lunedì 14 agosto 2017

La denuncia civile nelle poesie di Ester Cecere

Abbiamo già avuto modo di parlare dell'ottima poesia di Ester Cecere, in un suo precedente lavoro, dal titolo davvero significativo: "Fragile. Maneggiare con cura" (Kairos Edizioni, Napoli, 2014). In quella sede esprimemmo un nostro discreto giudizio sulla sua poetica, riflettendo sul fatto che la "poesia" in genere è proprio così: fragile, e va "maneggiata con cura", nel senso che può frantumarsi in mille schegge se denigrata e/o non capita, non assimilata, ma i suoi frammenti possono anche ferire ed infierire: in particolare su un mondo che complessivamente ha abbandonato ogni sentimento e ogni valore di umanità.
Allora Ester Cecere riprende in un certo senso il suo discorso pungente, perché una poetessa sensibile e attenta come lei non può fare finta di nulla, ignorare le infinite atrocità di questo nostro mondo attuale (ce ne sono sempre state, fin dall'Eden, ma è sempre opportuna e lodevole la denuncia da parte degli uomini di buona volontà e degli intellettuali!...). Una poetessa e scrittrice come la Cecere, peraltro impegnata anche nel campo lavorativo, a continuo contatto con le meravigliose creature del mare, sovente vittime della disattenzione (a dir poco!) dell'uomo, non poteva rimanere in silenzio di fronte a tutto ciò che relega l'uomo nel fosso più profondo della cattiveria, della indifferenza, del sopruso e della violenza.
"Non vedo, non sento e…", titolo che richiama l'immagine delle tre scimmiette sagge che non vedono il male, non sentono il male e non parlano del male, è in realtà utilizzato qui, dalla nostra Autrice, come simbolo di denuncia ai mali del mondo. Non per nulla il titolo non completa la classica frase, ma si ferma ai puntini sospensivi, cioè proprio lì dove effettivamente "bisogna" parlare, raccontare, indicare, denunciare. Ed Ester Cecere lo fa con una poesia sobria, priva di inutili giri di parole, perché il male, in qualsiasi forma si presenti, deve essere chiaramente denunciato, senza indurre dubbi o giustificazioni alcune. Lo stile delle poesie di Ester Cecere in questa sua raccolta di denuncia è quindi coerente al tema; in molti versi si evidenzia la partecipazione piena al dramma umano, e il lettore non può che accordarsi e rimanerne positivamente coinvolto. Eppure, il suo dettato poetico è pervaso da una sorta di elegante compostezza, pur nei tratti che lasciano intravedere situazioni scabrose e violenze inaudite: qui sta la bravura e la competenza della poetessa, che si lascia coinvolgere ma mantiene sempre aperto l'orizzonte alla speranza, con una dolcezza e una luce che è la vita stessa, nostra e della poetessa, una vita che è comunque sacra e da proteggere sempre e ad ogni costo.

Da "Non vedo, non sento e…", riportiamo qui di seguito alcuni testi. Saranno graditi commenti e riflessioni da parte dei Lettori che ci seguono.


Da dove vengono le lacrime?

Da dove vengono le lacrime
se stagni secchi
sono gli occhi,
legnoso nòcciolo
il cuore,
e l'anima
l'esuvia d'un serpente?
Forse,
sono gocce di primaverile pioggia.
Forse,
sono stille di rugiada mattutina.

Sono le lacrime del mondo,
cadute su di un viso
duro come cuoio
per donargli ancora
un po' d'umanità.


La vita in una valigia
(Agli emigranti italiani)

In una valigia di cartone
la tua vita stipasti.
Poveri abiti rattoppati
come i giorni tuoi
e il vestito della festa.
Eppure t'era greve.
Pesavano molto
l'angoscia dello strappo
e di orizzonti incerti
la speranza.
Senza radici
eri su quella nave.
Erano rimaste lì,
in quella terra aspra
dal sole accecata
e arsa dal salmastro
dove fra gli ulivi
il vento era melodia.

Vedevi la Lanterna scomparire…
Sugli occhi un velo
e nel petto un grido di gabbiano.


Gay

Bambole riempivano
di bimbo il tuo mondo.
Pistole e soldatini disdegnavi.
Affini amiche le compagne,
impossibili depositarie
di non convenzionali turbamenti.
E ti seducevano
gl'inquieti occhi
e il maschio cipiglio
di colui che ti sedeva accanto.

Eri dolce,
troppo dolce…
Ancheggiavi,
sì, ancheggiavi!

Come maligna esondazione
scherzi risa scherno
ti travolsero.
E al volo senza ritorno
la tua vita affidasti.


Non fu abbastanza azzurro il mare

Hai preferito il volo
al vuoto intorno a te.
Vuoto d'amore?
 –Non già lo disse affranta
colei che tanto amò Taranto bella? –
In un'incerta primavera
non fu abbastanza azzurro
per dissuaderti il mare
da quel salto sugli scogli
che alla giovane tua vita
precocemente
il punto mise.


Dimmi Dio, rispondimi Allah

Dimmi Dio,
chi ha ragione?
Rispondimi Allah,
dov'è il torto?
È forse negli increduli volti
da strisce rosse rigati
di creature innocenti?

Spiegami Dio,
cos'è un'etnia?
Parlami Allah,
perché tanto odio?

Smisura l'assurdità
d'una faida che sanguina
di giovani vite falciate.

Che persino la morte
fatica a portare con sé.


Attentato

Squassa il boato
l'aria e le coscienze.
All'unisono tremano
la terra e i cuori.
Incredulo scheletro
fuma disperazione l'autobus.
Schegge di vetro
in occhi accecati.
Di sangue urla mute
su bocche atterrite.
Fantocci smembrati
e chiazze vermiglie
sull'asfalto annerito.


Colorate farfalle
(Alla bimba usata come kamikaze in Nigeria)

Ignara saltellando
verso la morte t'avviasti
con la vivacità degli anni tuoi,
incuriosita e attratta
da richiami e colorate merci.
Il sorriso candido
contro l'incarnato scuro
da treccine incorniciato.
Così lontana la morte
dalla tua spensierata età!
Eppure in mille briciole
ti dissolvesti
fra gente inconsapevole
e di terrore muta.

Tramutata in farfalle colorate
voglio pensarti
come creatura fatata
nella più bella fiaba.


Ti fu culla e bara il mare
(Al piccolo migrante nato e morto
durante la traversata)

Di doglie urlava
il mare in burrasca.
Carillon dei tuoi sogni,
regolare e tranquillo,
in tamburo impazzito
d'improvviso mutò
del materno cuore il battito.
Ad echi di terrore franò
il mondo tuo silenzioso.
Poi il nulla…

Da un liquido all'altro
passasti,
ancora legato
al tuo primo unico amore.

E ti fu culla e bara il mare…


Il cuore in una bottiglia

Il cuore
in una bottiglia ho rinchiuso.
Con forza l'ho lanciato
tra spumeggianti marosi.
Una risacca cattiva
i piedi insidiava.
Schiaffeggiava freddo il maestrale
il viso dalla pioggia rigato.

Che incontri acque tranquille.
Che baciato dal sole galleggi.

Un delfino ci giochi
in un mare ormai ostile.
Un migrante naufrago
lo stringa a sé forte.
Giunga su povere coste
a pulsare per misere genti.
Lo raccolga curioso
un bimbo infelice…

 (Da "Non vedo, non sento e...", WIP Edizioni, Bari, 2017. Prefazione di marina Pratici)

Ester Cecere è nata a Taranto, dove svolge la sua professione di ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, occupandosi di biologia marina.
Poetessa apprezzata, ha scritto quattro libri di poesie: "Burrasche e Brezze" (Il Filo, Roma, 2010); "Come foglie in autunno" (Tracce, Pescara, 2012); "Fragile. Maneggiare con cura" (Kairos, Napoli, 2014); "Con l'India negli occhi, con l'India nel cuore" (WIP Edizioni, Bari, 2016). Ha inoltre pubblicato la raccolta di racconti "Istantanee di vita" (Kairos, Napoli, 2015).
"Non vedo, non sento e…", edito per i tipi della WIP Edizioni di Bari nel 2017, con prefazione di Marina Pratici, è la sua ultima raccolta di poesie in ordine di tempo.
Sulla poesia di Ester Cerere hanno scritto: Giorgio Barberi Squarotti, Dante Maffia, Nazario Pardini, Domenico Pisana.

È possibile consultare il suo sito web all'indirizzo www.estercecere.weebly.com


3 commenti:

  1. Una nota di lettura che invoglia ad approfondire la lettura della bella raccolta di poesie di Ester Cecere. Le poesie riportate testimoniano la necessita di raccontare le ombre maligne che serpeggiano nella nostra società, e la Nostra le affronta con l'arma della semplicità. Quel dono che meglio di tutte sa rivelare la purezza dell'anima del poeta, capace di cogliere le distorsioni che sfuggono a molti.

    Un caro saluto
    Francesco

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  2. Bellissima pagina critica per una voce originale nel panorama dei nostri tempi. Una poesia che talvolta ferisce per risvegliare le coscienze. Una poesia niente affatto fumosa o alla ricerca di inutili preziosismi, una poesia che rimarrà.
    Marcella Spinozzi Tarducci

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  3. Ringrazio, in primis, Giuseppe Vetromile, stimato Poeta e caro Amico, per questa sua lettura critica attenta e pregnante e per aver apprezzato la scelta della “semplicità del linguaggio”. Per questo stesso motivo, sono grata anche a Francesco Casuscelli. Entrambi hanno compreso la necessità di una forma espressiva semplice, chiara, comunicativa, come è quella di tutte le poesie civili, di denuncia, che devono essere facilmente comprese da tutti, altrimenti il loro scopo viene meno.
    Ringrazio, altresì, la scrittrice e cara Amica Marcella Spinozzi Tarducci, che mi segue con attenzione e competenza, per il suo commento critico.
    Ester Cecere

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