho vegliato

 

………………………………….

 

In tanto tumulto si fa largo il sogno.

Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni

e il sonno conclude la nostra breve esistenza.

Alti picchi di noradrenalina e dopamina

nessun segno, nessun rumore

è la morte che nel corpo si muove

abbranca la vita alla gola

dando inizio alla lotta

o forse a un amplesso,

alterna vicenda

tra dolcezza e violenza

conclusa dal sogno.

 

............................................

 

 

Come il sogno dei gatti

– mi dicono –

è quello dei neonati.

Cosa darei per conoscere

quello del dinosauro

o del sapiens mio antenato.

Ci accompagna dalle origini

una spasmodica fame di sapere

appagata da estroverso immaginare.

Si produsse il segno, poi la parola

col racconto tutto si affolla

sogno, mito, archetipo, ragione.

Sopra il sonno, sotto la veglia

la scrittura spartisce

origini, confini, dimore.

 

 

***

 

La disobbedienza

 

“Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo

che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia

tuttavia: è anche un uomo che dice di sì,

fin dal suo primo muoversi.”

(Albert Camus)

 

Quello che mia madre non dovrà mai sapere

non tace e prosegue il suo corso

e quella parola sale

– limo, tracce, sorgente, fondo –.

L’incubo è cupo e non si dà speranza

e quel rumore non tace

– buio, freddo, odore, postilla –.

 

Quello che mia madre non dovrà mai sapere

è la coscienza straniata che porto al mondo

e il mondo che mi penetra, m’invade

io con le cosce chiuse, strette, perché niente esca

– umido, umore, urlo, utero –.

È l’acciaio che non si piega l’anima che mi regge

– labbra, gelo, afasia, morte –.

 

……………………………………

Mariella De Santis, La cura di te e altre insistenze, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2025

Le Gemme - Collezione di quaderni di poesia curata da Cinzia Marulli

prefazione di Viviana Nicodemo

Mariella De Santis è nata a Bari nel 1962. Laureata in Servizio Sociale, è specializzata in progettazione strategica. Ha conseguito un’alta formazione nell’intervento sulle dipendenze e ha un master in neuroscienze. Nel tempo ha perfezionato la propria attività nella definizione di processi metodologici in supporto ai policy makers. È interessata ai percorsi di innovazione della cultura professionale, argomento su cui ha scritto molti contributi. In campo letterario ha fondato e condiretto riviste nazionali e internazionali, lavorato per case editrici e con musicisti, artisti visivi, attori e pubblicato libri.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà