Abbiamo già avuto modo di parlare dell'ottima poesia di
Ester Cecere, in un suo precedente lavoro, dal titolo davvero significativo:
"Fragile. Maneggiare con cura" (Kairos Edizioni, Napoli, 2014). In
quella sede esprimemmo un nostro discreto giudizio sulla sua poetica,
riflettendo sul fatto che la "poesia" in genere è proprio così:
fragile, e va "maneggiata con cura", nel senso che può frantumarsi in
mille schegge se denigrata e/o non capita, non assimilata, ma i suoi frammenti
possono anche ferire ed infierire: in particolare su un mondo che
complessivamente ha abbandonato ogni sentimento e ogni valore di umanità.
Allora Ester Cecere riprende in un certo senso il suo
discorso pungente, perché una poetessa sensibile e attenta come lei non può
fare finta di nulla, ignorare le infinite atrocità di questo nostro mondo
attuale (ce ne sono sempre state, fin dall'Eden, ma è sempre opportuna e
lodevole la denuncia da parte degli uomini di buona volontà e degli
intellettuali!...). Una poetessa e scrittrice come la Cecere, peraltro
impegnata anche nel campo lavorativo, a continuo contatto con le meravigliose
creature del mare, sovente vittime della disattenzione (a dir poco!) dell'uomo,
non poteva rimanere in silenzio di fronte a tutto ciò che relega l'uomo nel
fosso più profondo della cattiveria, della indifferenza, del sopruso e della
violenza.
"Non vedo, non sento e…", titolo che richiama
l'immagine delle tre scimmiette sagge che non vedono il male, non sentono il
male e non parlano del male, è in realtà utilizzato qui, dalla nostra Autrice,
come simbolo di denuncia ai mali del mondo. Non per nulla il titolo non
completa la classica frase, ma si ferma ai puntini sospensivi, cioè proprio lì
dove effettivamente "bisogna" parlare, raccontare, indicare,
denunciare. Ed Ester Cecere lo fa con una poesia sobria, priva di inutili giri
di parole, perché il male, in qualsiasi forma si presenti, deve essere chiaramente
denunciato, senza indurre dubbi o giustificazioni alcune. Lo stile delle poesie
di Ester Cecere in questa sua raccolta di denuncia è quindi coerente al tema;
in molti versi si evidenzia la partecipazione piena al dramma umano, e il lettore
non può che accordarsi e rimanerne positivamente coinvolto. Eppure, il suo
dettato poetico è pervaso da una sorta di elegante compostezza, pur nei tratti
che lasciano intravedere situazioni scabrose e violenze inaudite: qui sta la
bravura e la competenza della poetessa, che si lascia coinvolgere ma mantiene
sempre aperto l'orizzonte alla speranza, con una dolcezza e una luce che è la
vita stessa, nostra e della poetessa, una vita che è comunque sacra e da
proteggere sempre e ad ogni costo.
Da "Non vedo, non sento e…", riportiamo qui di
seguito alcuni testi. Saranno graditi commenti e riflessioni da parte dei
Lettori che ci seguono.
Da dove vengono le
lacrime?
Da dove vengono le lacrime
se stagni secchi
sono gli occhi,
legnoso nòcciolo
il cuore,
e l'anima
l'esuvia d'un serpente?
Forse,
sono gocce di primaverile pioggia.
Forse,
sono stille di rugiada mattutina.
Sono le lacrime del mondo,
cadute su di un viso
duro come cuoio
per donargli ancora
un po' d'umanità.
La vita in una
valigia
(Agli emigranti italiani)
In una valigia di cartone
la tua vita stipasti.
Poveri abiti rattoppati
come i giorni tuoi
e il vestito della festa.
Eppure t'era greve.
Pesavano molto
l'angoscia dello strappo
e di orizzonti incerti
la speranza.
Senza radici
eri su quella nave.
Erano rimaste lì,
in quella terra aspra
dal sole accecata
e arsa dal salmastro
dove fra gli ulivi
il vento era melodia.
Vedevi la Lanterna scomparire…
Sugli occhi un velo
e nel petto un grido di gabbiano.
Gay
Bambole riempivano
di bimbo il tuo mondo.
Pistole e soldatini disdegnavi.
Affini amiche le compagne,
impossibili depositarie
di non convenzionali turbamenti.
E ti seducevano
gl'inquieti occhi
e il maschio cipiglio
di colui che ti sedeva accanto.
Eri dolce,
troppo dolce…
Ancheggiavi,
sì, ancheggiavi!
Come maligna esondazione
scherzi risa scherno
ti travolsero.
E al volo senza ritorno
la tua vita affidasti.
Non fu abbastanza
azzurro il mare
Hai preferito il volo
al vuoto intorno a te.
Vuoto d'amore?
–Non già lo disse
affranta
colei che tanto amò Taranto
bella? –
In un'incerta primavera
non fu abbastanza azzurro
per dissuaderti il mare
da quel salto sugli scogli
che alla giovane tua vita
precocemente
il punto mise.
Dimmi Dio, rispondimi
Allah
Dimmi Dio,
chi ha ragione?
Rispondimi Allah,
dov'è il torto?
È forse negli increduli volti
da strisce rosse rigati
di creature innocenti?
Spiegami Dio,
cos'è un'etnia?
Parlami Allah,
perché tanto odio?
Smisura l'assurdità
d'una faida che sanguina
di giovani vite falciate.
Che persino la morte
fatica a portare con sé.
Attentato
Squassa il boato
l'aria e le coscienze.
All'unisono tremano
la terra e i cuori.
Incredulo scheletro
fuma disperazione l'autobus.
Schegge di vetro
in occhi accecati.
Di sangue urla mute
su bocche atterrite.
Fantocci smembrati
e chiazze vermiglie
sull'asfalto annerito.
Colorate
farfalle
(Alla bimba usata come kamikaze in Nigeria)
Ignara saltellando
verso la morte t'avviasti
con la vivacità degli anni tuoi,
incuriosita e attratta
da richiami e colorate merci.
Il sorriso candido
contro l'incarnato scuro
da treccine incorniciato.
Così lontana la morte
dalla tua spensierata età!
Eppure in mille briciole
ti dissolvesti
fra gente inconsapevole
e di terrore muta.
Tramutata in farfalle colorate
voglio pensarti
come creatura fatata
nella più bella fiaba.
Ti fu
culla e bara il mare
(Al piccolo migrante nato e morto
durante la traversata)
Di doglie urlava
il mare in burrasca.
Carillon dei tuoi sogni,
regolare e tranquillo,
in tamburo impazzito
d'improvviso mutò
del materno cuore il battito.
Ad echi di terrore franò
il mondo tuo silenzioso.
Poi il nulla…
Da un liquido all'altro
passasti,
ancora legato
al tuo primo unico amore.
E ti fu culla e bara il mare…
Il cuore in una
bottiglia
Il cuore
in una bottiglia ho rinchiuso.
Con forza l'ho lanciato
tra spumeggianti marosi.
Una risacca cattiva
i piedi insidiava.
Schiaffeggiava freddo il maestrale
il viso dalla pioggia rigato.
Che incontri acque tranquille.
Che baciato dal sole galleggi.
Un delfino ci giochi
in un mare ormai ostile.
Un migrante naufrago
lo stringa a sé forte.
Giunga su povere coste
a pulsare per misere genti.
Lo raccolga curioso
un bimbo infelice…
Ester Cecere è nata a Taranto, dove svolge la sua
professione di ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche,
occupandosi di biologia marina.
Poetessa apprezzata, ha scritto quattro libri di poesie:
"Burrasche e Brezze" (Il
Filo, Roma, 2010); "Come foglie in
autunno" (Tracce, Pescara, 2012); "Fragile. Maneggiare con cura" (Kairos, Napoli, 2014); "Con l'India negli occhi, con l'India nel
cuore" (WIP Edizioni, Bari, 2016). Ha inoltre pubblicato la raccolta
di racconti "Istantanee di vita"
(Kairos, Napoli, 2015).
"Non vedo, non
sento e…", edito per i tipi della WIP Edizioni di Bari nel 2017, con
prefazione di Marina Pratici, è la sua ultima raccolta di poesie in ordine di
tempo.
Sulla poesia di Ester Cerere hanno scritto: Giorgio Barberi
Squarotti, Dante Maffia, Nazario Pardini, Domenico Pisana.
È possibile consultare il suo sito web all'indirizzo
www.estercecere.weebly.com