E poi, se parliamo di poesia che abbia in sé anche, e soprattutto, impronte di buona fattura, con versi dall’andamento prevalentemente ritmico, è ancora meglio. Ed è proprio questo il caso di Beatrice Zerbini, da Bologna: una poetessa che ho avuto il grande piacere di contattare e della quale molto volentieri propongo qui alcuni testi, tratti da sue raccolte edite.
Ritmo, rime, assonanze, sono le caratteristiche peculiari del suo dettato poetico, almeno negli esempi proposti. È un fluire armonioso che suggerisce segrete emozioni, ma anche il narrato coinvolge in modo sensibile. L’amore qui è un sentimento indiretto, appare quasi fra le righe, in un dialogo con l’altro che non viene nominato, ma che rappresenta comunque un legame forte, che è stato e che vuole essere ancora: “…Torna, perché ho bisogno che anche tu / e ancora tu, di nuovo / mi voglia bene. / Perché ho paura che un pezzo di me / ti sia rimasto / imbrigliato e anch’io / ho dimenticato: / di darti delle cose, / un bacio, / gli occhi con la campagna di papaveri…” Vi si ritrova, in queste liriche, anche una morbidezza del narrato, un senso di rispetto nei confronti della realtà ma soprattutto del saper attendere con consapevole grazia e delicatezza, i possibili, o sperati, orizzonti di luce e di amore. Una poesia che è, in definitiva, un canto del cuore, misurato e pronunciato con versi intelligenti, schietti, il che dimostra la grande competenza letteraria dell’autrice in materia di originalità, di stile e di contenuti.
Un giorno, saremo.
Io avrò̀ la bocca
da sussurrarti piano – come un raggio – il nome fulgente,
tu prossimità̀ e paraggi
(per sentirlo);
saremo sorgenti luminose,
apparizioni e sbocciamenti,
Orienti,
saremo tutta alba,
barlumi e irraggiamento,
l’Arco di Achille Castiglioni
e semplici lampioni;
il sole saremo,
quando un giorno saremo
e le ombre e le notti scure
saranno solo vite trapassate,
solitudini nostre (accompagnate),
reciproci disconoscerci ormai noti,
e aspettarci senza arrivare, recapitati.
Non avremo paura di accadere,
perché tutto sarà̀ già̀ successo;
non avremo tristezza del futuro,
perché ci anticiperemo i tempi
e sarà̀
tutto un presente, un giorno.
Avremo paura solamente del buio.
(da In comode rate. Poesie d’amore, Interno Poesia)
Torna, se puoi tornare,
confideremo nel miracolo urgente,
nello spavento da dietro
le porte,
lo sgambetto che ti fa
volare;
torna da me,
la morte faceva paura quando
non c’era;
adesso è placata, è tutta presenza
e meno
attesa.
La sopporto da sveglia;
non mi sveglia se dormo.
Mi rimane
una cosa da dire,
è un parlare, un parlarti,
raccogliere le tue orecchie e la risata
come le monete
che prillano per strada,
(e un tombino è lo sgomento);
Ho l’urgenza
della tua bella faccia fredda,
che si imperla di sudore,
ma non muore.
Torna, perché ho bisogno che anche tu
e ancora tu, di nuovo
mi voglia bene.
Perché ho paura che un pezzo di me
ti sia rimasto
imbrigliato e anch’io
ho dimenticato:
di darti delle cose,
un bacio,
gli occhi con la campagna di papaveri,
il sudore sulla mia
camicia stretta;
di dirti grazie per aver guardato,
avermi lasciato
sguazzare nell’azzurro.
Torna e torna
a credere come i vivi
che la morte non esista.
(da In comode rate. Poesie d’amore, Interno Poesia)
***
Sferza fino al rosso
vivo, l’epilogo dei blu:
del cielo, del mare, degli occhi,
fa’ coltre, fa’ sonno, fa’
tu;
poi sbianca, depriva, smungi,
fai torpidi
i giardini dei circoli;
finiscici,
in fuga dai tendoni burrascosi;
chiudici
dentro alle vetrine dei bar,
a scampare il disastro di un metro;
prendi
i bambini da dietro
i cancelli di scuola,
lascia che
s’infanghino i garretti,
sporca, raffredda, zittisci.
Piovi, ingrigisci, sciogli
le foglie sotto
alle suole;
strappa di venti per strada
il velo alle suore.
Ridi nel mosto,
mettici
i frutti nei piatti;
sii autunno, senza
vergogna, tripudio
di niente, preludio
al finire; per quanto
difetti
di gemme, sii
perfettamente autunno.
Qualcuno ti amerà pure,
senza che sbocci,
senza tu splenda,
senza tu dia,
ché tutto prendi;
lo avrai un fiorire tuo
che non ti vedo io,
la tua
stagione degli amori, in te,
come anche il morire dovrà pure
da qualche parte
cominciare.
(da Mezze Stagioni, AnimaMundi Edizioni)
Beatrice Zerbini è nata il 17 gennaio 1983 a Bologna, città che le ha permesso, già̀ dal 1987, di dedicarsi allo studio del ritmo e della parola, grazie al celebre coro, diretto da Mariele Ventre, di cui ha fatto parte. A otto anni, ha iniziato ad avvicinarsi alla lettura e alla scrittura di poesie.
Nel 2006 ha aperto la pagina online di racconti tragicomici e di poesie “In comode rate”, ma solo nel 2019, incoraggiata dai riconoscimenti da parte di alcuni critici, ha cercato e ottenuto la pubblicazione. In comode rate. Poesie d’amore (edito da Interno Poesia) è la sua opera prima in versi, ad oggi alla V ristampa.
Testi e recensioni della raccolta sono comparsi in importanti riviste poetiche (tra cui Poesia di Crocetti, Atelier Poesia, Centro Culturale Tina Modotti) e in trasmissioni radiofoniche e televisive (Tv7 – Rai Uno, il Sabbatico – Rai News 24, Fahrenheit – Rai Radio 3). È stata ospite di diversi Festival, tra cui il PoesiaFestival (2020 e 2021), l’Alzheimer Fest, la rassegna Il Rumore del Lutto (XIV e XV edizione).
A giugno 2021 è uscito il libro Mezze Stagioni, una piccola raccolta di prose e suggestioni poetiche (per la collana Piccole Gigantesche Cose della casa editrice AnimaMundiOtranto). Dall’inizio del 2020, sta inoltre dedicandosi ad un progetto a sostegno delle famiglie dei malati di Alzheimer, diventato, nella primavera di quest’anno, anche uno spettacolo teatrale di musica e poesia.