Dunque, una poesia che scava, mette il classico dito nella piaga, ne evidenzia le profonde emozioni, positive e negative che siano, al fine di offrire uno spunto di riflessione, finalmente, sul classico detto ma chi siamo, dove vogliamo andare?...
E la poesia di Alessandro Barbato, un po’ come nei suoi precedenti lavori, ma particolarmente in questa sua recente opera, è proprio indicatrice, cartina al tornasole di un vago disagio interiore, di una consapevolezza di grigiore che patina le cose e i luoghi, in una quotidianità sovente monotona, ripetitiva, svalutata.
Alessandro Barbato indaga dunque nel tessuto più intimo dell’animo umano, quando questo si trova ad affrontare, a vivere, le cose di tutti i giorni, cercandovi un motivo, un senso che possa contribuire alla spiegazione della vita, offrendo quindi spunti di riflessione personali e certamente condivisibili sull’esistenza. Con la sua poesia, compatta e propositiva, non priva di un certo ritmo, egli mette in relazione cose, fatti, situazioni della quotidianità, con la realtà naturale circostante, delineando così una mappa che possa in qualche modo fare da guida, offrire uno sbocco, una meta per il lungo cammino esistenziale, al fine di ritrovare quel “firmamento sotterrato in ogni angolo per noi”.
Una poesia asciutta, riflessiva, che scuote il lettore dal torpore di una routine quotidiana scialba e ripetitiva, proponendogli motivi di speranza e nuovi orizzonti.
Esiste un firmamento sotterrato
in ogni angolo per noi.
Insieme a un cielo grigio che a fatica
solamente qualche volta,
con qualcuno, proviamo a superare.
E colpa appare a volte il non volere
rivelare mai a nessuno
la paura che ci batte sulle tempie
quando l'ombra pesa addosso
e ci accorgiamo di esser vivi, forse,
in quel che non diciamo, oppure in quello
che vorremmo e non sappiamo
di vigne, ulivi e muriccioli a secco,
di odor di nafta dai trattori accesi
tra mani grandi e volti abbrustoliti.
Bisogna d'acqua e un giorno pioverà,
ma noi saremo persi per i vicoli,
lontano, o in autostrade che ci scavano
la mente, tra le smanie del tuo inverno.
Dovrà servire in fondo il solleone
che manda in fumo le sterpaglie e i rovi,
se il mondo intero intorno non si muove.
Sì, servirà a qualcosa anche aspettare:
la tua cicala canta ed ha ragione,
tra quel che a maggio fu lavanda al Sole.
Provenzale
Verremo via e con noi scivoleranno
nella notte delle palpebre
le cose e anche le case, tutte quante
le canzoni che ascoltavi
per dormire, le perline, i prati
e i fiori che teniamo nei cortili.
Verranno via con noi le nostre rose,
con le spine, i pennivendoli,
le giostre e poi il profumo che indossavi
quando aspettavamo Aprile.
Non mancheremo certo a questo mare
o alle sue onde che ci nutrono
la voce, né alla danza di cicale
che nemmeno a sera tace
e ci ricorda amori e fiabe.
La casa delle cose
Si sfoglia la parola come i platani
a novembre, s'accorcia anche il perimetro
dei sogni che tu salvi, qualche volta,
dagli strilli di straniero
di quest'alba irrevocabile, caduta
in mezzo ai campi lentamente,
sui cantieri, la mia strada,
i tuoi sbadigli e poi su carni
che rivestono i pensieri
taciturni. Ma restano le notti
nella gola e nelle vene ancora
voglia di trovarci più lontano,
dove a volte posso fingermi
ormai sordo a ogni scoppio di mortaio,
attento solo al tuo richiamo.
Via dell'alba
Mi hai rivelato le isole
e i deserti, le ansie liquide
di notti attese e vane in cui si cercano
i motivi per partire,
per tornare. Mi hai detto cose buone
che addolciscono il palato,
se muovevi tra i tizzoni
i miei pensieri inceneriti,
e altre inutili per vivere
ma vere come i venti che ci seccano
la gola. Adesso siamo incerti
se tacere oppure urlare,
procediamo titubanti
come tutti, un po' alla meglio,
senza troppa convinzione,
né tesori da scovare.
La mappa dei giorni comuni
Faremo come le anime che restano
nei sogni, nascoste
in coni d'ombra, avremo
sprazzi, lampi che somiglieranno
forse a vite intere di riserva.
Poi ne cercheremo in questa
come antichi, pazienti sacerdoti
i segni, qualche orma,
nel rapido mutare dell'eterna
rotazione di altre voglie
e imprecazioni. Vedremo ancora
un ritmo nel sospiro che ora pare
più lontano, mentre vela opaco
il mondo la cruda brevità
di questi nostri giorni;
e torneranno voci, le parole
scivolate via dagli occhi,
le morbide carezze che ora tacciono.
Sprazzo
Verranno a breve piogge e temporali
da ponente, dove fuggono
le anime cacciate via dal mondo.
Si modelleranno nubi
all'orizzonte e nell'incavo
dei tuoi occhi ricadranno goccia a goccia
le domande e gli sbadigli.
Sembreranno più affannati
anche i respiri con il vento
sempre alto e a un roveto
trascurato sarà simile il giardino,
quando pur concederemo
ancora al cielo una parola.
Nel frattempo puoi accudire
i tuoi propositi di luce:
sono fermi, qui accucciati
sulla coda dell'estate
che si sbuccia le ginocchia e corre
a casa senza piangere, né chiedere
più tempo a vecchi sogni sparpagliati.
Cambiostagione
Brani tratti da:
Alessandro Barbato, Piccola mappa per giorni comuni, Versiedizioni, 2024
Alessandro Barbato è nato a
Roma nel 1975. Specializzatosi in Antropologia sociale presso l’EHESS di
Parigi, si è dedicato allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e
letteratura, pubblicando diversi saggi. Collabora con il blog dedicato a
Pierpaolo Pasolini, «Le pagine corsare». È stato membro del comitato di
redazione della rivista di settore «Civiltà e religioni». Appassionato di
poesia contemporanea, ha pubblicato liriche su rivista, blog letterari e nel
2019 la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta
Solamente quando è inverno. Nel 2022 ha visto la luce la raccolta poetica, La
mimica dei mondi (qualche poesia fuoritempo), edita da Controluna. Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma