giovedì 5 dicembre 2024

Mariano Ciarletta legge Patrizia Fasulo: La fatica della boccia, Emia Edizioni, 2021

Nella silloge La fatica della boccia spicca un ricercato equilibrio semantico e la volontà di non rinunciare all’essenzialità della parola (Agamben, 2022). Patrizia Fasulo declina la fatica, intesa non soltanto come fenomeno-condizione, in modo sorprendentemente eterogeneo. La fatica è infatti la melanconia che chiude i pensieri, la memoria che sopravvive al corpo che cede, ma anche la comunanza che sussiste tra il meticoloso lavoro dell’insegnante e quello del contadino. Una fatica che, lasciando l’azzurro delle prime pagine, diviene cupamente ostruzione, impedimento e, soltanto nelle battute finali, liberazione: Persino le lacrime/solcando il viso/ si ramificano/in mille percorsi. La fatica di Fasulo, tuttavia, trova accoglienza nella gioia che deriva dal ritrovo-rimembranza: Per un attimo ti ho rivista/con l’alluce sbucciato/capelli ricci e scarmigliati/correvi nei campi di grano/felice perché libera di essere/Eri proprio tu/ Ero proprio io. Alcuni componimenti dell’autrice varesina disvelano un valore significativamente esperienziale. Ne sono un esempio le stesse partenze e gli stessi arrivi, i quali anticipano una fuga - fazzoletto di tempo. Ma è proprio questo un passaggio significativo, in quanto è nel ritorno che l’autrice si riscopre – con matura e nostalgica lucidità –  troppo giovane per essere vecchia/troppo vecchia per essere giovane. La fatica di Fasulo trasmuta ancora – ed inaspettatamente – in esigenza di libertà. Ciò si verifica nel corpo statico/ che fatica a sopportare il dolore, o nel parto-nucleo della fatica stessa: Tacendo/veniamo alla luce/ un istante dopo/ abbiamo già imparato il pianto. Nelle poesie successive, la scelta di ricorrere frequentemente alla metafora si rivela pienamente ragionata. Il suo impiego, infatti, consente al lettore di cogliere le diverse sfumature che caratterizzano il senso di “fatica” sui cui si erige l’intera silloge. La fatica diviene allora attesa-pretesa, presenza non vista, una schiena voltata. Tale condizione è più avvertita nel distacco dalla realtà imposto dalla pandemia dove, come un contadino privato del suo campo, Fasulo confessa una genuina nostalgia alla propria professione: Tutto è deserto/ Mi assorda un silenzio surreale/ Non avrei mai immaginato/ che le vostre indisciplinate urla/ potessero mancarmi così tanto/ Coraggio ragazzi/ ci rivedremo presto. Una poesia, dunque, dove si collimano  eventi personali e collettivi. Molti dei versi di Fasulo, infatti, sono ampiamente condivisibili, specie quando la fatica si manifesta Declinando/ un’esistenza in cui si deve, a volte, rimanere fermi a fatica.


Ai miei maestri

 

Il lavoro dell’insegnante

è simile a quello del contadino

richiede cura e fatica

tempo

e costanza

 

Si prepara il terreno

Si semina

si dà acqua

né troppa per non affogare la pianta

né poca per non seccarla

 

Si tolgono le erbacce

per dare respiro

Si protegge dalle intemperie

Si attende pazientemente

Si godono i frutti

 

 ***


Fazzoletto di tempo


Fuggii da casa

a diciotto anni

come un prigioniero

evade dalla galera

 

Maggiorenne

diplomata musicista senza musica

insegnante senza penna

innamorata dell’amore

 

Una distrazione disattenta

mi strappò dall’innocenza

Troppo in un fazzoletto di tempo

Troppo per una bambina divenuta donna

 

Quarant’anni dopo

ritorno

tra quelle quattro mura

non più galera ma rifugio

 

Frugo nelle tasche della vita

il fazzoletto è ancora lì intriso d’amarezza

 

Troppo giovane per essere vecchia

Troppo vecchia per essere giovane

martedì 26 novembre 2024

Carlo Di Legge: "Buenos Aires Benares", la sua nuova raccolta poetica trilingue

 

Carlo Di Legge, poeta, filosofo, critico conosciuto e apprezzato in ambito nazionale, ha affinato in questi ultimi tempi i suoi studi e le sue ricerche letterarie grazie alle esperienze di viaggio che gli hanno permesso di conoscere nuove culture e nuove realtà. Pur essendo un poeta di grandissimo talento, non ha pubblicato molti libri, ma i pochi che ha realizzato sono sicuramente molto intensi e rappresentativi del suo pensiero poetico. Multiverso è stata la sua opera poetica precedente più significativa, ma tantissimi testi suoi sono raccolti in siti online e in riviste specializzate.
Ora giunge a questa voluminosa pubblicazione trilingue: italiano, inglese e spagnolo, Buenos Aires Benares, edita da Delta3 Edizioni di Silvio Sallicandro.
Dice lui stesso alla fine della nota introduttiva: I testi poetici sono una porta: essi nascondono e mostrano significati, come la poesia dovrebbe. Ritengo che sia qui concentrato il nucleo e anche lo scopo del suo dire poetico. I testi poetici, come fantascientifici portali cosmici, aprono varchi verso altre dimensioni, altre realtà, altri modi di intendere e di significare. Qui già nel titolo ravvediamo – e con maggiore evidenza proprio nella prima poesia “Buenos Aires, Benares” – un collegamento diretto tra due città, due realtà distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra: Buenos Aires in Argentina e Benares in India. Il gioco di parole, l’allitterazione, è evidente, ma il fondamento consiste proprio nella contemporaneità di due realtà sociali e culturali distanti, unite dalla poesia.
Questa contemporaneità, questa dualità suggerita dal titolo, si espande però in una sorte di nuovo Multiverso, dove la potenzialità creativa di Carlo Di Legge si manifesta nei suoi testi che raccontano, raffigurano, portano alla luce quadri e visioni le più variegate, raccolte nelle 9 sezioni del libro, dalle riflessioni in ambito sentimentale (della vita dell’amore) alle considerazioni sulla vita e sulla morte (il viatico), alle trasposizioni storiche (Isso 333 b.c.).
L’universalità del detto – e del non detto, o sottinteso (ritornando al fraintendimento come cosa utile e necessaria in poesia…) – è completata qui dalla esposizione nelle tre lingue, curata direttamente dall’autore. Un esperimento rischioso ma ben riuscito, come afferma lo stesso Carlo Di Legge, affrontando una letteratura particolarmente insidiosa e ardua da praticare. Ma, tant’è, il nostro Carlo, avvalendosi degli studi e delle esperienze maturate nell’ambito delle lingue estere, in particolare l’inglese, lo spagnolo e finanche il cinese, ha ritenuto quasi necessaria l’autotraduzione, completando così un quadro poetico che veramente potrà essere interpretato e vissuto in modo globale!

Il libro è stato presentato nell'ambito della Rassegna "Poesia è... Rinascenza" di Melania Mollo e Giuseppe Vetromile, l' 8 novembre 2024 a Pollena Trocchia (Na).

martedì 5 novembre 2024

Il Libro del Fuoco in "E S S E", poema di Massimo Monteduro

È sorprendente, e lo affermo con grande soddisfazione e piacere, constatare che sovente la poesia non è costruita su meri moti dell’anima, su ispirazioni improvvise o su dettami e impulsi segreti che premono e urgono e che volentieri si cerca di esternare con versi più o meno significativi. A volte capita di trovarsi di fronte ad un edificio poetico costruito ad hoc, in base ad un progetto ben delineato, con elementi specifici, anche minimi, che si integrano l’uno con l’altro.
È il caso di Massimo Monteduro, salentino, che si presenta al pubblico con questa sua originale raccolta edita da RPlibri di Rita Pacilio, il cui titolo, E S S E (ma andrebbe scritto, come in copertina, ES / SE) dà adito a diverse interpretazioni, psicologiche e filosofiche, incentrando nella radice “es” il significato forse più importante, e cioè la natura dell’io, la sua forza interiore, atta a creare.
Ma tornando alla raccolta, è interessante notare come lo stesso Autore esponga, in modo dettagliato e puntuale, l’origine e il percorso del suo progetto poetico, nato negli anni della sua gioventù, poi interrotto, ed ora ripreso, ma conservando sempre l’idea e il filo conduttore originario, e cioè quello di creare un Poema unico, sviluppato in più capitoli o libri, e attualmente ancora in formazione, tanto è vero che lo stesso Monteduro assicura nelle sue note esplicative la volontà di continuarlo.
E quindi, dopo “Il principio” e il “Libro del Buio”, elaborati tra il 1992 e il 1994, come spiega nelle sue note (Percorsi), Monteduro giunge a quest’opera, il “Libro del Fuoco”, strutturato in 7 parti: un Prologo, Canto della Rosa, Canto dell’Arancio, Canto dell’Oro, Canto del Carminio, Canto della Viola, Epilogo, abbracciando diverse tematiche inerenti all'esistenza, alla vita, ai sentimenti.
La struttura poetica di ciascuna parte o canto, è sempre la stessa: si tratta di uno schema metrico innovativo, originale: il distico saturnio (recuperato, come afferma l’Autore nelle note, da un antico metro latino), il che assicura un ritmo gradevole e armonioso. Qui sta l’ingegno poetico dell’Autore, che ha voluto, appunto, creare questo Poema, utilizzando un metro del tutto originale e appositamente rielaborato allo scopo, motivo questo di grande intuito e di lodevole apprezzamento, nei confronti di chi, come Monteduro, “ingegnerizza” il dettato poetico dotandolo di una struttura valida, bene organizzata e studiata, anziché affidarsi a schemi liberi, generalmente deboli e improvvisati.
Qui di seguito proponiamo per i nostri lettori una parte della raccolta, il "Canto dell'Oro".

Canto dell’Oro

(24 agosto 2018 – 31 dicembre 2021

 

Il sole adora oceani d’ambra sommergendo

l’umanità raggiante di luce d’oro.

 

Reami di opulenza colmano le vene

inquiete di conquista, bramando avanza

 

la giovinezza. Profanando lidi un tempo

proibiti le legioni dell’alterigia

 

il Leviatano innalza verso il predominio.

Gli scrigni imperscrutati dell’Ideale

 

si schiudono dall’universo iperuranio.

Il limite si infrange di territori

 

e popoli, diademi, lingue, riti e vesti:

Vittoria alata celebra l’uomo nuovo

 

di sé splendente, seme libero e fecondo,

materia e forma sinolo nell’ebbrezza.

 

Rinascimento sorge intrepido e possente

a sovvertire il dogma dei monasteri

 

purificando conoscenza da segreto,

per rivelare al centro del cosmo il sole.

 

Necessità rivolve in volontà liberta.

Misura della terra, sezione aurea

 

e circolare perfezione delle membra

dell’individuo artefice di fortuna

 

che signoreggia la natura, e più non trema

dinanzi al drago antico di tuono e d’ombra.

 

Da baratri dipinti di bagliori stelle

si svelano da immense distanze, lente

 

agli occhi assorti di colui che finge abiura

ma non rinnega il muoversi della terra.

 

Le dita dell’umano e del divino unisce

l’artista nel prodigio della creazione,

 

superba mente mutilata di prigioni.

Vampando verso il disco che d’aura inonda

 

perenni monumenti erigono nazioni.

La coppa indora il nettare, lumeggiando

 

veggenze chiare di tessuto e d’equilibrio,

clessidre d’elio, fibre di seta e gioia,

 

virtù dell’intelletto ed onestà gentile.

Muraglie azzurre incolumi caravelle

 

traversano nella scoperta dell’ignoto

intatto mondo, splendido e sterminato.

 

Il genio ha sete del sapere universale

di macchine, sorrisi d’enigma e rocce,

 

in sé ascoltando i ritmi della luce, l’onda

nel tempo di attrazione e di repulsione,

 

i volti umani di colline, boschi e fiumi.

Lo spirito manipola la materia

 

e sfiora trasparendo i limiti del vero

nel telo primordiale della creatura

 

vivente. Rifulgendo osceno il riso incendia

l’autorità di tenebra e i suoi comandi,

 

la freccia meridiana ascende nella gloria

mortale di frammenti d’eterno. Amico

 

dolcissimo che ascolti, verso solitario,

ricordi la fiducia nel tuo sentiero,

 

il tempo in cui appariva tutto una promessa,

il luogo in cui speravi la tua dimora

 

per sempre. Età preziosa quella che pretende

ed osa trasgredire nella Bellezza.

 

Sfidando audacemente il vuoto delle altezze

per le onde dell’oceano vertiginare

 

sicuri del futuro nelle proprie mani,

così come la vela cattura il vento.

 

Amore fonde l’oro nel fatale anello:

in strenuo duello avverse alla finitezza

 

si avvincono dai corpi le anime ferventi

tentando l’impossibile superarsi

 

ben oltre il tempo ostile e l’insensato spazio.

E credono per sempre d’amare, invase

 

dall’assoluto. Di passione folleggiando

romantiche e dimentiche della sorte

 

precipitano all’orizzonte degli eventi.

Sfinite sino a morte si struggeranno,

 

non più individue e pure non ancora une.

L’Aedo canta l’Epica degli Eroi

 

nei circoli del mito, in guerre, in traversate:

esilio, nozze e oltraggio del sire in campo,

 

colui che vide le profondità tra i fiumi,

le stirpi di Bharata, le torri d’Ilios

 

infrante dal veloce piede poi trafitto,

il fuggitivo prode verso l’Italia

 

e la liberazione della città santa,

il libro dei regnanti di Ghazna persi,

 

il cavaliere dalla pelle di leopardo

e l’olifante al soffio dei paladini,

 

i canti del rabab, il viaggio in occidente,

i figli della nebbia, Gesar e Manas.

 

Fu d’oro il vello della nave costellata

e il tempo del ritorno dal sole d’oro

 

strappato fu ai compagni stolti di nessuno.

Dioniso divora nei ditirambi

 

oranti, questo è il mezzogiorno della vita

che culmina! Potenza conflagra in atto

 

ed il reale soggiogato si concede

all’uomo nel Pensiero del Fuoco acceso.

 

Carpire l’attimo eternato dal vanire

in sogno abbacinante di perfezione,

 

rovente nei barbagli del sublime zenit […]

Eppure il male intruso già presagire

 

nell’astro che la ruota amara alla rovina

prepara, l’aspro odore del sangue in petto.

 

Massimo Monteduro, ESSE, Libro del Fuoco, RPlibri Edizioni, 2024

Massimo Monteduro è professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università del Salento e avvocato. Appassionato di poesia sin da bambino, ha vinto nel 1992 il Certamen Horatianum e il Premio di Poesia “Luigi De Donno”. Il Libro del Fuoco è la sua raccolta di esordio. L’opera costituisce la seconda parte di un più vasto poema in corso di composizione intitolato: ESSE



 

giovedì 31 ottobre 2024

Il bene profondissimo, di Antonella Vairano

Il rischio che un poeta deve affrontare è alto quando il tema che lo ha “ispirato” è piuttosto usuale e generico. Sta quindi nella grande esperienza e nella maestria dell’autore a non scivolare in espressioni e versi già ampiamente e a volte anche superficialmente esposti, in composizioni che rasentano la piattezza del significato e che non hanno nulla di nuovo e di originale da suggerire. Il bene, l’amore, la bellezza, e altri valori universali come questi, sono argomenti che potrebbero facilmente indurre il poeta a scriverne cadendo, più o meno inconsapevolmente, nell’ovvietà se non nella banalità.
Ma non è certo il caso di Antonella Vairano, poetessa di grande talento, che ha voluto affrontare questo delicato argomento con la sua recente silloge Il bene profondissimo, edita da Controluna e con una dotta prefazione di Sergio Daniele Donati. Già il prefatore pone l’accento sul luogo comune “bello uguale buono” e viceversa, rimarcando la convinzione classica che l’estetica sia legata all’etica. Ma qui la nostra autrice riesce a distinguere, a separare in un certo senso tale assioma, trattando direttamente il fondamento del “bene”, tanto da raggiungerne la profondità: il bene profondissimo: un assoluto che non ammette paragoni rispetto ad altri piani emotivi, non concede alternative più o meno blande. Il bene profondissimo è il raggiungimento di una consapevolezza interiore tale che “Se una parte dell’amore / ha seme assoluto / Se una parte dell’invincibile / ha labbra scarlatte / E se una parte del volo / ha correnti uniformi / Allora io sarò nella pace della Vita.”
La poesia in questo caso è anche strumento di ricerca, di indagine nel proprio vissuto, nella propria intimità, allo scopo di individuare i segreti messaggi che provengono dalla realtà circostante e, soprattutto, dalla rielaborazione di questi nel proprio io, al fine di raggiungere un equilibrio e una gratificazione alla propria esistenza nel mondo.
Ma la poesia di Antonella Vairano riesce talmente a raggiungere il cuore delle cose e della natura, da evidenziare con coraggio anche la negatività, ciò che è opposto al bene profondissimo e che crea delusione e anche dolore: "La bellezza mi fa male / come un altare di rose /claudicante": tutta l'espressione è ossimorica, ma riesce in tal modo a sintetizzare in modo appropriato l’altro lato del bene, il pericolo di affidarsi ciecamente alle prime impressioni superficiali, nei rapporti con il mondo e nella società, in cui non sempre il bene è veritiero e schietto: “L’ho messa (la vita) nella mano degli altri / e quella stessa mano / di perdizione e scostamento / mi preparava cristalli affilatissimi / sotto i piedi. / Ci ho messo un attimo a farmi male”.

Qui di seguito alcuni brani poetici tratti dalla sua raccolta:

 

Un attimo

 

Se una parte dell’amore

ha seme assoluto

 

Se una parte dell’invincibile

ha labbra scarlatte

 

E se una parte del volo

ha correnti uniformi

 

Allora io sarò nella pace della Vita.

 

Ho parlato al cielo senza guardarlo

mentre davo sussulto al mio ventre

di grano.

 

Ho cavalcato lo sciabordio di

arabeschi di carne

e ho sovvertito la tensione

in quiescenza.

 

L’ho messa nella mano degli altri

e quella stessa mano

di perdizione e scostamento

mi preparava cristalli affilatissimi

sotto i piedi.

 

Ci ho messo un attimo a farmi male

 

 ***

 

Sorgivo

 

Ho fatto un sogno.

 

Abitavo il cielo

tenevo giù la fronte

mi affamavo di vento.

 

Il soffio ammorbava le cervella

e il corpo pesava quanto l’anima.

 

Qui c’è troppo di me – pensavo.

 

E ti chiedevo... stai ancora un po’

in questo spazio sorgivo.

 

E se puoi

scuoiami di splendenza

interiore

nell’attimo calmo che fa conto pari

con la buona sorte.

 

 

 ***

 

Il sole e la luna

 

E comincio dalla fine

perché un verso scritto di notte

è diverso al mattino

 

E perché morire dal ridere

non è uguale al morire d’amore

 

E comincio dalla fine

perché l’uomo che parte

non è lo stesso quando torna

 

E comincio dalla fine

perché il Sole e la Luna

non sono la stessa cosa

 

E la loro somiglianza

del resto

nasce nel gesto

 

E comincio dalla fine

perché avere tutto di giorno

diventa niente

al cielo delle stelle.

 

 

 ***

 

Ormeggi

 

Io so e io non so

concupiscenti e concubine

queste voci del terzo millennio

tutte nella testa.

 

A forza di tirare su gli ormeggi

non c’è più niente che non urli,

 

Nemmeno la Bellezza.

 

Questa fame d’aria e di cilicio

questa macchina umana infame

questo corpo senza sogni

 

È come il terrore di uno squilibrato

che respira aria di violenza inquieta

sui capelli sottili e biondi

di un bambino mentre parla.

 

 ***

 

I Poeti

 

Amo la grandezza dei poeti

solo se è stata miseria

 

non ho paura di dio

è l’ignoto che conosco

e non mi nascondo

 

Non mi sento corpo,

testa, stomaco.

 

Sono appartenenza e…m’aggiungo

 

Come si può non amare il mare?

Come si può non amare il sangue lento

dei poeti?

 

Nelle acque di mare

quel che succede di notte

è scura circostanza d›amore

 

E l’onda instancabile ripete

l’odore crudo dei santi

e la bestemmia

furiosa del poeta!


***

Antonella Vairano, Il bene profondissimo, Controluna Edizioni, 2024, prefazione di Sergio Daniele Donati.

 

Antonella Vairano nasce e vive a Conversano, città d'arte e di storia a pochi chilometri da Bari. Ha conseguito diversi riconoscimenti a Premi letterari nazionali e internazionali. Coautrice in diverse antologie di poesia contemporanea nazionali ed internazionali. Suoi testi sono stati tradotti in inglese e spagnolo. Le sue poesie sono presenti in diverse riviste letterarie e pubblicate su diversi quotidiani (Il Quotidiano di Bari, La Repubblica-Bari...), su siti on line (Versante Ripido, Atelier Poesia...) e blog (anche americani). Ha ricevuto importanti recensioni da parte di critici e poeti. Sue pubblicazioni: 29 Note Poesie (Youcanprint, 2018); Il mondo s’è fatto male, con prefazione di Maria Grazia Calandrone (Csa editrice, 2019). Ultima  pubblicazione Il bene profondissimo (Controluna-Edizioni di Poesia, 2024). Gestisce il “Circolo letterario Vento Adriatico”, con cui promuove e organizza eventi culturali. Fondatrice e caporedattore del Blog “Circolo letterario Vento Adriatico” per divulgare la poesia, la narrativa, la traduzione.




martedì 29 ottobre 2024

Olive Branch of Poetry: Antologia di poeti russi e italiani contemporanei

Versi sparsi di poeti russi e italiani: questo il sottotitolo dell’Antologia “Olive Branch of Poetry”, edita da “Ukiyoto” e curata da Alexander Kabishev, Lucilla Trapazzo e Lidia Chiarelli.
Si tratta di un lavoro molto interessante, che, come suggerisce appunto lo stesso sottotitolo, unisce, anzi integra, voci poetiche russe con alcune italiane, contemporanee, fino a formare un unico mosaico poetico molto interessante e variegato. La poesia è un ponte, in questo caso, che unisce le culture e i cuori di realtà diverse ma che traguardano sempre gli stessi orizzonti: la purezza e la schiettezza dei sentimenti, il rispetto reciproco, l’accettazione dell’altro e la condivisione dei valori fondamentali comuni. Un’opera davvero propositiva, che va al di là di ogni barriera geografica, sociale e politica. I poeti hanno una sola voce: quella della verità, quella della propria umanità.
Ecco come si esprimono i curatori: “Antologia di poesia contemporanea italiana e russa, un ponte tra due culture ricche e diverse. Ogni componimento è uno sguardo intimo e allo stesso tempo universale sul mondo, sulla vita. Attraverso la poesia, le voci dei poeti si ascoltano e dialogano con l’entusiasmo di un incontro culturale che trascende i confini geografici e temporali”.
I Poeti inseriti: Tatiana Eremenko, Luca Ariano, Lenush Serdana, Dalila Hiaoui, Enzo Bacca, Nazarova Faina, Elisabetta Bagli, Alexander Klyukvin, Ester Cecere, Vladimir Vasilevsky, Lidia Chiarelli, Natalia Pekarzh, Viviane Ciampi, Lera Lissova, Bruna Cicala, Lyudmila Ruchkina, Emanuele Cilenti, Tatiana Chevaldo, Giuseppe Napolitano, Tatiana Bogdanova, Sabrina De Canio, Valentina Smyslova, Giansalvo Pio Fortunato, Alexander Eremin, Dante Maffia, Svetlana Popova, Gianpaolo Mastropasqua, Margherita Parrelli, Irina Tikhomirova, Donatella Nardin, Victoria Erukh, Felice Paniconi, Victoria Kurbeko, Julia Lobacheva, Claudia Piccinno, Larisa Pushina, Alessandro Ramberti, Ulyana Oleynik, Emanuela Rizzo, Alexander Kabishev, Serena Rossi, Natalie Bisso, Lucilla Trapazzo, Tatiana Rastopchina, Mara Venuto, Valentina Kononova, Giuseppe Vetromile, Levikov Maksim, Michela Zanarella, Nadezhda Sverchkova, Aksinja Novitskaya.
Per ciascuno dei poeti inseriti, i libro riporta esaustive note personali, foto, e alcuni testi poetici in russo e in italiano.
Il libro è disponibile su Amazon https://www.amazon.it/Olive-Branch-Poetry-Alexandar-Kabishev/dp/9362692783.
È stato inoltre realizzato un video di presentazione: https://vimeo.com/1017582466

martedì 8 ottobre 2024

La dolce ironia di Francesca Romana Rotella in "Un rossetto e un taccuino"

 

Oggi ho comprato un rossetto e un taccuino / perché desidero avere labbra rosse e scrivere poesie…” Inizia così Francesca Romana Rotella, valente poetessa e performer romana, la sua recente silloge dal titolo apparentemente sbrigativo: Un rossetto e un taccuino (Edizioni Ensamble). Dico apparentemente, per fugare subito l’idea che la poesia di Francesca Romana possa essere scaturita all’improvviso, in un momento di illuminazione che le abbia aperto finestre sul mondo e sulla propria condizione di donna. È, invece, l’attacco, la dolce veemenza del suo dire poetico in questa raccolta, che perentoriamente ci suggerisce l’impellenza del contenuto, l’urgenza del suo messaggio poetico. Messaggio poetico che tocca molto il sociale, e in particolare la donna, al centro di una società assente o indifferente al suo ruolo e alla sua persona, società ancora purtroppo intrisa di pregiudizi e stereotipi.
Ma non è tanto questa decisa apertura dell’autrice che colpisce il lettore, quanto la sua narrazione poetica originale e diretta, vissuta in prima persona. Francesca si pone al centro di un vissuto quotidiano, in una realtà anche minuta e ordinaria, fatta della normalità ripetitiva dei giorni, ed è brava ad osservare e raccogliere immagini e stati d’animo anche i più inusuali, come nella divertente descrizione del gatto (“Gatto sei tutto matto”), dove i versi si susseguono con cadenza ritmica e l’uso sapiente della rima rende il quadro complessivo più aggraziato.
Ma nel complesso, il dettato poetico di Francesca Romana Rotella è argutamente ironico, laddove il discorso tocca il sentimento, e in particolare l’amore. È un’ironia leggera, apparentemente sdrammatizzante, ma ben utilizzata per veicolare argomenti complessi e delicati come la violenza sulle donne: ”Oggi ho comprato un rossetto e un taccuino perché desidero avere labbra rosse e scrivere poesie": è un messaggio, un modo di adeguarsi alla moda corrente, ma non per apparire, bensì per mettersi alla testa di quella folla di donne che combattono contro la prevaricazione e la denigrazione che, in un contesto sociale ipocrita, ancora le umiliano. È un quadro complessivo comportamentale ed esistenziale che la nostra Autrice ha saputo bene veicolare attraverso la sua poesia, così autentica e perentoria, utilizzando persino altre espressioni linguistiche come lo spagnolo e il romanesco: un modo per dire che le problematiche che così “poeticamente” evidenzia, sono effettivamente universali!.


Qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro


Un rossetto e un taccuino

 

Oggi ho comprato un rossetto e un taccuino

perché desidero avere labbra rosse e scrivere poesie.

I miei versi sfilano liberi e neri su di un foglio bianco,

le mie labbra colorano i verbi.

Donna fortunata,

ché nessuno schiaffo mi ha mai sfiorata

per il rossetto, 

per le parole scritte 

o per quelle dette.

Ma io lo vedo quell’esercito di donne

offese, umiliate.

Esercito di corpi straziati 

e di menti annientate.

È pensando a voi 

che libero le mie parole,

è pensando a voi 

che coloro le mie labbra.

Piango il dolore per l’offesa ricevuta,

piango la rabbia per quel niente 

che niente vi vuole far sentire.

I miei versi sono scritti,

le mie labbra sono rosse

per le donne che furono,

per le donne che sono 

e per quelle che lo saranno.

 

 ***

 

Mil veces te escucharía 

 

Te escucharía mil veces 

mientras sigas hablando de ti,

de tu infancia,

de tus viejos recuerdos,

de tus juegos.

Te escucharía mil veces 

hablando de tus miedos,

sin enterarte que lo estás haciendo.

Te escucharía mil veces

aunque siguieras hablando de la misma cosa,

porque siempre la harás nueva,

cambiando palabras, 

suspiros, 

miradas.

Te escucharía mil veces 

mientras sigas hablando de ti,

desnudos o vestidos

distantes o abrazados,

mil veces te escucharía.

 

 

Mille volte ti ascolterei

 

Ti ascolterei mille volte 

mentre continui a parlare di te

della tua infanzia

dei tuoi ricordi lontani

dei tuoi giochi vani.

Ti ascolterei mille volte 

mentre parli delle tue paure

senza nemmeno accorgerti che lo stai facendo.

Ti ascolterei mille volte 

anche se ripetessi sempre la stessa cosa

perché sempre la renderai nuova

cambiando parole, sospiri, sguardi.

Ti ascolterei mille volte 

mentre continui a parlare di te,

nudi o vestiti,

distanti o abbracciati,

mille volte ti ascolterei.

 

 ***

 

Gatto sei tutto matto

 

Brontoli, nel buio miagoli 

soffi e scappi

poi salti, corri e ti arresti.

Ti giri, ti volti e rotoli

fissi il muro

fai le fusa, ti addormenti.

Ti strusci, ti strofini, mi tocchi.

Zampetta vuol giocare

artiglio vuol graffiare

mi lecchi.

Poi, ecco, butti giù un oggetto,

un bracciale o un fazzoletto.

Piccola tigre dalla fedele simmetria1

altezzoso predatore solitario

ovunque tu sia

sul divano, sul tavolo o sopra un tetto,

gatto, sei tutto matto!

Ora te l’ho detto.

 

(Omaggio alla poesia The Tyger di William Blake, raccolta in Songs of Experience, pubblicata nel 1794 («thy fearful symmetry»).

 

 ***


Petricore e Geosmina

 

Petricore e geosmina

gli odori preferiti di quando ero bambina

liberati da una pioggia adamantina,

diluvio universale che toglie il brutto 

battesimo naturale che purifica tutto.

Petricore e geosmina

profumi di questa mattina,

mentre la lumaca striscia 

e la formica cammina

mentre la pozzanghera riflette 

l’immagine di me bambina.

 

 ***

 

Madama Lucrezia 

 

Si un giorno nun me trovate più

dovete sape’ che l’ho fatto apposta:

sì, me so’ anniscosta!

L’ho fatto pe’ sfizio o pe’ curiosità,

pe’ vede’ alla fine chi me veniva a cerca’.

Ma sai quante vorte ciò pensato e me so’ detta:

«Mo m’annisconno qui, vicino a Palazzo Venezia,

accanto ar busto de Madama Lucrezia»,

un posto pieno de gente ma tranquillo

che nisuno me sente puro si strillo

e dove se pò sta in pace senza esse visti

dove nisuno pò capi’ quanno ciai l’occhi tristi.

So’ certa che m’annisconnerebbe là.

Ma si poi quer giorno nun me trovate,

nun ve preoccupate,

ché io in vita mia nun me so’ mai persa gnente,

e senza troppi rimpianti,

ner core mio ve ce ritrovo a tutti quanti!

 

 ***

 

Separazione

 

Triste è la separazione 

ché agli amanti nega per sempre

la possibilità di dirsi,

dentro a un abbraccio,

«Amore mio, 

non è successo niente».


(Brani tratti da Un rossetto e un taccuino, di Francesca Romana Rotella, Edizioni Ensemble, 2023).

Francesca Romana Rotella (Roma, 1975) si è laureata in lingue e letterature straniere con una tesi sullo scrittore e poeta spagnolo José Jiménez Lozano. Partecipa a poetry slam in locali dei circuiti romani. Un rossetto e un taccuino è la sua prima raccolta poetica.



martedì 1 ottobre 2024

Susy Gillo e la sua tenace ricerca del "filo da conquistare"

Una raccolta di poesie deve essere come un grande e significativo mosaico, i cui tasselli, costituiti dai vari brani, pur nella loro autonomia di contenuto, devono contribuire, collegandosi l’uno all’altro, ad ampliare l’orizzonte propositivo ed emotivo dell’intera opera. È così anche in questa silloge di Susy Gillo, dal titolo che appare subito determinato e impellente: Il filo da conquistare. Ne riportiamo in questo spazio alcuni testi, che potranno suggerirci delle riflessioni.
È sempre nelle intenzioni del poeta cercare una traccia significativa nel subbuglio delle visioni e dei messaggi che gli pervengono dalla realtà esterna, e anche interiore: mettere ordine, in qualche modo, al groviglio di sensazioni, sentimenti e dinamiche da affrontare nella quotidianità e nelle aspettative di vita futura, in relazione anche con gli altri, con il mondo circostante e con la società. Il creativo raccoglie tutti questi segnali e li traduce in materia artistica, ne realizza un’opera che ne rappresenti, totalmente o solo in parte, lo stato delle cose e del pensiero che al momento egli “vede”, “intuisce”, “avverte”. È il filo da ricercare, il “filo da conquistare”, filo logico capace di dare un senso, di legare insieme tutte le cose viste e vissute in un determinato tempo e da una particolare angolatura.
E dunque anche Susy Gillo, valente poetessa di origini napoletane ma residente in provincia di Pistoia per la sua attività lavorativa, si pone al centro della realtà circostante, indagandone i messaggi e ricercando quel sottile ma indispensabile “filo conduttore” che possa tenere insieme la sua visione del mondo. È però necessario staccarsene, da questa realtà, per un’indagine più sincera, entrando con tenacia e coraggio nel cuore delle cose e delle sensazioni, per individuare, o almeno intuire, la dimensione reale della propria e dell’altrui umanità. E quindi, “spogliata di tempo / sguscio nuda / di perenne solitudine…”: così Susy Gillo declama, nella centralità del suo pensiero poetico, prendendo le distanze dal mondo, rendendosi conto di quella solitudine, di quel “baratro senza desiderio” che, metafora del mondo e dell’attuale società decadente, cerca di coinvolgerla.
Ma è d’altro canto un “filo da conquistare”, come lo stesso titolo della raccolta suggerisce. Non basta indagare, prendere coscienza o intuire la vita che lì, fuori, sembra fluire investendoci con accadimenti e sentimenti contrastanti, a volte trascinandoci in quell’”abisso di distanza vuoto e senza desideri”. Deve essere anche, per la nostra Autrice e anche per tutti noi, un filo da capire, da trattenere forte, a cui aggrapparsi, con le unghie tra i capelli, per risalire da una terra oscura verso un orizzonte di speranza.
I versi di Susy Gillo, in questa silloge, denotano dunque una consapevolezza profonda del malessere del mondo e dell’esistenza umana, e quindi rispecchiano un velato pessimismo, che però è mitigato e anche superato dalla tenacia e dal coraggio della ricerca, nel sondare con sincerità la propria anima e la realtà contingente, onde trarne momenti di redenzione e di speranza, per sé e per tutti. Con un dettato poetico asciutto e diretto, consono alla gravità e alla profondità del contenuto.


Abisso di distanza

è vuoto senza desiderio

eppure le mie mani si erano 

riscaldate al tuo sorriso 

sembrava un fuoco

che ardeva l'ombra

Oggi senz'anima 

al baratro di un pensiero

Dignità vestita a festa

si ciba di solitudine

nel fondo sabbioso

della mente, si ignorano       

loro si parlano                     

senza  incontrarsi 


***


Aggrappata alla terra

Con le unghie tra i capelli

come veliero confuso  

di terra ancora fredda

penetro le ossa 

feritoia trasudata

si squarcia alla tua vista 

Morente di un vivere

sola coglie il giorno

il fiore inespresso 

di radice senza linfa

il limite che si affanna

 a gioire

Assetata di tempo

nella coltre corta

del disagio 

ancora il sapore di senso

ancorata all’oggetto 

respiro un vivere

di libertà senza sogno

il nulla di un presente 

Quel filo sconosciuto

da conquistare 


***


No!

Non voglio pensare

Se ho il fiato appena appena fioco

No, non voglio attendere e sapere

Voglio suonare le trombe

del tempo e ascoltare il suo contrasto di umori

No, con le mani

appoggiate sul ventre

voglio mostrare chi sono, cosa sono

dove voglio andare, e tu respiro

mi dovrai assecondare,

tu dovrai arrenderti,

ti dovrai vestire di vita

E  con me, andare

nella venare cupola

del sorriso

Dove il tempo pungente

si dovrà schiudere a vertigine

E tu lo saluterai con il calore

del fuoco, e con il sapore delle mie radici

che ancora sapranno di fango trasudato.

E nel viaggio scoprirai il Sogno !

Che ancora ti inonderà

di sapore nuovo, di frammento vivo

della terra

E tu sorriderai per averci creduto,

per aver folgorato quell’attimo

che ancora, ti cercherà e si vestirà di

Tempo

E noi, ai tuoi piedi, ancora

saremo a invocare il tuo passo


***


Spogliata di tempo

sguscio nuda 

di perenne solitudine

nell’oblio colo  

per non corrompere il fato

senza colpe, lui chiede 

promesse. 

In lontananza 

oltre il percorso 

bacio ferite,

nel riserbo  

dell’ultimo ordire

mi offro al mio destino

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà