domenica 29 maggio 2011

Stelvio Di Spigno e la sua "Nudità" poetica

"Continuare a dire nonostante la sfiducia nella lingua. Fare di sé un libro aperto nonostante la sfiducia nel lettore (negli uomini), alla cui vista rude, secondo la terzina dantesca che apre la raccolta, le parole vorrebbero proporsi scoperte, nude". Così scrive Fernando Marchiori nella sua postfazione all'interessante volumetto di Stelvio Di Spigno, emblematicamente intitolato "La nudità" (Stelvio Di Spigno, "La nudità", peQuod edizioni, 2010).
E già questo asserto si evidenzia bene nei testi che l'amico Di Spigno ha voluto proporre per "Transiti Poetici": testi - tratti appunto da "La nudità" - che denotano velatamente il senso di estraneità dell'uomo-poeta di fronte alle cose; un dire quasi in sordina, roco, adombrato, eppure carico di veemente desiderio di riconquista della vita. Ma lascerei a questo punto ai lettori volenterosi e appassionati, di scoprire e commentare altri piani e altre sfaccettature dell'intenso dettato poetico di Stelvio Di Spigno, autore di rilievo e di indubbia caratura letteraria e poetica.

Animazione

La stanchezza di pensare è come il morbido
di questo cuscino, che è anche un cedimento di lenzuola,
un tradimento di se stessi, perché si è troppo calmi
e io questo di certo non lo voglio: la mia giornata
è clonarmi in tutto, sentirmi in chiunque, parlare lingue strane
per fare due più due con chi entra in un bar;

e se due più due per me fa sempre cinque, io divento
la madre nel parco, l’uomo che va in barca,
la sera quando scende a scadenza del tempo:
chissà cosa prova la sera quando scende, ma poi
non è vero che scende: cambia colore, toglie la luce,
ma non è altro che noi che la guardiamo.

Non ho nessuna pelle e assomiglio a tutto,
eppure cerco qualcosa che sia io: una pietra o un’idea,
un essere indifeso per essere sicuro che così
lo si ama. Le parole, quelle sane, lasciamole al sudore
di chi un’identità l’ha già trovata, magari tra i bagagli
in un aereo che dia diritto a una vita sola.
 
Bella la parola identità, ma chi ne ha colto il frutto,
povero figlio di te stesso, se lo tiene per sé:
stanne certo come il sangue dei lupi.

Fondamenti

Difendi la memoria del cielo
che non hai mai visto dalla trapunta dei rami
del pineto e dei tigli che coprono la finestra dello studio

lasciali entrare nella mente oscillante
e se fossero qualcosa di invisibile
che proprio non riesci a cancellare,
allontanali da te, una volta per sempre,
senza pensarli come avi o genitori.

Ma non farne delle teche, dove morirebbero
per il caldo e gli insetti e se proprio
li credi qualcosa di sacro,
prega che non scompaiano, che facciano tutt’uno
con l’occhio che li ha prodotti, col cuore
che li ha protetti, con l’aria che li trattiene.

Indirizzo

Quando l’orizzonte è limitato a poche nubi
guardo la luce infittirsi come un corpo annegato
sotto il pelo dell’acqua, e la fibra di una barca di carbonio
si tuffa in superficie e scaccia da sé la mia vita

perché il limite del mondo è sotto il mare,
la terra liberata non protesta,
come fosse l’onda d’urto di una madre in allarme
ma vecchia per le lacrime e sempre più dominata,
mentre piangere è un diritto a succhiare quel sale
senza più gratitudine e con la mano aperta.

Desiderio

Avrò anche vissuto milioni di vite
e visto l’erba risalire lungo i moli gli acquedotti le dighe,
essendo io stesso una diga allo sbandare
tra tutte le cose capitate fuori mano.
Ma prima di rannicchiarmi alle spalle di Dio,
dovrò ancora imparare a quanto vende il mondo
attraverso i suoi polsi una pace normale e fare
di me stesso un libro aperto da consegnare
a tutti quelli che mi hanno amato e abbandonato,
a chi ha preso casa dentro una vita propria,
con dei bambini urlanti lungo una strada aperta
alla morte che ancora mi devasta. 


Stelvio Di Spigno vive a Napoli dove è nato nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha scritto articoli e saggi su Leopardi, Montale, Gadda, Pavese, Zanzotto, Claudia Ruggeri e sulla post-avanguardia poetica italiana, insieme alla monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Ha collaborato all’annuario critico “I Limoni” con recensioni e note sotto la guida di Giuliano Manacorda. Per la poesia, ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2a ed. accresciuta, Caramanica, Marina di Minturno 2006, Premio Calabria), Formazione del bianco, (Manni, Lecce 2007, finalista Premio Sandro Penna), La nudità (Pequod, Ancona 2010).

giovedì 26 maggio 2011

Dalla Sicilia: Mariolina La Monica

Ospitiamo ora la poesia di una poetessa siciliana: Mariolina La Monica, da Casteldaccia, un centro a pochi chilometri da Palermo.
Ho conosciuto Mariolina giusto un anno fa, in occasione della cerimonia di premiazione di un concorso di poesia tenutosi ad Altavilla Milicia, nei pressi di Palermo. Lei faceva parte della Giuria, ma subito dopo la consegna dei premi, messa un po' da parte la ritualità della manifestazione, lei si è intrattenuta con noi poeti premiati, dimostrando la sua affabilità, la sua signorilità e la sua sensibilità. Ed è così anche nella sua scrittura, dove traspare un senso di malinconia, di delicatezza, ma anche un forte attaccamento alla vita e un grande amore per la natura. Sono versi improntati ad una forte liricità, intensi e melodiosi.
Con molto piacere ne pubblico uno stralcio in questo spazio poetico a lei dedicato.

Babele 

Su spente fioriture
ho visto mietiture:
frasche disperse all’afa che lusinga.
Hanno elevato una Babele
che rimbalza tra invadenti riquadri
e insinua il perché su questo andare
confidare
crescere un trasparente miraggio su quel sale.

Ma oscora è la nube che si bagna al fondale del vero
e solo avanzi scaldo su cristallini specchi di poesia.


Canovaccio d'anima

L’arteria del trascorso mi cosparge
mi spinge in conche d’iridescenti lune
e in genuflessi anfratti
un dì indagati tra nei che disarcionano.
Tremule ragnatele appaiono al muro
covano al petto
un amaro di selve inenarrabili.

E sento chiaro un canovaccio d’anima
che mendica un nido che rincuori e posi
un’ormai assurda frontiera di lumini.


Eterna e bella forma

Essenza
che cara carne più non sei
si è intrisa di profumi questa notte.

Rimesta in sottofondi
in cui la luna m’appare un melograno
e l’ombra ti disvela
in un calco di luce e d’amarezza.

Essenza:
-con altre, humus d’amore e di pensiero
muschio non sempre lieve alla corteccia-
domani verrà l’alba dei colloqui
in cui il sorriso è imposto.
Domani devo andare
imprimere ristoro
a questa Alaska che stasera batte
pur se i caduti vanno
in censimenti fitti tra le stelle.
Essenza:
opale che non sei eppur m’avvolgi
può avere favella cotanto ardita questa notte?
Può farsi tenera di te, di me, di voi
cingerci ancora in un confronto, un singulto, un riso
dischiudere dentro – in glorie e vortici –
un angelo di cristallo che riaffiora?

Ma non parola:
acqua di sorgiva che disseta
discende dai labirinti della reggia
e eterna
e bella forma ormai mi spazia.


Giorni di coraggio

Granelli di un pulviscolo lontano
nella luce di un comune mattino di coraggio.
Sdegno incipriato
da impronte madreperlacee di un presunto sereno.
Cascate d’acqua
che cadono silenziose dagli occhi
senza vento
ira
bitume.
Prati e frutteti perduti nel ricordo.
Prati trovati e ricchi di ogni fiore.
Occhi di gatta e turbinio di pelo a mia carezza.
Un miagolio, un frullo d’ali, un cinguettio..
.. e io torno nel verde.


Tratteggi 

Infiorescenze di ricordi
accesero il settembre delle immensità dove attaccavo aquiloni.
Covarono il miele dei contorni nitidi:
aria
dove le pretese d’assoluto prendevano spessore
e i fremiti d’ali infrangevano muraglie.

Ora mutato è il suo fragore.
tra questo settembre che ancora ha del corallo
virgulti nodosi s’aggrovigliano al passo
andanti muti di castità cadute
ritmi folli
e voci
voci eterne fuori campo.

Laggiù
sul mio tramonto tratteggi di sogni
Dove spesso
-tra bagliori di demenze-
vedo due vecchi
che infine baciano il respiro di raso della sera.

Mariolina La Monica, è nata ed è tuttora residente a Casteldaccia (Palermo).
Sin da bambina appassionata lettrice, scrive in versi e in prosa. Inoltre, dà il proprio apporto al mondo letterario con commenti specifici, recensioni su testi editi e con interventi e pubblicazioni su quaderni, riviste e antologie del territorio e su siti internet riguardanti la scrittura. Ha fatto attivamente teatro sino al 1987. Da questo interesse scaturiscono: la sua commedia “Ombre scomposte” del 2010, l’elaborazione del testo “I ladri di sogni” di Salvo Zappulla, nel 2007, il riadattamento della riduzione scenica di “Uccelli” di Aristofane nel 2008. Ha pubblicato in versi: “Dall’ombra e dalla luce” nel 1997, “Specchio tra le onde” nel 2001, il poemetto “Il figlio dell’aquila” nel 2004, “Io, canzone di vento e di metallo” nel 2005, “Cristalli” nel 2009. In narrativa ha esordito nel luglio del 2007 con il romanzo “Cipria”, edito da Il Filo, seguito a pochi mesi di distanza dalla raccolta di racconti “Ventaglio in verticale”, uscita su un numero monografico della rivista “Spiritualità e Letteratura”, edita da Thule. 
Fa parte di qualificate giurie letterarie, ma, per libera scelta, partecipa a pochi e selezionati concorsi. Si sono espressi su di lei, critici, poeti e scrittori di rilievo. È accademica benemerita per l’attività letteraria, dell’Accademia Siciliana Cultura umanistica.

lunedì 23 maggio 2011

Gerardo Pedicini: "Oratorio in 4 Stazioni"

Ricevo da Gerardo Pedicini la seguente "plaquette" composta da 4 liriche dedicate ad altrettanti personaggi del mondo letterario e artistico. Con grande piacere le inserisco nella rubrica "Bacheca di poesia", con la speranza che molti amici e persone interessate le leggano esprimendo poi un loro commento.
Gerardo Pedicini è Poeta, scrittore e critico d’arte. Premiato al Lerici-Pea nel 1969, al Premio di Poesia internazionale Aeclanum nel 2003 e nel 2008 al Premio “Filari in versi”. Ha raccolto i suoi testi poetici in Marame, Admiranda emblemata, Cinque stanze di Murillo, Lisboa, Dodici sonetti ancipiti per dodici capricci incisi, Canto e controcanto, Buthos e Giornale di bordo dal Baltico (edito da Leidykla Kalendorius, Kaunas 2009 con traduzioni in lituano, francese e inglese, e in plaquette a tiratura limitata. Sue poesie si trovano anche in Albe insieme ai versi di Elio Filippo Accrocca, Maria Luisa Spaziani, Bianca Maria Frabotta e Antonio Porta, e in Altre terre insieme ai versi di Giorgio Barberi Squarotti, G.Battista Nazzaro, Alessandro Carandente e Paolo Ruffilli. In prosa, ha pubblicato i racconti Il maestro di Casapuzzano, Circe, Il sogno di Anaceto vasaio, Il pozzo di S. Lorenzo, I puri di cuore di S. Maria La Stella, Una estate piena di pioggia, Don Pedro de Toledo e il romanzo Goethe a Napoli. Come critico d’arte, ha organizzato mostre di pittura e di scultura a livello nazionale e internazionale. Attualmente collabora alla rivista letteraria Secondo Tempo, al quindicinale Sussurri&grida, al bimestrale Sabato è con saggi critici, poesie, racconti, articoli di critica d’arte.

 ORATORIO IN QUATTRO STAZIONI







per Alda Merini

gelido il vento mi si è stretto intorno.

sono confine e misura,
granello di sabbia,
vuota fortezza
abbandonata
in questo cieco carcere della vita.

fuoco vivo, amara come sale
la mia voce trascende
le cimase del Naviglio
e si perde nell‘aria
immota della notte.

nel silenzio del giardino, dietro casa,
Barbara stinge le coperte del sudario
e, come un tempo, mi attende
ferma allo steccato.

ma io sono già dietro
il muro d’ombra della finestra
e guardo chi va e chi viene. 



           







per Lorenzo Calogero
il tempo è un circuito d’ombre che ritorna
e tornano negli occhi le gelide parvenze della vita
cercate di casa in casa
come a un mendicante sperduto nella notte.

ho tra le mani ancora il sapore delle veglie
a lume di candela e i giorni perduti
nell’addiaccio delle ore che passano
nell’arsura del ponte.

andai di soglia in soglia con indosso
la mia pena; andai per monti e valli
con il fiato mozzo di respiri
in attesa del giorno dell’incenso.

trema ancora il mio passo alla tua voce
e il grido mi si spezza in gola
come quando salivi con il cuore in ombra
tra le rose di Villa Nuccia.

arso dal gelo resto in piedi, fermo
alla tua porta, sospeso in dormiveglia
nello strombo della finestra
che odora di sandalo e di miele.

lungo fu il cammino, vana la speranza
e la tua mano si perde,
fievole luce in mezzo al prato,
nel rigore di questo crudo inverno.

quel che rimane
è questo lungo andare nell’eco
che distanzia il tuo saluto
di roccia in roccia.


 per Giovanni Frascadore                           
   
oltre la grata palazzi sbilenchi,
smarriti soldati, gatti volanti,
ombrelli tenuti dal vento,
insidie di albeggi tra i rami,
finestre sospese nell’aria,
suicidi di mosche depresse,
ingranaggi impossibili,
mutilazioni, terremoti,
lettere mai spedite,
tronconi di donne in scatola,
labbra di carnose conchiglie,
erotiche eruzioni di sperma.


questo è il mondo, questa è la vita
che ci accompagna
nel dissonante piovoso paese.

sarebbe vano ricercare altrove
gioiose e pendule fantasie
nello smorto orizzonte del tempo. 

oltre non c’è che questo naufragio
che trascina il marame alla riva
come un corpo corroso dai granchi.

ma se ci guardi bene dentro, ci sei tu
e ci siamo noi in questo eterno
rinviare il tramonto
mentre ogni cosa cede e cade
senza più fondamento.



 



per Alfonso Filieri

 ancora ti guida traverso il cammino
la porta lontana delle stelle.

con solerte inerzia
hai visto spuntare
il sole e la neve sciogliersi
sul tuo corpo coperto di stracci.

hai la pelle maculata
di ossa e roso il viso
come carta impastata nel miele.

nelle tue frecce c’è ancora
il profumo del tasso
e l’ardore della selce perenne.

il sogno è ancora
a mezzo il viaggio.

ma già respiri l’aria
del muschio dorato
e con la bussola in mano
misuri
la linea del vicino azimut.

martedì 17 maggio 2011

La poesia di Luigi Fontanella

Con grande piacere dedico il prossimo spazio poetico a Luigi Fontanella. Ho scelto personalmente i brani da inserire, dopo aver chiesto il suo permesso, e spero così di poter offrire ai lettori e agli amici una giusta prospettiva della sua intensa poesia. E' vero, occorrerebbero molte altre pagine, per dare solo una minima idea della sua vasta produzione letteraria e della sua attività professionale, per cui chiedo venia per la brevità dell'esposizione.
Luigi Fontanella, poeta, critico, narratore e drammaturgo, è nato in provincia di Salerno ed attualmente vive tra Long Island, negli Stati Uniti, Roma e Firenze. E' ordinario di lingua e letteratura italiana presso la State University di New York. Ha pubblicato diversi libri di poesia, di saggistica e di narrativa, l'ultimo dei quali è "Controfigura", per i tipi dell'Editore Marsilio nel 2009. Desidero inoltre qui ricordare le più recenti pubblicazioni di poesia, che sono: "Azul" (2001), "L'azzurra memoria" (2007), e "Oblivion" (2008), da cui sono tratti i brani che seguono.
Rilevante è inoltre il suo impegno nella diffusione della poesia italiana in America, essendo egli Presidente dell'IPA (Italian Poetry in America) e direttore della nota Rivista Letteraria "Gradiva".
Nel 2004 è stato nominato Cavaliere della repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi.
Non manca, nei suoi frequentissimi viaggi in Italia, di tornare nei suoi amati territori natii, e in particolare nel vesuviano, nel salernitano e nell'avellinese, per presentare libri di amici poeti e per partecipare a importanti incontri di letteratura e di poesia.
Nel 2010 ha ricevuto la Cittadinanza onoraria del Comune di Prata Principato Ultra, in provincia di Avellino.

I testi che seguono sono tratti dal volume "Oblivion", Archinto RCS Editore, collana diretta da Umberto Piersanti, 2008.
Trascriviamo qui di seguito il commento di Giovanni Raboni sulla poesia di Luigi Fontanella, riportato sulla quarta di copertina del libro.

"Nella poesia di Luigi Fontanella c'è una grande libertà di forme e di intonazioni. Egli non prende formalmente partito con violenza. La sua poesia ospita momenti di narratività colloquiale, quasi in prosa, e momenti in cui c'è una tensione lirica molto forte. Si va da estremi di un forte tonalismo a estremi quasi atonali, e questo mi piace molto; è un atteggiamento che coglie molto bene lo spirito con cui oggi si può lavorare sulla poesia".
Giovanni Raboni


(Da "Fiori")

Rosa canina

Rosa canina,
t'ho cantata sevaggia e impunita...
ami la folla che domini nuda
rusticamente altezzosa
cresci rapidamente. Sei
precoce pungente forastica

ma quanto materno
il tuo secreto licore
quando sprizza agretto dopo l'inverno
in vivida sfida
il tuo colore che acceca.

--------------------------------------------------------------

(Da "Intermezzo")

(a Judith, in lontananza)

Princeton, 135 Bayard Lane. Nulla è cambiato da allora. Ci
sono passato stamattina ripercorrendo come in un film la mia
permanenza in questa dimora, che lasciai venticinque anni fa.
Ho rivisto Mr. Pirone, il nostro padrone di casa, ma non mi
sono fermato per l'inutile agnizione. Nello stesso giardinetto
dove io trasognai un quarto di secolo fa, trafficava con un ta-
le davanti alla grondaia. Mister Pirone, dico, quello che ci af-
fittò la prima alcova americana e che pretese, in cambio del-
l'uso del garage per il tuo studio, un proprio busto in bronzo,
e ci regalò una memorabile mangiata italoamericana nel suo ri-
storante. Ovunque e sempre: lo stesso silenzio, l'inarrestabile
frusciare della mente, lo stesso non-accadere di allora, lo stes-
so immenso iperbarico spazio, immobile, sull'orlo del Niente.

--------------------------------------------------------------------------------


(Da "Oblivion")

L'alba è una bambina scalza
senza fisionomia, avanza
tra qualche latrato lontano
e le tende smosse di un davanzale
che una mano invisibile apre e rinserra
rinserra e apre.

Quest'orizzonte incerto
taglia ogni memoria muta
guizzanti nella rada, ombre parole...
Sognare
un ritorno
e perdersi per strada.



La sciarpa rossa
(a Irene)

Anche gli angeli scendono a Ottawa
stasera volteggiano per le strade
così poco fa la tua sciarpa rossa
volata dal Ponte Laurier, che
avresti volentieri ceduta al vento. Il vento
ci graffia le ossa, mentre
qualcuno che odia la nostra razza
non ha pudore di sputarcelo in faccia.
Perchè tanto ostentato livore?
Il vento infierisce senza pietà
e noi ci aggiriamo un po' attoniti
in mezzo a un finto medioevo
rivestito di metafisico kitsch.

Poi è arrivata la pioggia, improvvisa,
e ha sbriciolato il nostro gruppetto. Davide
ha perso la sua burbanza, lo intavedo
un po' sperso e guardingo
nella babelica hall: quanto lontano
dalla sua grassa Romagna
o da quell'umile cimiterino fuori porta
dove ci siamo visti l'ultima volta
per la nostra compianta Giovanna.

Plinio parla d'amore alle ombre
e ad altre ombre
offre la sua irriducibile grazia.
Accanto al nostro tavolo
una vaiassa nordatlantica di colpo
si sveglia dal suo torpore e urla
sguaiata a qualche passante.
Sparita Gelsomina, un giovane
Zampanò sputa fuoco
dalla sua bocca bluastra. Margherita
ha perso il suo Maestro e non riesce più
a trovare l'Elephant Man che
giura di aver visto poche ore fa.
Più che mai smarriti e disuniti
rientriamo nel nostro Castello.

Ottawa ondeggia al vento. Poco lontano
da qui, in una bicocca ribattezzata
a propria misura e nostalgia, quattro
abruzzesi emigrati quarant'anni fa, giocano
a tressette, come fossero ancora
in un baretto di Pratola o Ripabottoni.
Franco ha perso tutti i suoi capelli
e sta diventando come loro, nonostante
Sorrento gli rimbalzi ogni estate nel petto.

E' tardi, ormai.
Vento e pioggia hanno spazzato via
tutti e tutto.
... avvolgiti, anima mia,
in quella sciarpa rossa
vola fino ad un altro Sole,
questo
che oggi scioglie i nostri corpi le nostre dita
i nostri pensieri le nostre ore
sotto uno stesso cielo di mani e di mari, sole
che cicatrizza
ogni dolore
ogni ferita.

(Ottawa, 30 aprile 2004; Otranto, 1 luglio 2004)

venerdì 13 maggio 2011

La poesia insieme: Paola Nasti ed Eugenio Lucrezi

Scrivere "a quattro mani" è davvero impresa ardua, quando non è soltanto un mero gioco ma un "accordarsi" reciproco e intelligente, una doppia voce che non è somma delle due ma integrazione che genera quasi un'alterità originale e nuova.
Qui proponiamo le voci di Nasti-Lucrezi (Paola Nasti e Eugenio Lucrezi), validissime nella loro individualità poetica, e che sono ora talmente con-fuse, da creare un dettato che vive e si mostra nella sua unicità, come distinta dai due co-autori, appartenente ad un autore terzo, nato dal loro comune sentire.
I testi presentati, "Eumenidi", "A Domestic Goddes Wannabe", "Lattanzio", "Parola cuscino" e, della sola Nasti, "Kepler" e "Scardanelli", sono autentici quadri poetici che dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, la valentia degli autori.
Attendiamo dunque i commenti e le riflessioni degli amici in proposito.

di Paola Nasti e Eugenio Lucrezi:

Eumenidi

Il male sarebbe dunque karmico
(trasmessogli da un nonno,
entro il quarto anno: exit).
Il Lossia, col suo mignolo d'oro
ad Atene si carica sempre
di metà del fardello.
Cristo, più eroicamente, la croce intera.
Il Beato, abbozzando un sorriso
dice ad Arjuna: agisci
senza mai amare il frutto
di agire e non agire,
con le pale che macinano il vuoto
gioiosamente. Non c'è niente
da fare.

*
Il karma è un asse, indìce le battaglie.
Pallade Atena, con l’elmo e con la lancia,
è tutt’altro che inerme: solo che
non ha con chi combattere.
L’instant karma del classico surclassa
tutti i sangui moderni col bipenne
pennello, intinto nel suo rosso antico.
Apollo è olimpico e insieme democratico.
Pallade è irenica, armata e disarmante.
Priva di inconscio, decide tutto lei.
Cristo si arrampicò fin sulla cima
del sacro monte solo per cacciare
da casa loro gli dèi falsi e bugiardi.
Moriva e li cacciava. Olimpo e Golgota
Sbriciolati d’incanto in un tutt’uno.

-----------------------------------------------
A Domestic Goddes Wannabe
(A Place For Life's Little Knick-Knacks)

Le madamine dell’involuzionismo
giungono a piroette da parecchio
lontano, con i fiocchi storti
di traverso appoggiati
sulle zucchette vuote dell’asilo.

Mio padre non sapeva scrivere
poesie. Quindi
dava pugni
a mia madre.
Mio padre non sapeva scrivere
poesie. Quindi
non ci diceva niente.

Il diavolo abita
nel guinzaglio che tiene
la vecchina malferma
e il cane non vedente.

L’esilio, abbrivio del ritorno.
Bestie, che non levi di torno.
Balbetta il bello, se adorno
visi con tanto caro sangue.

--------------------------------------------
Lattanzio

Nessuno capovolto.
Sul mio cuscino accanto il tuo volto
che smentisce gli antipodi e le rivoluzioni.
Non c’è burrone oltre le colonne,
solo uno scendiletto di cotone.
Per noi soli Lattanzio ebbe ragione.

-----------------------------------------------
Parola cuscino

Non c’è sussurro, il fiato
si libra liberando nessun suono,
s’inanella voluta su voluta,
ad astra fino al soffitto.

Accanto è lontanissimo, se vuoi
starmi molto vicino.
Gli occhi di chi, che siano aperti o chiusi,
sconfinando si superano?

Notti così, è pieno l’Universo.
Tienimi sul cuscino, non disperdere
i fondali stellati, non cadere,
in preda alla vertigine, oltre il bordo.

---------------------------------------------
Di Paola Nasti:

Kepler

I
Il giorno dopo Pasqua qualcuno
cammina avvolto nella scia di polvere
della pelle che cade
ha sette buchi in faccia
ed una
malinconia da ellissi
desidera
dormire sugli anelli di Saturno
desidera
poter dire: io abiuro

II
Tua tutta la tristezza
del cerchio che si schiaccia
del vuoto che cammina tra lentissime
orbite
Kristallnacht
il pieno che si sbriciola
e perde perfezione
si fa polvere
buio
di pianeti
solitari
soli
si schiaccia
si schiaccia tutta
la perfezione
le tue donne che salgono
sul rogo
con le mani piene di fiori

-------------------------------------------------
Scardanelli

L’umilissimo vostro dalla torre
mentre immobile guarda
il diorama di smalto
la corda
si avvolge su se stessa
ogni giro uno scatto

------------------------------------------------

Paola Nasti ( Napoli 1965) insegna filosofia in un liceo. Ha pubblicato poesie nelle antologie "Mundus", Valtrend editore, Napoli 2008, e "Frammenti imprevisti", edizioni Kairos, Napoli 2011, poesie e traduzioni nei siti 'Poetry wave -Dream' e 'Fondazione Premio Napoli' .

Eugenio Lucrezi, di famiglia leccese, è nato nel ’52 e vive a Napoli.E’ laureato in medicina e fa il dirigente di sanità pubblica. Ha pubblicato versi, racconti, saggi, testi critici e altre cose in diverse riviste letterarie, antologie, siti, su quotidiani e almanacchi. Ha pubblicato quattro libri di poesia e il romanzo "Quel dì finiva in due", con postfazione di Donato Valli, ed. Piero Manni, Lecce 2000.
Svolge attività di critico d’arte, scrivendo su periodici e quotidiani. Suoi testi compaiono nei
cataloghi di artisti di rilievo nazionale.
Musicista e suonatore di basso elettrico, Giornalista pubblicista, è stato critico letterario del quotidiano ROMA.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà