martedì 14 ottobre 2025

Le "Ialine trasparenze" poetiche di Floria Bufano

Mi piace ancora una volta ribadire il concetto che l’artista, e qui nella fattispecie il poeta, è persona che si pone tra la realtà e il mondo immaginario, nel senso che riesce ad individuare riferimenti e punti in comune, integrandoli successivamente nell’espressione prodotta dal suo fine talento creativo. Il poeta assume e riassume, in un certo qual modo, i messaggi che gli pervengono da entrambe le due dimensioni, quella reale che lo circonda e in cui è immerso, e quella immaginaria: tutto un mondo che egli traduce in simboli, significati, allusioni, speranze e anche utopie, al fine di “ricostruire” una realtà in cui possa egli stesso specchiarsi, e che possa condividere.
Poeta è dunque sentinella di confine che capta segnali provenienti da dimensioni fumose, che la società, presa dalle sue incombenze quotidiane, non riesce a percepire. Una sensibilità più raffinata, che permette al poeta di “sentire” e di “provare” quel “rumore di fondo” proveniente sia dall’esterno che dal suo stesso intimo subbuglio.
Floria Bufano è anche lei poeta che attinge dal vissuto quotidiano quanto dal sogno, dalla speranza, velatamente da quello “che, meravigliosamente, potrebbe essere”. È un canto, il suo, che si manifesta delicato, leggero, eppure forte nel suo intento di manifestare il lato nascosto della bellezza e del senso dell’esistenza.
Già il titolo della raccolta, Ialine trasparenze, è la conferma di come l’autrice voglia svelare quei lacerti di verità e di segreta meraviglia che urgono dalla propria anima, nell’osservare sia la realtà esterna – come dicevo – e sia i palpiti profondi di pensieri, dubbi, speranze e tante altre emozioni che alimentano il suo progredire nella vita. È dunque una sorta di filtro, l’anima indagatrice della nostra poetessa, una lente d’ingrandimento con la quale osservare e riportare quelle “trasparenze” sincere che, sicuramente, abitano il cuore e l’anima di ognuno: trasparenze depurate da ogni scoria e da ogni tendenza alle negatività e scabrosità che la vita di tutti i giorni purtroppo ci commina.
Non si tratta però di una ricerca estenuante di una estetica del bello e del buono, nelle cose e nell’uomo, bensì una consapevolezza rassicurante che nel tutto è possibile trovare luce e calore, nonostante le difficoltà, le ristrettezze, le incertezze della vita: “Ma alla sera, / metto in pausa la mia mente, / spengo con gli occhi le luci intorno, / ascolto il dolce mio silenzio, / mi tuffo nel mio cuore, / apro la cassaforte dei ricordi…”. Consapevolezza e delicatezza di sentimenti, una nobiltà di espressioni e di riflessioni che, con un dettato sicuramente lirico, abbraccia tematiche universali, dall’amore ai ricordi, dall’ammirazione per il creato ai dubbi esistenziali, alle tristi considerazioni sulla violenza sulle donne: questo è il canto ben modulato e sincero che ritroviamo nei versi di Ialine trasparenze di Floria Bufano: una raccolta poetica che è anche un viatico luminoso nel procedere di ognuno di noi lungo le difficoltà ma anche le bellezze del mondo.


La sera

 

Viene la sera…

I pensieri si affollano:

domande, risposte, corse,

grida, pianti, risate…

Ma alla sera,

metto in pausa la mia mente,

spengo con gli occhi le luci intorno,

ascolto il dolce mio silenzio,

mi tuffo nel mio cuore,

apro la cassaforte dei ricordi,

… e si fa subito notte.

 

 ***

 

Come una capinera

 

Tenera e fragile, piccola mia

piegata all’altrui volontà.

Il tuo canto melodioso si interrompe

e le piccole delicate braccia alate

non guideranno il tuo cuore

al sospirato brado destino.

Sideree sbarre, rivestite d’amore,

ben salde rinchiudono

l’ ardente e vivace tuo anelito.

Oggi ancora,

col pianto agli occhi,

dobbiamo dire:

“Si sta ancora così…,

come una capinera”.

 

 ***


Scarpette rosse

 

Ho visto donne buttarsi per niente:

donare un abbraccio all’uomo adorato,

o un bacio per un desiderio inappagato,

una carezza con la mano del cuore

e dopo accorgersi dell’intimo dolore.

Grida strozzate, occhi sbarrati,

un bavaglio al cuore

di amori ammalati,

di uomini armati.

Vite spezzate, donne piegate,

che gridan a gran voce:

“Non uccideteci due volte

sulla stessa croce”.

 

 ***

 

 

Manifestini

 

Quando leggo i vostri nomi

resto sempre un po stupita!

Maria, Antonio, Giovanna

Ma poi, come verrà scritto il mio nome?

Vorrei proprio poterlo vedere!

In corsivo, in stampato maiuscolo, minuscolo…

Preferirei il corsivo…!

Più elegante,

non troppo marcato,

proverei la delicata sensazione

di andarmene così,

leggera, in punta di piedi,

svolazzando sulle vocali.

Che frase verrà scritta?

Non parole penose, spero, per carità!

Ma magari, vorrei proprio osare,

un’espressione vagamente lieta!

L’esistenza nei ricordi non si spegne,

l’affetto si prolunga,

e il ricordo farà sorridere il tuo cuore.

 

 ***

 

Da sola

 

Ecco. Sono qui.

Mi crogiolo nel silenzio

di questa mesta sera.

Danzo con la mente

in spazi già vissuti,

movimenti fluttuanti

avvolgono il mio corpo

dolci, lenti, armoniosi.

Mi spingo nel tempo,

vago col pensiero.

Linee che si estendono oltre lo spazio

forme indistinte affollano i ricordi:

volti tristi, felici,

volti imbronciati

od addirittura raggianti…

Ed in questo ondeggiare,

annegano brucianti i ricordi di te.

 

 ***

 

Fuochi

 

Stelle multicolori nel cielo nero

ingannano giovani romantici

e come le stelle cadenti

invogliano a teneri desideri,

esplodono con la gaiezza di nuove speranze

suggellano incompiute promesse

che domani nessuno ricorderà.

Ed anche in questo mite inverno

riscaldano il cuore

che domani indifferente ritornerà.

 

Brani tratti da:

Floria Bufano, Ialine trasparenze, Edizioni La Valle del Tempo, Napoli, 2024.

Prefazione di Antonio Spagnuolo; postfazione di Maurizio Vitiello.


Floria Bufano è nata a Napoli, città nella quale attualmente vive portando avanti la sua attività poetica, ottenendo lusinghieri successi sia da parte del pubblico che della critica.

giovedì 9 ottobre 2025

I "Tratteggi nascosti" di Carmelina Di Iorio

È prerogativa di ogni buon poeta l’approfondimento delle sensazioni e dei messaggi, anche quelli apparentemente più flebili, per poi poterne scrivere seguendo la modulazione poetica più consona al proprio sentire, alla propria esperienza e alla propria cultura. In un mondo, come quello attuale, dove tutto è dominato dall’impellenza, dalla fretta di raggiungere al più presto gli obiettivi, dove gli impegni in ambito lavorativo e sociale si sono moltiplicati a causa dell’ampliarsi delle relazioni e delle comunicazioni a livello globale, rimane sempre poco tempo per soffermarsi un attimo e per esplorare all’interno di sé stessi cosa veramente ci suggerisce il mondo esterno, quale ruolo veramente noi abbiamo in questo creato, e perché siamo qui. Domande enormi, che spesso sottovalutiamo o ignoriamo del tutto, presi appunto dalle solite incombenze quotidiane. Ma per fortuna c’è un angolo di umana curiosità in ciascuno di noi, in molti di noi, che preme, che sollecita, che urge. I creativi sono questi, gli artisti, i musicisti, i pittori. E i poeti. E proprio i poeti sembra che vivano in una situazione ossimorica: da una parte la razionalità, la precisione, l’incastro logico di ogni incombenza quotidiana, dove è primaria la mente catalogante e consequenziale, per dedicarsi al lavoro, alle relazioni con gli altri, persino al relax e al divertimento, ove possibile. Dall’altra c’è questa evanescenza, questa incertezza, questa insicurezza, il vago sentire e a malapena accorgersi che fuori c’è, ancora, tutto un mondo da scoprire, che potrebbe meravigliarci ancora, destarci dal sopore dell’abitudine e della consuetudine. Il poeta vive continuamente questo stato d’animo bifronte: e non è che abbia la testa fra le nuvole, come spesso si usa dire. È piuttosto uno stato di grazia che gli permette di fermarsi e di ascoltare la realtà circostante, leggerne i profondi messaggi, intuire ciò che sta dietro le cose, dentro le cose, dentro l’anima. Carmelina Di Iorio è senz’altro una di questi: una poetessa attenta e viscerale, perché, sedendosi sulla pancia del mondo, ne ascolta i profondi vagiti, come una madre può ascoltare il suo nascituro che scalpita nel suo grembo. Una poetessa viscerale, certo, perché accoglie l’interiorità in fermento, ma poi riesce con il suo ottimo dettato a mettere ordine nel marasma e produrre così versi consistenti e significativi. Tratteggi nascosti è dunque da considerarsi sicuramente un progetto poetico significativo, in quanto esprime appieno tutto il quadro del mondo, celato nelle visuali più recondite e che solo i poeti, i creativi, sono in grado di raccogliere. Si tratta infatti, qui, di riportare in versi quei “tratteggi nascosti”, come lo stesso titolo suggerisce, che la realtà evidenzia solo se si rimane attenti ad osservarla e a tradurla: questo il pregio dei poeti, che con la loro sensibilità riescono a captare sia il vissuto quotidiano, sia la natura, leggendo in essi quella luce, quei colori e quei suoni, quelle emozioni, che la quotidianità relega in dimensioni secondarie, meno appariscenti. È un tratteggio nascosto, il suo dire poetico, in quanto riesce appunto a ricostruire, a far riemergere dal tessuto profondo della realtà, tratti e lacerti di verità e luce, come a voler ricostruire, con quei tratti e quei tasselli, il mondo di valori che sovente viene trascurato se non addirittura ignorato nel daffare e nelle incombenze usuali.
La poetica di Carmelina Di Iorio, in questa silloge, si svolge aprendosi ai temi fondamentali dell’amore, inteso nel suo significato più ampio e quindi anche nei riguardi della natura, del mondo, laddove le immagini e i panorami sono fortemente soffusi da una entusiastica e partecipata ecologia, colorata e intensa, con afflati emotivi che ne riportano profumi, suoni, colori e luci, tale è la potenzialità espressiva delle sue liriche: “Profumo di vento! / Mirto inebriante di canterini uccelli, / sparsi nei riflessi…”, e ancora: “La notte / ha la voce di un sogno…”.
Un altro punto interessante della raccolta è quello di aver raggruppato diverse liriche sotto lo stesso titolo, quasi a voler comporre un quadro più esaustivo del suo pensiero poetico, considerando l’argomento sotto diverse angolature e situazioni. Un modo davvero originale per completare il mosaico poetico che la nostra autrice aveva progettato, esprimendo proprio in quei “tratteggi nascosti” il suo dettato, alternando i vari temi e riuscendo in tal modo a comporre un tessuto poetico vario ma nello stesso tempo senza smarrire il filo conduttore importante, che è appunto l’amore e l’ammirazione nei confronti dell’umanità e della natura.
Un libro senz’altro interessante, dove la poesia assume toni lirici di evidente spessore, e quindi armonioso e denso di contenuti e di delicati quadri di natura e di sentimento.


Poesie girovaghe

 

Profumo di vento!

Mirto inebriante di canterini uccelli,

sparsi nei riflessi

sono ombre fluttuanti.

Profumo di vento!

Ti adagi lento

su corpi tramortiti

in un clamoroso silenzio.

Sono attimi di brividi e carezze,

ineguagliabile il momento.

Son dee bianche

le nuvole a passeggio

nel giardino tinto dell'azzurro

decantare di umane storie

vicine e lontane.

Dee bianche

le nuvole si stringono

in ciarle scherzose

nel freddo di un giorno

sereno d'autore.

D'improvviso l'eco

di un suono irrompe

è la voce vestita di grigio

il pianto di una Dea

non più sognante.

Dee bianche

danzano al suo fianco

nel giardino tinto dell'azzurro

decantare lo schiamazzare

gioioso di uccelli

di un pianto ladri...

 

 ***

 

 

La notte

ha la voce di un sogno.

Ascolto

come l'eco di un urlo dal monte ad occhi chiusi

quel suono di brevi parole. Intrecciano nell'aria

lunghi istanti vissuti, inventati, dimenticati.

Malinconico

il tuo volto da Pierrot nel battere

di cuori impavidi nutre il suo respiro.

La notte

geme nascosta nella mente di un sogno

attore di ogni dove...

 

 ***

 

Tratteggi nascosti

 

Sorprendimi amore.

Basta uno sguardo

muto e vivo nel solo tuo respiro

a fermare l’irresistibile fremito del dire.

Prendimi i fianchi

stringili forte e toglimi di dosso

la voglia di sfuggire

a quell’insaziabile voglia di amarti.

Poggiati al mio corpo,

ti sostengo mi sento forte

anche se tremo come una foglia al vento.

Indaga nella mia mente

tu puoi,

conosci gli spazi dove entrare

e sai bene come far ridere il pulsare del mio cuore.

Non dire mai più

nel freddo razionale agire

di un ossequiato lavoro:

“Non si vive di solo amore”

Non ascoltare

queste tue leggere parole,

sono solo fugaci pensieri

vogliono succhiare il tuo sangue

che corre veloce lungo le arterie impazzite

perché vogliono il tuo cuore.

Non conosco ancora

la maniera di fermare i nostri intensi attimi,

ho così paura che un giorno

il tempo possa rubarceli…

 

 ***

 

Carillion di parole

 

Il mondo dei ricordi

è un mondo di treni

che ansimano all’arrivo

di giorno e di notte…

Orme giganti

di lenti passi

costeggiano i binari

e illustrano strade permesse

ma mai percorse…

I fischii brevi

annunciano la partenza

su binari di sola andata…

Non è dato un tempo

la percorrenza è breve o lunga

solo un sogno

ne segnerà la meta…

 

 ***


Tratteggi nascosti

 

Chiudo gli occhi

seduta sulla pancia del mondo

e con esso mi giro intorno.

Ci sostengono corde di suoni

è quasi impercettibile la stretta,

sono quasi impercettibili i suoni

se non si ascoltano.

Chiudo gli occhi

le mie gambe non ci sono

cammino nei passi dei miei bambini

così veloci raggiungeremo galassie sconosciute

e con esse ci gireremo intorno

al giorno e alla notte.

Chiudo gli occhi

il buio non mi acceca.

Miliardi di piccole lanterne

rimangono sempre accese…

 

Carmelina Di Iorio - Tratteggi nascosti – Seduta sulla pancia del mondo, Delta3 Edizioni, 2025.

Carmelina Di Iorio è nata a Lapio, in provincia di Avellino; è residente a Montemiletto (Av).
Tratteggi nascosti è stato pubblicato da Delta3 Edizioni nel 2025, in quanto opera terza classificata al Premio Nazionale "L'Inedito - sulle tracce del De Sanctis", XVII edizione, sezione poesia.

Dall'intervento di Giuseppe Vetromile nell'ambito della presentazione del libro a Lapio il 27/9/25



 


 


mercoledì 20 agosto 2025

I "Corpi estranei" di Antonella Sica

Sembra che il poeta, in genere, tratti con una sorta di sufficienza letteraria la realtà circostante, proprio per penetrarne con maggiore rendimento l’arcano e quindi poterne poi esprimere in versi l’essenza, e da questa prendere l’abbrivio, l’input, al fine di ampliare quel nocciolo di partenza, estenderlo verso altri piani semantici, altre dimensioni, altri significati. E tutto questo, senza esserne emotivamente coinvolti. Giacché occorre una certa lucidità, quasi un certo distacco, per affrontare poi, con vigore e serenità, il lavoro poetico che da quei messaggi dalla realtà ha preso spunto.
Tuttavia, una minima dose di coinvolgimento emotivo deve pure esserci nella mano che va scrivendo i versi. I corpi estranei sono fuori, sono là, ci chiamano, pretendono di essere spiegati, compresi, persino, forse, ammaestrati. È compito del poeta, un po’ come il classico domatore di leoni, lavorare nella gabbia delle emozioni, dei ricordi, dei fatti, e cercare di mettere ordine, di ammansire quei guizzi emotivi che il mondo, dalla più lontana terra del mistero, alla più vicina, anzi prossima, stanza abitativa e familiare, ci mostra continuamente. Il groviglio informe e ribollente che preme dal di dentro va dunque gestito dal poeta con una certa abilità e maestria, onde ricavarne il profondo senso e spessore di significati validi e condivisibili per tutti coloro, lettori e amanti dell’arte poetica, ne vorranno gustare gli echi. Altrimenti il tutto diverrebbe un disordinato sproloquio di versi, magari anche ben costruiti tecnicamente, ma privi di anima.
I corpi estranei di Antonella Sica sono oggetti non oggetti, luoghi non luoghi, persone non persone: voglio dire, che la maestria poetica dell’autrice, in questa silloge, è tale da renderla partecipe delle vicende e delle emozioni che lei stessa narra, pur rimanendone, non dico distaccata, ma sicuramente in grado di gestire l’intensità e la complessità della sfera emotiva che questi corpi le suggeriscono.
Corpi sono evidentemente la madre, il padre, il fratello; luoghi sono la casa, le stanze, ma anche il mondo di fuori. I corpi non hanno poi identità precisa, appunto, essendo corpi. E quindi troviamo la bellezza e l’intensità retorica che solo la poesia può dare, accorpando, unendo più oggetti o persone in un unico drammatico significante: “Madre di Luna pietra madre ragnatela” è solo un esempio di come l’autrice riesca in un solo verso a concentrare l’evanescente figura della madre, il corpo della madre, donandole peculiarità di altri oggetti: luna, pietra, ragnatela…
Antonella Sica si muove dunque con ispirata sensibilità tra questi corpi estranei, vivendoli ed osservandoli in profondità, e con la sua grande competenza letteraria riesce a svelarne il segreto nucleo palpitante, ancora palpitante, laddove questi corpi hanno una voce e una vita, che solo un poeta attento riesce a cogliere: che si tratti della figura della madre o di un angolo di casa o di strada, di una particolarità esterna, sono comunque tutti originari di un flusso emotivo o perlomeno di un messaggio che innesca nell’animo del poeta quell’input necessario a sommuovere l’idea, il progetto creativo che porterà alla realizzazione della poesia.
Un progetto poetico considerevole e valido, questo libro di Antonella Sica, che ha giustamente meritato il premio “InediTo – Colline di Torino”, nella sua 22a. edizione, e che è inoltre arricchito da una dettagliata prefazione di un’altra poetessa di grande spessore, Camilla Ziglia.

Qui di seguito alcuni brani tratti dal libro:


Madre di Luna pietra madre ragnatela

di capelli sul guanciale madre pallido

ansimare madre spenta nella parola

madre impiccata al sorriso

in bianco e nero madre

che non ricordo madre

impastata nel corpo

madre

 

che sei andata via

come si spegne la luce

nella stanza di un bambino

 

 

***

 

 

Era una casa divisa in gabbie

perimetri di fiato e dolore

corpi estranei cuciti dal sangue.

 

A tavola a ognuno il suo posto

geometria instabile dei pasti,

la luce piombata dall’alto

un ritratto di famiglia elettrico.

 

Corpi stretti nella notte alle coperte

galleggianti nella trama dei respiri

la sveglia scandiva l’assenza ai miei occhi

spalancate finestre alla fuga.

 

 

***

 

Ho una bambina sulla schiena

il suo corpo è nuda cantilena

mi riempie i capelli di nodi

per divorare il mio pianto

 

la bambina di notte dondola

cigola come un’altalena

col suo alito di bosco sussurra

cristalli di sale sul cuscino

 

mentre sogno indossa le mie mani

disegna una volpe che gioca coi cani

fuscelli i fremiti del suo respiro

un nido di parole che scopro al mattino.

 

 

***

 

Sul precipizio domestico del letto

il silenzio è un rombo di valanga

uccide lentamente nel sonno

 

oltre la parete esposta al mare

la città si ostina ad impazzire

fatica a pagare l’affitto

 

migliaia di luci elettriche

nascondono la morte delle stelle.

 

 

***

 

Non è ancora l’alba. Non ancora.

Il silenzio al di là delle tende

è uno sciame d’api

pronto a colpire. Alle spalle il frigorifero,

col suo reticolo elettrico

combatte per il freddo interno

parla da solo come un ventre troppo pieno.

Sotto una luce pendente

scrivo con l’ombra

della mano sul foglio. Briciole

si attaccano al palmo che scorre

quasi a chiedere un ultimo gesto d’attenzione

colonizzando il bianco.

 

Mi sono alzata per un sogno, forse.


***

Antonella Sica, Corpi estranei, Arcipelago itaca Edizioni, 2025; prefazione di Camilla Ziglia. Opera vincitrice alla XXII Edizione del Premio InediTO – Colline di Torino.

Antonella Sica, genovese, è laureata in Lettere Moderne. È regista e manager culturale in ambito audiovisivo e cinematografico. Ha fondato e co-diretto il “Genova Film Festival” dal 1998 al 2015. Nel 2014 ha vinto il premio per la migliore silloge del concorso indetto dalla Casa Editrice Prospero. Nel 2017 ha vinto il Premio Internazionale di Poesia “Città di Milano”. Nel 2019 ha vinto, ancora come migliore silloge, il XX Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle donne”. Ha partecipato a diversi incontri di poesia in varie città italiane.

domenica 17 agosto 2025

"L'anima dei poeti estinti", il saggio di Angela Greco e Caterina Lazzarini sull'opera di Brina Maurer, Premio Pollino-Ponte D'Argento 2025. Macabor Edizioni

Segnaliamo volentieri in questo nostro spazio di Transiti Poetici un interessante volume dedicato all’opera letteraria di una valente poetessa e scrittrice, Claudia Manuela Turco, in arte Brina Maurer. Il libro, che s’intitola “L’anima dei poeti estinti”, è edito da Macabor, nel corrente anno 2025, in occasione del Premio Pollino – Ponte d’Argento, seconda edizione 2025, assegnato all’autrice.
Il Premio è stato fondato da Bonifacio Vincenzi, direttore editoriale di Macabor nonché poeta e attivissimo operatore culturale che si prodiga da anni nell’organizzare importanti incontri ed eventi letterari, in particolare nel nostro sud peninsulare, e validissimi premi letterari, quali, appunto, il Pollino.
La pubblicazione di questo libro è, tra l’altro, il risultato di un lavoro intenso e certosino, di altissima qualità, il che sta a denotare la grande serietà e professionalità degli organizzatori del Premio, laddove ben difficilmente, in altre iniziative del genere, seppur lodevoli e validissime, è possibile che l’autore premiato riceva un così ampio trattamento critico-letterario.
In questo libro, infatti, c’è praticamente tutta l’attività letteraria di Brina Maurer, almeno fino al 2025. Sono esaurientemente riportate note critiche sulla sua attività, scritte da personalità importanti del panorama letterario nazionale, e poi vi è un dettagliato curriculum con i premi e i riconoscimenti ottenuti. La figura dell’autrice e la relativa vena letteraria sono ampiamente descritte nelle prefazioni e introduzioni di Angela Greco AnGre e Caterina Lazzarini, curatrici del libro.
Chiude il volume una interessante sezione antologica con brani poetici e di narrativa tratti dalle ultime opere dell’Autrice.
Soltanto per motivi di spazio, e per offrire ai nostri lettori qualche esempio di buona poesia, riportiamo qui di seguito alcuni versi.


Da L’innocenza usurpata, 2021

(La stesura del libro risale al periodo ottobre-novembre 2017)

 

Crocifissione blasfema


Con le unghie spezzate e i denti insanguinati

la ragazza aveva difeso

la sua inviolabilità

soltanto nella finzione del pensiero.

Nella realtà, invece,

il respiro soffocato

e la paralisi

l’avevano salvata

fingendosi morta.

Poi una vita agra,

spesa a dimenticare e nascondere

il proprio corpo,

ma non le sue ferite.

Sanguina,

il mosaico di vetri aguzzi,

e l’anima oscilla

come carne appesa al gancio.

Senzafigli, ella desta invidie

e accuse di egoismo,

come se la sua testa,

servita su un vassoio d’amianto

al mattatoio,

non fosse mai stata sulle spalle.

Senzasesso, ella irrita persino

la donna che scruta

nel suo ventre:

–ecografia di vergine adulta

brucia la santità

sull’altare della follia –.

E gli anelli

non chiudono

la perfezione,

bensì creano supporti,

che divengono ceppi alle caviglie.

Per piedi ancora inchiodati

al trauma

della croce.


***


A merenda, dalla mamma

 

Non gli bastava

la pelle di animali abbattuti

a fini alimentari,

da prendere a calci.

I ragazzini del quartiere

Italian History X,

annoiati in un pomeriggio assolato

di inizio estate,

catturarono

un inerme gattino di strada,

per disputare

la partita della loro vita.

La creatura

–poco più che cucciolo e già orfano,

miracolosamente sopravvissuto

a un difficile inverno –

si era fidata

di quel sorriso e di quelle mani.

Ma poco dopo il branco

–tutto umano –

se lo passò di piede in piede,

in un cerchio di fratellanza

che garantiva l’impunità.

L’ultimo colpo di tacco

e il lancio più lungo.

Poi ognuno a casa propria,

dalla mamma per l’ora del tè.

martedì 22 luglio 2025

I nuovi "Nocturnos" di Giovanni Bracco, con una carta di Papa Francisco

Di Giovanni Bracco, poeta e giornalista di grande talento, originario di Polla in provincia di Salerno ma residente da anni a Roma, abbiamo già avuto modo di apprezzare la sua intensa produzione letteraria in ambito poetico, con alcune riflessioni pubblicate su Transiti Poetici. In particolare, abbiamo sottolineato la sua peculiare linea poetica in “Nocturnes” con una nota del 28 dicembre 2021 (https://transitipoetici.blogspot.com/2021/12/nocturnes-la-drammatica-attualita-nelle.html).
Questa raccolta, veramente complessa e pietra miliare, direi, della già importante e vasta attività letteraria dell’autore, dimostra l’assidua dedizione da parte del nostro Poeta nei confronti di un’opera che sta in effetti all’apice della sua attuale produzione, ritrattandola nuovamente e con ulteriori importanti elementi.
Elemento più rilevante della nuova raccolta è senz’altro la lettera di Papa Francesco, inserita a mo’ di prefazione nel libro. Una lettera che impreziosisce l’opera, con considerazioni di elogio e di fraterni apprezzamenti nei confronti dell’autore. Lettera scritta in spagnolo originale e per la quale non è stata necessaria la traduzione, dando così maggiore risalto ed unicità alla poetica della raccolta.
L’altro elemento è la riproposta della silloge con i testi in italiano e la relativa traduzione in spagnolo, mentre la precedente era con la traduzione in inglese.
Si tratta quindi di un ulteriore proposta per noi lettori, a livello internazionale e, con in più, la luce delle parole di Papa Francesco. Una poesia, quella di Giovanni Bracco, che ancora ci emoziona e ci coinvolge, per la sua intensità e per il suo spessore, in grado di trattare argomenti e stati d’animo i più svariati, dal personale alle più complesse problematiche sociali.

Giovanni BraccoNocturnos, Con una carta del Papa Francisco, Europa Ediciones, Madrid, 2025


martedì 15 luglio 2025

Due poesie di Maria Pia Latorre

Proponiamo qui di seguito alcuni versi della poetessa Maria Pia Latorre, di Bari.

Due sole poesie ma sufficienti per individuare già la grande esperienza poetica dell’Autrice, Maria Pia Latorre, originaria di Bari. I due testi sono tratti dalla recente raccolta È stato per caos, edita da Tabula fati. Nella prima poesia emerge una consapevolezza di lontananza da una realtà osservata con gli occhi e con il cuore desiderosi di vivere stupori e meraviglie: la quotidianità non dà né tempo né spazi per soffermarsi a mirare panorami di cieli che possano far riflettere sulla grandezza del creato, e la poesia colma questa distanza, ricollega le piccole cose alla complessità del mondo.
Nella seconda poesia il senso di distacco assume forma nel ricordo dolorante del padre ammalato, che l’Autrice descrive con versi amorevoli, riproponendo la figura del genitore come se fosse ancora lì ad attenderla, nel gelo di uno sguardo azzurro perduto a interrogare i muri.




Prospettive aeree

Di solito alzo lo sguardo
per parlare col cielo

Certe mattine è incorniciato in una gru
e resta immobile in posa sulla tela

Certe altre conviene spostarsi più in là,
tanto non ascolta nessuno

Poi se passa un aeroplano
ti distrai a chiederti
dove va a finire tutto il nostro stupore

E se ci voli in aeroplano
cambia prospettiva l'umore

Ti metti a considerare
la misura di ogni distanza
il piccolo che era stato grande
ed il grande che non si sa

e resti in attesa che il mondo
si ricomponga come lo hai sempre saputo


***



Casa di mio padre* (In tuo ricordo)

Sono entrata piano
nel tuo silenzio
come un tempo
Ai miei piedi cumuli di singulti
senza più radioattività

"il freddo non passa dalle finestre sprangate"
dicevi

Eppure il gelo è seduto lì
dov'era il tuo sguardo azzurro
a interrogare i muri
Non sopporto il buio quando è freddo
così sono corsa in terrazza
e in un coccio abbandonato
tra l'erba
il tuo dono di fiori per me


* tra queste righe un fascio fiorito di ricordi e il dramma della demenza senile


(Testi tratti da E' stato per caos, Tabula fati ediz.)

Maria Pia Latorre è nata a Bari, il 14 gennaio 1964. Laureata in Scienze pedagogiche, insegnante, autrice di narrativa e di saggi di letteratura giovanile, è stata cultrice di Letteratura dell’Infanzia presso l’Università degli Studi di Bari. Svolge attività di promozione alla lettura e alla poesia. Tra le pubblicazioni per ragazzi: RaccontinascensoreMissione di marzoStrade StrambeLo spettro di AzzurrinaTutti con AgoPasticcio di FataVai IvanNon capisco l’asteriscoSbocciano guaiStelle controventoOlè che tele!, Un gol da gigante, In viaggio con Eco.




martedì 24 giugno 2025

Monica Messa e la sua "pistola al Luna Park"

È una poesia immediata, quella di Monica Messa in Una pistola al Luna Park, recente sua raccolta edita da RPlibri e con puntuale introduzione critica di Antonio Bux. Una poesia immediata e rapida, capace di fluire da un’immagine all’altra, da un quadro all’altro, mantenendo integro il ritmo e l’armonia nonostante il dettato diretto e scarno. Forse la società moderna, convulsa nel suo procedere lungo la monotonia dei giorni tutti uguali, forse il pressapochismo e la superficialità del modus vivendi attuale, in cui è primaria la necessità del sopravvivere, e forse anche la diminuzione di valori forti e la mancanza o l’affievolimento delle speranze e dei sogni; forse tutto questo condiziona in qualche modo il sentire e il fare poesia oggi, e la stessa poesia veste i panni dell’urgenza, della necessità di dire tutto in fretta, subito, in un concentrato di emozioni e di immagini che il lettore attento dovrà poi decifrare e tradurre, per assaporarne e goderne appieno la luce di verità e di onestà descrittiva che ne emerge. Ma si sa, la poesia è stata sempre cartina al tornasole degli scenari storici, culturali ed emotivi delle varie situazioni sociali in cui vive, riassumendo e interpretando in modo artistico i lacerti, gli spaccati, gli sbalzi e gli echi umorali che in essa e da essa si manifestano. La vita, specialmente quella della società attuale, è verosimilmente un grande Lunapark, se vogliamo inteso amaramente, perché è un divertimento allegorico o addirittura alternativo, per coprire o almeno alleggerire le punte drammatiche e impegnative di un’esistenza precaria sotto tanti punti di vista, difficile da condurre e che offre poco spazio alla gioia e alla serenità.
Detto questo, anche la poesia di Monica Messa, in questa raccolta, segue intuitivamente il filone di spaesamento della società attuale, con descrizioni appropriate e ricche di metafore di una realtà contingente adusa ai salti repentini di umore a seconda del momento più o meno favorevole, più o meno corrispondente al proprio sentire. Una realtà, quella descritta da Monica Messa, che appare in contemporanea pur essendo composta da tasselli diversi e dislocati qui e là, verosimilmente scollegati ma comunque tenuti insieme da una poesia che, proprio in questo caso, è il collante necessario, è il punto di vista orizzontale e verticale in grado di dare un senso al tutto, fino all’orizzonte. La poesia di Monica Messa, oltre a ricostruire il puzzle di una società distaccata, ne è anche sottile denuncia, laddove con il suo canto stentoreo richiama alla nostra attenzione l’autenticità dell’esistenza, e di quei valori fortemente ad essa legati e che sovente trascuriamo. Umanità, senso della storia, la meraviglia per il nostro creato, dal più vicino paese (dove tanti vengono a suicidarsi – e qui è maestra l’autrice nell’esprimersi con un’amara ironia), al più lontano dei confini (“Troppo grande questo mondo / per le tue mani, bambina, / bastano appena appena per spingere / barchette di giornale”...). E dunque, a concludere come afferma Antonio Bux nella sua dotta introduzione, è un Lunapark il mondo descritto da Monica Messa, in cui è difficile non premere il grilletto, davanti al baraccone del tiro a segno: la poesia della nostra autrice può essere l’alternativa giusta, il modo artistico per generare e offrire consapevolezza di una realtà più profonda.
Seguiamola in questi brani tratti dalla sua raccolta.

Il gatto marmorizzato

dietro l’angolo sonnecchia.

Un cielo plumbago azzurro

ha inondato il lato sud.

“Occhipinti aglio e menta

al tavolo ventidue!”.

Muta la zultanite

sull’anello di Samir.

Tiri fuori

un piccolo seme dalla tasca.

Bustrofedico procedi. Sogni

idromele e mescalina.

 

 ***

 

Ai bordi della città diorama,

Samir beve vino

e ingoia bignè.

Sulla barba ha dodici stelle

di miglio perlato.

 

Il fumido chiasso della stazione

ti chiama.

Il cieco canta.

Le mosche banchettano

su ciarpame e mani.

 

Un pugno diretto

un coltello mancino,

cade la sigaretta.

Samir sorride, non capisce,

ha sangue fra le dita.

 

Solo ricordi

come fiorisce in fretta

una ferita.

 

*** 

 

Sedici anni il prossimo dicembre.

Distesa al buio nel granaio,

fuochi d’artificio

sulle palpebre schiacciate,

le scarpe di vernice nuove,

i talloni scorticati,

ridevi alle sue battute sconce.

– È vietato baciare la Regina!

sussurravi.

 

La Luna del Cervo era alta,

alta la tua scollatura,

il mascara calato.

 

Rosa di Spagna ti chiamava

tua madre, ma avevi un’anima

di pan bagnato, Geremina

e l’oro dei campi più non ti si addice.

 

Come magma la dose nelle vene.

Ti arrendesti sognando un lieto fine.

 

(Ho tagliato la testa

ai miei gelsomini

questa mattina,

è da un po’ di tempo

che non mi parlano più).

 

*** 

 

Trasformati, trasformati

in poesia

rabbia bastarda,

con la stessa potenza

prima che mi consumi,

prima che mi consumi.

 

Trasformati

ragazzina scalza

prendi ossigeno e brucia,

brucia.

 

 ***

 

Troppo grande questo mondo

per le tue mani, bambina,

bastano appena appena per spingere

barchette di giornale.

 

Un passo, dall’asfalto alla sabbia.

Sorridi in debito di luce,

capelli nuovi di chemio

e il libero arbitrio in una falange.

 

 ***

 

La carpa è nel castello.

Ripeto, la carpa è nel castello.

La turbata libertà degli incanti.

Il movimento.

Il motore poetico, la motrice.

La materia.

Oscura, vischiosa, radioattiva.

Trama dell’universo.

Il dolore pulsante e cieco.

Il gioco e la candela.

Il Greco. Alfa, beta, gamma.

La cassetta degli attrezzi.

Tutti gli attrezzi.

Un davanzale.

Quegli scalini a scendere.

Un inciampo, una battigia.

Una feritoia nel buio

muschio umido fluorescente.

E il mare che batte, batte.

Urla.

 

 ***

 

Una lapide stretta

sul ciglio della strada,

la foto di un ragazzo pelle e ossa,

tulipani di seta blu.

 

Dicono che

nei primi trenta secondi

dopo la morte

il cervello sogni.

 

Margherite e urina l’ultimo odore

e nel sogno il ricordo

di un amore piccolo piccolo.

 

*** 

 

Nel mio paese c’è un binario

e un passaggio a livello fra i ciliegi.

Vengono dalla città

e dai paesi limitrofi

a suicidarsi.

 

Perché un paese ci vuole,

un paese per morire da soli.


Brani tratti da:

Monica Messa, Una pistola al Luna Park, RPlibri, 2024. Introduzione di Antonio Bux.

Monica Messa è nata nel 1974 a Monopoli. Ha esordito nel 2018 con Poesiole, una raccolta di poesie su vari temi, scritte nell’arco di trent’anni. Ha poi pubblicato Seppie Ripiene – Poesie per poche lire (2018) e Il Logorio della vita moderna (2021). A settembre 2022 ha pubblicato la plaquette /imagine: l’universo è nato dall’immaginazione, dove accanto ad alcune poesie edite propone delle immagini generate mediante l’applicazione della IA Midjourney. Ha partecipato a diversi Festival. Alcune poesie sono state pubblicate in blog, riviste cartacee e online, in antologie nazionali e internazionali e nella rubrica “La Bottega della Poesia” di Repubblica – Bari. È stata nelle redazioni delle riviste di poesia “La Vallisa” e “La Confraternita Letteraria”. Alcune poesie sono state tradotte in albanese e in spagnolo. Cura, inoltre, un blog e una pagina Facebook.



lunedì 23 giugno 2025

Una recensione di Raffaele Urraro per "Scrigno" di Rosaria Di Donato

 

Poesia del sentimento, poesia della realtà tragica dell’universo in cui siamo destinati ad abitare e vivere, poesia della natura e delle sue mille epifanie. Poesia varia e molteplice, dunque, quella della Di Donato, come è varia e molteplice la natura dell’uomo: c’est la vie, sì, è la vita che spinge il poeta a leggere nelle cose, in tutte le cose, e a costruire il proprio scrigno di pensieri ed emozioni, di sofferenze ed illusioni, ma anche uno scrigno di parole, che non sono le parole comuni, consumate dall’uso e sostanzialmente inservibili, ma le parole della poesia, le parole che servono per dire il senso della vita e delle cose, la ricchezza del nostro animo e la fragilità del nostro essere.  

   Proprio di qui vogliamo partire per questo breve viaggio in compagnia della poesia di Rosaria Di Donato, poetessa nella mente e nell’animo: non riposa l’estro / del poeta e dall’antro / gelido della parola / evoca il nuovo / l’inconsutile suono / che il tempo rischiara (pag. 39): parole che danno chiaro e pieno il senso del lavoro poetico, che è un lavoro a tempo pieno, perché il poeta è sempre proteso a far parlare le parole anche al di là del loro significato apparente, quello cosiddetto convenzionale, quindi anche al di là del suono dei loro significanti, sicché le tira fuori dal loro antro gelido, dove le parole sono destinate a marcire e morire nella loro “insignificanza” se non vengono salvate e rifatte, quasi riverniciate e portate a nuova vita, e le dispone in fila per farle parlare e dire tutta la loro verità, che è poi la verità del poeta. E quest’ordine è la misura del dettato poetico. A questo punto, se les mots font l’amour, come dice André Breton, il prodotto artistico sarà di alto valore poetico, perché esse debbono essere accostate tra loro in un sistema di empatica corrispondenza, o di chimica associazione. Ma se non “fanno l’amore”, se vengono inserite in una struttura caotica perché male ordinate, esse non sanno parlare, e se parlano, non hanno che dire.

   Rosaria è poetessa consapevole del lavoro che richiede il fare poetico: vagando in questo mare di parole / sovente indugio sui significati / paga non mai del senso letterale / smonto compongo lemmi iopoeta (pag. 40): lavoro che richiede acutezza d’ingegno per portare le parole dal loro uso normale ad una sorta di verginità semantica, perché solo così invento uno spazio parallelo / ove s’incontrano futuro novità / non mai termini logori scontati (pag. 40). Il titolo dato al testo da cui sono tratti questi versi, scintilla celeste, ci riporta al Leopardi, che proprio con quella espressione ha definito la natura del fare poetico, volendo metterne in rilievo la genesi particolare come una luce che abbaglia e accende nel poeta il suo spirito creativo, conducendolo alla costruzione di un mondo alternativo a quello reale. Perché?

   Perché è pur vero che Rosaria sente l’urgenza costrittiva della memoria che la porta a rivivere gli anni dell’innocenza, quelli della fanciullezza e dell’adolescenza, nell’Abruzzo, sua terra di origine, anni caratterizzati  da una sorta di vita campagnola a diretto contatto con la natura, con il fiorito ramo di melo (pag. 19); con l’armonia che torna con il fiorire della camelia (pag. 23); con l’anafrodisiaco fiore di loto (pag. 24); con le storie raccontate dal secolare ulivo (pag. 26); con il ricordo commosso della figura paterna; con la riscoperta del vero significato dell’essere nata e vissuta in quella terra, in un angolo di cielo / dove il vento rincorre nuvole / e spazza via la tristezza (pag. 33), dove il silenzio tra cielo e mare è luogo dell’ascolto senza fine (pag. 34): un mondo descritto con una evidente corrispondenza tra le parole e la tipologia della realtà, corrispondenza che si coglie nel linguaggio che corre direttamente verso la cosa che deve significare. Ciò la porta a dire che non lascerò / morire un sogno (pag. 36) perché continuerà a coltivarne la memoria, perché la memoria riscalda l’anima e aiuta nel cammino della vita e spesso contribuisce financo a superare la solitudine che affligge o annienta. 

   Ma tutto questo si svolge in un universo dominato da stelle, pianeti e, soprattutto, dall’orizzonte degli eventi (pag. 41), cioè in un universo bello e terribile nel quale è confinata la nostra vita, in una distesa di buio e di luce / in cui perdersi ritrovarsi / senza schemi (pag. 41), al confine tra la nostra esperienza terrena e l’oltranza sconosciuta, quando, come afferma Leopardi, questo arcano  mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi (Cantico del gallo silvestre). Rosaria, però, non si ferma davanti a un orizzonte così drammatico e, ricorrendo all’incipit giovanneo (In principio era il Verbo), giunge fino a quella “genesi” del mondo derivato anch’esso dalla “parola” (Dio disse e luce fu), quel mondo che è stato fatto per noi, proprio come fa il poeta che con le parole crea il suo universo. E qui è la luce, che forse mancava al Leopardi, come manca anche a chi scrive queste note, perché Rosaria presenta il mondo nel quale viviamo come la derivazione e l’effetto del mondo della “genesi”: è in noi quel giardino / siamo uomini e donne / dell’eden non dell’inferno // ci sono strade per andare lontano (pag. 50), forse prefigurando in questi versi, positivamente, la sua strada, la strada della poesia, lungo la quale è facile incontrare lo stesso poeta di Recanati, anche se costui si pone in una posizione ideologica espressamente contraria alla sua.

   Ma la nostra poetessa va oltre la configurazione della vita dell’universo e della vita dell’uomo, oltre i problemi del fare poetico e quelli dei massimi sistemi, perché il suo sguardo si posa, malinconico e rattristato,  dapprima sul fenomeno del covid: segna un solco / il dolore al pensiero / di tanti che ci hanno lasciati / dei molti che ancora muoiono / nei paesi dove non c’è argine / alla miseria di vivere (pag. 51), fenomeno di cui riesce a cogliere la dolorosa connotazione e le tristi conseguenze, e poi il suo sguardo, inorridito e spaventato, si posa sulla violenza subita dalle donne e sul sangue da esse versato come una sorta di terribile sacrificio al dio della brutalità, dell’insipienza, della mostruosità insostenibile. E allora compaiono i fantasmi di donne trucidate per inconcepibili principi di sopraffazione: l’uomo si erge a padrone della vita e della morte. E ciò o per bieca volontà di prepotenza, come nel caso di Samia, uccisa per non aver voluto accettare un matrimonio imposto dal genitore con spregio violento del sentimento vero dell’amore della ragazza innamorata di un altro (sono io samia / nube dissolta nel vento / onda mai giunta alla riva; pag. 45), che Rosaria descrive con una incredibile leggerezza e levità espressiva, cogliendola nell’attimo in cui si verifica l’inganno e il disprezzo di ogni sogno e di ogni speranza, sicché l’onda non arriverà mai alla riva della celebrazione della vita vera e libera e dei sogni normali in una ragazza della sua età. O per la bieca violenza del potere politico, nella persona del Trujillo, che non consente alle sorelle Mirabal di vivere la propria vita in libertà: volevano essere farfalle / le sorelle mirabal / ma incontrarono la morte / sulla via per porto plata // e fu proprio quel giorno / che iniziarono a volare perché le ali delle mariposas / ridestarono coscienze (pag. 46): così la nostra poetessa celebra il sacrificio delle ragazze che credevano nel sogno della libertà e della vita vera. E la poesia di Rosaria si fa carico di queste tragedie della vita e le propone alla coscienza degli uomini come tragedie del potere che non si sa contenere nei limiti ad esso prescritti. 

   Ma che mondo è mai questo che soffoca sogni e libertà? Non resta che chiedere al vento / dov’ è la soglia / che conduce altrove / e disegnare / con lo sguardo al cielo / la rotta per i sogni / irrealizzati (pag. 57), e nel frattempo “fuggo dalla città e me ne vado errante / in cerca d’un tratturo antico / ove condurre il gregge dei miei sogni // stanca di rumori cittadini (pag. 62): tratturo che porta ai santi Michele e Giuseppe dai quali Rosaria si aspetta i veri insegnamenti sulla vita, mettendo a nudo la sua anima e la sua fragilità, che solo attraverso la poesia si denudano e si rendono manifeste. Lo dice chiaramente uno dei testi della sezione Chiaroscuri, testi composti in lingua spagnola seguiti dalla traduzione in italiano: scrivo perché non respiro / perché non trovo spazio / intorno a me / per i miei sogni / invece nella pagina / si aprono visioni / e la mia anima / vive (pag. 79), versi dai quali appare chiara la considerazione della poesia come spazio libero e autonomo, spazio di libertà nel quale si può parlare senza remora alcuna anche dei propri sogni d’amore, e dove si realizza quanto viene impedito dalla realtà, e anche dalla storia..

   L’altra sezione, Miniature, fatta di testi brevi, veri e propri haiku, nei quali non mutano le tematiche; muta soltanto la struttura dei testi rispetto a quelli delle precedenti sezioni. E infatti bastano pochi versi (5 + 7 + 5) per dire, in una sintesi efficacissima, un’idea, un concetto, il senso di una riflessione, il tutto condito da una voce che sussurra lievemente le parole, una sorta di flash che colpisce l’occhio del lettore e lo spinge alla meditazione, che è poi lo scopo fondamentale di ogni poesia. Due esempi: il tempo che si dissolve nella sua inutilità (fiori nel vento / si dissolvono giorni / senza un perché), e la dissolvenza dei sogni che perdono il loro senso trasformandosi in schiuma che si disperde e in conchiglie gettate sulla spiaggia ed abbandonate (onde del mare / si rincorrono i sogni / schiuma conchiglie).

   A conclusione della raccolta, ecco apparire, come dal mare un gioiello che non ti aspettavi, la sezione Tracce, poesie scritte in vernacolo, che presentano una particolare vivacità espressiva, una chiara freschezza linguistica, sia quando Rosaria parla di poesia (le notti che nun dormo / apro ‘no stuccio / de lucciche e parole // è la poesia / che sortita da lo stuccio / fa l’amore co l’inzogni // cunnola l’anime sconfuse), poesia che rappresenta il mondo alternativo dei sogni, sia quando parla dello scambio di ruoli tra la luna e il sole (se pò fa disse la luna / ar sole che sbrillucicava / io sorto de giorno / e tu spunti de notte // po’ èsse che scambianno / li fattori er risultato / sia tanto sorprennente / da mutà er còre de la gente), versi nei quali s’intravede la speranza di un mondo migliore. 

   Ho detto agli inizi che quella di Rosaria Di Donato è una poesia del sentimento, e lo è perché è viva la sua sensibilità verso i problemi della vita e dell’uomo, ma è anche una poesia nella quale rivivono persone ed eventi connotati dal senso del tragico intensamente vissuto e descritto, e inoltre è anche la poesia della natura, come si è visto in quella sorta di colloquio con le piante che ne sono una particolarissima espressione. Ma più di ogni altra cosa la poesia della Di Donato è una poesia aperta, che rifugge da ogni astruseria linguistica, da ogni gratuito gioco di parole, e si propone al lettore come un libro da sfogliare, scavare in profondità per poterne portare in superficie tutti i significati, anche quelli che a prima vista potrebbero apparire come nascosti nel gioco inventivo delle parole.

Raffaele Urraro

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà