lunedì 11 febbraio 2013

Altri inediti di Alessandro Canzian


Con molto piacere riproponiamo qui di seguito dei testi poetici di Alessandro Canzian, che, come sappiamo, oltre ad essere un valente poeta, è anche molto attivo nel campo editoriale, essendo il responsabile della "Samuele Editore" di Pordenone.
Alessandro Canzian conferma ancora una volta, con questi suoi recenti inediti, la sua particolare bravura nel cogliere e fissare immagini, flashes e sensazioni anche minime, in un contesto di vita abitudinaria e trasognata, e renderle poeticamente significative, con un discorso breve e diretto, ma essenziale.
Coloro che ci seguono, sapranno sicuramente aggiungere qualche altro gradito commento, e per questo li ringraziamo fin da ora.

Il latte

Il cartoccio del latte e le campane.
Gli stracci nella stanza.
La gatta che da fuori la finestra
vuole la colpa
d’essere l’unica a mangiare.
La stufa accesa. Le calze colorate.

***

La casa 

È un sofismo anche la tenda
arrugginita della doccia.
La fuga delle piastrelle mai pulite
- gli arabi ci contavano gli anni
prima di morire -, la scala
che ogni giorno fa gli indiani
e il battito sottile delle gambe
della vicina che guarda la tv.
 
***

Dalla finestra

Le montagne sembrano capelli
sai, quando piove e le scale
delle case sono gelate,
e i lampioni sono accesi,
e gli aliti fumosi.
Potresti pettinarci gli inverni
se solo avessero significato.
 
***

In treno verso Taranto

Dai finestrini sporchi il freddo.
La neve in mezzo ai campi.
Il paesaggio sa di case
e di cose che non tornano.
Sono cose anche le persone
che nel freddo non respirano.
 
***

Ferrara

Le travi di freddo e neve
alla stazione di Ferrara.
La troppa chiarità non mostra
nulla, i filari non scandiscono
i binari, Dio non lo puoi
guardare nemmeno di spalle.

***

Senigallia

E così si arriva al mare.
Alle ciminiere alte una maceria.
La ragazza che legge Hemingway
ha negli occhi lo stesso verde
che s’ammuffisce contro i muri.
Pare un tempo che non passa.
 
***

Bologna

Un sorriso. Una facile stagione.
La ragazza ha le calze lunghe
e le labbra che sanno d’alcool.
Altri si tengono per mano.
Più in là una svendita d’usato
fa da memoria
da mercato, per cartoline. Una,
forse rumena, legge le carte,
come tutto fosse conoscibile.
 
***

La lampadina

Puoi anche non essere possibile.
Una macchia, uno spruzzo di caffè
a terra per sbaglio. La perfezione
quotidiana è anche la muffa
di ragnatele sulla doccia. È la
porta che non si chiude a un lato.
È il silenzio della casa, feroce,
la lampadina scoppiata.

domenica 3 febbraio 2013

Rosemily Paticchio e il suo "Incipio"


E' un amore primordiale quello che sembra muovere la penna ispirata di Rosemily Paticchio, una vera rivelazione poetica, a mio parere, di questi anni; ed è un ingresso prorompente e meritato, perché nella poesia di Rosemily si nota subito quella forza, quella determinazione e quell'afflato che alimenta di continuo il verso, in un susseguirsi cadenzato di dichiarazioni, di immagini, di emozioni. E' una poesia da "principio", dove la nostra poetessa vuole collocare il punto essenziale del mondo, scaturigine di tutte le cose: "Prima di tutto era la gioia di neve, l'improvviso stupore del ghiaccio...". Una genesi quasi biblica, che vede però perdersi l'umanità quando sarà il momento di separare il "Sogno" dalla cruda realtà fisica di un mondo in perenne evoluzione.
Proponiamo qui di seguito alcuni brani della silloge, intitolata appunto "Incipio", pubblicata da L'Arca Felice Edizioni; gli amici lettori che ci seguono potranno, come sempre, lasciare un loro gradito commento.
La foto di copertina è di Rossella Venezia.

***


Prima di tutto era la gioia di neve 
l’improvviso stupore del ghiaccio 
nel contatto gelido
era la corolla a invocare il bocciolo
il nettare a contemplare la sostanza. 
Prima di tutto era l’assenza straripante di colori
era l’insieme riassuntivo dei teoremi
la grazia nascente di un batterio 
nel primitivo pulsare di elementi. 
Prima di tutto era un nome
senza nome
l’impronunciabile antimateria 
che declinò in polvere 
autografata da uno zero. 
Prima di tutto era la fiamma
che bruciava lenta senza sapere
la matrice che coniò il primo stampo
Era la gestazione di un seme
un agguato teso alle sorgenti del sole 
un sogno dentro al sogno
una lotta sovrumana contro il tempo.

***


Poi venne... la Separazione dal Sogno

Qui vi è il margine di separazione
dal Sogno
che il silenzio oltrepassa sulle punte
e un librarsi d’ali spinge nel vento
come tempio sospeso tra nubi
con l’arcata che pende dal cielo
e arcobaleni finemente illustrati
quali nicchie di un abside esterno
che l’andar via sottile dei corpi
lo svestirsi degli abiti
in un soffio di voliera azzurra 
rende la gabbia possibilmente semichiusa
sulla zona d’ombra di un micro-universo
e gli uccelli in suoni convulsi
eseguono melodie incendiate
a ritmo crescente.
Potremmo salpare qui dove le sponde
di muschio bianco videro le gondole
migrarsi oltre l’Oceano della Scienza
perduto sulle scie d’incenso!

***

Incipio

Io non partecipo all’incipiere del giorno
non odo i trilli delle albe pungenti
ma dimoro soltanto
nei posti estesi prescelti dalla mente
tengo la rotta scura del crescersi diverso
ho bocche da  sfamare
come lupe d’inverno
espressioni aperte a colonizzare
le visioni di un insieme
orifizi tesi a cogliere il soliloquio
di un dialogo imperfetto
Imperfette Desinenze.
Nessun posto abitai per intero
ma gravitante fui tra i boschi
rigogliosi di un tempo
dove poggia il morbido piede
dorme il mio ventre allegro
                                        sulle Tracce 
dell’ombelico profondo
le andature distorco sul sentiero.
E se così pervenni alla nascita
a non sbavare i contorni
ciò che tremo in fondo è l’orlo
non  le cime più alte.

***

Eco di Fantasia

In questo vago dolce nutrimento
s’aggira inquieta una flotta di segni
d’incerti voleri dissolti
al brillare di sguardi lucenti
ogni presenza in barca ciondola
tenendo stretto tra denti di piombo
il suo sogno integerrimo.
L’acqua che proviene sublima
la superficie del vetro
sui ciottoli fragranti di passi.
Che sia  un’eco di Fantasia
o il frantume di schegge  taglienti
di per sé vuotoflesse
se sostare soffoca il fiato
se la salvezza di un lume è esigere
lEnigma esistente
sulla carrucola di sogni e desideri
Andiamo pure!
Un grande atrio spalanca l’emisfero
ricevendo il rosone dei viventi 
il cui esercizio dei poteri è immenso
nel contrappasso che genera l’ascesa
lo scioglimento del rosario ai vespri
50 grani fluorescenti al tocco intenso
di membrane e particelle
che in congiunzione cercano gli anelli.

Ma in fondo è debole la mensa 
e si resta in preghiera
nei nostri umili panni lisi.

***

Spazi segreti



Come esiste mughetto tra i fiori di campo
esiste luogo d’incanto
che non risiede ma ci ho visto viaggiare
su battelli sospinti a vapore
la creatura leggera e slanciata
a pochi passi da Dio
con l’anima assetata di cristallo
straripante di petali e forme
nel respiro un infuso di tisana
e vapori di agrumi sul volto
coinquilino dell’erba rugiada.
Sorge eterno e complanare all’altro
incolmabile Spazio a Spirale
scavato nel tunnel di un ipotetico viaggio
mentre intorno è pieno di ordigni
pronti all’implosione
vaganti sulla polveriera nera.
Luogo in cui Realtà, Sogno
sedimentano nel mucchio informe
nello stesso agro infinito saffollano
in giacimenti sorgivi
Vanno su locomotive fumanti
interminabili spazi segreti.



***

Dendros_01 (Anima mundi)

Nella sosta lieve, nella veglia profonda
nel riposo inviolabile
di una foresta in_vergine
dimora d’illusorio nonessere
si carica il solfeggio di uccelli
con armonie di tempere a fresco
s’ode il canto della dura corteccia
narrante la sinossi di un albero e dei suoi anelli.
Udire i rami è di alto intelletto
le spirali traboccanti di segni
la sfilatura dei tralci
e tessitura di sfere concentriche!
Si dilata nei polmoni aperti una chioma
dai fitti misteri a tratti sinchina
con la direzione del vento, a tratti si ferma
con lo sguardo rivolto a rotondi di cielo
come un magnete che si beve la luce
per fotosintesi del piccolo progetto.
Ogni ramo è un abile arciere che la
 lancia affonda nel petto di un confitto
orizzonte
e sul sipario fecondo e redditizio
si riflette tutto il bagliore suo
                                             Anima Mundi!


***

Dendros_02
(Via del Silenzio)


Nel segreto dei boschi
sinoltra un cammino
di segnacoli accesi per la Via del Silenzio
di una stele raminga sul prato
che pigia gli apici dei clandestini rigagnoli
i molteplici antri cardiaci
di minuscole larve sommerse.           
Ora è un pioppo dallo spacco tortora
ora un cipresso
la cui ombra è il sottobosco di un regno
le propaggini un osservatorio immobile
orientato a nervo scoperto
verso il mantello cucito di pelle.

Sembra fermo il ventricolo destro
eppur si muove
rigenerato di linfa nel sangue
sembra ferma la rugiada appesa
eppur si sfracella                      
Figliando Goccioline
ogni goccia è un riverbero di arteria
un sussulto nel silenzio della selva.

Muto è il ramo ad imperare
sullabisso del pineto
muto è il passo d’animale o uomo
sulla stola d’aghi pungenti, come
l’Abitare d’ogni quieta creatura
con un solo gesto di presenza.


Rosemily Paticchio, poetessa leccese, esordisce in campo letterario nel 2012 con la pubblicazione della raccolta poetica “Prima che i germi”, nell’ambito del volume antologico “Retrobottega 2” (CFR Edizioni), con saggio critico di Gianmario Lucini, e successivamente con il libretto di poesie “Incipio” per la collana Coincidenze di Arca Felice Edizioni, a cura di Mario Fresa. Negli ultimi anni ha pubblicato suoi componimenti in varie antologie di Perrone Editore e partecipato a concorsi letterari, vedendo pubblicate alcune poesie nelle relative raccolte antologiche; altre sono state selezionate e pubblicate nell’ambito dei Premi “Verba Agrestia 2011” (Lietocolle) e “Dal manoscritto al libro 2010” (Perrone). Alcuni suoi contributi poetici sono apparsi su riviste letterarie, blogs e spazi on line dedicati alla poesia. Ha pubblicato racconti sulla rivista per ragazzi “Un due tre stella” (Lupo ed.) e collaborato con artisti operanti sul territorio locale, curando i testi creativi di mostre fotografiche e installazioni.

lunedì 7 gennaio 2013

Giovanna Iorio e la sua "Venere nel Tevere"


Con ben tre esergo la nostra bravissima poetessa romana, ma di origini irpine, inizia una sua corposa e intensa silloge poetica inedita, dal titolo "Venere nel Tevere": una citazione dalle "Metamorfosi" di Apuleio, un'altra di Plinio il Vecchio ed infine una terza tratta da un brano di "Una specie di solitudine" di John Cheever. C'è un segreto filo conduttore che lega tutte le poesie di Giovanna Iorio in questa raccolta, ed è in effetti la condizione della donna sottilmente descritta, quasi in filigrana, in tutte le sue varie caratteristiche ed aspetti, lungo un percorso storico, ma soprattutto sociale e psicologico che si snoda dai tempi antichi fino ai nostri giorni. Mi sembra molto indicativa la prima poesia, Cloacina, che dà l'abbrivio a tutte le susseguenti.
La scrittura poetica di Giovanna Iorio si presenta in questa silloge molto ben articolata, profonda, con tratti di alta liricità. Interessante è anche il frammentare l'intero corpo poetico con brani di prosa poetica (per esempio: "Monologo di un Fossile"), che rendono tutto il suo progetto completo anche stilisticamente e aderente alla caratterizzazione delle situazioni e dei personaggi descritti.
Purtroppo per motivi di spazio non è possibile pubblicare qui l'intera raccolta. Ne trascrivo qui di seguito alcuni brani sperando di aver individuato quelli più rappresentativi, a mio modesto parere, anche se convengo che sarebbe necessario leggere e gustare tutta l'opera per avere un quadro sufficientemente ampio. Ma lascio agli affezionati lettori, come sempre, il gradito compito di aggiungere, se lo desiderano, altre interessanti riflessioni in proposito.

CLOACINA

Sono Venere Cloacina
La donna gettata nel  fiume Tevere
lo sporco mi  scorre nel cuore
ho dormito in un letto
d’acqua impura

ho visto  un  fiume di persone
ho visto scorrere via il tempo
sotto il  cielo che si fa nero all’alba
come un lenzuolo

emergo  da un’onda
con le pietre nel cuore
gli occhi verdi di alga
la mia  lingua pronta

a pulire con  parole d’amore
le antiche ferite
i vicoli sporchi
i ponti rotti
la cloaca che fluisce
l’anima sporca
del fiume.


MONOLOGO DI UN FOSSILE

Stasera le parole sono appese a un filo ad asciugare.
Stasera il cielo è nera antimateria e lo sa Iddio e qualche povero umano cosa sia contemplare il vuoto.
Stasera ritrovo un amico che non riconosco, leggo le sue parole, una fonte sincera è ora acqua mescolata a rancore.
Stasera gli anni sono macine di frantoi il gusto un po' amaro dell'olio emerge dalle parole, un alone si allarga a macchiarmi i fogli di memoria.
Stasera il vento che non si è ancora levato aspetta indeciso tra i rami ruvidi.
Stasera si avverte nell'aria il brivido dell'inverno e la paura della primavera- il loro abbraccio silenzioso si trasformerà presto in pioggia.
Il Tevere gonfio si è fermato sotto i ponti a dormire- come un barbone qualunque in cerca di riparo. Ne sento il respiro- il corpo nascosto tra gli strati di pietra come un fossile vivo.
Stasera c'è abbastanza silenzio in casa e nella mia vita per un'archeologia della memoria. Perché ogni cosa rimane intatta nel fondo della città, anche quando il tempo sembrava averla distrutta.
Roma ha in serbo un po' di polvere per ciascuno di noi. Un mucchietto di terra leggera che ti entra nei pori, che ti spegne il sorriso, che ti seppellisce la voce.
Ma stasera c'è un vento leggero che arriva da un punto lontano e luminoso nel buio - pretende un pezzo di vita in cambio di un po' di primavera.
Allora Roma spolvera un po' di rovine e uno dei suoi fossili ritorna a scintillare- tesoro emerso dal magma di vita.
Ecco una foglia caduta tra le pietre del Colosseo, ecco l'orma di un leone, l'eco di un ruggito, la piena del Tevere.


TIC TAC TIC TAC

Ho dovuto accenderlo stasera
il forno. Riscaldare la stanza,
il cuore. Non mi piace scrivere
la parola cuore.

Non vuol dire più niente.
Non assomiglia per niente alla parola. 
Cuore. Se ne sta qui in mezzo al petto

un orologio con le lancette. Una vecchia 
pendola rumorosa
nell'era del digitale lei fa  ancora
un rumore antico. Tic tac  tic tac

dice dice dice  mi sembrano parole.
Ma chi le vuole! Smettila, dimmi qualcosa
di diverso, di meno antico.

Non te la prendere, non ti fermare.
Hai ragione. Accendo il forno
e la stanza si scalda
mi viene voglia di riempirla di pane.
Impasto il pane.
Il pane sente tutti i pensieri
 è colpa del lievito. Lui sì che
 è sensibile, si gonfia
di pena, di gioia, di rabbia.

Stasera va a finire che
tra il forno, il cuore e il pane
questa stanza si trasforma in una poesia d'amore.
E io non ne scrivo.
Mi fanno arrabbiare.
Mi fanno infuriare.
Stanze così sono pericolose. Bisognerebbe

vivere all'aria aperta
 accanto al fiume laddove
non si sente il tic tac del cuore.


259200 SORRISI

la colpa non esiste
e allora non è colpa
di nessuno se muore
un bambino ogni 3 secondi
che ha meno di 5 anni
stiamo tutti sereni
dal momento che
la colpa non esiste

e  non è colpa
di nessuno se un'ora
fa 1200 bambini
in meno

e in un giorno
fa 259200 sorrisi
in meno.


SENZA ANIMA

Si potrebbe lasciare tutto per un po'
senza anima

provare a gettarla
in fondo al fiume
salire in carne ed ossa in cielo.

Chi ha avuto la strana idea
di mettermi nel corpo questo
fardello?

Si macchia
come se la vita fosse una pietanza
un piatto di spaghetti spietato
al sugo  che schizza
all'impazzata e sporca
la vita e l'anima
del mondo.


INDISCRETA (O TRA PARENTESI)

Non vorrei sembrarti indiscreta
sempre a sbirciare il tuo umore
tra virgole e saltelli di parole
una parentesi interrompe la nostra
lunga conversazione (dovevo pensarci prima a
stendere il bucato a tendere il filo fino
al cielo - che profumo la siepe laggiù peccato
che sia sempre più verde l'erba
del vicino- anzi vicina- lei ha i capelli rossi
e un naso che le è costato un sacco di sacrifici
ma ora se ride si vedono le piccole narici
in mezzo alla faccia  i fori imperiali
non c'è più ombra del nero)
che stavamo dicendo
scrivevi leggevi cosa facevi
volevo soltanto dirti che non devi
per favore mai guardarmi senza vedermi
ti prego non fare che gli occhi mi attraversino come
una nuvola. Ecco ora continua pure
quello che stavi facendo. Il tetto
della mia casa è di vetro
io vedo tutto quello che brilla nel tuo cielo
stelle di puntini freddi
 immobili pianeti.


PANGEA

il senso inesplorato delle cose
che rimangono immobili e silenziose
come fossili di noi pronti
a svelare segreti:

la prigionia dei colori di un quadro
la lotta contro il tempo della luce
le linee parallele che attraversano separano cercano
all'infinito

è un disegno inascoltato
quello dei nostri mondi
continenti  solitari che si allontanano
dopo essere stati uniti soltanto pochi secondi

ho commesso il più umano degli errori
aggrappata alla crosta di un pianeta che va alla deriva

mi era sembrato un volto
quella immagine di noi
simile a un dio onnipotente
aveva creato la vita e l'infinita polvere
sulle cose

pura follia è un viaggio verso la terra promessa
aggrappati ad un frammento solo
mentre il mondo si disgrega e abbraccia
il molteplice.


UNA CASA NEL BOSCO

E mentre il pane lievita, il sogno.
Una casa nel bosco, con la nebbia intorno e dentro legna profumata che arde nel camino.
Sogno di potermi addormentare accanto a un fuoco senza evaporare, avvolta in una soffice coperta verde, come se nella stanza fosse cresciuto un prato, un bosco.
Sogno di potermi svegliare all'alba come un uccellino.  Meravigliosamente riposata. Lavarmi il viso con l'acqua fredda di un catino. Andare a pettinarmi sulla soglia. Avvolgermi in una lunghissima vecchia maglia. Vivere di caffè e biscotti. Non scrivere nulla. Pensare parole. Poi la sera uscire a cercare i piccoli occhi che mi spiano tra i cespugli. Trovare il modo di farmi seguire fino a casa. Sbriciolarmi per loro.


IL LATTE

il tempo è  latte
in una bottiglia di vetro
lasciata sulla soglia di casa
una mano avanza e versa
il bianco nella stanza


LE MANI, LE ALI

metteva sempre le mani
bianche come candele
sulle ginocchia
chiudeva gli occhi e cominciava
una storia

si dondolava un poco e poi uscivano fiamme
dalle mani: ricordi, parole
fingevo di dormire
lei riapriva gli occhi

le mani sempre accese
nella mia notte.

Giovanna Iorio vive e lavora a Roma. Ha tradotto dall'irlandese diversi testi di poesia e di narrativa. Per le edizioni Via del Vento ha curato e tradotto i volumetti: Eavan Boland, Falene; Medbh McGuckian, Scene da un bordello. Per Trauben Edizioni “Testo di Seta”, poesie di Eilean Ni Chuilleanain, Torino, 2004.
Nel 2012 come autrice ha pubblicato racconti e poesie: "100 storie prima che sia troppo tardi",  AA.VV. (Feltrinelli). "Roma per Roma", Edizioni Progetto Cultura. "Il libro degli oggetti smarriti"  (poesie) in "La forza delle parole", Fara Editore. "La memoria dell’acqua" (poesie), Ghaleb Editore. "Mare Nostrum", poesie, Retrobottega 2, a cura di Gianmario Lucini, 2012. "Rosso da camera", AA.VV. Perrone Editore, 2012. "La mamma è la mamma", Mondadori, 2012.
E' in uscita a cura di Delta 3 Edizioni la raccolta "In-chiostro", primo premio Concorso "L'Inedito" 2012. E' autrice di narrativa breve per Storiebrevi.it, il sito della Feltrinelli che pubblica racconti da leggere sullo smartphone. Ha appena pubblicato i racconti "L'avambraccio" e "Carlo il Calvo".
Ha da poco iniziato a collaborare con il Blog Letterario "Finzionimagazine" (http://www.finzionimagazine.it/ ).

martedì 4 dicembre 2012

L’Opera poetica di Ciro Vitiello è proiezione e trasfigurazione delle forme che la caratterizzano


Pubblichiamo qui di seguito una nota critica di Ninnj Di Stefano Busà sull'opera poetica di Ciro Vitiello.

É un corpo unico la poesia di Ciro Vitiello, come roccia di minerale durissima che taglia nettamente il traguardo da altre forme di linguaggio, nel riformulare una voce che unifica e trasferisce il messaggio lirico nella sua limpidezza, nonché nel poematico spazio di un pensiero che si fa di volta in volta riflettente, immaginifico, recettore di un mondo apparente che però ha la capacità di trasformarsi in tensionale, sentimentale, inquieto, interpretativo di processi mentali che hanno il senso della realtà, ma l’attitudine ad essere altro da sé, in un altrove immaginifico, fino alle massime punte della visionarietà. È un procedimento mentale che sa cogliere la visione del mondo e orchestrarla per suo conto, con l’emotività che gli è congeniale, attraversando tutte o quasi le occasioni di percezioni valoriali, morali, sociali, amorose.
Il componimento si erge con tutta la carica prorompente del tratto fisiologico-biografico. Una stesura essenziale, una inquietudine e un travaglio che gli derivano dall’essere per tentare elementi di reinvenzione iconografico-espressive.
Vi sono tensioni a livello emozionale nella sua produzione poetica. Ciro Vitiello si mostra in tutta l’ampiezza del suo territorio interiore, fatto di travaglio e di tormentato stupore, di abbagli e consapevolezza, di apparenti sondaggi all’interno della propria esperienza di vita che direttamente si connettono alla matrice profonda del suo verso. Invece che interpretarla egli la determina, la parola, in una scrittura ampia e ben dosata nei dettagli, che sa ottenere un esito compiutamente e felicemente raggiunto a mezzo di un lessico visivo, sofferto, senza essere mai destabilizzante, vigile, maturo, fruibile in tutta l’ampiezza del contenuto metaforico e dell’apparato correlativo, attraverso adeguate e trasfigurative rappresentazioni.
La scansione e il ritmo sono l’antefatto di una sigla letteraria perfettamente autonoma che sa variare la scrittura a seconda delle circostanza e delle esperienze, evidenziandone una puntuale e acuta totalità d’intermediazione tra i vari elementi. Colpisce di questo autore la grandiosa e sapiente modalità di concatenazione che avverte in profondità un rapporto privilegiato con la poesia, e ne sa conquistare l’anima mundi, ne sa estrapolare e agglutinare l’esemplificazione verbale, attraverso il gioco interferente dei raffronti delle componenti lessicali, aprendosi all’indagine a 360° per approfondire le dinamiche delle immagini, donarsi alla vita con tutta la carica ontologico/ sperimentale che ne moltiplica la potente e definitiva sintassi espressiva. Si evince la compostezza del verso che riproduce in motivazioni vaste e ben delineate le istanze amorose più intime, così come quelle sociali, morali, coniugandone l’archetipo della pagina con le modalità delle diversificate sinergie liriche. “Quando il sole taglia il viso e s’inerpica sugli aranci,/ tu non fingerti eco di pene, ma rivèstiti di luce, Jole-/ circoscritta di grazia nella bionda chioma”. (pag.30, Todestrieb).
Vi è in tutta la produzione lirica di Ciro Vitiello ben delineata la configurazione allegorica che si mostra ad un andamento costitutivo dell’io e del noi, una formula felice che contempla l’esistenza di un altrove, di un abbinamento tra noi e il Nostos, tra l’impianto erotico e la vita, tra il bene e il male, tra la verità e il dubbio. Ben individuati sono i raccordi e le concatenazioni di pensiero che cercano il congiungimento metafisico con la realtà circostante, trepidanti giochi di solarità appaiono certi enjambement, certe controversie che detengono andamento di narrazione, nella cangiante partitura delle accensioni testuali.
L’invenzione immaginifica resta sempre alta e presuppone un’astrazione di riverberi talvolta abbrividenti, altre solari: “Mi fonde alla luce la soave luce/ del crepuscolo” (Riflesso magico e anche in Ripiegamento).
Molto ben costruiti questi versi che sanno coniugare stratificazioni e significati di una introspezione non secondaria, che si ricollega al processo mentale attraverso la scomposizione degli elementi di saldatura: “ Dissolversi è destino, ma basta una sillaba, /una sola, perché il tempo si ripeta e duri! //...// dissipo le fervide vocali, sfioro l’amaro/ istante, ritaglio le forme del nostro fiato per incidere” (Dissolversi è destino).
Notare il continuum tra la simmetria dell’insieme e la rarefazione di certi stadii preesistenti, la quasi vivisezione, che determina la scissione delle istanze simboliche e la trasfigurazione concettuale si articola dalla proiezione dell’io stesso dall’altro di sé nell’imperturbabilità mimetica della ragione antinomica che s’instaura, tra la verità e il suo nulla, in cui si dibatte l’io indifeso quando dall’assenza riformula la coesistenza del riscatto liberatorio, per superare l’analogismo della perdita e la dimensione morfologica metastorica del logos, dei simboli.
Vitiello è senza dubbio una voce ampia e forte nel diorama della poesia del secondo Novecento perchè la concrezione si avvale di procedimenti linguistici che sono percettivi e ispirativi di tutta la sua soggettività individuale.

Ninnj Di Stefano Busà
                                                                                                      

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà