giovedì 13 febbraio 2025

Ennio Meloni e la sua poesia d'impegno in "La candela del minatore"

È certamente un’opera singolare, questa raccolta recentissima di Ennio Meloni, attento e valido poeta sardo, e coraggioso narratore di ambientazioni e periodi storici, lavorativi e politici della sua terra d’origine. Coraggioso, perché affrontare e descrivere con la poesia, e in poesia, temi particolarmente delicati come le problematiche dei lavoratori, dal punto di vista sociale, umano e persino sindacale e politico, è alquanto rischioso, potendo cadere nella mera narrazione documentaria priva di quella musicalità e di quelle aperture verso le altre significanze, che sono alcune delle caratteristiche peculiari di un testo poetico. Ma Ennio Meloni, consapevole di questo rischio, lo evita con la sua grande competenza letteraria, producendo dei versi generalmente lunghi, ma che conservano costante il tono e il ritmo, e fondando essenzialmente il suo dire sulla parola, sulla gravità della parola, che nel verso assume tutto il suo spessore e potenzialità di significati.

La candela del minatore è dunque un vero poema dedicato al mondo dei minatori, e in particolare al padre dell’autore, come afferma egli stesso nella sua introduzione, e per estensione a tutte quelle realtà del mondo del lavoro di quel periodo (anni cinquanta e sessanta del secolo scorso) che hanno interessato la regione sarda del Sulcis, innescando problematiche sociali e sindacali molto importanti. Ennio Meloni ne parla con cognizione di causa e con versi che entrano, come un minatore, nella profondità dell’animo del lavoratore, traendone riflessioni dure, i segreti patemi, le sofferenze e i disagi, ma anche mirando ad una natura selvaggia e aspra ma nello stesso tempo accogliente e benevola, materna.

A questo punto l’accostamento a un Rocco Scotellaro, il poeta contadino delle nostre terre lucane, troppe volte dimenticato, o ad un Vittorio Bodini, potrebbe essere opportuno, in questo caso. La poesia di Ennio Meloni, qui è infatti da considerarsi un pregevole recupero di quelle antiche identità lavorative e sociali che nobilitano da sempre, con la forza, la volontà, la passione e l’abnegazione, secoli di storia non solo sarda, ma meridionale e persino italiana. E la poesia, anche qui, è utile strumento di comunicazione e di educazione ai buoni e fondanti valori della vita.


Avviandomi per la tortuosa strada

sterrata che in salita si srotola,

tra rade macchie di cisto e fitti lentischi

punteggiati di euforbia e fragrante elicriso

accompagnato dal coro di mille cicale

sono infine arrivato sulle pietre ammucchiate

tra cespugli e macerie dove un tempo sorgeva

la casa che fu della mia adolescenza.

 

Davanti all’albero ombroso,

ove m’arrampicavo a sognare

di essere un grande pilota,

ho rivisto quegli anni ch’ero ancora bambino.

Come nuvolaglia che fugge in un cielo ventoso

son trascorse le ore di quel pomeriggio

nel villaggio che fu già degli Asproni.

In cima il padrone con la direzione

intorno vicino i fidati aiutanti

poi gli operai dispersi nell’agro

come fosse un castello di antica memoria.

Poi, m’è apparso al tramonto

oltre i colli che scendono al mare

sopra giubbe ormai lise e capelli arruffati

garrire rosse bandiere innalzate

nei lontani cortei di lotta e riscatto.

Ho pensato, un po’ triste,

ai mille poveri morti del lavoro in miniera.

A volte caduti per il cottimo assurdo

o uccisi più spesso dall’immondo profitto.

Il pensiero alle vedove, agli orfani implumi

alla fame immanente, al futuro negato.

E intanto, nel cielo si è alzato

il viso rotondo di una pallida luna,

e passa, tra le querce ed i lecci

la sparuta processione operaia

del turno di notte in miniera

punteggiata dalle guizzanti

fiammelle di candele a carburo.

Parlottano fitto dei bassi salari

imprecano allo spaccio che è esoso

ai partiti che, dicono, si sono venduti

ai sindacati che sono ogni volta divisi,

e progettano scioperi e lotte

rimandando a domani l’agognato riscatto.

Ora passano in fila altri operai

sono curvi e stremati

riemersi alla luce, dopo il turno notturno.

Indovino unghie orlate di terra

e mani callose appese alle braccia

curvate le schiene dal pesante lavoro.

Anche oggi è salva la vita

la mina non ha anticipato

e la roccia è franata in fornelli deserti

possono, esausti, tornare alle case

dormir poche ore ed attendere

un altro turno nel buio a raccogliere il pane

appesi alla tremolante fiammella

della fida candela a carburo.

Mi pare ancor di vedere

la dignitosa miseria delle case operaie,

sparuti grappoli di bimbi vocianti

che al rientro dei padri interrompono i giochi,

per sedere affamati intorno a minestre

condite con dignità premurosa

dalle eroiche mamme operaie

che tra un boccone ed un altro

parlano ai figli che ascoltano attenti

di un futuro migliore che ancor non arriva.

Poi nella notte ancor giovane,

mentre la luna di latte, che pareva

anche lei, pensare nostalgica

a quel mondo di un tempo,

mi mostrava ogni fosso, ogni sasso, ogni spina,

mi sono avviato pensoso sulla strada di casa

mentre qui e là qualche grillo nascosto

tra gli asfodeli ormai secchi

innalzava il suo canto a corteggiare la luna.

Sono quasi sull’uscio di casa:

un cane randagio abbaia alla notte

ed un altro rovista tra rifiuti di cibo

nell’affannosa ricerca d’un prezioso boccone.

Un uomo minuto che mi par di conoscere

s’avvicina un po’ incerto, poi con un bastone

scaccia il cane lontano, e prende,

guardingo, il suo posto a cercare.

La luna, mi accorgo, si è nascosta

indignata dietro una nuvola spessa

mentre dalla casa vicina un giornale notturno

annuncia con tono neutrale

che vorrebbe sembrar persuasivo

“Duecento migranti sono oggi annegati,

a due passi da terra, nel Mar di Sicilia.

I morti dell’anno son già più di mille

annegati, per le incoscienti avventure

che prendono avvio dalle sponde Africane”.

Vedo intanto in uno spicchio di cielo

sgretolarsi le dodici stelle e l’Europa

precipitare nel Mar di Sicilia

annegata dal suo stesso egoismo.

Intravvedo nella sera un’alta figura,

mio padre che s’alza dai neri cipressi

e come un tempo mi spinge

a cercare e trovar le parole

per difender chi è debole e vinto

chi è senza diritti e sfruttato.

E penso all’amaro destino

dei tanti fratelli e sorelle

che oggi annegano in mare

cercando una vita più giusta, più umana,

sono compagni di viaggio e di lotte

d’ogni uomo che arranca per la sua libertà,

(il migrante che annega in un pozzo di sale

è un minatore che cade per tempesta da frana)

e vedo ad oriente bagliori di bombe,

mamme che piangono i figli

bambini che piangon le mamme

morti privati di nome, di foto, di tomba

morti senza storia che macchiano la Storia

e feriti storpiati dall’odio

che pregano un dio che pare

parlare una lingua straniera

e macerie su macerie ove ancora iersera

c’erano scuole, ospedali, chiese, moschee.

È buia la notte e pare molto lontana

persino irraggiungibile

la pallida luce dell’alba.

 

 ***

 

Questo tempo malato

 

Ci sono

ormai sempre più spesso

giorni in cui vorresti

arrampicarti su, nel cielo

tra le alte nuvole leggere

per guardare da lontano

le misere lotte tra gli uomini

per qualche metro quadro

da occupare o liberare

di quella che con enfasi

definiscono “mia patria”

pensando, pare incredibile,

che qualche dio di comodo

gliela abbia destinata.

 

 ***

 

Nostalgia

 

Il sole sta calando

sulla strada ora asfaltata

che sale fino alle miniere

tra vecchi impianti diroccati

e nuovi arbusti rigogliosi.

Solo le corolle

del tarassaco e del cisto

mostrano al passo stanco

i colori sfavillanti

del tempo dell’infanzia.


Brani tratti da:

Ennio Meloni, La candela del minatore, RPlibri, 2025. Postfazione di Ottavo Olita


Ennio Meloni nasce a San Vito a metà del secolo scorso. Figlio di un minatore, vive da tempo a Gonnesa, al centro del bacino minerario del Sulcis Iglesiente dove ha fondato e presiede la Associazione culturale “Radici e ali” e un premio annuale di poesia “Le strade della poesia”. Socio volontario della Cooperativa sociale “Casa Emmaus”, ha fatto parte per parecchi anni, a titolo gratuito, del suo CDA. Appassionato lettore di Neruda, Hikmet e Brecht è arrivato alla scrittura solo con la piena maturità. Ha pubblicato due raccolte di poesia: Centellino amore, LietoColle Editore 2009 e Davanti al mare, RPlibri 2023. Sue poesie sono state pubblicate su raccolte e riviste. Ha pubblicato qualche racconto breve.

Le poesie di questa raccolta sono del periodo 2015-2024 salvo due che sono del periodo precedente e sono tratte dalla raccolta Centellino amore pubblicato nel 2009.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà