Vi è dunque la determinazione di ripartire alla volta di un nuovo equilibrio emotivo e sentimentale, raccogliendo dal vecchio cammino, dai luoghi di origine, dalle memorie forse ora un poco sbiadite, i brani sparsi e offuscati della propria esistenza, o per meglio dire, parafrasando il titolo della raccolta, “abbandonati” in un disordine mesto, triste e nostalgico, e che ora va diradato, va risistemato: “Ti scrivo / dalle oscillazioni del mio disordine / dal coraggio alla paura…”. Questo “disordine” è nato però, essenzialmente, dall’emergenza sanitaria che ognuno di noi ha vissuto in questi due ultimi anni e che ha molto inciso sullo stato d’animo e anche sul nostro senso artistico e creativo. Antonietta Cianci avverte, ha avvertito, questo senso di malessere fisico e psichico, questo terrore strisciante che improvvisamente colpiva o poteva colpire chiunque, e integrando ricordi, sensazioni, sentimenti collegati a questa dolorosa situazione (che ancora oggi ha i suoi strascichi…), costruisce un impianto poetico fondato su queste tematiche: “Cosa resta / della povera carne / quando sotto il cielo di marzo / il ciliegio fiorisce / nonostante il contagio”. La consapevolezza che la Natura comunque segue il suo ineluttabile corso, nonostante gli orrori e i dolori, nonostante gli “abbandoni”, suggerisce all’autrice un orizzonte di speranza, laddove sarà possibile risorgere, come novella araba fenice, dalle ceneri del disfacimento, inteso qui anche metaforicamente come dispregio o addirittura “abbandono” della solidità di certi valori fondanti dell’esistenza, come la pace, l’amore, il rispetto per la natura e per le proprie radici.
Una poesia senza dubbio interessante, che induce a riflettere sulle tematiche della solidarietà e delle affettività, troppo spesso relegate e “abbandonate” per una quotidianità ormai diafana, superficiale ed egoista.
Rinascite
Tu sei un'araba fenice
bruci, ti consumi
sei cenere e fumo.
Ti raccogli,
ricomponi la bellezza,
incolli le ossa frantumate
e i sorrisi spezzati
E cammini.
Che siano luoghi noti
o il buio ignoto
Tu cammini
nel freddo
nella pioggia
con la febbre,
non ti siedi
cerchi l'angolo di te
che ancora brilla
e rinasci.
Cosa resta
della povera carne
quando sotto il cielo di marzo
il ciliegio fiorisce
nonostante il contagio
E non contano le nostre lacrime
se, cadendo uno per uno,
non c'è primula che non spunti
O rondine che non torni
Non importa se abbiamo paura
il sole sorge e tramonta
mentre guardiamo dalla finestra
l'inesorabile andare del giorno
Siamo briciole di un universo
che crediamo ci appartenga
con il solo potere
di non sprecare
il tempo, tanto o poco, che ci è destinato.
Ti scrivo
dal mio stagno di inquietudine
nelle ore grigie
di un martedì mattina
Aprile mi scorre addosso
senza sosta
E Bergamo mi smargina la vita.
Ti scrivo
dalle oscillazioni del mio disordine
dal coraggio alla paura
che fa perno sul presente
dalle mie giornate fragili
appoggiate sul divano.
E sogno luglio
che mi sia di cura
il coraggio del futuro
E un luogo riposto
che mi salvi
dalla smarginatura
Amami
Amami
nelle distanze dissolte
dal mio caparbio cercarti
nei giorni veloci a finire
nei tempi dilatati
del nostro sentire
Amami
quando sono stanca
e ho paura
di non salvarmi
dalle grinfie
di un dolore che mi accompagna.
Amami
rotta
perché la vita spesso è crudele
e ti spezza nei punti
che credevi più certi
Amami
senza trucco
e senza difese
nei miei sonni interrotti
e ricuciti sul divano
nei pomeriggi d'inverno.
Portami via
da dove ristagno
Andiamocene
ovunque io e te possiamo essere
ovunque tu possa volermi
senza riserve.
Attese
Parto
con la valigia piena di conchiglie
raccolte sulle rive del tuo mare
nei pomeriggi di agosto
in cui cercare un angolo incontaminato
di terra e di cielo
non brucia.
Parto piena di attesa.
Ti aspetto
Come il tronco radicato nella sabbia
Aspetta
L’onda che lo venga a rinfrancare
Dall’arsura dei mezzogiorno tutti uguali
Aspetto che il mio sogno risplenda.
La luce e l’avvenire.
Non sono per te lo scarto
la virata
il salto verso l'orizzonte
ancora disteso
Non sono l'urgenza
lo slancio
irresistibile
che ti spezza le corde
e vibra
Io sono per te residuo
il disavanzo
di un amare disabile
Sono luce troppo fioca per un buio irriducibile
un'idea di possibile
che si schianta sul muro
dell'impotenza
e frana
Sei vecchio e ancora sbagli
Sei vecchio e non sai
quanto è raro
il vero e la sua carne.
E perdi i pezzi uno ad uno
stando lì sulla poltrona
con il respiro corto
e il corteo delle perdite
che ti sfila accanto.
Eravamo di poco distanti
due chilometri
forse tre
sotto lo stesso cielo di maggio
a respirare
l'aria sulfurea
a calpestare una terra elettrica
la nostra
quella del magma
del fuoco
del passaggio
E tu che
mi parlavi
di caso e destino
del punto friabile
tra vita e dolore
tra respiro e distruzione
di Dio
che esiste
sul limitare invisibile
del dire
e oltre si annienta
mi riconciliavi
senza saperlo
con il residuo
quel che di me qui resta
e non dissolve
quel che mi ha reso tua
senza esserlo
E cambia
la direzione dello sguardo
annebbia la meta
riannoda i fili.
San Giuseppe Vesuviano
24 maggio 2021
Antonietta Cianci, Il disordine degli abbandoni, Transeuropa Edizioni, 2022; prefazione di Donato Antonio Loscalzo.
Antonietta Cianci è nata nel 1980 a Napoli. Dopo essersi laureata in Lettere Classiche ed aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento, si è trasferita a Bergamo, dove attualmente vive e lavora come docente. Ha precedentemente pubblicato Radici (Transeuropa Edizioni, 2019).