Succede così di trovarsi di fronte a mere emulazioni, a languide e inconsapevoli versificazioni di storie autoreferenziali, a volte banalmente intrise di figurazioni ridondanti e abusate, a volte eccessivamente impetuose e persino aggressive.
Altre volte però, e forse più raramente, il giovane poeta riesce a individuare una propria strada, un proprio cammino che, consapevole dell’importante e ricca eredità culturale lasciata da quei Grandi, con serietà e impegno comincia a tracciare un suo valido e significativo itinerario poetico. Sono in effetti perle rare, creativi che fondano il proprio intuito artistico su ricerche ad ampio raggio sui perché della vita e sul senso dell’esistenza, ponendosi interrogativi che poi estrinsecano attraverso l’espressione della loro arte, sia che si tratti di pittura, scultura, sia che si tratti di musica e di poesia. Nel nostro caso, il giovanissimo Giansalvo Pio Fortunato, originario di una cittadina in provincia di Caserta, mostra nonostante l’età di possedere già quel bagaglio intuitivo, filosofico e propositivo, di elevata qualità, necessario affinché la sua ars poetandi sia davvero all’altezza della situazione, e cioè: una poesia che abbia un costrutto propositivo, un’impronta propria, un’originalità di vedute e di stile, e quant’altro di sottile e di inavvertito ma potenziale in sé, tanto da essere in grado di esplodere di volta in volta lungo il percorso di lettura, con illuminazioni progressive.
Giansalvo Pio Fortunato raccoglie in parte l’eredità classica e dell’ultimo novecento italiano, riuscendo nell’intento di costruire su quelle fondamenta una poesia intelligente, con l’utilizzo sapiente di strutture barocche intervallate da fluidi itinerari lirici e persino da vene di sottile ermetismo. Ma non è, il suo, un emulare lo spirito dei predecessori, bensì è un costruire ex novo foderando gli archetipi di nuovissimo tessuto poetico. Ulivi nascenti, e non poteva il nostro giovane autore trovare titolo più appropriato, è dunque una raccolta poetica compatta e complessa, formata da testi per lo più lunghi, estesi anche i singoli versi, per necessità di un dire poetico ricco e forbito, in cui Fortunato recupera spesso termini desueti e arcaismi, bene inseriti nel contesto significativo del verso, dando loro vigore e luce nuova.
Il sottile filo conduttore di questi componimenti poetici è da ricercare in un sottinteso e continuo sentimento amoroso, inteso sia in senso fisico che spirituale, rivolto e dedicato alla donna ma anche nei confronti della natura e del creato; la consapevolezza del tempo che fluisce sincrono, avvolge e condiziona l’intero mondo poetico dell’autore, che ne fa motivo di sprone e di speranza, al fine di dare comunque un senso positivo alla vita, agli attimi, alla realtà che ci circonda.
Con Ulivi nascenti, alla stregua della pianta robusta e millenaria, si individua in Fortunato una vena creativa fruttuosa, che si sviluppa man mano lungo un percorso paziente di ricerca di autenticità e bellezza della vita, proponendo attenzione, costanza e amore nei confronti di una natura troppe volte dimenticata e degradata.
FLUISCE IL TEMPO SINCRONO
Fluisce il tempo sincrono alla vita che fugge;
monotonia si riversa sui giorni già arsi
delle abrasioni urenti del vissuto,
a cui poi schiocca la lancetta che sopraggiunge
in un mezzodì cocente ove sparsi
sono i raggi sibillini del sole celato.
Finissimo scende il pianto ciclamino dell’uranio
a cui si interseca il vortice degli ultimi esalare
densi ed opachi, come ceneri raffreddate
per cui lo spirito terroso ne ha storto il cranio,
ferito il cuore nel suo fulcro per iniziare
nuovamente a sanguinare ma spurio; così stonate
e confuse voci elevano l’ultimo stasimo.
Silenzio. Ed il mondo insillabato muove le sue pruine
né più liricità, né l’aurea di mistero tonante,
poiché squarciato il vero è il nulla.
PIOGGIA SU CROCCHI STRAMAZZATI
Intrisi sono i confini degli specoli
del verde riflesso del cadere battente,
sicché volendo mirare la propria immagine
si è colti impreparati ai pericoli
continui a cui la vita espone ferocemente;
l’animo ancora fuliggine
e non ancora della stessa inclinazione e sfumatura del fumo
fugge, come levriero in trappola, finché non trovi
l’estuario
a cui arenarsi e far passare la tempesta immobile.
È un ticchettio, una corsa leggera e poi un grumo
a percuotere il terreno martoriato tanto che statuario
e passivo sopraggiunge l’avvenire senza che, flebile,
il futuro elevi il suo richiamo.
Roboante è il passato, ma tanto più cruento il contemporaneo
sicché, al nuovo soprassalto delle Erinni, grandina
sui crocchi danti visione dell’io
ed allora solitaria lirica l’èlitra, quasi timorosa, e reo
di aver indotto timore inveisce in sordina
il buio pesto del tempo, la cui soluzione sia l’oblio.
PUREZZA
Lucilla, gli albori del giorno si arroventano;
gli starnazzi del capolino emettono il tuo chiarore
ed i silenzi, ora più densi, mutano il fervore
avendo i sassi, su cui germogli, inumidito il capo. Ora
cantano
gli anni più semplici ed umili
tanto che i crocchi aerei auri ed immacolati
contornano il tuo capo, sicché baciati
dal tuo criptico incedere, sensibili
conduci a flautare i miseri sparvieri.
Temo dunque che il silenzio sia squarciato;
che la libidine ed il sonno da me eretto e pensato
non abbiano il senso dei tuoi abbracci veri
quelli dei vent’anni e quelli dei giugni
che hanno intelato e timidamente costruito
La tua culla di foglie. Il primo vagito
ha donato al mondo la musa dei più puri tra i giunchi;
ed ecco che Psiche arrossisce al tuo vivere.
Vitrea la musica che da ponente muove la tua corona
e vile il concimare poiché ti cibi ad ogni ora
della voce dell’amabile sole. Se vi fosse il mentire
allora il più profondo tra i bugiardi io sarei,
arrecando il più superbo tra gli onori: essendo tuo mentore;
tu eliotropo raro rigenerante la terrosa aria cenere
che rinfresca il tramonto. Impazzirei.
VITA
Crepuscolo. Sui venti soffianti da ponente,
sui chiasmi di arbusti e licheni irti,
sul verdeggiare arroventare dal dorare cavalcante
avendo il sole già tramortito gli ultimi virgulti.
Sèguita, dunque, il tenero passo di flotte di piccole
formiche
balzanti una ad una la candida siepe,
ginestre mai fiorite e semente le cui raccolte son poche;
schiamazzi di vetri spezzati, visione miope
del deserto galleggiante su tale vita monotona
apice di un sussulto ed una frase asincrona
tra mente e bocca sillabante.
Bighe alate erette da cima a fondo dalla carne
e strepitio di bossoli litei arroventati;
qualora lanciando al domani un carme
l’oggi potrà affermare di essere di ticchettii
insignificanti.
Il tempo non ha allora scorta, non trovando archetipo
o groviglio che gli possa combaciare
essendo vite plasmate al nero del sublime prototipo
dimentichi del non vivere come via del risorgere.
IMPETO X
Giace ancora pensante l’utopia;
la smania infida di possedere la bellezza,
l’arte e la naturalezza nel giochicchiare. Sinfonia
di dolore e terribile melodramma è certezza
di ascoltare i profumi e le essenze di pelle strofinate dal
vento
ma comprendere che non siano della stessa essenza
dei nostri epiteli. Essi vorrebbero toccarsi, poi mento e
mento,
poi un flebile sibilo ed un grido fanciullesco in cui la
presenza
sarebbe oro puro, appena colato dal crogiolo. Divina
assenza,
che tormenta i sogni e fa riattivare i battiti.
Clara spezzi ogni me stesso, se non posi il tuo animo sul
mio!
AI CROCICCHI DEI MARI E AL MERIGGIO
Ai crocicchi dei mari e al meriggio
al vento che risale la china e poi decanta
come canto e sinfonia per il villaggio;
commedia estenuante perché mai scritta. Incanta
e poi risalta sugli arbusti ancora sciapiti
sono emozioni, villaggi di casa e poi tendini ancora
spezzati
non riesce a parlare l’onda perché diradata, spariti
gli ultimi palpiti di pesci che battono la banchina.
Vulnerabili e
[mai placati
al vedere una tale Soave bellezza che mai esiste
è gioco infatti di mente e vento. Insiste
allora il ponente a desiderare la maestosità
di Parnaso che mai fluirà e mai morirà.
LUCILLA
Viuzze e calle agli irti profumi di mare,
arbusti ancora rasati ed il muro radente le ombre;
gli ultimi strepitii dello sparviero pronto a sonnecchiare
e l’alba lucente sui petti lunghi del gabbiano. Le fronde
di ulivi ancora asciutti; lo stormire fiabesco ed eclettico
rimandante ai più auri tempi ove Parnaso e le notturne ronde
erano allietati dal dolce melodico dell’aedo cieco;
così che la sua voce ora incarna il timido sopire dell’amore
dinanzi ad angelo discendente. Ai barlumi del cuore,
ai suoi primi sussulti in petto richiamo il vivido colore
di sangue pulsato dall’inebriante suo saluto. Al dolore
del non aver condotto insieme i ranghi, i campi di vita
si sostituisce la leggiadra danza della lucifera pura e
santa:
pura poiché espiazione della mia solitudine infinita
e santa, essendo angelo recante luce che decanta
ai miei incubi notturni.
Giansalvo Pio Fortunato, originario di San Marcellino
(Caserta), nasce il 20 marzo 2002. Dopo aver conseguito il diploma di studi
classici, frequenta, per il primo anno e mezzo di corso accademico, la Facoltà
di Medicina e Chirurgia presso l’Università “Federico II” di Napoli, prendendo
tuttavia coscienza della sua autentica vocazione: maturare una sensibile e
lirica conoscenza delle dinamiche del mondo. Da qui, dunque, matura il
trasferimento presso la Facoltà di Filosofia, del medesimo Ateneo, tutt’ora
frequentata.
L’incontro con la poesia matura gradualmente negli anni: prima l’accenno di piccoli versi in rima baciata, quindi ricerche sugli autori classici e del Novecento italiano; per giungere poi ad una prima vera raccolta ” Ulivi nascenti”, crasi tra il simbolismo e la ricchezza della formazione classica ricevuta e la necessità di un linguaggio idillico, non nello stile quanto negli intenti, per sfuggire alla materializzazione odierna della Parola. La ricerca, dunque, dell’Arcadia perduta e della donna – Vestale è l’estraniarsi dal mondo per raggiungere il sublime, unico viatico verso la purezza intellettuale e dei sentimenti.