Nei lunghi viaggi nel mondo della poesia contemporanea, capita a volte di incontrare sorgenti di eccezionale freschezza e purezza: un meraviglioso fluire di versi brillanti che offrono, dicono, affermano con schiettezza e determinazione l’originalità della fonte. È il caso della giovane poetessa Alessandra Callegari, la quale mostra di avere senza alcun dubbio una sua linea e struttura poetica decisamente propositiva e dai contenuti molto interessanti, incentrati prevalentemente sulla ricerca determinata e costante di una possibile personale verità interiore in opposizione a tutte le omologazioni e ai cliché imposti da una società quasi sempre stereotipata e superficiale.
C’è dunque, nei versi di Alessandra Callegari, questo tormento “ordinato”, controllato, misurato ma impetuoso e coinvolgente, che spinge il proprio io, e nello stesso tempo invita il lettore, a interrogarsi profondamente sul senso dell’esistenza, traguardando possibili sogni, ideali, persino utopie, che possano strappare l’uomo ad una realtà fasulla, opprimente, per ricondurlo in un mondo che sia veramente autentico, proprio, e in cui si possa finalmente affermare e confermare la propria umanità, la libertà della propria creatività.
Una poesia forte e di sostanza, quella di Alessandra Callegari, che si annuncia perentoria, indica una necessità di cambiamento di prospettiva, per sé stessa e per il lettore, con versi che si susseguono incalzanti, con una incisività profonda e convincente. Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalla recente raccolta “Afonia diurna”, edita da Rogiosi nel 2020. Sono testi che, a mio avviso, testimoniano in modo eccellente il dettato poetico della nostra autrice. Saranno comunque graditi ulteriori commenti e riflessioni in proposito, da parte dei lettori che da tempo ci seguono con interesse.
I. ARS POETICA
“Perché realizzare un’opera d’arte
quando è così bello sognarla soltanto?”
(Pier Paolo Pasolini, Decameron,
1971)
Amo solo ciò che è distante
Ciò che non ha mai visto le luci infernali
Ciò che non è mai esistito.
Amo la de-realizzazione del vissuto consapevolmente,
Cenere che cade da dita rugose,
perché ti ostini a plasmare nell’argilla
infinitamente
ciò che solo esiste come Idea?
Amo l’Ideale dell’esistenza sussurrata
Del letto disfatto dopo la notte di poesia
Dei corpi avidi che si stringono alla bianca parete
Dopo essersi cercati nel sordo nulla della non-realtà
Della felicità possibile su una lunga scogliera
Ove ogni onda mi restituisce le lacrime
Ove il cielo mi riempie la bocca mentre ti ammiro
nella piena realizzazione dell’impossibile
Ove la promessa non è un delitto
Credo in una sola verità onnipotente
Che non coincida con quella morale
Con la doxa
Con voi tutti, che persistete nella vittoria del concreto
Nella liturgia dell’azione.
Credo nella mia verità perpetua
Dell’essere aria inarrestabile
E indefinita
Dell’essere acqua che fluisce
placida
dalle rocce
E che si infrange
poderosa
sul lungomare, porta della libertà non vigilata
Dell’essere sogno
Di chi non conosce le sue preghiere
Dell’essere Musa
inconsapevole
Di ogni rima incatenata.
Credo nella mia verità
Non meno piena di una volgarmente condivisa
Di una che semina morte
E che canta se stessa prima di ogni cosa
E che si afferra alle labbra
Di chi, folle,
incita all’azione come massima virtù mondana
Contro il dolce ozio dei sensi
Nella speranza di un Oltre non ancora inventato.
Si costruiscono muri
Che osano disturbare gli dei
si nega l’Essere
si strappano occhi
si ama male
pur di non pronunciare
l’Assurdo
ancora in vita.
Io,
la mia verità,
Non ho bisogno di proteggerla
Non ho bisogno della morte
Perché essa sia conosciuta.
Io mi innamoro dell’Assurdo.
Io,
La mia verità,
La diffondo con la Bellezza
Dello sguardo affamato
Con la cupidigia
Delle dita bianche
Con le forme
Velate di altrui desiderio
Con le immagini
Fasciate di un nero manto
Con le parole
Che imperiosamente mescolo e adorno e cospargo di
fiori secchi
Ormai ricordo, ormai immagine, ormai Idea
Che lascio bere come fatale filtro
A chi desidero mio adepto
voluttà di ciò che non può esistere al di fuori dei miei
atomi.
Io,
la mia verità,
lascio che viaggi come dardo infuocato
su ogni singola testa con corona di alloro trovata tra
pagine prosaiche
su ogni singolo corpo imbalsamato per i riti d’amore
su ogni anima debole che segue la falsa, accecante,
scia.
Credo in una sola verità onnipotente
Che è madre
Che è figlia
Che è spirito profano
Della mia sublimata esistenza
Che si erge nella coltre di chi arranca
Della mia imperitura bramosia
Di ciò che non voglio avere in questa vita
Ché perderebbe tutta la perfezione del non vissuto
Tra le mie mani di peccatrice
Inesperta dell’agire
Forzosa educanda della vita.
Mi inginocchio alla poetica del vago
Del colore sbiadito
Dell’attimo immaginato
Dell’incontro sperato
Della melodia interrotta
Del profumo sbiadito
Della voce assegnata
Dell’amplesso frammentato
Del paesaggio scorrevole
Fugace
Inesistente.
Eppure, violento.
Come me,
spirito inviolabile,
peccatrice dell’Ideale
Martoriata da un dogma che non si è mai espresso.
***
XIV. QUASIMODO
E come potevamo noi amarci
Con il gelo nel cuore
E le membra tremanti
Sconvolte dal passato;
E come potevamo noi cercarci
Con generosità e pudore
Quando siamo gettati in un’arena
Con corpi vellutati, puliti, perfetti.
Mi strazio l’anima
Mi strappo gli occhi
Urlo l’indifferenza che bevo
Dalle parole;
E come potevamo noi dimenticarci
Di essere noi
Noi, che viviamo adesso
E non ci interessa null’altro
Che la frenesia di un vivere pubblicitario.
Addio, sparisco qui,
mi scopro ancora viva
ma
innamorata dell’indifferenza del secolo del simbolico.
***
XXII. IMAGO MUNDI
Ho sostituito parole
Con immagini.
Sono per la povertà del linguaggio:
non conosco grammatica
ma traduzione.
Il mondo non è reale
Mediato
In figure, simboli, clichés, correnti, intertesti;
il mondo non è mai
reale
non è
più reale di me.
E cosa posso dire, allora, Io.
Io non mi appartengo,
non più di quanto il mondo rappresentato
appartenga a me;
Io sono il rappresentante del mondo
Che in me ha riversato se stesso,
ché con esso mi sono fuso
tetra nebbia di molecole in serie.
(Brani tratti da Afonia diurna - Esercizi letterari, di Alessandra
Callegari, Rogiosi Editore, 2020)
Alessandra Callegari, nata a Napoli nel 1992, vive tra
Bracciano e Napoli, sua eterna nostalgia. Si forma come umanista,
affascinata da tutte le modalità di creazione umana, presso l’Università
degli studi di Napoli L’Orientale, dove si laurea in letterature straniere
nel 2016. Nel 2017 frequenta presso l’Istituto Cervantes di Napoli un
master in Traduzione letteraria per l’Editoria, che le dà la possibilità
di indagare ancora più dall’interno i meccanismi della poesia e di curare
la traduzione di alcune liriche pubblicate nella rivista letteraria messicana
Círculo de poesía. Nel 2018 cura
la traduzione dall’italiano allo spagnolo della raccolta poetica Sorgente
di giardini di Maria d’Albo (Raffaelli Editore). Tra il 2019 e il 2021
si concentra sullo studio del linguaggio nella letteratura spagnola degli anni
'60, partecipando ad alcuni convegni internazionali (L'Orientale, 2019;
University of Massachussets, 2021) con degli interventi sullo scrittore
Luis Martín-Santos. Attualmente lavora come consulente letterario presso una
casa editrice romana. Afonia diurna –
esercizi letterari, è la sua prima raccolta di poesie.