Nella
silloge La fatica della boccia spicca un ricercato equilibrio semantico e
la volontà di non rinunciare all’essenzialità della parola (Agamben, 2022). Patrizia
Fasulo declina la fatica, intesa non soltanto come fenomeno-condizione, in modo
sorprendentemente eterogeneo. La fatica è infatti la melanconia che chiude i pensieri,
la memoria che sopravvive al corpo che cede, ma anche la comunanza che sussiste
tra il meticoloso lavoro dell’insegnante e quello del contadino. Una fatica che,
lasciando l’azzurro delle prime pagine, diviene cupamente ostruzione, impedimento
e, soltanto nelle battute finali, liberazione: Persino le lacrime/solcando
il viso/ si ramificano/in mille percorsi. La fatica di Fasulo, tuttavia,
trova accoglienza nella gioia che deriva dal ritrovo-rimembranza: Per un
attimo ti ho rivista/con l’alluce sbucciato/capelli ricci e
scarmigliati/correvi nei campi di grano/felice perché libera di essere/Eri
proprio tu/ Ero proprio io. Alcuni componimenti dell’autrice varesina disvelano
un valore significativamente esperienziale. Ne sono un esempio le stesse
partenze e gli stessi arrivi, i quali anticipano una fuga - fazzoletto
di tempo. Ma è proprio questo un passaggio significativo, in quanto è nel
ritorno che l’autrice si riscopre – con matura e nostalgica lucidità – troppo giovane per essere vecchia/troppo
vecchia per essere giovane. La fatica di Fasulo trasmuta ancora – ed
inaspettatamente – in esigenza di libertà. Ciò si verifica nel corpo
statico/ che fatica a sopportare il dolore, o nel parto-nucleo della fatica
stessa: Tacendo/veniamo alla luce/ un istante dopo/ abbiamo già imparato il
pianto. Nelle poesie successive, la scelta di ricorrere frequentemente alla
metafora si rivela pienamente ragionata. Il suo impiego, infatti, consente al
lettore di cogliere le diverse sfumature che caratterizzano il senso di
“fatica” sui cui si erige l’intera silloge. La fatica diviene allora attesa-pretesa,
presenza non vista, una schiena voltata. Tale condizione è più avvertita
nel distacco dalla realtà imposto dalla pandemia dove, come un contadino
privato del suo campo, Fasulo confessa una genuina nostalgia alla propria
professione: Tutto è deserto/ Mi assorda un silenzio surreale/ Non avrei mai
immaginato/ che le vostre indisciplinate urla/ potessero mancarmi così tanto/
Coraggio ragazzi/ ci rivedremo presto. Una poesia, dunque, dove si
collimano eventi personali e collettivi.
Molti dei versi di Fasulo, infatti, sono ampiamente condivisibili, specie
quando la fatica si manifesta Declinando/ un’esistenza in cui si deve, a
volte, rimanere fermi a fatica.
Ai
miei maestri
Il
lavoro dell’insegnante
è
simile a quello del contadino
richiede
cura e fatica
tempo
e
costanza
Si
prepara il terreno
Si
semina
si
dà acqua
né
troppa per non affogare la pianta
né
poca per non seccarla
Si
tolgono le erbacce
per
dare respiro
Si
protegge dalle intemperie
Si
attende pazientemente
Si
godono i frutti
***
Fazzoletto
di tempo
Fuggii
da casa
a
diciotto anni
come
un prigioniero
evade
dalla galera
Maggiorenne
diplomata
musicista senza musica
insegnante
senza penna
innamorata
dell’amore
Una
distrazione disattenta
mi
strappò dall’innocenza
Troppo
in un fazzoletto di tempo
Troppo
per una bambina divenuta donna
Quarant’anni
dopo
ritorno
tra
quelle quattro mura
non
più galera ma rifugio
Frugo
nelle tasche della vita
il
fazzoletto è ancora lì intriso d’amarezza
Troppo
giovane per essere vecchia
Troppo
vecchia per essere giovane