lunedì 7 gennaio 2013

Giovanna Iorio e la sua "Venere nel Tevere"


Con ben tre esergo la nostra bravissima poetessa romana, ma di origini irpine, inizia una sua corposa e intensa silloge poetica inedita, dal titolo "Venere nel Tevere": una citazione dalle "Metamorfosi" di Apuleio, un'altra di Plinio il Vecchio ed infine una terza tratta da un brano di "Una specie di solitudine" di John Cheever. C'è un segreto filo conduttore che lega tutte le poesie di Giovanna Iorio in questa raccolta, ed è in effetti la condizione della donna sottilmente descritta, quasi in filigrana, in tutte le sue varie caratteristiche ed aspetti, lungo un percorso storico, ma soprattutto sociale e psicologico che si snoda dai tempi antichi fino ai nostri giorni. Mi sembra molto indicativa la prima poesia, Cloacina, che dà l'abbrivio a tutte le susseguenti.
La scrittura poetica di Giovanna Iorio si presenta in questa silloge molto ben articolata, profonda, con tratti di alta liricità. Interessante è anche il frammentare l'intero corpo poetico con brani di prosa poetica (per esempio: "Monologo di un Fossile"), che rendono tutto il suo progetto completo anche stilisticamente e aderente alla caratterizzazione delle situazioni e dei personaggi descritti.
Purtroppo per motivi di spazio non è possibile pubblicare qui l'intera raccolta. Ne trascrivo qui di seguito alcuni brani sperando di aver individuato quelli più rappresentativi, a mio modesto parere, anche se convengo che sarebbe necessario leggere e gustare tutta l'opera per avere un quadro sufficientemente ampio. Ma lascio agli affezionati lettori, come sempre, il gradito compito di aggiungere, se lo desiderano, altre interessanti riflessioni in proposito.

CLOACINA

Sono Venere Cloacina
La donna gettata nel  fiume Tevere
lo sporco mi  scorre nel cuore
ho dormito in un letto
d’acqua impura

ho visto  un  fiume di persone
ho visto scorrere via il tempo
sotto il  cielo che si fa nero all’alba
come un lenzuolo

emergo  da un’onda
con le pietre nel cuore
gli occhi verdi di alga
la mia  lingua pronta

a pulire con  parole d’amore
le antiche ferite
i vicoli sporchi
i ponti rotti
la cloaca che fluisce
l’anima sporca
del fiume.


MONOLOGO DI UN FOSSILE

Stasera le parole sono appese a un filo ad asciugare.
Stasera il cielo è nera antimateria e lo sa Iddio e qualche povero umano cosa sia contemplare il vuoto.
Stasera ritrovo un amico che non riconosco, leggo le sue parole, una fonte sincera è ora acqua mescolata a rancore.
Stasera gli anni sono macine di frantoi il gusto un po' amaro dell'olio emerge dalle parole, un alone si allarga a macchiarmi i fogli di memoria.
Stasera il vento che non si è ancora levato aspetta indeciso tra i rami ruvidi.
Stasera si avverte nell'aria il brivido dell'inverno e la paura della primavera- il loro abbraccio silenzioso si trasformerà presto in pioggia.
Il Tevere gonfio si è fermato sotto i ponti a dormire- come un barbone qualunque in cerca di riparo. Ne sento il respiro- il corpo nascosto tra gli strati di pietra come un fossile vivo.
Stasera c'è abbastanza silenzio in casa e nella mia vita per un'archeologia della memoria. Perché ogni cosa rimane intatta nel fondo della città, anche quando il tempo sembrava averla distrutta.
Roma ha in serbo un po' di polvere per ciascuno di noi. Un mucchietto di terra leggera che ti entra nei pori, che ti spegne il sorriso, che ti seppellisce la voce.
Ma stasera c'è un vento leggero che arriva da un punto lontano e luminoso nel buio - pretende un pezzo di vita in cambio di un po' di primavera.
Allora Roma spolvera un po' di rovine e uno dei suoi fossili ritorna a scintillare- tesoro emerso dal magma di vita.
Ecco una foglia caduta tra le pietre del Colosseo, ecco l'orma di un leone, l'eco di un ruggito, la piena del Tevere.


TIC TAC TIC TAC

Ho dovuto accenderlo stasera
il forno. Riscaldare la stanza,
il cuore. Non mi piace scrivere
la parola cuore.

Non vuol dire più niente.
Non assomiglia per niente alla parola. 
Cuore. Se ne sta qui in mezzo al petto

un orologio con le lancette. Una vecchia 
pendola rumorosa
nell'era del digitale lei fa  ancora
un rumore antico. Tic tac  tic tac

dice dice dice  mi sembrano parole.
Ma chi le vuole! Smettila, dimmi qualcosa
di diverso, di meno antico.

Non te la prendere, non ti fermare.
Hai ragione. Accendo il forno
e la stanza si scalda
mi viene voglia di riempirla di pane.
Impasto il pane.
Il pane sente tutti i pensieri
 è colpa del lievito. Lui sì che
 è sensibile, si gonfia
di pena, di gioia, di rabbia.

Stasera va a finire che
tra il forno, il cuore e il pane
questa stanza si trasforma in una poesia d'amore.
E io non ne scrivo.
Mi fanno arrabbiare.
Mi fanno infuriare.
Stanze così sono pericolose. Bisognerebbe

vivere all'aria aperta
 accanto al fiume laddove
non si sente il tic tac del cuore.


259200 SORRISI

la colpa non esiste
e allora non è colpa
di nessuno se muore
un bambino ogni 3 secondi
che ha meno di 5 anni
stiamo tutti sereni
dal momento che
la colpa non esiste

e  non è colpa
di nessuno se un'ora
fa 1200 bambini
in meno

e in un giorno
fa 259200 sorrisi
in meno.


SENZA ANIMA

Si potrebbe lasciare tutto per un po'
senza anima

provare a gettarla
in fondo al fiume
salire in carne ed ossa in cielo.

Chi ha avuto la strana idea
di mettermi nel corpo questo
fardello?

Si macchia
come se la vita fosse una pietanza
un piatto di spaghetti spietato
al sugo  che schizza
all'impazzata e sporca
la vita e l'anima
del mondo.


INDISCRETA (O TRA PARENTESI)

Non vorrei sembrarti indiscreta
sempre a sbirciare il tuo umore
tra virgole e saltelli di parole
una parentesi interrompe la nostra
lunga conversazione (dovevo pensarci prima a
stendere il bucato a tendere il filo fino
al cielo - che profumo la siepe laggiù peccato
che sia sempre più verde l'erba
del vicino- anzi vicina- lei ha i capelli rossi
e un naso che le è costato un sacco di sacrifici
ma ora se ride si vedono le piccole narici
in mezzo alla faccia  i fori imperiali
non c'è più ombra del nero)
che stavamo dicendo
scrivevi leggevi cosa facevi
volevo soltanto dirti che non devi
per favore mai guardarmi senza vedermi
ti prego non fare che gli occhi mi attraversino come
una nuvola. Ecco ora continua pure
quello che stavi facendo. Il tetto
della mia casa è di vetro
io vedo tutto quello che brilla nel tuo cielo
stelle di puntini freddi
 immobili pianeti.


PANGEA

il senso inesplorato delle cose
che rimangono immobili e silenziose
come fossili di noi pronti
a svelare segreti:

la prigionia dei colori di un quadro
la lotta contro il tempo della luce
le linee parallele che attraversano separano cercano
all'infinito

è un disegno inascoltato
quello dei nostri mondi
continenti  solitari che si allontanano
dopo essere stati uniti soltanto pochi secondi

ho commesso il più umano degli errori
aggrappata alla crosta di un pianeta che va alla deriva

mi era sembrato un volto
quella immagine di noi
simile a un dio onnipotente
aveva creato la vita e l'infinita polvere
sulle cose

pura follia è un viaggio verso la terra promessa
aggrappati ad un frammento solo
mentre il mondo si disgrega e abbraccia
il molteplice.


UNA CASA NEL BOSCO

E mentre il pane lievita, il sogno.
Una casa nel bosco, con la nebbia intorno e dentro legna profumata che arde nel camino.
Sogno di potermi addormentare accanto a un fuoco senza evaporare, avvolta in una soffice coperta verde, come se nella stanza fosse cresciuto un prato, un bosco.
Sogno di potermi svegliare all'alba come un uccellino.  Meravigliosamente riposata. Lavarmi il viso con l'acqua fredda di un catino. Andare a pettinarmi sulla soglia. Avvolgermi in una lunghissima vecchia maglia. Vivere di caffè e biscotti. Non scrivere nulla. Pensare parole. Poi la sera uscire a cercare i piccoli occhi che mi spiano tra i cespugli. Trovare il modo di farmi seguire fino a casa. Sbriciolarmi per loro.


IL LATTE

il tempo è  latte
in una bottiglia di vetro
lasciata sulla soglia di casa
una mano avanza e versa
il bianco nella stanza


LE MANI, LE ALI

metteva sempre le mani
bianche come candele
sulle ginocchia
chiudeva gli occhi e cominciava
una storia

si dondolava un poco e poi uscivano fiamme
dalle mani: ricordi, parole
fingevo di dormire
lei riapriva gli occhi

le mani sempre accese
nella mia notte.

Giovanna Iorio vive e lavora a Roma. Ha tradotto dall'irlandese diversi testi di poesia e di narrativa. Per le edizioni Via del Vento ha curato e tradotto i volumetti: Eavan Boland, Falene; Medbh McGuckian, Scene da un bordello. Per Trauben Edizioni “Testo di Seta”, poesie di Eilean Ni Chuilleanain, Torino, 2004.
Nel 2012 come autrice ha pubblicato racconti e poesie: "100 storie prima che sia troppo tardi",  AA.VV. (Feltrinelli). "Roma per Roma", Edizioni Progetto Cultura. "Il libro degli oggetti smarriti"  (poesie) in "La forza delle parole", Fara Editore. "La memoria dell’acqua" (poesie), Ghaleb Editore. "Mare Nostrum", poesie, Retrobottega 2, a cura di Gianmario Lucini, 2012. "Rosso da camera", AA.VV. Perrone Editore, 2012. "La mamma è la mamma", Mondadori, 2012.
E' in uscita a cura di Delta 3 Edizioni la raccolta "In-chiostro", primo premio Concorso "L'Inedito" 2012. E' autrice di narrativa breve per Storiebrevi.it, il sito della Feltrinelli che pubblica racconti da leggere sullo smartphone. Ha appena pubblicato i racconti "L'avambraccio" e "Carlo il Calvo".
Ha da poco iniziato a collaborare con il Blog Letterario "Finzionimagazine" (http://www.finzionimagazine.it/ ).

martedì 4 dicembre 2012

L’Opera poetica di Ciro Vitiello è proiezione e trasfigurazione delle forme che la caratterizzano


Pubblichiamo qui di seguito una nota critica di Ninnj Di Stefano Busà sull'opera poetica di Ciro Vitiello.

É un corpo unico la poesia di Ciro Vitiello, come roccia di minerale durissima che taglia nettamente il traguardo da altre forme di linguaggio, nel riformulare una voce che unifica e trasferisce il messaggio lirico nella sua limpidezza, nonché nel poematico spazio di un pensiero che si fa di volta in volta riflettente, immaginifico, recettore di un mondo apparente che però ha la capacità di trasformarsi in tensionale, sentimentale, inquieto, interpretativo di processi mentali che hanno il senso della realtà, ma l’attitudine ad essere altro da sé, in un altrove immaginifico, fino alle massime punte della visionarietà. È un procedimento mentale che sa cogliere la visione del mondo e orchestrarla per suo conto, con l’emotività che gli è congeniale, attraversando tutte o quasi le occasioni di percezioni valoriali, morali, sociali, amorose.
Il componimento si erge con tutta la carica prorompente del tratto fisiologico-biografico. Una stesura essenziale, una inquietudine e un travaglio che gli derivano dall’essere per tentare elementi di reinvenzione iconografico-espressive.
Vi sono tensioni a livello emozionale nella sua produzione poetica. Ciro Vitiello si mostra in tutta l’ampiezza del suo territorio interiore, fatto di travaglio e di tormentato stupore, di abbagli e consapevolezza, di apparenti sondaggi all’interno della propria esperienza di vita che direttamente si connettono alla matrice profonda del suo verso. Invece che interpretarla egli la determina, la parola, in una scrittura ampia e ben dosata nei dettagli, che sa ottenere un esito compiutamente e felicemente raggiunto a mezzo di un lessico visivo, sofferto, senza essere mai destabilizzante, vigile, maturo, fruibile in tutta l’ampiezza del contenuto metaforico e dell’apparato correlativo, attraverso adeguate e trasfigurative rappresentazioni.
La scansione e il ritmo sono l’antefatto di una sigla letteraria perfettamente autonoma che sa variare la scrittura a seconda delle circostanza e delle esperienze, evidenziandone una puntuale e acuta totalità d’intermediazione tra i vari elementi. Colpisce di questo autore la grandiosa e sapiente modalità di concatenazione che avverte in profondità un rapporto privilegiato con la poesia, e ne sa conquistare l’anima mundi, ne sa estrapolare e agglutinare l’esemplificazione verbale, attraverso il gioco interferente dei raffronti delle componenti lessicali, aprendosi all’indagine a 360° per approfondire le dinamiche delle immagini, donarsi alla vita con tutta la carica ontologico/ sperimentale che ne moltiplica la potente e definitiva sintassi espressiva. Si evince la compostezza del verso che riproduce in motivazioni vaste e ben delineate le istanze amorose più intime, così come quelle sociali, morali, coniugandone l’archetipo della pagina con le modalità delle diversificate sinergie liriche. “Quando il sole taglia il viso e s’inerpica sugli aranci,/ tu non fingerti eco di pene, ma rivèstiti di luce, Jole-/ circoscritta di grazia nella bionda chioma”. (pag.30, Todestrieb).
Vi è in tutta la produzione lirica di Ciro Vitiello ben delineata la configurazione allegorica che si mostra ad un andamento costitutivo dell’io e del noi, una formula felice che contempla l’esistenza di un altrove, di un abbinamento tra noi e il Nostos, tra l’impianto erotico e la vita, tra il bene e il male, tra la verità e il dubbio. Ben individuati sono i raccordi e le concatenazioni di pensiero che cercano il congiungimento metafisico con la realtà circostante, trepidanti giochi di solarità appaiono certi enjambement, certe controversie che detengono andamento di narrazione, nella cangiante partitura delle accensioni testuali.
L’invenzione immaginifica resta sempre alta e presuppone un’astrazione di riverberi talvolta abbrividenti, altre solari: “Mi fonde alla luce la soave luce/ del crepuscolo” (Riflesso magico e anche in Ripiegamento).
Molto ben costruiti questi versi che sanno coniugare stratificazioni e significati di una introspezione non secondaria, che si ricollega al processo mentale attraverso la scomposizione degli elementi di saldatura: “ Dissolversi è destino, ma basta una sillaba, /una sola, perché il tempo si ripeta e duri! //...// dissipo le fervide vocali, sfioro l’amaro/ istante, ritaglio le forme del nostro fiato per incidere” (Dissolversi è destino).
Notare il continuum tra la simmetria dell’insieme e la rarefazione di certi stadii preesistenti, la quasi vivisezione, che determina la scissione delle istanze simboliche e la trasfigurazione concettuale si articola dalla proiezione dell’io stesso dall’altro di sé nell’imperturbabilità mimetica della ragione antinomica che s’instaura, tra la verità e il suo nulla, in cui si dibatte l’io indifeso quando dall’assenza riformula la coesistenza del riscatto liberatorio, per superare l’analogismo della perdita e la dimensione morfologica metastorica del logos, dei simboli.
Vitiello è senza dubbio una voce ampia e forte nel diorama della poesia del secondo Novecento perchè la concrezione si avvale di procedimenti linguistici che sono percettivi e ispirativi di tutta la sua soggettività individuale.

Ninnj Di Stefano Busà
                                                                                                      

domenica 28 ottobre 2012

Bianca Madeccia e le sue "variazioni sul buio"


C'è un respiro cosmico, che avvolge tutto l'universo nel cui centro c'è l'uomo, in questi versi possenti e nello stesso tempo delicati, quasi volatili, di Bianca Madeccia. Una poesia, la sua, che va oltre ogni schema precostituito, ma soprattutto una poesia che innalza, e che sa fondare sulla parola e sull'immagine la sua potenza espressiva.
Proponiamo qui alcuni testi della poetessa, tratti dalle raccolte "Variazioni sul buio", "L'acqua e la pietra" e "Registro delle perdite", chiedendo ai nostri affezionati lettori di aggiungere qualche gradito commento.



Senza fine né un inizio
costantemente scagliata in differenti direzioni
la punta della freccia mostra
che da un punto all'altro del mondo
ogni azione, direzione e possibilità
di ogni momento, di sempre,
è solo un'altra deviazione temporanea degli eventi

(da “L’acqua e la pietra”, Lietocolle 2007)

*

Canto con i tuoi petali in gola
signora del sentiero, antitesi del giglio
vetro che vibri di tutti i suoni del mondo
nuvola che appare sulle città maledette
legno che presiedi i patiboli
ferro forgiato dai lampi
o rosa mistica
preserva la nostra voce
non restituirci
alla bianca sequenza delle ore morte
rendi fertile questa miseria
insegnaci una lingua
che questo secolo comprenda
oppure che termini ora il cantico
perché non ha più senso
questo monotono lamento
torni dunque il silenzio
a bruciare come il sale

(da “Variazioni sul buio”, Edizioni Contrasto 2009-10, edizione in e-book Nsf  2012)

*

Non mi perdo nell’oppio delle forme
nel bianco abisso l’esattezza è traccia
Filare, recidere il sudario quotidiano
un lino bianco che è poema per sepolture
dove ogni ornamento è crimine
Per ogni chiara scelta che s’annuncia
ce n’è una di segno opposto che io annullo
La mano decide, la falce precede e taglia
Tratteggio planimetrie, ragnatele tenaci
barche sconfinate dal luogo a loro destinato
vasti, intricati continenti percorsi da segni cristallini

(da “Variazioni sul buio”, Edizioni Contrasto 2009-10, edizione in e-book Nsf  2012)

*

Nello splendore bianco che riluce
nella goccia di latte vegetale
nell’avorio stanco dei lunatici
nel fervore degli erranti che non cercano di invertire la rotta
nello sguardo che trattiene lo slittamento dei ghiacciai
nelle acque avvelenate
nei climi maligni
nell’affanno rauco di chi non si separa da certi giorni certe ore del passato

Nel nero della terra
nella quiete delle anime impure
nel vasto disordine di acque

nelle litanie indecifrabili mormorate con voce sorda e spezzata
nell'ostinato vangare e rivangare l’orto logoro delle concessioni

pressando certi neri materiali nelle zone fragili della coscienza
oscure sostanze fermentate fatta di silenzio a cui risponde solo silenzio

ovunque e in tutto questo, da una città cinta da alte pietre
scavo scruto scrivo cerco ogni giorno in ogni lingua del mondo
un alfabeto che mi insegni della reputazione degli alberi
della misura della grazia di una nuvola antica
dei labirinti duraturi e luminosi dell'aria e delle acque

( 2012, dalla raccolta “Registro delle perdite”)

Bianca Madeccia, giornalista professionista, dal 1990 al 2002 è stata redattrice di “Avvenimenti” (ora Left) dove, tra le altre cose, è stata responsabile dell’inserto letterario Avvenimentilibri.
Scrittrice e ricercatrice visiva è autrice della raccolta poetica L’acqua e la pietra (Lietocolle), di Tempo plaquette d’arte a tiratura limitata con fotografie di Carlo Porrini (IlFiloDiPartenope), Dei tre modi del camminarti (Collezione di sabbia, FiloDiPartenope), di Variazioni sul buio, di Àncore stellari, edizione d’arte numerata (in collezione privata depositata presso il “Museo di Ronsard”, Tours, Francia, 2011) e di videopoemi  (alcuni visibili su youtube) che sono stati presentati in festival e rassegne di poesia italiana contemporanea.
Vincitrice nel 2010 della 25° edizione del premio nazionale di letteratura “Libero de Libero”, nel 2007 del premio nazionale “Fonopoli” con l’installazione di poesia visiva “Tessere il silenzio”, nel 2006 di “Culturexpress” premio nazionale della Fondazione Eni Enrico Mattei.
Nel 2009 il suo poemetto “Elektra.Digital.Suite. Quattordici scenari digitali e cinque quadri analogici” è stato selezionato per la finale della manifestazione internazionale “Forme uniche di continuità nello spazio” e musicato dal compositore polacco Jakub Polaczyk.
Suoi testi (poesia e microracconti) sono presenti in numerose antologie, tra le principali: “Fotoscritture” (Lietocolle 2005), “Stagioni” (Lietocolle, 2007), “Roma verso Milano” (Lietocolle 2007), “Albergo Europa: camere comunicanti”, (Fondazione Eni Mattei, 2007), “Verba Agrestia” (Lietocolle, ed. 2008, 2010), “Mundus. Poesie per un’etica del rifiuto” (Valtrend Editore, Napoli 2009), Carovana dei versi. Poesia in azione, (Abrigliasciolta, ed. 2009, 2010, 2011), La Settimana della Lingua italiana nel mondo, IX edizione, (Melbourne, 2009) a cura di Rosaria Lo Russo, Registro di Poesia N.3 (a cura di Gabriele Frasca, edizioni d’If, 2010), Il segreto delle fragole (Lietocolle, 2011 e 2013). Tra le sue pubblicazioni, il primo “Dizionario sessuato della lingua italiana” (Elettra Deiana, Bianca Madeccia, Marcella Mariani, Silverio Novelli e Edgardo Pellegrini ed. LIE, 1994). E’ stata inserita nel volume “Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea (2006-2011)”, a cura del poeta e critico Stefano Guglielmin. Fa parte della Sil (Società delle letterate italiane).
Sue poesie, racconti, saggi e articoli sono stati pubblicati sulle riviste: Poesia di Crocetti, La Mosca di Milano, La Stampa, Ellin Selae, Ctonia, FemminartRewiev, Mangialibri e sui lit-blog e riviste letterarie presenti sul web: La dimora del tempo sospeso, Viadellebelledonne, Vico Acitillo, La poesia e lo spirito, Nazione Indiana, LucaniaArt, Blanc de ta nuque, Poesia 2.0. In radio suoi testi sono stati presentati a RaiRadio1 (2007) a Zapping da Aldo Forbice e su Rai 3 Suite (2010) da Nicola Campogrande.
Cura in rete “Epitaffi in video” un canale di videopoesia e reading d’autore.
Ha partecipato e partecipa a reading dal vivo in festival e rassegne in ogni parte d’Italia.
Dal 2008 è direttrice artistica del Festival nazionale di poesia contemporanea “Silenzi in forma di poesia” rassegna inserita nel “Maggio Sermonetano” (Sermoneta, Lt), manifestazione che ha cercato di portare alla luce voci, stili, generi, tendenze attualmente presenti nei cantieri della poesia italiana contemporanea.
Si sono occupati del suo lavoro: Angelo Favaro, Aky Vetere, Fortuna della Porta, Franco Vivona, Annamaria Ferramosca, Giovanni Nuscis, Ivano Mugnaini, Luciano Pagano, Mimmo Grasso, Leone D’Ambrosio, Cristina Contilli, Raffaele Piazza, Daniela Raimondi, Victoria Surliuga, Giorgio Bàrberi Squarotti, Maurizio Cucchi, Francesca Mazzucato, Giacomo Cerrai, Gian Paolo Grattarola, Roberto Bertoni, Giuseppe Napolitano, Sergio Zanone, Luisa Pianzola, Antonio Fiori, Stefano Guglielmin, Maria Grazia Calandrone.






venerdì 21 settembre 2012

La "Cronaca dal Midwest" di Gerardo Pedicini

Cronaca da Midwest è una recente breve piacevolissima silloge composta da Gerardo Pedicini, in cui si alterna la pregevole traduzione in inglese di Manuela Batul Giangrande.
Si tratta di versi che rievocano il grandioso paesaggio americano, con note riflessive sugli stati d'animo da esso suscitate, lungo il viaggio, e qualche nota di nostalgia. Un linguaggio, come sempre, solido nella costruzione e nel progredire, quello di Pedicini, che con piacere proponiamo nuovamente in questo blog, per altri interessanti e graditi commenti da parte dei lettori.


I.

Ad una svolta, improvvisa l’ansa del fiume.
“È il Mississippi”, disse James.
Il fiume pareva fermo come un lago.
Il bridge lungo più di un quarto di miglio.
Oltre il ponte
la strada riprese a correre
tra distese di soia e di granturco.

Si viaggiava in un continuo rombo
di motori. Le windmills segnavano
il passo del tempo. Erano una mandria di draghi
in fila lungo la linea dell’orizzonte. “Questa è l’America”. James,
il taciturno, parlò come mai aveva parlato.
Mi parlò delle aquile che rotano alte nel cielo,
degli antichi amerindi Iowa, del Mormon Trek
e di Cedar Rapids distesa come una donna
nel letto del fiume.

La sera avanzava col vento
che radeva le cime degli alberi
come una gigantesca mower.

Fu subito notte. E nel buio
si accesero a migliaia fuochi vicini lontani.
Viaggiavo come chiuso in un hangar volante,
sospeso in un nido di vespe
nel blu silenzioso della notte.

Fu allora che pensai al mio paese
e alla festa di S. Rocco che è come
uno scoppio di melograno maturo
nel cielo acceso di speranze.

I.

At a turn, sudden the bend of the river.
"It's the Mississippi," James said.
The river seemed as still as a lake.
 The bridge long more than a quarter of a mile.
 Over the bridge
 the road resumed to run
 among expanses of soybean and maize.

One travelled in a continuous roar
 of engines. The windmills marked
 the passage of time. They were a herd of dragons
 lined up along the horizon. "This is America." James,
 the taciturn, spoke as he had never spoken.
 He spoke to me of eagles that twirled high in the sky,
 of the ancient Iowa Amerindians, the Mormon Trek
 and of Cedar Rapids stretched like a woman
 in a river bed.

The evening advanced amid the wind
 that shaved the tree tops
 like a giant mower.

Soon it was night. And in the dark
lit thousands of fires near far.
I travelled like closed in a flying hangar,
suspended in a wasps' nest
in the blue silence of the night.

It was then that I thought of my country
and the feast of St. Rocco that is like
a burst of ripe pomegranate
in the sky lit up with hope.

II.

Al mattino fui nel Nuovo Mondo
“ove nessuno può entrare senza il permesso di Dio”
come ebbe a scrivere Cristoforo Colombo
nel diario del suo terzo viaggio.

Ero come disperso in una distesa di case e giardini,
perduto come rondine senza nido. Giravano
a frotte nell’aria in cerca di cibo.

“Sono due mesi che non piove”, disse Michael
seduto al volante come un comandante sulla tolda della nave.
Le roads salivano e scendevano dai dossi
come acquatiche anaconde.
L’aria era una apple freeze dried.
Il Capitol un peanut butter alzato al cielo.

D’improvviso il cielo diventò
una nera coperta bagnata 
e venne giù la pioggia battente.
La terra scivolò in un mare di foglie e fango.

Dietro i vetri della tipografia di Sara,
nel profumo d’inchiostro
e tra le rose del quadrante
del libro di Shakespeare,
io ero come a casa
e per me fu come un miracolo
specchiarmi nel fiume Iowa
con la luna che si alzava dietro il ponte.

(Luglio-agosto 2012)

II.

In the morning I was in the New World
"where no one can enter without the permission of God,"
 as Christopher Columbus wrote
 in the diary of his third voyage.

I was as if lost in a sea of houses and gardens,
astray as a dove without a nest. They turned
in flocks in the air in search of food.

“It’s two months that it doesn’t rain,” said Michael
 sitting behind the wheel as a commander on the deck of his ship.
 The roads ascended and descended from the mounds
 as aquatic anacondas.
 The air was an apple freeze dried.
 The Capitol a peanut butter raised to the sky.

Suddenly the sky became
a sodden black blanket
and down came the pouring rain.
The earth slid into a sea of mud and leaves.

Behind the windows of Sarah’s typography,
in the scent of ink
and among the roses of the face
of the book of Shakespeare,
I was like at home
and for me it was like a miracle
to be mirrored in the Iowa River
with the moon that was rising behind the bridge.

(July - August 2012)

III.

… e il giorno dopo e l’altro ancora 
le grafie dei rondoni nell’aria
e dal muro di piante all’orizzonte
tornò il vento a radere l’erba
come un’onda.

Il diluvio era passato,
ma non la paura.

Seduto sul deck
respiravo assorto
la luce del mattino
come le donne di Hopper.

Di colpo fui con Paul Austen
per le vie di New York:
ero un’ombra
nel fogliame dei palazzi
affacciati su Riverside Park.

“Questa è l’America,”
mi ripetevo come in sogno.
E nel sonno, assordante, mi giunse
il rombo di mille e mille aerei in volo
e il rumore sordo delle bombe a terra.

Piangevo come un bimbo
sperduto in mezzo a una nuova guerra.

Mi svegliai a mezzo il giorno
con l’odore del latte cagliato
che arrivava dalla farm degli Amish a Kalona.
“Anche questa è l’America,
forse più vera e migliore dell’altra”,
mi dissi scotendomi di dosso
le ombre del mattino.

Me ne andai allora
a rinfrescarmi alla fontana dello Sheraton
e all’ombra del Solar Marker ritornai
a essere me stesso.

III.

… and the day after and yet another
the writings of the swifts in the air
and from the wall of trees on the horizon
returned the wind to shave off the grass
like a wave.

The deluge had passed,
but not the fear.

Sitting on the deck,
I breathed immersed
the morning light
like Hopper’s women.

Suddenly I was with Paul Austen
along the streets of New York:
I was a shadow
in the foliage of the buildings
overlooking Riverside Park.

"This is America,"
 I repeated like in a dream.
 and in my sleep, deafening, came
 the roar of thousands and thousands aircrafts in flight
 and the thud of bombs on the ground.

I cried like a child
lost in the midst of a new war.

I woke up at half the day
with the smell of sour milk
that came from the Amish farm in Kalona.
"Even this is America,
perhaps truer and better than the other, "
I told myself shaking off
the shadows of the morning.

I went then
to freshen up at the Sheraton fountain
and in the shadow of the Solar Marker I reverted
to being myself.

IV.

Nel frastuono di lingue sconosciute
vado avanti e indietro come un pendolo:
Clinton Street 100 – Washington Street 10
Dubuque Street 100 – Iowa Avenue 10.

Mi sembra d’essere
tornato bambino
e di perdermi (nel gioco
dei quattro cantoni
son restato sempre fuori,
come adesso a Iowa city).

Altro non c’è che questo andare
nel girotondo delle strade
dove non sai se sei solo
anche se incontri
una fiumana di giovani
che con gioiosa cortesia
ti saluta festante
con sempre la stessa cantilena:
“Hi!” “Hi!” “Hi!”
a cui risponde
il mio stanco: “Hi!”

Come è lontano il tempo
quando il tempo era sempre uguale,
e come erano amari gli anni
che ho disseminato
nel campo di ulivi attorno casa!

(Iowa, 29 – 31 agosto 2012)

IV.

In the din of unfamiliar languages
I go back and forth like a pendulum:
Clinton Street  100 - Washington Street 10
Dubuque Street 100 - Iowa Avenue 10.

I feel as if I am
a child again
and that I get lost (in the game
of four corners
I always remained outside,
as now in Iowa city).

There is nothing else but this going
in the ring-a-ring-a-roses of roads
where you do not know if you're alone
even if you meet
a torrent of youngsters
that with joyful courtesy
greet you joyfully
with always the same chant:
"Hi" "Hi" "Hi!"
To which you respond
with your tired, "Hi!"

How far away is the time
when time was always the same,
and how bitter were the years
that I scattered
in the field of olive trees around the house!

(Iowa, 29 - 31 August 2012)

V.

Dopo il mio lungo girovagare
in questa Babele del Nuovo Mondo,
mi siedo sull’erba
all’ombra del Liberal Arts .

L’erba è arsa dalla pioggia
e odora di mele marce.

Mi distendo al sole
che mi piove addosso
come uno straccio consumato.

Nel sacco che mi porto dietro
ritrovo le mie poche cose:
un libro di James Thurber,
la vita che in un fiato se ne è andata,
l’aspro sapore dei ricordi fatti fango,
gli amici lasciati, gli amori perduti...

Che sia anche per me l’ora
di arrivare alla soglia
e dire addio alla vita
che è finita come un niente?

(3 settembre 2012)

V.

After my long wandering
in this Babel of the New World
I sit down on the grass
in the shadow of the Liberal Arts.

The grass is burnt by rain
and smells of rotten apples.

I lie under the sun
that rains down on me
like a worn-out rag.

In the sack that I carry around
I revive my few things:
a book by James Thurber
life that in one breath has gone,
the bitter taste of memories become mire,
friends left behind, lost loves...

Is it time for me as well
to reach the threshold
and say goodbye to life
which ended as a nil?

(September 3, 2012)

mercoledì 19 settembre 2012

Patrizia Cremona e i suoi "Sostantivi dell’inverno"


Un desiderio di apertura, di trovare spazi al di là della materialità quotidiana, di trovare o ritrovare sentimenti nell'"oro dello sguardo che sposta sole e cielo". Dare insomma una nuova sostanza allo scheletro della vita, che sia finalmente rivestito di autentica passione e non soltanto di "ombre" e di "nebbie" vaghe e informi. "Sostantivi dell'inverno" mi sembra titolo indovinatissimo per questa breve silloge inedita di Patrizia Cremona, salernitana, nuova rivelazione poetica che l'amico Mario Fresa ci ha sapientemente proposto, e per questo lo ringraziamo. Ci rivolgiamo ora ai nostri lettori per qualche altro gradito commento in proposito.

Sostantivi dell'inverno
(inediti)

*
Lo spazio ricama gli scontri, e la notte non esiste:
ritarda l’oro dello sguardo che sposta sole e cielo;
questa mia pelle, vedi, provoca pioggia
e disattenzione.

*
Sembra che piova e te lo immagini soltanto.
Così, se lo ricordi, il pensiero
del cielo si trasforma nel povero
inventario delle attese:
«qualcuno ci ha lasciato; neanche tu,
nemmeno io, ci siamo accorti mai di nulla…»
[…]
Le mani, perciò, si perdono
nella confusa
convenzione del mondo.
Qual è la vera forma di questa nebbia calda
che si ripete e poi scompare,
proprio adesso, davanti agli occhi tramortiti?

*
Le notizie degli ultimi istanti hanno ceduto,
rovinano nell’orma dei solenni
passi lunari.
La fiamma è ricaduta sul volto
di questa notte obliqua, e insieme sotterriamo
le segrete, le severe parole
dell’inverno.

*
E appunto nelle rose dell’aria tu mi perdi:
e nella lama dei nomi abbandonati
poi mi ritrovi.

*
L’ombra ci appare interminabile: qui, dietro di noi,
già lentamente vive l’idea finale di salutarci, di concludere l’attesa:
già si consuma nell’aria, e ci profila il suono opaco
delle gore invelenite, la povera promessa dei temporali
che sono così vicini, ascolta,
al nostro corpo.

*
La notte riempie la mia beatitudine e sono
imprigionata qui, senza rimedio.

Patrizia Cremona è nata a Salerno nel 1976. Ha pubblicato "La distanza dell’aria" (litografia di M. Vecchio, Edizioni d’arte L’Arca Felice, 2011).





Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà