Se il titolo di una raccolta di poesie deve dare subito
l'idea di quanto l'autore intenda comunicare, ma in modo immediato e singolare,
questo "Non togliermi il vestito", della giovane poetessa napoletana
Francesca Coppola, supera senz'altro ogni aspettativa, spiazzando ma anche
incuriosendo il lettore che voglia, finalmente, gustare e approfondire un po'
di buona poesia al di fuori degli usuali schemi classici. LietoColle è peraltro
un Editore serio, che accoglie nelle sue varie collane, in particolar modo la "gialla"
e la "gialla oro", autori di spicco dell'attuale panorama poetico
italiano, dando visibilità anche a giovani emergenti come lo è, appunto, la
nostra Francesca Coppola.
Ma torniamo al libro. Il titolo, audace ed esplicativo, come
dicevamo prima vuole già fornirci una buona chiave di lettura. che si concentra
essenzialmente nel testo omonimo "Non togliermi il vestito". Traspare, in questa composizione ma anche in
molte altre, un senso di riscossa, conseguente ad una visione amara della
realtà, supportata però da una buona dose di ironia. L'autrice vuole mantenere
la sua identità integra, di fronte alla quotidianità e alla storia della vita
che si dipana tra mille impegni e incombenze, a volte anche futili; e questa
visione si evidenzia anche attraverso un linguaggio espositivo minimalista, che
sta ad indicare, da parte della nostra brava autrice, la volontà di quella
"riscossa", di quella riconquista della dignità e della persona,
insita nei suoi versi.
Una consapevolezza del dolore del mondo che può mitigarsi
solo attraverso l'accettazione stoica delle parti assegnati a ciascuno nel
teatro della vita: l'osservazione attenta, stando "fermi al centro"
delle cose, quasi indifferenti a ciò che accade fuori, conservando e
proteggendo l'integrità intima, il proprio bene, il proprio "tesoro dei
Maya", per poter poi "risorgere", sbloccarsi e ripartire,
aprirsi indenni al cielo. Questo, il nocciolo del discorso poetico di Francesca Coppola, a mio avviso; uno schema poetico ben preciso, delineato sull'attesa
dell'essenzialità, in cui il "vestito" da non togliere rappresenta
quell'integrità della persona, anima e cuore, capace di intravedere il vero
senso della vita oltre la banalità delle cose, minime e abitudinarie, che ci appesantiscono.
Un elemento importante della poesia di Francesca Coppola,
almeno in questa sua raccolta, è l'uso sapiente delle parole in un gioco
fantasmagorico di suoni e di interconnessioni, di salti e di rimandi davvero
arditi, a volte, e che contribuiscono a vivificare l'immagine che scaturisce
forte dalla lettura dei versi. Versi che si susseguono per lo più in quartine
sfalsate tra di loro, il che rende la composizione ancor più elegante e
gradevole dal punto di vista figurativo ed estetico.
Francesca Coppola dimostra con questa sua opera di avere un
ottimo talento poetico, distinguendosi per il suo stile e per il suo dettato
poetico dai toni decisi e sorprendenti: una poesia che coinvolge e che induce
ad ulteriori riflessioni. Riflessioni ed eventuali commenti che ci aspettiamo,
ancora una volta, dai nostri cari lettori dopo aver letto i testi che qui di
seguito proponiamo.
Fermi al centro
il centro è dolore, arteria
poi niente, bufala e squallore
questo eleggersi smeraldo a fine giornata
tutto qui, il tesoro dei Maya
dire “Ciao” al solito passante
destinare l’immenso ai fiori
risorgerai, lo so
proprio dalle mie parti
– volevo le tue paure –
ti faccio vedere come muore
un airone,
tu come stai?
In nome
di un’assenza
metti un
giorno senza l’ombra
tutto afa
e genziana
senza i
lasciti a mani di sera
e
una macchia poi alla mattina
di
quante scatole ferme a marcire
e
i sorrisi aspettano ancora di sapere
se i mari
hanno bisbigliato promesse
e se tu
hai preferito scambiare le carte
bello
stringere assi e sentirsi invincibile
poi
ritirarsi come statua a piangere
aver
più di vent’anni e scordarsi
di srotolare le maniche
***
Non togliermi il
vestito
avrei voluto solo vivere un po’ di più
ieri in giardino, dietro una formica stesa al sole
godermi la terra delle isole vergini
e non girare splendidi asfalti lastricati di code chiuse
avrei scelto l’inquadratura
migliore
se solo avessi potuto evitare il
faro in stand by
scoprire i monti e per una volta
non ostacolarli
capire le altitudini per le
diverse generazioni
e non scrivere l’imbarazzo,
pentirsi del risveglio
Il folle vira sempre ad est
l’I–phone come identità speculare
il grazie in tutta fretta
e non mi guardare, ti prego
Vita
quante volte lì ad ispirarmi ai tuoi occhi
quel colore che neanche miscelando
il segreto dei goblin puoi respirare
io l’ho promesso sai quando
ancora
nel grembo materno ho voluto
fiducia
come la più testarda delle
vittorie
mentre soffocavo quel desiderio
spostavo il limite: tua sorella/tua amica
indossavo le scarpe basse per non dolere i tempi
e un peso sul davanti – sipario
aperto
di burattini – io e il camicione,
tu
col pianto dell’attesa, pronto a
esplodere vita
E perché nella parola
odio, compare dio nel finale?
mi sorprese più d’una mano che sfiora l’oblio
un tuffo nei viadotti più ripidi
la sensazione di scuotere la marmaglia
e costringere le redini al mio cospetto
perché l’odio conosce prima
l’amore?
poi si accuccia stretto fra i
seni
odio che non è amore, ma compare dio nel finale
come attore non protagonista e pare
un’invocazione a non lasciarsi trasportare
da un fiume che ha il sapore di una madre
Come poesia
sa aprire bocche senza riuscire mai
a riempirle, lei che spia gli ingressi
conta gli aghi riposti male nel cassetto
mi prende in contropiede anche quando
non ho voglia di uscire
lei non indossa l’abito lucido e
rifugge
lo scorrere implacabile, si
aggira nuda
in una stanza vuota e dietro
l’armadio
l’ennesima speranza non accetta il
muro
solo lei mi disprezza ma ritorna
non si convince e straripa in rabbia
mi ragiona sul comò – senza propositi –
insolita storia di rulli ed emozioni,
lei che non esiste se non in un manto di dolori
Qualcuno diceva
qualcuno diceva che è
il dolore
a dirci che siamo reali
la felicità è un gioco
talmente imprevedibile da
assomigliare
di più ad una visione
il nervoso/ansia/impazienza
ci sosta su un confine
posto da messaggeri e demoni
è che la tristezza mi punge
da vivo
– non può farlo da morto –
Testi poetici tratti dal libro "Non togliermi il
vestito", di Francesca Coppola, LietoColle, 2017
Francesca
Coppola è nata a San Giorgio a Cremano nel 1982. Si è laureata in
Cultura e amministrazione dei beni culturali alla Federico II di Napoli, città
nella quale ora risiede.
La sua opera prima è Non
togliermi il vestito, raccolta di poesie edita da LietoColle, 2017.
Ha vinto il concorso Pensare
scrivere amare nel 2017. Nello
stesso anno è stata inserita, in qualità di finalista del concorso nazionale di
poesia ermetica, nella ambiziosa agenda Nuovi
poeti ermetici 2017, Book Sprint edizioni. È stata selezionata in diverse
edizioni del poetico diario Il Segreto
delle Fragole. È stata inoltre segnalata al Premio Internazionale di poesia
Piero Alinari nel 2011 e, nello
stesso anno, al Concorso nazionale di poesia Città di Sant’Anastasia. Suoi testi sono stati pubblicati sulla
rivista Italian Poetry Review e
numerose sono le sue partecipazioni in antologie letterarie di prestigio. Ha
fatto parte della redazione dei Giovin/astri
di Kolibris.
In uscita per Esemble la sua seconda raccolta poetica, Ultimatum dall’inverno.