mercoledì 11 giugno 2025

"Pronome Personale / II Persona Singolare", di Lucilla Trapazzo: una nota di lettura di Viviane Ciampi

Pubblichiamo qui volentieri una nota critica di Viviane Ciampi per il recente libro di poesie Pronome Personale / II Persona Singolare, di Lucilla Trapazzo, Bertoni Editore, con prefazione di Giuseppe Napolitano.

Ci troviamo nel mezzo di un viaggio ellittico e radente, lieve e radicale, nel cuore instabile del linguaggio.
Lucilla Trapazzo (poeta ma non solo: traduttrice e performer) intreccia filosofia e tenerezza, luce e ombra, in una poesia che non afferma, ma interroga. I suoi versi nascono da un’urgenza interiore e si muovono con precisione intima, cercando la fenditura da cui far passare la voce. È una scrittura che si dispone al rischio: quello di dire l’amore senza aggettivi, di abitare il pronome, di restare sul margine tra presenza e dissolvenza.

            Siamo vetro e vento
            in corsa dalla notte
            al mare


Il “tu” evocato in questa raccolta non è solo destinatario affettivo, ma anche specchio e doppio, figura del riconoscimento e della perdita. La parola poetica si fa materia viva ‒ a tratti pietra, a tratti sabbia ‒ e prende forma nel tempo instabile dell’attimo, tra passato che scivola e futuro che non promette. Ogni poesia è una soglia, ogni immagine una minuscola epifania che trattiene, per un istante, ciò che sfugge.

            Saperti ancora incendio sulla lingua
            senza domani


Il lessico è limpido, ma mai semplice, con immagini che si accendono vivide, di grande sensualità:

            Mi porgi una fragola. La sento
            ingorda sulla lingua.


Ogni scelta è calibrata, ogni silenzio, eloquente. In sottofondo, si avverte il respiro di un pensiero che ha imparato a non forzare il senso, ma a suggerirlo, lasciando spazio alla vibrazione, all’eco, alla risonanza. In questo libro, l’identità non è un punto fermo, ma un moto ‒ fragile, luminoso ‒ verso l’altro, verso il nome che non si possiede. Del resto già la copertina ‒ firmata dalla stessa Lucilla Trapazzo ‒ suggerisce fin dal primo sguardo la poetica dell’intera raccolta: non c’è un solo volto, ma due figure prossime e insieme sfuggenti, immerse in un bianco che non è vuoto ma spazio mentale, zona di passaggio. Il titolo si intreccia visivamente con il disegno: II Persona Singolare diventa allora non solo un riferimento grammaticale, ma una tensione relazionale, un dialogo aperto tra presenze che non si lasciano afferrare del tutto.
È in questa sospensione ‒ tra la seconda persona e l’ignoto ‒ che il libro trova la sua forza più autentica.
Una raccolta che lascia il lettore esposto e pensante. Come solo la vera poesia sa fare.

                                                                                                Viviane Ciampi

 

 

mercoledì 4 giugno 2025

Michele Zacchia e il suo "taccuino dell'ospite"

Nei creativi, e quindi negli artisti e soprattutto nei poeti, troviamo sempre una sorta di disagio esistenziale, stratificazioni più o meno persistenti di insoddisfazione, e una ricerca asintotica di punti di equilibrio che possano in qualche modo risolvere in positivo questi disagi. Si sa, i poeti non si fermano mai, e ne consegue un lavoro tenace di ricerca in sé e nella realtà circostante, dei perché e dei percome. Non si sottrae a questa indagine pertinace il giovane e già maturo poeta campano, ma residente a Roma, Michele Zacchia, che con questa sua seconda raccolta, intitolata Il taccuino dell’ospite, edita da RPlibri con una puntuale prefazione di Antonio Bux, manifesta veramente in modo ottimale, e con una impronta poetica del tutto personale, questo vago malessere del vivere quotidiano.
Viaggio spesso, non torno sempre”: è l’esergo che apre la raccolta, ed è forse qui incentrato il progetto poetico del nostro giovane autore. E ancora specifica: “frase scritta su un muro di Roma”. Come anche nei testi successivi, Michele Zacchia non usa un titolo ma in calce a ciascun brano inserisce un luogo, una data, una modalità che completa e chiude il brano stesso. Un modo originale che forse solo pochi altri poeti sono abituati a utilizzare.
Ma tornando al contenuto di questa interessante raccolta, è opportuno soffermarsi un attimo sul titolo, Il taccuino dell’ospite. Qui, è evidente l’intenzione dell’autore di raccogliere tutta una serie di osservazioni, “annotandole su un taccuino”, durante il suo, o i suoi, viaggi o spostamenti da una città all’altra, da un luogo all’altro. Non si tratta, evidentemente, di viaggi inventati o immaginari, ma effettivi, reali: il percorso naturalmente è casuale, ma ciò che è essenziale è l’acutezza delle riflessioni, dei pensieri e delle emozioni che l’autore sa molto bene cogliere da queste esperienze e dai luoghi che ha attraversato.
L’itinerario che sottotraccia risulta dall’attenta lettura della raccolta non è però, beninteso, un mero reportage di viaggio: è anzi, al contrario, la sorgente necessaria e vitale che offre all’autore l’opportunità di esprimere la sua vis poetica, delineando versi e brani da angolature, prospettive e modi di indagare, percepire, osservare, fortemente personali ma che spiccano e risaltano dallo strato superficiale continuo e monotono di una realtà che appare lontana, disgiunta dall’anima dell’autore. Tale operazione rende i testi della raccolta percepibili e condivisibili da tutti, perché l’autore pur partendo da segnali emotivi che gli suggeriscono i luoghi e i momenti del suo itinerario, ne sublima e ne codifica il contenuto, arricchendoli con allusioni, ricordi, trascendenze. Michele Zacchia dimostra infatti di possedere un’ottima padronanza della parola e del dettato poetico, riuscendo a creare con i suoi versi un caleidoscopio di immagini e di sensazioni, laddove la parola, o anche l’intero sintagma, ha uno spessore semantico davvero eccezionale.

Proponiamo ai nostri lettori, qui di seguito, alcuni brani tratti dalla sua raccolta.


La cristalliera ottuagenaria che ti abita

in sala ne sa più di noi in fatto di.

Ne riconosci le ante legnose e intarsiate,

tutte mature. Decrepite se le guardi meglio.

Il vetro cascante col disegno del

fiore papavero, finto e consunto.

D’altri tempi questa cristalliera, obsoleta immobile.

«È Art Nouveau!» diceva tua nonna,

tu non l’ascoltavi, dicevi «brutta come lei»,

rancida nell’osso. In questo incastro fuori moda

la pretesa di superare il passato.

L’oggetto di un lessico famigliare che t’accorgi

di allontanare, sei finita al mercatino,

l’hai data via in cambio d’aria.

 

          casa di sconosciuti, Città del Vaticano

 

 

***

 

In questo albergo-cimitero

che inscatola le vergini del nuovo settembre,

richiamo alla spada i miei vecchi amici. Mi

piacerebbe commuoverti coi versi, in

falde acquose minacciose, profonde

le dita nella gastrite melmosa delle tue pareti.

 

Poter curare le ferite del giovane solstizio

misurandoti le ginestre al braccio, discernere

se non tutti, almeno i buoni annunci, da

gli alberi del corso che respirano l’aria piombo.

Nella forma dell’urbano caos stringere a me stella,

coi palmi tesi attendere la tua discesa.

 

          stazione ferroviaria di Ostiense, Roma

 

 

***

 

Esiste nella gente una tutta superficie

di versi e galanterie periferiche, snodati

come note di luce al firmamento, liberi

dalle schiavitù grasse del rumore. Svegliare

i piccoli col nome, e dormirli grandi, senza

età di numero. Matematica consuetudine

di crescere diversi. Com’è sembrare sangue,

cadere in goccia scendere, rotolarsi nelle garze

per asciugare. In queste immense giornate ci

risponde il cielo che posa a terra il suo splendore.

 

Morirsi: è lasciare incedere il passo al sangue,

penetrarsi commiserazione, stringere le

palpebre al buio. A tenere la natura ferma

nel suo intento non c’è modo e spazio-tempo.

 

          Santa Maria Capua Vetere, dove sono nato

 

 

***

 

Oggi ti rileggo Roma, e vivo nelle strade il tuo

corpo di ferro. Nella tradizione si fa ombra

l’età eterna, quando andando verso sud,

si fa nuda la stirpe che è Storia.

Nel ventre delle tue origini è ancora fresca l’orma

del bianco, l’orto, il Giardino appena sotto. Nella

Cappella più segreta la meraviglia dell’arte è il tuo

donare. Lungo il corso d’acqua teverino la gazza

che incontro mi è amica, l’occhio nero

è il richiamo del pesce:

 

ho come una sensazione profonda di

appartenerti nel centro.

 

          bus 781 direzione Piazza Venezia

 

 

***


Nel giorno più isolato dell’estate, è l’ombra del

vulcano spento a sentire la mancanza delle rive. La mitologia

matura nelle brame dei tuoi desideri. Il celeste cielo celeste

è sfigurato nelle braccia.

 

L’immaginario della consolazione, sotto la sfera del disfare,

non si definisce il mare, sconfinato nelle bestie delle onde,

e il travalico del selvaggio rende obliquo tutto il dentro

del mio petto.

 

          camera tua

 

***

 

Sia il verbo di fronte il cono d’ombra del silenzio,

trillante nelle vesti del discorso, nei vecchi

proverbi, nella provincia dei tuoi fianchi, e la rosa,

tempestiva fioritura del mese. Senti il nome dell’ospite?

 

Richiama l’attenzione dell’organo, e il pulsare, l’infezione,

tutti oggetti incauti nello scavo. E ancora l’ospite si annida

si ritrova: germe del contatto. Recipiente in vetro soffiato,

profondo nel trasparire:

si ospita l’ospite, da sé, nello scrigno della premura.

 

Nella gabbia toracica un riflesso, è luce incastrata a tasselli:

elenca precisa le ronde notturne senza più strada.

 

          un posto in cui non sono mai stato

          non so se farò ritorno


Brani tratti da:

Michele Zacchia, Il taccuino dell'ospite, RPlibri, 2024; introduzione di Antonio Bux


Michele Zacchia (Santa Maria Capua Vetere 1999) vive a Roma. Ha conseguito la laurea in Lingue e Culture Moderne all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, e recentemente all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel Master di Editoria, Giornalismo e Management Culturale. Ha frequentato l’Universitat Autònoma di Barcellona e il Chichester College. Copywriter, redattore, traduttore. Collabora e ha collaborato con numerose testate giornalistiche, tra cui The Wise Magazine e il quotidiano La Libertà di Piacenza. Il suo principale impiego in ambito culturale è legato alla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci – Premio Strega, con la quale collabora per l’organizzazione di eventi culturali. Ha pubblicato La Teoria del cerchio (Controluna, 2022), e sue poesie sono state selezionate e pubblicate su varie riviste online, tra cui L’Altrove – Appunti di poesia. Già curatore di un manuale di test universitari, ha tradotto un testo in lingua spagnola di Juan De Ávila, Memorial Segundo.

 


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà