Ecco finalmente un testo poetico che sa dire la verità con
coraggio e senza falsità né ipocrisie, o perlomeno una certa "verità"
che spesso noi tutti cerchiamo di ignorare o minimizzare o anche sublimare in fatterelli
di vita quotidiana. "In che luce cadranno" è quindi
un testo originale e diretto: poche parole ben assemblate a formare poesie
brevi ma intense, ognuna come un piccolo tassello che contribuisce alla
formazione di un quadro che forse non ha limiti nella sua estensione, così come
nella sua ragione d'essere. Parliamo della morte, e ne parliamo, anzi, è così
che il nostro poeta ne parla, all'incontrario, in una sorta di mondo capovolto,
dove la ragione dei morti prende il posto di quella dei vivi, relegata in
secondo ordine, nelle nostre scartoffie e nei nostri corollari.
L'incipit è categorico: "I morti tentano di consolarci / ma il loro tentativo è incomprensibile:
/ sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile / della conversazione. Sanno amarci
/ con una mano – e l’altra all’Invisibile." Si noti il rovesciamento
delle vedute, da cui seguiranno tutte le altre asserzioni: sono i morti, e non
i vivi, che tentano di consolarci, e lo fanno in modo goffo e insicuro, così
come noi tentiamo di consolare gli altri quando cerchiamo di convincerli che,
in fondo, la morte è un'altra vita, un'altra dimensione che sta lì, che ci
aspetta… Ed è drammatica quanto meravigliosamente indovinata la metafora delle
mani (dei morti): una ci trattiene al probabile, al verosimile (sanno amarci),
l'altra cerca di aggrapparci (noi vivi) all'Invisibile, cioè alla Speranza,
alla Fede…
Il giovane Gabriele Galloni, ineccepibilmente, affronta con
questo suo preciso lavoro poetico, un tema che, come dicevamo, è sempre
scabroso, forse antipatico e non privo di risvolti macabri e tenebrosi: la
morte, si sa, è sovente argomento tabù, fa parte delle categorie discorsive
"è-meglio-non-parlarne!", e la poesia lo può affrontare ma in modo
serio, preparato, consapevole, non affatto banale e scontato. È in
fondo quello che fa il nostro giovane poeta, e lo fa in modo encomiabile,
riuscendo in qualche modo a "esorcizzare" il problema della morte,
appunto con il rovesciamento dei termini vita-morte.
Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal recente
libro "In che luce cadranno", edito per i tipi della RPlibri, con una puntuale introduzione
di Antonio Bux. Si noti la brevità dei
testi, quasi epigrammatici, con il verso finale che si distacca dal corpo, come
per concentrarvi tutta l'enfasi e la pienezza dell'enunciato poetico che lo
precede.
I nostri lettori sapranno certamente aggiungere qualche loro
ulteriore riflessione o commento a questi testi davvero originali, e noi li
ringraziamo per la cortese attenzione che vorranno accordare a questa nuova
giovane Voce poetica, che sicuramente è sulla buona via per meritare altri importanti
riconoscimenti.
Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni; tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro
le coordinate per un’altra vita.
***
I morti guardano alla luna come
un errore, uno sgarbo del creato;
pensano infatti che sia cosa messa
lì per illuderli (non percorribile).
L’imitazione di un antico sesso
senza ingresso né uscita né sala
d’attesa.
***
I morti hanno fiducia nella sorte.
A notte fonda salgono sugli alberi
del tuo giardino; li trovi che all’alba
non sanno come scendere dai rami.
Li vedi; non ti vedono. Li chiami
e non ti sentono. Li aiuti – scendono.
Ogni notte ritornano e dimenticano.
***
Può capitare che i morti si filmino
a vicenda; che blocchino più volte
il video per capire se la pelle
del compagno è la loro stessa pelle.
In quelle pause – tutte, dissepolte –
le stelle mobili del sottosuolo.
***
Certo. I morti si danno soprannomi.
Però li scordano immediatamente.
Ché al poco – buona grazia – preferiscono
il niente.
***
Il giardino dei morti è come l’Eden.
Come l’Eden ma non c’è alcun serpente.
Senza serpenti o voci tentatrici
tra le fronde degli alberi –
poiché un albero, lì, è solo radici.
Il giardino dei morti è come l’Eden.
Come l’Eden ma non c’è alcuna regola.
Nessun frutto inviolabile o cancello
di uscita; ogni mattina
vi razzolano il cane con l’agnello.
***
I morti sognano; certo che sognano.
Scrivono i loro sogni quando sfuma
la cartilagine.
***
Giorno di Venere; i morti si sposano.
La loro casa è colma di fiori;
sui pavimenti, sui muri, sui letti.
La stoffa si sfilaccia. Gli invitati
passano il pomeriggio nella luce
abbagliante del mare, su un tappeto.
***
La musica dei morti è il contrappunto
dei passi sulla terra.
(Testi tratti da: "In che luce cadranno", di Gabriele Galloni, Edizioni RPlibri; "L'anello di Möbius", Sezione di Poesia diretta da Antonio Bux; introduzione di Antonio Bux).
Gabriele Galloni è nato a Roma nel 1995. Studia Lettere
Moderne all'Università La Sapienza. Ha pubblicato "Slittamenti", Augh
Edizioni, 2017, con una nota di Antonio Veneziani.
veramente accattivante queste poesie, si leggono con interesse e con sorpresa. Sono versi freschi di novità, che guarda all'oltre con ironia e curiosità. La nota esegetica è invitante e rivelatrice, capace di aprire un varco di interpretazione dei versi. Un'ottima presentazione di una promettente voce poetica.
RispondiEliminaUn caro saluto
Francesco
Ciao complimenti davvero per questo blog pieno di poesie contemporanee ma soprattutto vere e dense di significato. Anch'io ho un blog avviato da recente, per cui mi piacerebbe se passassi a dar un occhiata https://poeticomporanei.blogspot.it e magari darmi qualche consiglio nel contesto poetico. Grazie e complimenti ancora..buon lavoro Laura.
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