martedì 10 luglio 2018

Diario estivo e … la poesia


Eccoci quasi in piena estate! Relax, come suol dirsi, ma anche tempo di riflessioni e di letture, magari sotto l'ombrellone, o nella tranquilla penombra della propria stanza di lavoro o di studio.
E a proposito di riflessioni, volentieri e con piacere riportiamo qui di seguito una interessante Nota di Rita Pacilio, illustre poetessa e critico letterario, nonché Direttrice e curatrice di RPlibri.
Buona lettura!

L’estate 2018, oggi 9 luglio, continua a riservarci sorprese. Purtroppo, la condizione politico-sociale italiana ed europea occupa, in maniera totalizzante, la nostra mente di cittadini e di esseri pensanti. Le notizie di cronaca si alternano tra episodi di razzismo, femminicidi e fenomeni atmosferici, cartine di tornasole della perenne crisi delle relazioni sociali e delle stagioni. Il clima emotivo di noi tutti è turbato dai bombardamenti degli avvenimenti del mondo: la ricaduta emozionale è inevitabilmente burrascosa. In Italia, ultimamente, poeti e critici, per reazione psicologica all’enorme quantità di scritti, secondo me, mettono in scena crudeli stroncature e deliri personali sostenendo che la poesia è morta. Negare e strumentalizzare la condizione sociologica dell’affaccio poetico/presenza di tante giovani voci e il lavoro costante di autori più o meno conosciuti/ affermati, porta a minimizzare o ad amplificare, direttamente o indirettamente, lo stato delle cose. Non mi soffermo sulla qualità o sull’abusivismo della parola poetica degli ultimi anni (poesia e versificazione hanno significato formale, letterario ed estetico diverso, è vero, ma non ritengo sia questo il momento di tirare somme in modo imprudente, prematuro, forzato e semplicistico), ma parlo esclusivamente di rilevazione sociologica come presa di coscienza della necessità di molti autori di esprimersi e servirsi, comunque, della poesia. Di questo aspetto parlerò più dettagliatamente in un eventuale prossimo articolo. Intanto, mentre sui social esibiamo magliette rosse per sentirci più umani, i libri accumulati sulla scrivania chiedono lettura, attenzione e cura. La parola si esibisce a voce alta tra cinema, teatro, musica, fotografia e libri: ecco, mi soffermo su alcuni libri di poesia per divulgare e costruire la strada attuale del cammino poetico il quale definisce lo scopo della scrittura del nostro tempo.

È proprio la sacralità della poesia che cerca il modo di riordinare le cose del mondo. Da anni Antonio Spagnuolo, poeta e critico napoletano, si sofferma, con i suoi scritti poetici, su questa tematica. Canzoniere dell’assenza – Kairos, 2018 e Come un solfeggio – Kairos, 2014 – sono la testimonianza che l’arte ha bisogno di studio e perseveranza nell’ascolto del silenzio e, contemporaneamente, del caos della vita per meglio interpretare se stessi e i meccanismi dell’esistenza. La forma e il senso della parola poetica affievoliscono i drammi umani riproducendo i cambiamenti significativi come potenzialità e superamento dell’assenza, della paura di restare soli. Le immagini narranti girovagano tra ricordi, solitudini, amori, dolori, presenze, rimorsi, dubbi, illusioni, speranze e attese, le quali appaiono segmenti intrecciati nella musicalità dei versi. Qui avviene la trasformazione miracolosa dell’offerta, della celebrazione: il paesaggio intimo assume valenza universale proprio quando viene travolto dalla pulsione sentimentale, dall’amore profondo per gli esseri umani, per la natura, per Dio. L’esperienza feconda e umana della sostanza poetica testimonia l’io e l’aspetto esteriore rendendo grazie alla bellezza del viaggio vissuto come un avvenimento ciclico e senza fine (Il vento leggermente ti scompiglia la chioma/nell’impazienza che assottiglia il ritmo/delle attese. Sei il nitido riflesso di risacca.)

Correnti contrarie, Ensemble, 2017, di Angela Greco, poetessa pugliese, ripropone testi editi e inediti sugli equinozi, giorni dell’anno che delineano le ore del giorno e della notte in eguale misura temporale. L’autrice pone sulla bilancia del tempo la giusta presenza della bellezza e della difficoltà umana della riconoscenza. Poesie e prosa poetica per far esplodere, dalla stessa prospettiva, la consapevolezza della perdita e della conquista. Per questo motivo il gesto del vivere non scolora gli attimi vitali, anzi, li cattura in un linguaggio corposo e metaforico per restituirci il senso delle realtà più semplici del mondo, i sogni, la comunione, i limiti e la poesia (Il mio pensiero, il tuo/l’inimmaginabile piacere/giunto alle stesse conclusioni.)

Molto convincente è anche l’opera di Francesco Lorusso, poeta pugliese, dal titolo Il secchio e lo specchio (Manni, 2018) in cui il lavoro stilistico dell’autore cattura la scena tristissima della quotidianità. Gli oggetti, riflessi nello specchio, infatti, esibiscono se stessi attraverso l’utilizzo delle performance umane, troppo spesso, prive di senso civico. Il libro è pervaso da esplicite sofferenze legate alla falsa cultura, madre, inevitabilmente, di false coscienze capace di deteriorare i rapporti interpersonali e le nervature generazionali. La denuncia del progresso esasperato è la colonna portante del discorso poetico finalizzato a sensibilizzare la capacità di pensiero e il confronto. Stupisce il progetto e l’esito: l’organismo testuale è lo strumento e il pensiero responsabile della poesia fornisce gli specchi di lettura (Il colore della colla secca sulla giacca/e lo stupore assopito dalla fretta/non ci mantiene accostati al momento. Stagna sulla carta/una macchia di identità permessa.)

Viviamo ed esistiamo in poesia sicuramente a prova di nostalgia e memoria come resistenza all’oblio e implorazione della verità. Cactus di Melania Panico (poesie) e di Matteo Anatrella (fotografie), Gechiedizioni, 2018, ne è, dunque, la prova provata. Dieci poesie e dieci fotografie per sezionare l’esperienza emozionale del folgorio vitale: un dialogo storico e intimo che accade nel destino di ogni uomo, nella natura delle cose. Traccia e segno che rendono bene comune e prezioso ogni lacerazione, l’ostinata permanenza, la memoria, la dissoluzione della spaccatura del transito di una foglia o della pioggia sui vetri. Così vivere significa scomparire nel nulla, fermare i momenti o camminare a pieni polmoni, coscientemente. Amare, per questo motivo, la sofferenza delle lacrime sapendo di aver raggiunto la viva maturità del vissuto. L’abnegazione del superfluo, l’essenza, il distillato simbolico della radice e delle vie segrete per riappropriarsi di risposte e ulteriori quesiti filosofici, la mancanza, il tempo: questo il senso poetico di Cactus in cui la parola e l’immagine arrivano, contemporaneamente, ai fondamenti estremi dell’offerta e della complicatissima presenza del reale quale indizio per sospirare, respirare, appartenersi (La fronte mostrerebbe tristezza se potesse/quello che resta è da considerare:/chiudere la porta come ultimo respiro forzato/maestoso istante di gioia).

Rita Pacilio

sabato 23 giugno 2018

Giovanni D'Amiano "nell'onda calma della natura"


La Natura ha il suo orologio privato che non è quello dell'uomo: tutto trascorre, modificandosi ed evolvendo, nascendo e morendo, trasformandosi e selezionandosi, in base a leggi che noi solo in parte abbiamo conosciuto e compreso. Tutto ebbe inizio una volta, miliardi di anni fa, sul nostro pianeta, e da quel determinato incipit, tutto cominciò ad evolversi. Rispettando appunto alcuni semplici (o complessi?...) input iniziali, e andando avanti ripetendo cicli stagionali e millenari. Noi uomini nulla potevamo. Ora invece siamo riusciti a influenzare (per lo più negativamente!) questi cicli, a fare in modo che la Natura deviasse in parte o in alcuni casi anche del tutto dai programmi iniziali, giungendo a rompere quell'equilibrio delicatissimo e sacro esistente da milioni di anni. Vedi il cambiamento del clima, il depauperamento delle foreste, l'uso sconsiderato delle risorse a nostra disposizione…
Noi umani abbiamo insito in noi l'orologio della fretta, della conquista ad ogni costo e nel più breve tempo possibile, siamo nati con l'idea e la voglia dello sfruttamento incondizionato, e soprattutto non siamo più abituati a convivere con la Natura, a sentire i suoi battiti, a sincronizzarci col suo respiro!
Anche la Poesia, a volte, diventa trafelata, urgente, impetuosa, invadente! Perché non fa che rispettare e riflettere le nostre ansie, le nostre paure, i nostri egoismi.
C'è qualcuno però che riesce ancora ad ascoltare questa Natura, a coincidere con i suoi stessi battiti e colori. Giovanni D'Amiano è uno di questi, e nel suo bel libro, intitolato proprio "Nell'onda calma della natura", edito da RPlibri, egli riesce a trasportarci in questo mondo che per certi versi, per noi "cittadini di un mondo precariamente industrializzato e banalmente civilizzato", appare magico e forse persino fatato, inusuale e fanciullesco!
Ma non c'è niente di banale nel seguire e nell'accordarsi con la Natura. Anzi, direi che un gretto e poco lungimirante rovesciamento di interessi e di attenzioni ha condotto l'uomo a considerare la natura come un qualcosa di esterno a sé, qualcosa da sfruttare e da (malamente) gestire, fino alle deleterie conseguenze che sono sotto i nostri occhi! Amare la Natura, sentirsi parte integrante di essa, respirarla e immedesimarsi in essa, forse all'uomo tecnologico di oggi potrà sembrare, come affermavo prima, fuori luogo, anacronistico e addirittura infantile. Ma in realtà non è così, non deve essere così. Giovanni D'Amiano ne è pienamente consapevole e affronta con serenità e coraggio la vera prospettiva dell'uomo: quella di considerarsi non un distaccato osservatore, bensì un vero e genuino abitante della Natura, sentendosi pienamente e amorevolmente integrato in essa.
Il suo libro recente, "Nell'onda calma della natura", vuole essere una forte testimonianza del suo rispetto e amore nei confronti di una natura troppo spesso alienata, denigrata, sfruttata, offesa, dimenticata. E' vero che le sue origini contadine hanno forse un poco influito, lungo la sua maturazione ed esperienze di vita, su questa visione particolarmente incline al mondo agreste e naturale, ma è pur vero che molto si deve alla sua fine sensibilità di uomo e di poeta, attento ai valori fondamentali della vita, attento alla memoria, mattone indispensabile per la costruzione di un mondo migliore. Non per nulla l'Autore, nell'esergo, dedica la raccolta ai suoi genitori, che gli hanno insegnato la bellezza della campagna e la lentezza dei suoi ritmi. Ecco dunque ricomparire l'orologio della Natura, che incede lento, di una lentezza che non esaspera, ma rasserena, perché ogni cosa deve avere il suo giusto e regolare percorso, il suo ciclo vitale.
Giovanni D'Amiano ci racconta dunque il vero volto del mondo, con i suoi fenomeni naturali, le sue meraviglie, le acque, la campagna, i ruscelli, i tramonti, i fiori, gli alberi, gli acquazzoni, ma anche la vita piena a contatto con la natura, i ricordi bellissimi e struggenti di un passato fanciullesco trascorso nei campi, con le poche ed essenziali cose utili per andare avanti, i giochi salutari e ingegnosi, il cibo scarso ma genuino, la rincorsa alla felicità e alla speranza.
Tutto questo traspare evidente nei suoi versi dal forte carattere bucolico, pregni anche di una liricità suadente ed armoniosa, perfettamente in accordo con il tema della raccolta.
Una poesia particolarmente legata alla natura, espressa in modo carezzevole e benigno, con punte di malinconia e di rimpianto, nei confronti di un mondo difficile da recuperare, da ri-amare e da rivalutare. Specialista del dialetto napoletano, Giovanni D'Amiano ha già scritto un libro in napoletano dedicato alla campagna e al mondo contadino, "'E pprete 'e casa mia". Qui, con questa raccolta in lingua italiana, egli ha voluto ampliare il discorso con nuove poesie ispirate direttamente alla natura, ed è perciò da riconoscergli grande merito per questi suoi progetti, intesi a riattualizzare un mondo dimenticato, da una parte ("'E pprete 'e casa mia"), e un mondo sovente sfruttato e maltrattato dall'uomo "tecnologico" ("Nell'onda calma della natura"), dall'altra.
Ma come sempre, i lettori affezionati potranno aggiungere qualche ulteriore gradito commento, leggendo la selezione di testi che vi proponiamo qui di seguito.



Voglia d'erba molle e odorosa

Alla ricerca del prato
che la pioggia rende infido
uccelli sciamano sbandati
all'improvviso temporale.
La voglia d'erba molle e odorosa
mi spinge ad affrontare
la guerra d'acqua di tuoni di lampi.
E satiro ubriaco sfido la tempesta,
cantando e danzando,
spirito stesso della natura in festa.


***

Nella stagione dell'amore

Le serpi, nella stagione dell'amore,
si avvinghiavano e sibilavano paurosamente,
e noi ragazzi, pur estasiati,
ci tenevamo ben lontani,
contratti da feroce terrore.
Invece i passeri saltellavano tranquilli
dentro le chiome arboree,
e s'accostavano a beccare i chicchi di grano
tra la paglia, intorno, senza scomporsi.

Sanno che in amore il veleno non è arma.


***

La tramontana

La tramontana con denti di ghiaccio
mordeva le mani la faccia
lasciando ferite viola
che guarivano dopo l'inverno.
Una giornata di sole senza vento
era un terno sulla ruota
della nostra precaria esistenza.


***

La felicità

La felicità non è porsi domande,
almeno non cercare risposte.
La felicità è la leggerezza di vivere
senza la consapevolezza d'essere
cuore, mente, fegato, stomaco.
Essere le tenere foglie
in primavera,
le foglie ocra o rubino
in autunno,
i fiocchi di neve danzanti
in inverno,
totalmente offerti all'aria,
inconsapevoli d'avere un ruolo,
d'avere un destino.


***

Nell'onda calma della natura

Immerso nel letto d'erba maggese
odorosa di umori inebrianti,
il mio respiro si è disteso
nell'onda calma della natura,
soggiogato dal ritmo lento del suo cuore.
La mente, mulinante in vortice d'ansie,
ha sperimentato l'autoappagante nulla,
felice dissolvendosi nel tutto.

Solo, a memoria del mio transito,
l'orma a croce nell'erba calpestata.


***

Attorno è cieco silenzio

Attorno è cieco silenzio.
Ma l'incipit di una cicala
manda in frantumi il torrido
cristallo dell'aria.
Il cuore nel petto
prende a pugni la gabbia,
come uccello preso da un raptus
di follia.


***

Dei semi neri

Dei semi neri e perfetti
di questo rosso e fragrante cocomero
voglio farne un rosario,
e con esso pregare, con fede,
per tornare agli anni dell'infanzia,
in cui credevo davvero di essere
l'autore unico del mio copione
e io stesso libero e creativo.

Innocenza, quanto inganni la ragione!


***

A lungo ho camminato

A lungo ho camminato
per quel sentiero di montagna
dove una stella alpina

aspettava d'incontrarmi.

(Testi tratti da "Nell'onda calma della natura", di Giovanni D'Amiano, RPlibri, aprile 2018)


Giovanni D'Amiano è nato a Volla di San Sebastiano al Vesuvio, in provincia di Napoli, da famiglia di contadini. Vive da tempo a Torre del Greco. Ha esercitato la professione di medico pediatra, e si è sempre interessato di poesia e di pittura. Ha esposto in varie mostre personali e collettive. Ha pubblicato diversi libri di poesia, e ultimamente, nel 2013, "'E pprete 'e casa mia", Duemme Editore, con prefazione di Armando Maglione: si tratta di una corposa raccolta di poesie in dialetto napoletano dedicate alla civiltà contadina. E' presente in molte antologie e ha vinto numerosi premi letterari.
Partecipa attivamente alla divulgazione della civiltà contadina e del dialetto napoletano.



giovedì 14 giugno 2018

Carlo Di Legge e il suo "Multiverso"


"Sei vivo, dunque, nel mondo di tutti i mondi dei viventi: il multiverso". Così afferma Carlo Di Legge in un brevissimo testo, quasi un aforisma, incluso nel suo recente libro "Multiverso", Puntoacapo Edizioni.
Un titolo che è davvero significativo, emblematico, evocativo addirittura: infatti, al di là del richiamo, quasi ovvio e immediato, al mondo della fisica e forse anche della metafisica, volendo riferirsi ad un sistema cosmologico che proprio in questi anni si sta via via sviluppando grazie alle ricerche e agli studi di fisici, astrofisici e matematici, e che riguarda la complessità di un universo dalle dimensioni multiple o forse infinite (universo di universi), il "Multiverso" poetico di Carlo Di Legge è possibile, è accettabile, è immaginabile, proprio in virtù della poesia. Perché è proprio grazie alla poesia che è possibile ricreare situazioni verosimilmente ai limiti della normalità, della razionalità persino e del flusso abitudinario della quotidianità. Le stesse parole, infatti, molto spesso non si limitano a specificare e a individuare il significato, a circoscriverlo entro i confini del "voluto dire", ma hanno un'eco, una ridondanza che allude ad altro, che provoca nel lettore immagini e significati altri, seppur generati dalla parola e dal verso originari. Un multiverso poetico, dunque, nel vero senso della parola.
Ma qui il multiverso è inteso come una sorta di contemporaneità accidentale: è l'apparire, quello che ci riguarda, almeno ad una prima analisi della realtà, dice l'autore, e non la profondità autentica delle cose prese e considerate una alla volta: l'apparire del mondo è multiverso, perché è vario e variabile in continuazione, ed è verosimile in ogni istante, anche contemporaneamente. "E poi / cosa è questo che appare, e come / non dubitare delle cose che sfilano / nell'ordine del tempo? / Anche se l'apparire fosse tutto, / cose discontinue si presentano, / in luce d'esistenza, si oscurano, / compaiono e dispaiono come su scena di teatro, / roteano si disperdono come vortice di foglie." Sono questi i versi essenziali che connotano tutta la raccolta, tutto il progetto poetico dell'autore, il quale dimostra una particolare sensibilità e originalità di osservazione del mondo frammentato, apparente e superficialmente scollegato, in un certo senso, nelle sue multi-parti. La poesia, anche qui, aiuta a capire. Aiuta a indagare, a vedere oltre le cose e le apparenze, a scendere nel perché o perlomeno a collegare l'anima alle cose, emotivamente e senza l'obbligo di doverne spiegare o trovare i motivi!
Ma tornando al libro, vorrei ancora soffermarmi sul sottotitolo, davvero emblematico: "Di quel colore che soccorre, a volte", sottotitolo che è poi anche il titolo della quinta sezione del libro (il quale è infatti suddiviso in sei parti o sezioni: "Multiverso", "Noi siamo qui", "Versioni d'inverno", "Passaggi dell'incerta luce", "Di quel colore che soccorre, a volte", e "Conseguenze"). Avrebbe potuto scegliere come sottotitolo una sezione diversa, invece Carlo Di Legge ha preferito questo "Di quel colore che soccorre, a volte". Io credo che questa scelta sia stata peculiare e indicativa, in quanto compendia e completa in modo davvero esplicativo il progetto, l'idea originale che ha permesso all'autore di sviluppare poi l'intera raccolta. Il colore come elemento redentore, salvifico, in un mondo multiverso dove non è possibile la risposta certa alle domande profonde che ognuno di noi si pone, come dicevamo, perché assistiamo a delle apparenze, a delle immagini superficiali, specchi lontanissimi e opachi di una realtà ben più profonda; ma i colori della vita si stemperano nella visione delle apparenze, contornano di un alone di dolcezza e direi quasi di amore le cose, i fatti, le persone, il mondo: di quel colore che soccorre, a volte!
Concludiamo qui queste brevissime note di lettura dedicate ad un libro davvero singolare, proponendone una piccola selezione di testi e invitando i nostri lettori ad esprimere ulteriori graditi commenti.

Notte incantata


Notte incantata.
È il germogliare silenzioso dei ricordi,
a musica ferma,
ma più ancora l'incontro di cose sperate.
Voci senza corpo, menti attente, aperte.
E un vestito nuovo di luna.


***

Il passo successivo

I gatti nel garage
lasciano zampe di pioggia sul cofano dell'auto.
Remoto gira il motore del mondo
per te come per l'anima dei giusti.
Sta in attesa il passo successivo.


*** 

Cos'ero

Dunque, cos'ero? Intanto,
quel che non ero,
un vuoto che a sua volta guarda l'altro,
ma dalla prospettiva dell'assenza.
Quindi, ancor meglio, nulla,
paradosso dell'essere che sono,
come se, pur essendoci, non fossi:
un nulla traversato
da lampi secchi e silenziosi, nei viaggi
in auto e in treno, nei trasferimenti
di sentimenti.


***

A volte la memoria è come certa luce:
si riverbera in pace.


Nell'esperienza d'ogni giorno si tratta di circolazione
dal multiverso al qui e ora, e viceversa. È circolare an-
che quello scambio continuo dei piani, in poesia, per
cui il poeta, pur essendo partito e pur tornando ogni
volta ad una specie di salvataggio della propria sin-
golare esistenza, non è più solo se stesso, ma può
farsi cifra dell'intera umanità.


*** 

I viali senza fine del pomeriggio

Il pomeriggio è profondo e impraticabile,
ricco di fascino e spaventoso.
Non t'impedisca
la paura di perderti.

Possa tu, come allora,
ribellarti e fuggire
nello strepito rosso degli ulivi.

Per quanto guardi, non vedi la fine.
S'aprono viali di parola.
Poi
niente.


***

Fuoco

Quando esco per strada in questa città che s'apre
verso il mare:
è certo, non posso incontrarti.

Ma in tempi diversi, negli anni, parole come rizomi
sprofondarono nei vecchi muri.

Grani
precipitati a terra
da un disastro d'aria, vogliono vivere.

Fuoco sempre vivo, incendio, incenso che brucia
tra le ceneri del tempo.

(Testi tratti da "Multiverso", di Carlo Di Legge, puntoacapo edizioni, 2018)

Carlo Di Legge è nato a Salerno nel 1948. Vive ed opera a Nocera (Sa). Dopo il contributo al volume "La polifonia estetica" (Milano, 1996), ha pubblicato i saggi filosofici "Il signore delle due vie" (Salerno, 1999), "Eros e paradosso" (Napoli, 2007, 2014), e "Ontologia. Elenchi della terra e una specie di oceano (Napoli, 2014).
In poesia, i lavori più importanti sono: "Momenti d'amore" (Angri, 2002) e "Il candore e il vento" (Napoli, 2008). Un campione rappresentativo delle sue poesie si trova nel volume "Poeti e Pittori di Secondo Tempo" (Napoli, 2013, Marcus Edizioni).
Sull'esperienza del tango ha pubblicato il libro, a carattere letterario-epistolare, "Sentire il tango argentino" (Napoli, 2011).
Altre notizie sul suo sito: www.carlodilegge.it


sabato 5 maggio 2018

La Corte dei Miracoli, di Maria Elena Danelli


Ecco una nuova interessante raccolta di poesie pubblicata dalla prestigiosa RPlibri, da poco tempo attiva nel campo dell'editoria nazionale ma già con un catalogo ricchissimo di autori importanti e meritevoli di attenzione. Parliamo della milanese Maria Elena Danelli, autrice del libro "La corte dei Miracoli", edito per l'appunto da RPlibri recentemente, nel febbraio scorso. Ed è un'altra affermazione, questa pubblicazione, di una persona che è in effetti un'artista a tutto tondo, trovando spazio la sua creatività sia in poesia che nella pittura, nella scenografia e nella fotografia. "La Corte dei Miracoli", sottotitolo "ventidue fiammelle di cui due transiti" è il punto centrale dell'itinerario poetico dell'autrice, la quale, come ella stessa dichiara nella breve presentazione, si ispira ad un luogo reale della Milano del dopoguerra, sui Navigli: si trattava di un edificio dove abitavano poverissime persone senza gambe, che andavano in giro su carrozzelle trainate da cani: questo edificio era detto "Corte dei Miracoli".
Ora, dove trovare il punto di congiunzione tra l'idea poetica suggerita dal titolo e tutto il lavoro prodotto che scaturisce, deriva consequenzialmente da quell'immagine iniziale? Dice bene Danilo Blaiotta nella sua arguta prefazione: "La natura si fa portavoce del suo pensiero", ed è proprio da qui che potremmo partire, a mio modesto parere, per una breve riflessione su questo bel libro.
Le cose, la natura, gli animali, il mondo, si personificano nei versi dell'autrice, prendono vita propria, e la sua arte magica poetante riesce molto bene in questo compito, tanto che il lettore ha la forte impressione che sia proprio la "rosa in bottiglia" a parlargli, a raccontargli ciò che essa vede alla finestra: "Una rosa in bottiglia guarda / appassendo la finestra. / Da quel vetro, / maestosi uccelli…" Ma subito dopo l'autrice riprende il pieno possesso del quadro, immedesimandosi in esso, "cogliendone i petali come panni stesi ad asciugare". C'è pietà, amorevolezza, dolcezza e immedesimazione, in queste poesie della Danelli, nei confronti di un mondo delicato, lieve, da accudire e da amare, come quei cani preziosi che aiutavano i poveri con le gambe amputate trainandoli in giro sulle carrozzelle. Ecco dunque il punto di congiunzione, a mio avviso, tra l'idea illuminante di partenza e l'intera costruzione poetica della raccolta.
Un susseguirsi di versi fluidi, senza titoli che possano in un certo modo dare l'idea della sosta, del ripensamento; e quindi il dettato poetico scorre continuo e costante, come un fiume discreto, mai impetuoso. La parola, in queste poesie, è come il tratto di pennello di un quadro vivo, che si materializza sotto gli occhi del lettore o di chi osserva una natura che ha bisogno di essere considerata, rispettata, amata: "A volte penso agli angeli custodi / quando ombre mi sfrecciano sul capo. / Sono i migratori. / Volano maestosi e distanti / su formiche lontane"…
Ecco, in sintesi, ciò che a mio modesto parere può sortire da una prima attenta lettura di questo testo di Maria Elena Danelli, degna sicuramente di ulteriori considerazioni da parte del pubblico dei lettori e della critica, per averci offerto queste immagini intense e accorate. Ma gli amici che ci seguono potranno sicuramente aggiungere qualche altra gradita riflessione, leggendo i testi che seguono.


Una rosa in bottiglia guarda

appassendo la finestra.
Da quel vetro,
maestosi uccelli.
Con foglie rinsecchite abbozza il volo
nell'acqua intorpidita
voce minerale
acqua ferma che non va da nessuna parte.

Ho colto poi
quei petali
in panni stesi ad asciugare.


***

Ho visto il sole morire.
Si assottigliava su incurvature e finestrini
indugiando nelle foglie dei pioppi.
Ancora sorrideva
in nuvole precarie.
Le mani
nel mattino.


***

A volte penso agli angeli custodi
quando ombre mi sfrecciano sul capo.
Sono i migratori.
Volano maestosi e distanti
su formiche lontane.
Di loro non so molto
se non che a volte cadono
foglie-mani tremanti sferzate dai venti d'autunno
confusi planano
chiamati dalle spume
s'inabissano e spengono
i loro occhi luminosi,
come luci di città,
all'alba.


***

Verrà il giorno in cui
la neve
non avrà più innocenza
ma un sussurro
di lontananze nere
fluide pupille
di asino e bue
in cui s'inabissano
bagliori.
Dio plasma la notte
ogni notte
in forma di carne
nel fango e nel bianco
dove la terra non ha più luogo.

Entrando in una luce viola.


***

Hanno detto che è morto il sole
è morto il silenzio.
Abiti nudi e scarpe vuote
sono monti di niente
tra spettri di case e alberi d'osso.
Dio ha taciuto
ogni volta che un agnello ha vagito.


***

La vita
si sgretola in altro.
Lo vedo,
               lo vedo.
Ma continuo a far libri
tra le foglie

di un redivivo cortile.


(Testi tratti da "La Corte dei Miracoli", di Maria Elena Danelli, RPlibri, febbraio 2018)

Maria Elena Danelli è nata ad Arco di Trento ed è milanese d'adozione, avendo vissuto l'infanzia tra la Barona e i Navigli. Attualmente si dedica alla pittura e alla poesia. È scenografa teatrale, laureata a Brera; ha lavorato per quasi trent'anni presso le "Scenografie Ercole Sormani" di Milano, collaborando con Teatri di tutto il mondo e set cinematografici. Ha partecipato a mostre personali e numerose collettive. Sue pubblicazioni sono state inserite in Antologie poetiche, tra cui Novecento non più – Verso il Realismo Terminale con Guido Oldani, per La Vita Felice Edizioni, e Rise – Antology dell'Editore Vagabond di Los Angeles, sempre nel 2017. Partecipa a reading poetici, come quello avvenuto nel mese di maggio 2017 alla storica Libreria Bocca di Milano. Con la mano sinistra ha creato disegni per un testo di Sandro Sardella e una suite di Danilo Blaiotta con GaEle Edizioni dedicato al poeta Jack Hirschman.

È stata allieva di Franca Rame e dal 2013 ha seguito corsi di teatro con Dario e Jacopo Fo.


martedì 10 aprile 2018

FUOCO, TERRA, ARIA, ACQUA: l'Antologia del Progetto Poesia Portale Sud


L'atomo di Democrito era qualcosa che non poteva essere ulteriormente scomposto e suddiviso: l'ultimo mattone della materia. Così il mondo, la realtà, era pensata dal grande filosofo di Abdera, agli inizi del grande viaggio della Fisica che ci ha permesso, oggi, di conoscere orizzonti ben più ampi e complessi. Ma l'idea dei quattro elementi fondamentali che costituirebbero tutto il mondo, terra, aria, acqua, fuoco, fu di basilare importanza per poter poi porre le fondamenta della scienza e della ricerca scientifica. Quattro elementi, o "radici", come affermava Empedocle, il grande filosofo presocratico, che sono stati ripresi e riconsiderati in questa intelligente antologia curata da Edoardo Sant'Elia e di cui fanno parte i poeti: Giuseppina De Rienzo, Valerio Grutt, Rossella Tempesta e lo stesso Sant'Elia. Si tratta dunque di una prima realizzazione di un progetto poetico di ampio respiro, denominato "Poesia Portale Sud", che ha l'intento di "far emergere – oltre le secche dei modelli primo o tardo novecenteschi ed accettando in pieno la sfida del postmoderno – un diverso modo di 'sentire', di praticare la scrittura".
Idea geniale, quella di iniziare il progetto partendo, in modo quasi emblematico se non addirittura metaforico, dai quattro elementi empedoclei "Fuoco, Terra, Aria, Acqua", temi fondamentali che possono, e in effetti hanno potuto, generare, o meglio ri-generare, riflessioni e componimenti di alto contenuto poetico e anche filosofico. Quattro gli elementi e quattro i poeti che li hanno "richiamati", riconsiderati, ognuno prendendosi l'estro, l'ispirazione, lo studio e il dettato stilistico relativi a una delle "radici". Così, Giuseppina De Rienzo per Fuoco, Rossella Tempesta per Terra, Edoardo Sant'Elia per Aria, e Valerio Grutt per Acqua.
Con "Forse l'inferno salva", titolo della silloge che apre l'antologia, Giuseppina De Rienzo tenta, con successo, una sorta di redenzione del Fuoco, individuando in esso il segreto filo conduttore che evidenzia realtà a volte apocalittiche ma sicuramente scevre da ogni ombra di ipocrisia, con un linguaggio diretto e scintillante, narrando di galassie e di uccelli del paradiso, calati in una quotidianità sorprendente e mitica: "Chissà quali distanze / il gelo / buchi di emmenthal l'anima / restìa alla quiete, sanare l'arsura / perfino baci abbracci / affida ai sogni…". E ancora: "Ha ventre di brace l'ultima galassia / personale rogo l'occhio polifemo…". Lo stile della De Rienzo è, in questi testi, molto aderente al tema da lei scelto: un Fuoco che si agita e guizza, così i suoi versi magmatici, esplicitati in modo egregio e coerenti con la citazione della Cvetaeva in apertura: "Io (non) sono fatta per la vita, in me tutto è incendio".
Rossella Tempesta sceglie la Terra e la addolcisce con i suoi "21 haiku e una poesia", intitolando il suo intervento "Avvistamenti", similmente ad antichi marinai che dalla coffa scrutando l'infinito orizzonte all'improvviso esultano gridando "terra!". Introdotti da un brano di Kavafis che fa da esergo ai testi di Rossella Tempesta, il lettore può "navigare" attraverso i mari del mondo trovando isole-haiku o anche porti di solida certezza, dove la parola terra, che compare in tutti gli haiku, individua metaforicamente l'àncora cui affidare la propria esistenza terrena, in balia di nature vaghe e fluttuanti: "Sei la mia terra. / Nel tuo puro ascendente / sono allunata". "Lei mi ripara, / la terra è verità. / Lei mi genera". E poi la poesia finale, che conclude: "Tra lo spavento, il riso, / ti ascolto che rinasci dentro il petto", aprendo alla speranza di una ri-nascita, di un "avvistamento" duraturo che appaghi finalmente il senso della ricerca e della vita.
Con il poemetto "Una storia degli spiriti" Edoardo Sant'Elia sviluppa la sua idea lirica centrata sull'Aria, e prendendo spunto dall'indovinata citazione empedoclea che afferma: "e l'aria con lunghe radici dentro il terreno si immergeva", ci offre una sceneggiatura poetica ambientata in uno stabilimento balneare, dove gli "spiriti dell'aria" Lello, Aniello e Farfariello, di basiliana memoria, fanno da sfondo agli episodi di due bagnanti, una coppia di giovani ragazzi, in un susseguirsi di versi briosi e leggermente ironici: "Siamo gli spiriti del Mezzogiorno, / nascondi gli occhi tra le mani / se proprio non vuoi vederci attorno. / Se invece non ti stanchi di ascoltare, / se ti concedi al gusto del narrare, / se l'ansia t'attanaglia sul più bello, / pronuncia senza indugio i nostri nomi: / Lello, Aniello e Farfariello!".
Valerio Grutt ci sorprende con il suo poemetto "Mi investe il tuo mare", con un linguaggio poetico immediato e attuale, attualissimo, scorrevole come l'Acqua che è riferimento solidale con l'esergo scelto di Giordano Bruno. Si tratta qui di componimenti che si "immergono" letteralmente nel quotidiano, nelle cose minime e quasi abitudinarie che riempiono la giornata, ma accompagnate sempre da una leggera vena di autoironia, quasi a voler minimizzare un dramma esistenziale che, sovente, emerge dal vasto mare in abbandono: "Oggi non può morire nessuno / nascono pesci nella pancia del mondo. / I rubinetti, aprite i rubinetti / le porte, le finestre, / le ante degli armadi. / Il mio cane è tornato / in sogno a farmi le feste. / I surfisti non cadono più. / I rubinetti, le porte, i cuori, / le cose felici, apritele."
Un'opera di indubbio spessore poetico, da leggere ripetutamente onde poterne assaporare sempre di più il sottofondo mitico e filosofico, e, perché no?, per essere in grado, in una certa misura, di rispondere (positivamente, si spera) alla domanda, provocatoria e sottile, che si pone Edoardo Sant'Elia: "Esiste un pubblico per la poesia?"

(G.V.)

Giuseppina De Rienzo, Valerio Grutt, Edoardo Sant'Elia, Rossella Tempesta, FUOCO, TERRA, ARIA, ACQUA, a cura di Edoardo Sant'Elia; Terra d'ulivi edizioni, 2017.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà