È indubbio che la poesia possa affrontare
problematiche e quesiti filosofici di grande rilevanza, magari addolcendo o, in
certi casi, addirittura aggravando, nel senso quantitativo e percettivo, gli
aspetti e i contesti che l'autore stesso vuole evidenziare: per se stesso e per
gli altri. Penso sia così per tutte le forme artistiche. Il famoso quadro
"L'urlo" di Munch ne vuole essere un esempio, dove l'accentuazione di
uno stato emotivo rasenta il parossismo. D'altro canto possiamo avere esempi di
ammorbidimento, per così dire, che beninteso non vanificano o sminuiscono la
gravità e l'importanza del contesto, ma anzi possono renderlo più accogliente,
persino più "artistico" ed elegante. Immagino tutta le preziosità del
Rinascimento, ma anche i dipinti di Monet e tutte le altre opere di artisti che
hanno ri-creato davvero la quintessenza, l'anima del mondo e delle società,
attraverso le varie espressioni dell'arte. In questo, la Poesia, e per Poesia
mi riferisco sempre a quella con la P
maiuscola, ha sempre avuto un ruolo importante nel misurare, vagliare,
"sentire" l'uomo e la società di quel determinato contesto storico ed
epocale; le voci e le "correnti" più incisive, poi, hanno addirittura
influenzato, più o meno marcatamente, comportamenti, pensieri, filosofie… Ma
qui ci addentriamo in un campo più vasto, e non è il caso di andare oltre. La
premessa è stata a mio avviso necessaria per introdurre questo libro di Achille
Pignatelli, intitolato I ritorni, edito
da Homo Scrivens, un Editore napoletano molto attento nelle selezioni e
diligente nel seguire i propri autori. Si tratta della prima raccolta edita del
nostro giovane autore napoletano, già molto attivo in campo poetico grazie
anche alle collaborazioni e alla frequentazione di movimenti, associazioni e
gruppi letterari fortemente impegnati, come Mosse
di Seppia, prevalentemente formato da giovani poeti di talento. I ritorni, dicevamo è un libro
complesso, pur mantenendo una limpida linearità nel percorso indicato. È
un libro complesso, di spessore, perché le poesie in esso contenute sono la
traduzione, nel vero senso del termine, di riflessioni profonde, attingendo da
argute considerazioni di carattere filosofico e persino scientifiche. È
lo stesso sottotitolo a darcene una ulteriore conferma: Orientarsi tra il suono dello spazio e la forma del tempo. Già
nella sua dettagliata introduzione, Achille Pignatelli vuole subito chiarire la
trama e l'ordito del suo tessuto poetico, diciamo così, per intendere i due
componenti fondamentali della sua costruzione poetica: lo spazio e il tempo.
Non c'è un dove preciso, né un quando. Tutto ruota ciclicamente e quindi
"ritorna", in uno spazio che è definito (anzi: indefinito!) da uno
"stare" indeterminato: "Ti
sei preso il punto di partenza / e quello di arrivo, che altro vuoi? / Dei miei
sogni non ne so più nulla / la speranza non sa consolare / quello che provo a
costruire / si sgretola, marcisce o crolla. / Dov’è il mio nord? E i miei passi
/ potranno mai crescere in pace? / Tu che sei il mio spazio e il mio tempo / le
mie coordinate infelici / parlami di quello che sarei / se avessi l’ardire di
sognare." (pag. 23).
In questo perenne fluire del tempo, anzi in questo riciclo
interminabile, l'uomo ha bisogno di coordinate spazio-temporali per sapersi,
per comprovare la propria esistenza, almeno in quel momento e in quel luogo: e
ogni momento e ogni luogo è diverso lungo il cammino della vita: "Tra un secondo e l’altro muore / il sole
passato e sboccia / un fior d’agrodolce rugiada, / lo stesso sapore che cela /
ogni mio timido sospiro" (pag. 55). Ed è dunque il vento, metafora del
fluire indifferente del tempo, l'elemento principale che accompagna il dire
poetico di Achille Pignatelli in questo libro. Un percorso che l'autore ha
diviso in otto tappe, ognuna intitolata da un vento, come nella classica Rosa
dei venti: Tramontana, Grecale, Levante,
Scirocco, Ostro, Libeccio, Ponente, Maestrale.
In questo lungo percorso, il nostro giovane e valido autore
riesce a esporre con modalità poetiche diverse, a volte utilizzando persino
l'haiku (nella sezione Levante, attingendo per conformità di ispirazione dalla
cultura orientale), il proprio pensiero filosofico in merito alla spazio e al tempo
e a come l'uomo si pone rispetto allo "stare" e al
"movimento" in queste dimensioni.
Un libro interessante, ideato e scritto con la precisa e non
facile intenzione di tradurre in poesia argomenti di elevato tenore filosifico;
un intento ben riuscito, come confermato anche nell'ottima prefazione di Silvio
Perrella.
Ma ora lasciamo ai nostri lettori il gradevole compito di
aggiungere riflessioni e commenti, se lo vorranno, leggendo il libro e i brani
qui di seguito proposti.
La rosa dei venti
Tu che mi guardi tra i flutti dei versi
ti chiedi, tra le rughe della fronte,
chi sia, e scocchi frecce dalla punta
grezza, poco incline alla comprensione.
Sì, sono come la Rosa dei Venti
che i marinai posero su Malta:
Tramontana che indica la via,
che nasce tra i monti, trascina e lava;
sono Grecale, l’amico sereno
dei figli di Atena e Poseidone.
Levante, il primo bacio al Sole;
Scirocco, fratello della sabbia
che sospira tra pioggia e nebbia,
sono l’Ostro, vento di mezzogiorno,
Libeccio, messaggero della Libia,
e Ponente che il bel tempo rimena,
l’amico dell’estate, la carezza
che ristora e accompagna il tramonto.
E sono Maestrale, il ruggito
che scuote, adunatore di nembi,
l’alleato del Sole e suo pari,
il vento nuovo, il nuovo inizio.
***
È libero
È libero chi viaggia
chi traccia il suo cammino
in senso opposto a torri
e catene di fango;
chi, protetto dal vento
come tordi e gabbiani
vive di quel che resta
e lo porta con sé.
Il suo volto è terra
scura, scavata e smossa
da fiumi di lacrime
eppure il suo sorriso
fa impallidire Sirio.
È libero chi sente
che il vino ha da dire
molte cose e le dice
a chi sa ascoltarlo,
come gli parla il mare,
la montagna e il lampo.
Il tempo è del viandante
dei rintocchi del cuore
di quell’arco dorato
che porta sulle spalle,
come la verità
che si mostra al tramonto.
***
Coordinate infelici
Ti sei preso il punto di partenza
e quello di arrivo, che altro vuoi?
Dei miei sogni non ne so più nulla
la speranza non sa consolare
quello che provo a costruire
si sgretola, marcisce o crolla.
Dov’è il mio nord? E i miei passi
potranno mai crescere in pace?
Tu che sei il mio spazio e il mio tempo
le mie coordinate infelici
parlami di quello che sarei
se avessi l’ardire di sognare.
***
L’attesa
Al corpo si chiede quiete;
il respiro si fa più cauto,
il sangue rallenta il suo viaggio
e il passo diventa più molle,
ebbro di dolci aspettative.
Perfino il tempo si addormenta
nel giogo della lenta attesa.
Per noi il sonno non è giocoso;
l’agrodolce tornado squassa,
travolge e disperde i pensieri,
il mondo intero sembra spento,
con l’orecchio verso il respiro
ciondolante dell’orologio.
Tra un secondo e l’altro muore
il sole passato e sboccia
un fior d’agrodolce rugiada,
lo stesso sapore che cela
ogni mio timido sospiro.
***
La conchiglia
Qui sembra che l’istante sia moneta,
specchio di metallo, il pulviscolo
di lavoro duro e mal pagato,
ma il valore del tempo tu l’hai detto;
l’attesa tra le onde e gli schiaffi
del sole, sul dorso quasi di fuoco,
e gusci dorati come dobloni,
i tesori d’un mare generoso.
E tu dicesti: “Aspetta, aspetta!”
come se il tempo fosse attesa,
quasi a dire che vince chi lotta.
Ed io aspettavo che la sabbia
da nebbia di mare mutasse in brezza,
un sospiro che a stento si sente,
poi, col palmo in picchiata, ti prendevo,
cercandoti con gli occhi della pelle.
E splendevi, seme di verità!
Come se non stringessi buccia, scorza,
scarto di frutto, ma polpa d’eterno.
***
I figli del popolo
Fu il Leviatano a svelarti
il suo segreto primordiale
e con lettere di fuoco
questa verità ti ricordo.
L’iride di ghiaccio ti disse
che siamo figli del popolo,
a cui non spetta un seggio d’oro.
Siamo formiche senza peso
che frugano tra i rifiuti
ed hanno conquistato il regno
della desolata miseria.
Siamo quel popolo che porta
la tradizione sulle spalle
e la fa vivere da sempre.
Noi conosciamo il peso della
zappa e il dolore dei calli
e il valore di ogni sospiro
è la nostra antica saggezza.
Noi siamo i figli del popolo
e lo saremo sempre, anche
quando Loro non ci saranno.
***
Polvere d’inchiostro
Cerco le parole tra i sampietrini
lì, dove dormono i sogni infranti.
Sono quei mattoni di desideri
a dire e parlare per bocca mia.
E per quanto siano alte e belle
le torri dei miei castelli di sabbia
l’elemento fondante è la polvere,
quella dei nostri giorni e di quelli
che mai sbocceranno
baciati dal sole.
(Testi poetici tratti da I Ritorni, di Achille Pignatelli,
Edizioni Homo Scrivens, Napoli, 2019; prefazione di Silvio Perrella).
Achille Pignatelli nasce a Napoli nel 1988. Nel 2009 inizia
a scrivere poesie, alcune delle quali vengono pubblicate in una serie di
antologie: l’antologia del concorso Il
Lancio della Penna indetto dall’associazione Cultura Fresca, Dedicato a…Poesie per ricordare, Tra un fiore colto e l’altro donato, Il Tiburtino e Il Federiciano edite dall’Aletti Editore tra il 2010 e il 2011. Nel
2012 è tra i finalisti del concorso Subway con il racconto Amore cercasi. Nel 2014 si laurea in filosofia con una tesi in
storia delle dottrine politiche intitolata Arte,
politica e società: Richard Wagner come φάρμακον dell’età contemporanea.
Dall’ottobre 2014 scrive per la rivista letteraria Mosse di seppia, di cui è attualmente il direttore artistico e il
caporedattore della sezione di poesia. Nel 2015 nasce il collettivo NaDir, di
cui è uno dei membri, che si occupa di produzioni culturali indipendenti
soprattutto in campo musicale, e fa parte dell'organizzazione del festival
indipendente NaDir \ Napoli Direzione Opposta Festival, la cui prima edizione
risale a luglio 2015. Nel giugno 2019 pubblica con la casa editrice napoletana
Homo Scrivens la sua opera d'esordio, I
ritorni - Orientarsi tra il suono dello spazio e la forma del tempo, e lo
stesso mese partecipa alla IV edizione della sezione letteraria del Napoli
Teatro Festival. Dal 2017 lavora presso il Palazzo delle Arti di Napoli per il
progetto PANKIDS.