Pubblichiamo qui di seguito una nota critica di Ninnj Di Stefano Busà sull'opera poetica di Ciro Vitiello.
É un corpo unico la poesia di Ciro Vitiello, come roccia
di minerale durissima che taglia nettamente il traguardo da altre forme di
linguaggio, nel riformulare una voce che unifica e trasferisce il messaggio
lirico nella sua limpidezza, nonché nel poematico spazio di un pensiero che si
fa di volta in volta riflettente, immaginifico, recettore di un mondo apparente
che però ha la capacità di trasformarsi in tensionale, sentimentale, inquieto,
interpretativo di processi mentali che hanno il senso della realtà, ma
l’attitudine ad essere altro da sé, in un altrove immaginifico, fino alle massime
punte della visionarietà. È un procedimento mentale che sa cogliere la visione
del mondo e orchestrarla per suo conto, con l’emotività che gli è congeniale,
attraversando tutte o quasi le occasioni di percezioni valoriali, morali,
sociali, amorose.
Il componimento si erge con
tutta la carica prorompente del tratto fisiologico-biografico. Una stesura
essenziale, una inquietudine e un travaglio che gli derivano dall’essere per tentare elementi di
reinvenzione iconografico-espressive.
Vi sono tensioni a livello
emozionale nella sua produzione poetica. Ciro Vitiello si mostra in tutta
l’ampiezza del suo territorio interiore, fatto di travaglio e di tormentato
stupore, di abbagli e consapevolezza, di apparenti sondaggi all’interno della
propria esperienza di vita che direttamente si connettono alla matrice profonda
del suo verso. Invece che interpretarla egli la determina, la parola, in una
scrittura ampia e ben dosata nei dettagli, che sa ottenere un esito
compiutamente e felicemente raggiunto a mezzo di un lessico visivo, sofferto,
senza essere mai destabilizzante, vigile, maturo, fruibile in tutta l’ampiezza
del contenuto metaforico e dell’apparato correlativo, attraverso adeguate e
trasfigurative rappresentazioni.
La scansione e il ritmo sono
l’antefatto di una sigla letteraria perfettamente autonoma che sa variare la
scrittura a seconda delle circostanza e delle esperienze, evidenziandone una
puntuale e acuta totalità d’intermediazione tra i vari elementi. Colpisce di
questo autore la grandiosa e sapiente modalità di concatenazione che avverte in
profondità un rapporto privilegiato con la poesia, e ne sa conquistare l’anima mundi, ne sa estrapolare e
agglutinare l’esemplificazione verbale, attraverso il gioco interferente dei
raffronti delle componenti lessicali, aprendosi all’indagine a 360° per
approfondire le dinamiche delle immagini, donarsi alla vita con tutta la carica
ontologico/ sperimentale che ne moltiplica la potente e definitiva sintassi
espressiva. Si evince la compostezza del verso che riproduce in motivazioni
vaste e ben delineate le istanze amorose più intime, così come quelle sociali,
morali, coniugandone l’archetipo della pagina con le modalità delle
diversificate sinergie liriche. “Quando il sole taglia il viso e s’inerpica
sugli aranci,/ tu non fingerti eco di pene, ma rivèstiti di luce, Jole-/
circoscritta di grazia nella bionda chioma”. (pag.30, Todestrieb).
Vi è in tutta la produzione
lirica di Ciro Vitiello ben delineata la configurazione allegorica che si
mostra ad un andamento costitutivo dell’io e del noi, una formula felice che
contempla l’esistenza di un altrove,
di un abbinamento tra noi e il Nostos, tra l’impianto erotico e la vita, tra il
bene e il male, tra la verità e il dubbio. Ben individuati sono i raccordi e le
concatenazioni di pensiero che cercano il congiungimento metafisico con la
realtà circostante, trepidanti giochi di solarità appaiono certi enjambement,
certe controversie che detengono andamento di narrazione, nella cangiante
partitura delle accensioni testuali.
L’invenzione immaginifica
resta sempre alta e presuppone un’astrazione di riverberi talvolta
abbrividenti, altre solari: “Mi fonde alla luce la soave luce/ del crepuscolo”
(Riflesso magico e anche in Ripiegamento).
Molto ben costruiti questi
versi che sanno coniugare stratificazioni e significati di una introspezione
non secondaria, che si ricollega al processo mentale attraverso la
scomposizione degli elementi di saldatura: “ Dissolversi è destino, ma basta
una sillaba, /una sola, perché il tempo si ripeta e duri! //...// dissipo le
fervide vocali, sfioro l’amaro/ istante, ritaglio le forme del nostro fiato per
incidere” (Dissolversi è destino).
Notare il continuum tra la simmetria dell’insieme
e la rarefazione di certi stadii preesistenti, la quasi vivisezione, che determina
la scissione delle istanze simboliche e la trasfigurazione concettuale si
articola dalla proiezione dell’io stesso dall’altro di sé nell’imperturbabilità
mimetica della ragione antinomica che s’instaura, tra la verità e il suo nulla,
in cui si dibatte l’io indifeso
quando dall’assenza riformula la coesistenza del riscatto liberatorio, per
superare l’analogismo della perdita e la dimensione morfologica metastorica
del logos, dei simboli.
Vitiello è senza dubbio una
voce ampia e forte nel diorama della poesia del secondo Novecento perchè la
concrezione si avvale di procedimenti linguistici che sono percettivi e
ispirativi di tutta la sua soggettività individuale.
Ninnj Di Stefano Busà