mercoledì 29 gennaio 2025

La presentazione del libro "Repertorio del perdurare" di Ketti Martino. Libreria Mancini, Napoli

Ketti Martino è voce poetica possente, riconosciuta in ambito nazionale e meritevole di essere annoverata tra i poeti più importanti e significativi, in quanto ha una sua propria originale linea di dettato poetico, sia per contenuti che per forma espressiva.
Dopo la pubblicazione di notevoli raccolte poetiche, con case editrici ben note come La Vita Felice e Oedipus, ora giunge a questa interessante raccolta dal titolo emblematico, Repertorio del perdurare, con la quale, a mio parere, riprende in qualche modo il suo discorso filosofico ed esistenziale sulle difficoltà, i disagi e i compromessi che la vita, nell’odierna società, ci mostra.
Ovunque noi siamo, è il sottotitolo della raccolta, che bene individua e sottolinea queste forze negative che in qualche modo sembrano condizionare l’ego, costringendolo a ritornare sui suoi passi, a riconsiderare pedissequamente l’esistenza, a cercare disperatamente nuove strade e nuove soluzioni di vita. La felicità e la realizzazione di sé non sembra siano proprio dietro l’angolo. Questa sofferenza, questo disagio, ovunque noi siamo, è iscritto nel nostro diario quotidiano, nel nostro repertorio di vita, e perdurano all’infinito, senza accennare a un disvelamento, ad una chiarità all’orizzonte.
Abbiamo mandato a mente tutti i doveri: / la commozione per la voce che ci chiama / la condanna dell’età crudele / il disordine della mutevolezza. Così afferma la nostra autrice in una sua poesia iniziale, ed è qui, a mio parere, che si concentra il suo progetto poetico che poi prende man mano forma e significato in tutta la raccolta. Noi viviamo incasellati in una società che, per vari motivi ma soprattutto per ordinare e regolare i nostri comportamenti e il nostro agire in seno al consesso civile, inevitabilmente ci condiziona e ci limita; ciò naturalmente è necessario e accettabile, dal punto di vista del vivere in comunità e nel rispetto dei regolamenti e delle leggi, ma a volte contrasta l’intima aspirazione del tutto personale ad uscire fuori, ad evadere da questi inscatolamenti. È possibile questa fuga dalla monotonia e dalla ripetitività dell’esistenza, con l’esplicitazione della poesia, che qui è indicazione, denuncia e confutazione allo stesso tempo, di uno stato d’essere incompleto, limitato, circoscritto. La poesia di Ketti Martino è qui cartina al tornasole di questo stato: è consapevolezza delle negatività che ci affliggono ogni giorno, nel loro incessante perdurare. Ma è anche un invito ad una possibile redenzione, laddove la sincerità e la schiettezza dell’uomo, veicolate necessariamente dall’arte e dalla poesia, potranno liberarlo da ogni schema prefissato, da ogni falso stereotipo.
In effetti, la poetica di Ketti Martino in questa raccolta, è l’amara constatazione che l’uomo rivolge principalmente le sue attenzioni alle cose minime e routinarie della quotidianità, in un repertorio di azioni e di comportamenti fin troppo aderenti ad una schematizzazione omologata e stereotipata che la società impone, trascurando o sottovalutando invece le meraviglie della vita e del creato, tutto ciò che può emozionarci e che ci possa ricondurre alla nostra vera umanità!
Il libro di Ketti Martino, suddiviso in tre sezioni, è anche un viaggio nei ricordi e nei sentimenti, nelle impressioni suscitate da altri panorami, altre realtà sociali e dai viaggi compiuti in altre città.
Un repertorio dove permane, perdura e si evidenzia, il suo grande afflato per la vita e per la poesia che ne è portavoce perenne!


 

Abbiamo mandato a mente tutti i doveri:

la commozione per la voce che ci chiama

la condanna dell’età crudele

il disordine della mutevolezza.

Abbiamo visto quanto è umiliante

stare in piedi, soli,

senza ripari

e quanto convenga invece ripensarsi

in una tranquilla ombra, con la gente

che ci scorre accanto

(i passi come un gioco):

in una piazza grigia

i piccioni in ritirata

e nessuno a godere di questa amputata vita

in cui manca sempre una voce a ricordarci

che non amiamo inutilmente

anche quando ce ne andiamo

 

 ***

 

Fingiamo di parlare di fioriture,

di galassie e di metafore.

Non ci accorgiamo delle città dorate

che affondano come irrisolti enigmi

non ci accorgiamo che non c’è ferocia più possente

della parola dimezzata che ci attraversa

che ci ricrea fragili, disarmati eroi di fronte alle rovine

col filo di saliva che riluce sulle labbra.

E anche ora, sventrati nei sogni e in ogni fibra,

non chiediamo dell’inciampo, del vortice senza confine,

del crepaccio che non riusciamo a risalire.

 

(senza merce di scambio che non noi stessi

non esiste assoluzione: in terra nuova si vive

senza grazia e conoscenza)

 

*** 

 

 

Stamattina una voce di novembre

innaturale

è arrivata a dire lo sconforto.

Dagli occhi di una finestra vuota

anche le foglie - in manto - mi hanno ricordato

che non ci rivedremo

che non risorgeremo più

tra i libri

sotto la pioggia

sotto un ponte illuminato a neve

a commentare la luce che tra le crepe sbianca.

Nel frastuono della stanza, l’attesa

si raccoglie dietro i denti e nella gola

dove la lingua avvolge il nome

mentre io muoio

ancora una volta

infinite volte

muoio.

 

 ***

 

È arrivata la luce e ha bucato le pesanti tende;

i rumori della strada non ci hanno mai lasciati;

in bilico, dove il mare è dimenticata traccia

e il fiume è fedele alla paura,

accade che si pratichi un esercizio antico,

un’arte del fare veloci le cose

veloci quel tanto ché ognuno si salvi

a un passo dal vuoto.

 

La pace, qui, è onda di oceano,

azzardo in un cimitero di notte

in un parco senza gioia

in un taxi qualunque dove si tace

per discrezione

per disinteresse

per abitudine.

 

Londra

 

Ketti Martino, Repertorio del perdurare, Controluna Edizioni, 2024

Il libro è stato presentato nella Cartolibreria Mancini di Napoli, il 27 gennaio 2025, nell'ambito della Rassegna "Un caffè da Mancini", ideata e condotta da Gennaro Guaccio e Giuseppe Vetromile.

Ketti Martino è nata a Napoli. Laureata in Filosofia e abilitata in Psicologia Sociale, ha insegnato nella scuola pubblica. Ha pubblicato raccolte poetiche tra cui ricordiamo I poeti hanno unghie luride; Del distacco e altre impermanenze; Il ramo più preciso del tempo. Ha curato l’antologia poetica La poesia è una città. Suoi testi sono stati tradotti in inglese e spagnolo e inseriti in riviste internazionali.

 


 


martedì 28 gennaio 2025

Gli "esercizi di poesia" di Doris Bellomusto in "A corpo libero"

Come ci suggerisce Marina Maggi all’inizio della sua puntuale prefazione a questo nuovo libro di Doris Bellomusto, un corpo libero è quello che spunta nella luce come una carne musicale, in attesa della sua ombra tradita. Concordo pienamente con la bravissima prefatrice, perché credo che sia proprio in questa sua dotta riflessione il nocciolo poetico della nuova opera letteraria della nostra Autrice (della quale già parlammo in Transiti Poetici a proposito di “Ti abbtaccio, Teheran”: https://transitipoetici.blogspot.com/2023/12/ti-abbraccio-teheran.html).
Qui la nostra poetessa utilizza la metafora del “corpo libero” per svincolarsi da tutti quei conformismi, impacci, legami materiali, strutture e quant’altro possa in qualche modo reprimere o costringere l’anima, e il cuore, in schemi e moduli che la società normalmente, e purtroppo necessariamente, impone. Non si tratta di denuncia o di rinuncia, bensì di scelta “virtuale” di una dimensione altra, quasi eterea o trascendentale, in cui ritrovarsi nella pienezza dei propri afflati emotivi. Non per nulla il sottotitolo, Esercizi di poesia, è quanto mai indovinato, in questo caso. Infatti, è proprio con la poesia, con la sua frequentazione ed esplicitazione, che in larga misura è possibile indagare e addentrarsi in queste dimensioni altre, dove l’entità, lo spirito o l’anima che dir si voglia, può considerarsi corpo libero che appare alla luce della verità con tutta la sua armonia e la sua schiettezza.
Doris Bellomusto elabora dunque, in questa raccolta, una sorta di scissione dalla fisicità del mondo, ricercandone tra questa la dimensione parallela nella quale è più forte e più grande l’anelito verso la verità del cuore e dei sentimenti: sviscerare il cuore, seguire il vento, annusare nell’aria le stagioni. È questa l’operazione che, costantemente e alla luce della propria poesia, l’autrice, e di conseguenza il lettore, riesce ad innalzarsi al di sopra della mera staticità materiale delle cose e della vita.
E come in un esercizio a corpo libero, la poesia allena la mente e il cuore a ricercare questa intima personale verità.


Propositi

 

Sviscerare il cuore.

Seguire il vento.

Accarezzare il profilo

delle cose.

Annusare nell’aria

le stagioni.

Aprire il cuore come si apre

all’alba una finestra.

Respirare il cielo.

 

 ***

 

Pomeriggi d’Aprile

 

Si dilata il tempo,

scivola

oltre la sua unità di misura

nei pomeriggi d’Aprile.

Raccolgo

con lo sguardo

cose umili e marginali,

le custodisco in seno

come la terra

custodisce i semi.

E mai mi stanco

di continuare a cercare

il quadrifoglio.

 

 ***

 

L’ora delle cose impossibili

 

Se mi cercate,

sono nascosta

fra le lettere del mio nome.

Sono nel vento che asciuga capelli e lenzuola;

nella mia fantasia infeltrita,

sulla punta della lingua,

pronta a sciogliermi

in baci e parola

per chiedere alle nuvole che ora è.

 

È l’ora delle cose impossibili.

 

 ***

 

A latere

 

Vivo al margine del foglio

a latere.

Al mio nome risponde nello specchio

un corpo di lettere e parole.

Do il buongiorno alle ortensie

e non so come annunciare

al giardino la mia partenza.

Vado a capo.

Scendo a sud.

A pie’ di pagina

sarò una breve nota

per un po’.

Al confine del mio tempo

dimenticherò le rose e il gelsomino

la passiflora e le ortensie

la salvia e il rosmarino

il glicine, i gerani

le ore e i minuti

le chiavi appese all’ingresso

la casa e tutto il futuro che contiene.

Vado a vivere nel tempo sommerso dell’amore.

 

 ***

 

Miserere

 

Alle tre del pomeriggio

aleggia tremula

l’inquieta attesa

della foglia

che non sa cadere

e chiede al vento

Miserere.

 

La morte

quasi mai è puntuale

si aggrappa

al tempo lieve dei minuti

e bianco è il lutto delle ore

se l’aria è ferma e nevica silenzio.

 

 *** 

 

Fotografia

 

Se chiudo gli occhi

se mi schiudo al vento

se raccolgo tutto

il tempo nascosto

fra le rughe

se accolgo le premure

di mia madre

se perdono a mio padre

l’eccesso di allegria

avuto in dono

se imparo dal mio gatto

a chiedere l’amore

mordendo le caviglie

se sto così

come qui

stasera sarò salva.


Doris Bellomusto, A corpo libero (Esercizi di poesia), Edizioni Le Pecore Nere, Rosario, Argentina, 2024. Prefazione di Marina Maggi

sabato 25 gennaio 2025

Presentazione del libro "La luce degli osceni" di Cesare Cuscianna

 

L’introspezione conduce ciascuno di noi nei più reconditi angoli della coscienza, per un tentativo di dare un senso al groviglio di sensazioni, di emozioni, di pensieri che urgono e non ci danno pace. La scienza medica, la psicologia e la psicoanalisi certamente aiutano e guidano questo processo di auto-interrogazione, ma a volte anche l’attività creativa, e in particolare la poesia, può essere utile strumento. Il poeta, con la sua sensibilità, può infatti immergersi nella propria intimità, sondare il buio dell’anima e cercare di far emergere alla superficie quei lacerti di disagio interiore che adombrano la quotidianità: una sorta di terapia o un processo di filtraggio e addirittura di confutazione delle negatività che ci portiamo dentro. Confutare la morte, confutare il male, confutare le oscenità.

Ma cosa sono queste oscenità che il nostro autore, poeta e scrittore Cesare Cuscianna, va elencando, diciamo così, in questa sua nuova raccolta dal titolo veramente singolare? La luce degli osceni. In verità sappiamo tutti che le oscenità, volendo dare una definizione superficiale del termine per semplificare le cose, sono quelle che in qualche modo offendono il nostro senso di pudore, quelle cose o quei fatti che deviano dalla normale etica quotidiana, del bene, del bello e del buono che generalmente tutti condividiamo.

Ma Cesare Cuscianna va oltre. La sua poesia scava in profondità, fino a ricercare quelle oscenità che vanno ben al di là dei meri comportamenti scandalosi o delle mere apparenze superficiali delle persone che possano turbare il nostro senso di perbenismo, di normalità e di formalità. La poesia di Cesare Cuscianna individua l’oscenità della morte, l’oscenità dell’ineluttabilità della morte, l’oscenità della rassegnazione e della consapevolezza che il viaggio della vita è breve, che la morte è un tuono e che la luce del sole è arrogante perché pretende di durare oltre la notte, cioè di sovrastare l’oscurità metaforica della morte. Cosa impossibile, naturalmente. Ma la poesia è indovinato viatico per procedere in queste oscenità, è luce sugli osceni, dove osceni diventiamo noi stessi, l’umanità, sottoposta alle leggi della natura che pretendono la nostra fine al termine del giro della vita.

La poesia è coraggio e determinazione. È opera d’arte che non teme di sembrare spietata, inflessibile, perché dice la verità. La verità che l’uomo nella sua quotidianità cerca di sottovalutare, di ignorare, preso da altri mille impegni. Ma un senso da dare all’esistenza è latente in ciascuno di noi, e la poesia è utile strumento di scavo per questo, è luce sugli osceni, per meglio capire e chiarire. E la poesia di Cesare Cuscianna è adeguata a questo scopo, è necessariamente incisiva, stentorea, non dà tregua, utilizza termini forti e sconvolgenti. È una poesia che aiuta a meditare sulle vere questioni esistenziali e a comprenderne, in qualche modo, le negatività, o meglio le oscenità, che ci adombrano e ci avviliscono.

 

Ogni morte è tuono

 

poi, il primo sole

rullo suadente

d’acciaio nel cielo

 

e arriva la sua folle luce

la pretesa di durare oltre la notte.

 

 ***

 

Si muore come si piange

da bambini il capo chino

il braccio levato a nascondersi

 

quanto vi ho amato

non lo saprà nessuno

al riparo dai vostri occhi

 

fin nell’acqua fonda

il verde ci illumini

tu, luce degli osceni

 

parli come parlano i morti

col rumore dei sassi

spianati dalle parole.

 

*** 

 

Anch’io ho ucciso

senza colpa, senza sangue

il cadavere interrato in me

nel fianco della coscienza

dente di drago crudamente duole

la pagherò così

 

legacci ai polsi, ferri alle caviglie

nelle vene maldestre moltitudini

la trasparente rassegnazione

del pesce issato a bordo

l’occhio a fissare il pescatore

finalmente scorgendo Iddio.

 

 ***

 

Poesia all’inizio

è sempre uno spurgo di caos

una macchia di vomito giallastro

nel linguaggio denso degli schiavi

 

poi costruisco una geometria d’acciaio

la massa fremente del convoglio

arrestato in piena corsa sui binari

 

e prima che precipiti nel vuoto

stringo forte i denti,

così che il mondo scricchioli.

 

 ***

 

Sono un abito a rovescio

vesto deliqui, mancamenti della ragione

la fuga dei pensieri da ogni appiglio

 

molte voci abitano la mia bocce

ma quanto amo quelle linfe rattrappite

pronte a svanire come fantasmi

 

nel linguaggio dello sguardo

inutilmente chiedo

una bruma evidente aspiro

 

così vivo di me stesso

pianta di frutti rivolti all’interno

per meglio tenersi viva, o marcire.


Cesare Cuscianna, La luce degli osceni, Edizioni Montag, 2024

(Dalla presentazione del 24 gennaio 2025, nell'ambito della rassegna "Sulla rotta del mito", Biblioteca Comunale di Bacoli).





giovedì 23 gennaio 2025

Carlo di Francescantonio e la sua raccolta di "Oro argento e ferro"

Ritorna Carlo di Francescantonio a donarci e a coinvolgerci piacevolmente con la sua poesia arguta e schietta, dopo varie importanti tappe del suo notevole percorso poetico. Già in Anche l’ultimo argonauta se n’è andato, RPlibri 2021 (https://transitipoetici.blogspot.com/2021/10/carlo-di-francescantonio-lultimo.html) era evidente la sua grande cifra poetica nell’esprimere una sorta di disagio esistenziale in una società, come quella attuale, che va avanti su moduli omologati, stereotipi e conformismi. La sensibilità e l’attenzione di Carlo di Francescantonio nei confronti dei temi esistenziali, si ritrovano dunque in questa recente opera poetica, Oro argento e ferro, edita da Marco Saya e con postfazione dell’illustre Elio Pecora. Titolo emblematico, come è opportuno che sia per ogni raccolta poetica con la quale l’autore voglia subito richiamare l’attenzione del lettore sull’essenzialità del suo dire. Oro argento e ferro corrispondono alle tre sezioni del libro, le quali non hanno un titolo esplicativo, ma intuitivamente parzializzano tre fasi esistenziali diverse per contenuti, prospettive, strutture propositive: l’oro, per i ricordi prevalentemente legati all’infanzia e alla gioventù; l’argento, una seconda sezione centrale del libro costituita da un unico lungo corpo poetico, dove sembra apparire una sorta di maturata (argento) consapevolezza delle difficoltà del vivere; e il ferro, la durezza del ferro per l’ultima parte, quasi a concludere, con la constatazione di essere in un mondo freddo e inflessibile, precario dal punto di vista delle emozioni e delle speranze.
Oggi stiamo tutti bene? / Ma no, siamo tutti cadaveri che corrono. /Alla fine di noi il tempo ha perso solo quattro chili. / Io lo sapevo, ma non lo volevo sapere…” Così conclude Carlo di Francescantonio nella sua penultima poesia della raccolta, Stiamo tutti bene?, mettendo il classico dito nella classica piaga, e cioè stimolando ironicamente in noi lettori un certo senso di autocritica, dal momento che, presi come siamo quotidianamente dagli affanni e dagli impegni della vita, non ci accorgiamo del profondo senso dell’essere, della parte emotiva e sentimentale e della nostra scaturigine spirituale, mentre il tempo trascorre ineluttabile, e tutto lo sappiamo ma in realtà non vogliamo prenderne atto: per migliore se stessi, per ribadire un futuro, un orizzonte di speranza. E la poesia, come sicuramente questa di Carlo di Francescantonio, è ancora una volta denuncia e indicazione di una possibile rivalutazione e redenzione dell’uomo.


Polaroid I

 

tutti distanti in questi scatti. Padre, madre, una nonna

e altri bambini dei quali ricordo solo pezzi di nome.

Ognuno presente, come gli anni fissi nello sguardo.

E ci sono anche io. Sembro contento ma distaccato,

quasi un errore della Polaroid.

 

Compleanni in campagna, la frase per l’etichetta

 

 ***

 

La campagna

 

il pediatra consiglia il cambiamento d’aria.

È la prima volta che sono lontano da casa

in una campagna mai vista. Ho sei anni

è il 1982 e davanti ai miei occhi

c’è la casa del nonno.

Questo pomeriggio lui compie diciotto anni

di morte. Nella nuova esistenza da trapassato

è maggiorenne, eppure il regalo lo fa lui a me.

La casa è grande. Tre piani, stanze chiuse

con all’interno i troppi rumori del tempo.

Qui la vita comincia a parlare

 

 ***

 

I fantasmi

 

escono dal camino

i fantasmi. Li osservo

da una distanza di sicurezza

che per questo mondo

è solida radice.

Ma è storto il presente.

Essere qui

non permette pace o consolazione.

Attendo il privilegio

di svegliarmi fantasma.

E se Dio non esiste

sarà una fregatura

 

*** 

 

La mia generazione

 

ho visto il fallimento della mia generazione negli occhi

dei coetanei che ce l’hanno fatta. Gioie di famiglia

destinate alla gabbia l’uno per l’altra.

Generazione in anestesia con anima e corpo

in apnea nel web. Tecnologia veloce impone code

e attese per vedere risolte le patologie che crea.

Stress e strategie della tensione. Si deraglia dallo

psicologo. Ho visto figure professionali

generate negli ultimi anni dal complesso

dei nostri tempi e persone che appassiscono tra lavoro

e palestra. Sempre più spesso mi chiedo se questi mostri

amino davvero il lavoro i vestiti l’auto che guidano

le case che abitano chi si fottono chi hanno sposato

i figli il mutuo rinegoziato i troppi cani comprati.

Tutto obbligatorio o siamo in mezzo a questo per caso

e restiamo fermi, persone immobili a subire

l’angolo di vita che interpretiamo? E divento triste

perduto in mezzo a tanto disastro, anch’io bestia

nel circo a fare cose per le quali non mi sento nato

 

 ***

 

Andare per stanze

 

io non sono qui. Non un altro, come ha scritto

in una lettera Arturo. È solo un momento il fatto

che io sia corpo, che abbia queste sembianze. L’anima

non ha tracce di naftalina. Nemmeno voglia

di stare chiusa troppo a lungo. Ho sempre in sospeso

gli armadi marini e non è ancora arrivata l’estate.

Ma sai che il metro del tempo è il nostro vestito

più stretto. L’andare per stanze che

non ci rappresentano. L’eterna condizione dell’ospite

che va a marcire come i pesci sul banco. Sembra

che niente abbia un cielo ed è così che perdiamo

l’occasione del volo. Innalzarsi dovrebbe tuonare

come un comandamento. Invece scegliamo l’àncora,

le zavorre, il porto sicuro. E gli anni passano spietati.

Ci esauriscono, gli anni. È una tragedia che porta

alla pensione, dove più niente è reale. Ma a qualcuno

sembra che proprio da lì comincino i sogni

 

 

 ***

 

VI

 

la casa è del 1907. E sembra dirmi di andare

oltre qualcosa di definito dalle regole. Arrivano

nei campi ben al di là del confine del cimitero

i fuochi fatui. Così inizia il tentativo di dialogo

tra il vivo e i morti. Si attende un contatto e la sera

scende. Non sono qui per edificare qualcosa,

ogni impero tornerà a essere nano di polvere.

Sono qui per vedere un fantasma.

E che mi porti via, perché mi sento inadatto.

È così che vivo. Troppo asfalto e aiuole ben curate.

L’ipocrisia ha la forma dell’ordine.

La cultura è prodotta in modalità industriale.

A nessuno interessa più il tema

del vivo che parla col morto

 

Carlo di Francescantonio, Oro, argento e ferro. Marco Saya Edizioni, 2024. Postfazione di Elio Pecora

Carlo di Francescantonio (Santa Margherita Ligure, 1976) è autore, musicista e redattore. Ha collaborato con festival letterari e pubblicato romanzi e raccolte di poesia. Le sue ultime opere sono Memorabilia. Poesie 2000-2015 (ZONA contemporanea, 2016), Uomini in fiamme (Ensemble, 2018), scritto con Mirko Servetti, Anche l’ultimo argonauta se n’è andato (RPLibri, 2021) e Il carico umano (Terra d’ulivi, 2022), ancora con Servetti. È inoltre presente in antologie e riviste letterarie. Alle lettere affianca una produzione musicale di ricerca con il collettivo “Magazzino CdF” e il progetto solista “LulùDogFromSpain”. Per le Edizioni dello Straniero collabora con “L’Altro”, settimanale di approfondimento culturale, e co-dirige una collana di poesia.


giovedì 16 gennaio 2025

Emiliano Iandoli: non siamo altro che polvere di strada

Ci riporta qui nella dura realtà terrena, anzi planetaria, Emiliano Iandoli, giovane poeta campano, quando, al contrario di tante speranzose e a volte forse esagerate riflessioni, alcuni affermano che “siamo figli delle stelle”. Sì, alla fine dei conti è vero, siamo il prodotto di evoluzioni stellari, fatti di quella stessa materia che si origina nelle stelle. Ma a ben vedere, siamo ora diventati “polvere di strada”, come afferma Iandoli in un suo accorato testo. Qui si tratta di constatare l’ovvietà dell'attuale degrado sociale e umano, che man mano ci porta alla solitudine, all’isolamento, alla negazione quasi di un antico universo umano fatto prevalentemente di unione, di solidarietà e di condivisioni emotive. E la poesia di Emiliano Iandoli, attenta, esplicita e fluida in questo suo procedere nell’indagine di sé e degli altri, affonda il dito nella piaga, descrivendo bene gli attimi di solitudine davanti a un drink al bar o fumando una sigaretta: momenti di intensa riflessione sul senso della vita, sul suo itinerario di ricerca e di domande che non avranno altra risposta se non dal cuore stesso del poeta e dell’artista.

Proponiamo qui di seguito alcuni suoi testi inediti. Saranno graditi commenti dei lettori e degli amici che ci seguono.


Prima di Mezzanotte


Fisso il tabacco bruciare

sulla punta della sigaretta,

chiedendomi perché l'abbia accesa.

Forse per mitigare il vuoto

di chi non ci sia più

sorseggiando un drink in un bar

di domenica sera;

forse per vedere dissolvere

i pensieri ad ogni boccata di fumo,

oppure per accompagnare

le lancette nella loro marcia.

Ma al momento di allungare la mano

verso il bicchiere, la sigaretta si consuma

e il drink si svuota, lasciandomi privo di una qualche ragione.

Domani, forse, troverò un motivo diverso

per accenderne un’altra.

 

***


È rimasto raso terra il foglio

di giornale mosso su e giù

dal soffio senz’anima di vento

e a sgusciare gli ultimi rantoli

della carta prima del sonno

imperituro nient’altro che il grigio

dell’asfalto col suo vuoto

e un crepuscolo sopra i tetti.

 

***

 

Piove lieve senza odio né amore

 

Piove lieve senza odio né amore

sulla città e per la strada

non si sente alcun sospiro.

Una nausea inspiegabile

mi rode di ogni forza.

Nella stanza la mia sola

compagnia in attesa di un raggio

di sole che avanzi,

è l’oscillare del pendolo.

 

***


Mio simile, fratello mio;

siamo entrambi il frutto marcio

nato dal seme corrotto

impiantato nella terra morta;

figli degli stessi peccati

dei nostri padri, e rivestiti di carne

blanda e viziosa, col capo

rivolto al Signore, osiamo dire:

«Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore... »

Ma a nulla vale l'assoluzione se il lacrimare è vuoto.

Ricorda, fratello mio, mio simile,

non siamo altro che polvere di strada.

Fratello mio, mio simile

a che pro seguire i falsi e bugiardi idoli?

 

***


Insieme nell’eterno

 

Del primo amore che suonò

Sul mio labbro

                incrocerò gli occhi

quando verrà la morte e il suo abbraccio

Si ricongiungerà la mano

                               alla mano

e il figlio che ha tanto atteso

tornerà lieto al suo seno

                             insieme nell'eterno.


Emiliano Iandoli, nato ad Ascoli Piceno, è laureato in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Salerno, dove attualmente prosegue il suo percorso accademico in Filologia Moderna, curriculum Didattica e Ricerca. Di recente è avvenuta la pubblicazione della sua tesi di laurea triennale, dal titolo L'arte di saper far politica: il Conte e il Cancelliere, sul sito web dell’Associazione “Amici della Fondazione Camillo Benso di Cavour” di Torino, mentre risale al 2021 la pubblicazione di alcuni testi poetici all’interno di una silloge denominata “Isole. Collana poetica. Vol. 31”, promossa dalla Dantebus edizioni di Roma. I campi d’interesse sono la Storia, con una particolare attenzione al periodo Otto-novecentesco e la Letteratura italiana moderna e contemporanea.

martedì 14 gennaio 2025

Il "Banchetto con melagrana" di Maria Benedetta Cerro

 

“Banchetto con melagrana nasce come esperienza totalizzante della poesia, che accompagna alla ricerca espressiva e linguistica quella interiore e umana. Negli affetti e negli incontri è la sua manifestazione più profonda”. 
Così esordisce nelle note introduttive del suo recente libro di poesie, Maria Benedetta Cerro, autrice tra le più note e importanti dell’attuale panorama poetico nazionale. Il titolo della raccolta, edita da Gottifredo in Alatri (Fr) nell’ottobre dello scorso anno, “Banchetto con melagrana”, richiama subito il tema primario del suo progetto poetico, ben sviluppato nel libro, e che appunto in questa sua dichiarazione preliminare può essere riassunto. La melagrana è qui verosimilmente simbolo di una unione tra unità distinte: i chicchi, numerosi e succosi, all’interno di un unico grande guscio che li contiene e li raccorda. Analogamente, il banchetto è simbolo di unione e riunione familiare e amicale, laddove tutti i membri di una famiglia o di amici condividono attorno ad un desco imbandito gioia, emozioni, sapori e calori umani.
Nulla di più consono, dunque, nel titolo, a indicare e narrare, attraverso la poesia, le sensazioni e le emozioni molteplici, ma anche i ricordi (molte poesie sono dedicate a incontri, testimonianze, paesaggi e personaggi che hanno animato la vita poetica della nostra autrice in questi ultimi anni), che, come i chicchi del melograno, rivivono sulla pagina, autonomamente ma intimamente collegati.
La poesia, anche qui, è veicolo eccelso di emozioni e di sentimenti, e Maria Benedetta è maestra sublime nel rievocare momenti di intensa affettuosità nei confronti di amici, parenti, persone incontrate in vari ambiti e occasioni letterarie: rievocare e dedicare, come solo con la poesia più alta è possibile, e quella di Maria Benedetta lo è sicuramente, pennello poetico fine e profondo, in grado di attraversare la corporeità delle immagini e dei lineamenti, giungendo fino al candore dell’anima, sapendone poi cogliere gli angoli e gli aspetti più celati, le caratteristiche e le inclinazioni più riposte. Con versi che hanno un alto gradiente lirico, e che attingono a fonti di elevata cultura classica, ma anche versi che si distinguono per una propria originale struttura e tensione propositiva.
Il libro in versi di Maria Benedetta Cerro è un’opera d’arte completa: i segni, la scrittura, il dire, si integra perfettamente con le immagini, le foto, i disegni, in un tutt’uno gradevole, luminoso e saporito. Come una grande melagrana da gustare tutti insieme in un banchetto.

Qui di seguito alcuni brani tratti dal libro.


Serata ferentina

(per Europa Festival, la Concretezza, Ferentino 1998)

 

Alle forme vaghe delle cose la penna

del poeta dà concretezza, all’aereo nulla

egli dona abitazione e nome.

(William Shakespeare)

 

Ho percorso una sera le parvenze del tempo indolore

la ferentina quiete della pietra

che sa di essere abbraccio e levità.

Si stringevano ai fianchi le gentili porte

infittivano i lumi

all’andare calmo di vestale.

Dall’abside solenne

faceva largo intorno il canto della Musa

– le spedite caviglie sui ruvidi selciati

compagne le stagioni perenni e le caduche

il tempo che le pietre e i poeti

fissano entro i limiti angusti di uno zero

o nel dilatato impero del respiro celeste –

Una sera tra le calme mura ferentine

mi agitava un canto indifeso

che spartiva in due l’unità dell’anima

tra infanzia negata e maturità punita.



***

Banchetto con melagrana               per Italo Scelza

 

Ascendeva. Tracciava un’ellisse di fuoco.

La notte temeva il suo corallo

e fuggiva sui capitoli della grazia

come svincolata da nodi prigionieri.

 

Così venne a me l’Angelicato

salendo dal giardino degli ornelli e dalle croci

dei fuochi di Sant’Ambrogio.

Venne a significare l’ascesa

a sciogliere i legacci dei sandali alla luce.

Prima che l’estate ardesse nei suoi riti

indossammo i bracciali dei Masai

e sull’aia battemmo le spighe dell’Averno.

A Supino / una sera / cinquanta candele in un catino di rame

fini fini pomodoro e basilico e notte nei bicchieri.

Ci perdemmo e rinascemmo nomi.

I corpi si sciolsero nell’acqua azzurroverdemare.

Poi la casa contaminata

ospitò i limoni / salvati dagli ovali dei banchetti

nei letti si distese il sole

e la notte si perse nei colori.

Restò la danza dei merli / dove mai più tornò l’Angelicato

e neppure sull’aia battemmo più le spighe dell’Averno.

 

***


Incontro a Nocera                per Carlo Di Legge

 

Fu degli incontri il multiverso.

Breve e lungo

come sono gli attimi che hanno in un lampo il tutto.

Si animò della febbre di Rubina*

della serata carbonara

nella piccola casa labirintica di scale e di soppalchi

– che fu alloggio e vino condiviso

da poeti e giovane cantante –

Ci lasciò la stanza – Carlo – e dormì chissà dove.

L’indomani riscoprimmo il tango

il rito e la regola del gesto

la lingua segreta del sentire

un inizio di tristezza farsi danza.

Sopraggiunsero versi

di qualcosa che è stato e che ritorna

d’archi trafitti da rondini chiaroveggenti

e un Trenta novembre**

che ha fermato tutti i calendari.

 

* Rubina è Rubina Giorgi, filosofa;

** Trenta novembre, poesia di Carlo Di Legge in Multiverso, puntoacapo Ed. 2018



***


Maturità – Autunno – TERRA

 

È grembo

madre

e donna.

Sa che spesso si fugge – complici gli incontri –

ma sempre e soli a lei si torna.

Così si dispare

col dirsi a mente che tutto finisce

e quel che è stato per lo più non conta.

Così le braccia scordano gli abbracci

gli occhi la carezza dei volti

e il sorriso non è utile ai morti.

Il giorno oggi è di poco più breve

ma nel sangue è il tempo di ieri

e dall'anima la luce

in silenzio / si separa.

Conosco i segreti della terra

la vita che perisce e le sue resurrezioni

i tradimenti / le promesse / le separazioni.

Ciò che passa

passa sul corpo con ruote di carro

e tu – alba – sorgi già orfana del mio respiro.

Ma il brindisi è rosso

e il tramonto dai rubini a goccia

pende dai lobi delle finestre a fiori.




Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo (1951) e risiede a Castrocielo (FR).
Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione, Edizioni dei Dioscuri 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987), nella terna dei finalisti al Premio Città di Penne; Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003, nella terna dei finalisti al Premio Frascati “Antonio Seccareccia”); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012), premio “Città di Arce”; in collaborazione con Sergio Vecchio Poema del merlo cacciatore (Libri del merlo, Nola 2014); Lo sguardo inverso (LietoColle 2018); La soglia e l’incontro (Edizioni Eva 2018); Prove per atto unico (Premio pubblicazione “Vincenzo Pistocchi” Macabor 2023). È presente in diverse antologie, tra cui: Poeti del Lazio, a cura di R. Pellecchia, Forum Quinta Generazione 1988; Melodie della terra, a cura di P. Perilli, Crocetti 1997; Secolo Donna 2020, a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor 2020. Nel marzo 2019 le è stato dedicato il n° 69 della LETTERA IN VERSI, Newsletter di poesia di BOMBA CARTA, bombacarta.com/leattività/lettera-in-versi. Nel luglio 2022, esce da Macabor Editore, a cura di Bonifacio Vincenzi, il Volume Sesto relativo ai POETI DEL CENTRO ITALIA, la cui parte monografica le è stata dedicata con il titolo “Quando la parola trema di eternità”.
Interventi sulla sua poesia sono apparsi su testate giornalistiche, riviste e testi critici, quali: Frammenti di un discorso amoroso nella scrittura epistolare moderna, a cura di A. Dolfi, Bulzoni 1992; La parola ritrovata. Ultime tendenze della poesia italiana, a cura di M. I. Gaeta e G. Sica, Marsilio 1995; G. Linguaglossa, Appunti critici, Edizioni Fabio Croce-Edizioni Scettro del Re 2002; La Ciociaria tra scrittori e cineasti, a cura di F. Zangrilli, Metauro 2004; Amerigo Iannacone, Nuove testimonianze. Interventi critici, Edizioni Eva, 2005; R. Pellecchia, Con le parole/Oltre le parole. Saggi di letteratura contemporanea, Metauro 2007; R. Scrivano, Letture e Lettori. Appunti di critica letteraria, Metauro 2010; R. Pellecchia, D'Annunzio musicus / ed altri saggi con appendice leopardiana, Sciascia Editore 2018.
La sua poetica, accanto alla ricerca espressiva e linguistica, si sviluppa negli ultimi anni intorno al concetto di Sguardo inverso, in relazione alla realtà e all’interiorità, pervenendo alla rappresentazione della Città poetica, come incontro tra identità e alterità.

Maria Benedetta Cerro, Banchetto con melagrana, Gottifredo Edizioni, Alatri 2024, Progetto grafico e interventi manoscritti di Antonio Poce.




Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà