Il poemetto della Mastrototaro si struttura come una architettura abitativa, a partire dallo zerbino davanti all’ingresso, poi un’entrata, un’uscita, e poi addirittura una porta di emergenza. Molto arguta è poi la citazione finale, una sorta di cartello piantato davanti casa, o precisazione in calce ad un avviso pubblicitario: “ATTENZIONE , questa casa è un prodotto deperibile conservare nella memoria.”
Ma c’è qualcosa di più profondo, in questa poetica, oltre al tema dell’antispecismo su cui è modulata. La poesia è sempre un veicolo importante di comunicazione emotiva e a volte di denuncia di situazioni etiche e sociali non sempre virtuose, a dirla con una certa enfasi. Qui a mio avviso la poesia della Mastrototaro è in grado di sconvolgere le prospettive abituali, spostando il baricentro narrativo sul soggetto-animale (lucertola, tartaruga, mosca, ragno, cane, gatto…) e investendoli dei medesimi problemi, crucci, preoccupazioni, quotidianità del consesso umano. C’è inoltre, in quasi tutte le liriche, una similitudine tra l’io narrate (l’Autrice) e la situazione del soggetto-animale, quasi un voler immergersi nella sua realtà per capire, comprendere meglio le circostanze: “Con gli insetti marcisce mio padre / mentre affondi, magari erompi, / sulla cena / la vergogna di una mosca / con cui tremare cadendo / senza volo. (ragno)”.
Una simbiosi perfetta, dunque, dove non ha più importanza il soggetto, che sia umano che descrive o che sia animale descritto, bensì l’azione, il comportamento, il pensiero latente, il dubbio, l’orrore, le sensazioni e le emozioni di un mondo frammentato e a volte ingiusto, forse anche inspiegabile perché abituale e noiosamente ripetitivo. Ma, in fondo, e in realtà, un modo molto intelligente, e davvero poetico, per raccontare, ironicamente, la vita e metterne in risalto pregiudizi e ingiustizie.
Deponi nella polvere dove ti perdo.
È così bella la terra morta con coraggio,
e ti fondi nel finale.
Sono in abbandono alla tua grazia
che fa della spiaggia un lamento.
La solitudine è acqua che nel fuoco scompare
ma non abbandoni la carne né la casa che ha
un cortile, e un angolo aperto di luce: gli occhi.
Ti fai tardi nel tempo da dove ritorni infine.
Ti invecchi quasi per morire e
vieni fuori perché
dirmi di rimanere
mi riposa.
(tartaruga)
Il sole tramonta o dà le spalle al cortile
ed è tardi agli spigoli dei nostri cespugli.
La casa arde dietro la porta
nessuna ha scampo né il cane
che abbaia di saper volare.
La mia barca ha raggiunto la forma bianca
su un tappeto rosso, al contrario una foglia.
Miagola gatta e butta via la voce
là dove cade.
Il campanile ha finito la sua malinconia,
c’è un corvo che intoni un rumore?
Per caso una stagione, forse una bestemmia.
(cane)
Curve dal fondo che chiude il canale
per poi sparire con la lentezza di un dolore.
Mi concentro sul dotto lacrimale come
una finestra che chissà quando chissà dove
troverete l’uscita.
Persino le ceneri del mio corpo
vi accompagnano dalla strada al cadere.
La pioggia è un rebus dove la terra finge
del vostro ritornare alla mia casa.
Fermatevi e non dimenticatemi
perché
c’era una volta una stanza.
(formiche)
Conosco poco della tua trama
ma è come se mi conoscessi,
come se mi raccontassi.
Come quando non succede mai ma
sei accaduto.
Tu, del sangue dei tuoi mille incontri,
io, a fare della vita un puzzle.
Nel lutto sulla parete
dentro la casa tessi le fila
di un infermo.
Con gli insetti marcisce mio padre
mentre affondi,
magari erompi,
sulla cena
la vergogna di una
mosca
con cui tremare
cadendo
senza volo.
(ragno)
Lavori da casa – sei smart –
ogni due ore puoi pisciare
la pausa delle sette è per cenare
(mangi tu mangia il gatto)
Più di tre minuti la telefonata
non deve durare
ma tu ascolti la vecchietta
che ha bisogno di raccontare.
Non cambia gestore né numero
di cellulare ma a fine chiamata
ti invita al suo funerale.
Gli scarafaggi
bisogna vederli morire
per rendersi conto
che sono esistiti.
(gatto)
A Largo Ascianghi
un’impresa funebre,
un fruttivendolo,
un negozio di cellulari.
Lo disegni a tuo padre
sulla mappa accartocciata
come la corteccia celebrale
danneggiata.
(Caccia all’indovinello,
caccia al tesoro, caccia
al palloncino. Caccia
casalinga, caccia con il nonno.
Caccia alla pancia padre botte
piena figlia ubriaca).
“Ti prometto che sarai
l’ultima fermata”.
Padre senza fretta
senza senso
senza perdita.
Padre Alzheimer
demente – assente.
Padre museo.
Padre pesce rosso
giri in tondo dentro
al vetro.
(pesce rosso)
Teodora Mastrototaro, drammaturga, poetessa e attivista antispecista
è nata a Trani nel 1979, vive a Roma. Ha pubblicato due raccolte di versi, Afona del tuo nome (La Vallisa 2009), tradotta
dal poeta americano Jack Hirschman con il titolo Can’t voice your name (CC. Marimbo 2010), e Legati i maiali (Marco Saya 2020). Le poesie Carne e Gabbia sono state
pubblicate nella rivista di critica antispecista “Liberazioni” (n. 50, 2022).
Il racconto Il Mattatoio è stato pubblicato
sul magazine radicale internazionale “Menelique”. Il monologo Il riflusso (dalle reali testimonianze
dei lavoratori dei mattatoi) è stato pubblicato su “Liberazioni” (n. 51, 2022).
È inoltre presente nel volume collettivo, tutto al femminile, Bestie - femminile animale (Vita Activia
Nuova APS 2023).
Diversi sono i suoi spettacoli rappresentati e premiati