Ne riportiamo qui di seguito solo alcuni testi, cercando di
trarne, per quanto sia possibile, per la necessaria brevità della nota, qualche sommaria riflessione su quanto il poeta voglia esprimere.
Intanto, penso sia interessante questo legame piuttosto
diretto tra le cicale e lo spazio sidereo. Ambedue hanno in sé un mistero
indecifrabile e nello stesso tempo stupefacente, che ci sconvolge. L’una, pur nella sua piccolezza terrestre,
sembra in qualche modo emulare con il suo continuo e insistente frinire, il
canto silenzioso delle stelle, rievocando così quel senso di abissale smarrimento
che risuona nella nostra anima.
Ma allora, a che tanto (generalmente imperfetto) costruire, elaborando
spesso falsità e friabili castelli in aria, su questa terra, quando c’è una
Verità ineluttabile e infinita che ci sovrasta?... La luna par che rida, ci sberleffa, nonostante la nostra impronta arrogante
su di essa, indifferente alle nostre beghe e alle nostre preoccupazioni di
quaggiù!
Si dice spesso che il poeta è tale perché cammina sulle
nuvole, che si perde nel cielo, alludendo a quella sua leggerezza e alla
incapacità di considerare le cose serie della vita. Nulla di più inesatto,
ovviamente, in quanto è proprio il poeta con la sua grande sensibilità e il suo
intuito, ad accorgersi guardando dall’alto, dei tanti problemi che investono
l’umanità. In Michele Arcangelo Firinu questa considerazione è ancora più consistente,
perché riesce a mostrarci, con i suoi versi, le banalità delle cose umane,
terrestri, la loro precarietà e la loro inadeguatezza di fronte all’infinito,
al cosmo intero, ai suoi valori eterni e fondamentali, come la stessa natura
dell’uomo, che per quanto si affanni a costruire aggeggi tecnologici per
migliorare il suo stato, non riuscirà mai a raggiungere la piena realizzazione
di sé, se non si convince che l’effimero e l’abbaglio transitorio non sono che
aspetti secondari dell’esistenza. Ascoltare il canto delle cicale, stare
attenti a come queste si legano e si collegano con l’infinito, questo è il
messaggio, il sottile ma robusto filo conduttore che tiene insieme tutta la
poetica di Firinu in questo libro. “Oggi conviene ricordare agli sciocchi / che
nel cosmo lontano / si spengono tante stelle una a una”… È così grande, così
prevalentemente considerevole, il cosmo, tanto da far apparire inutili e
sciocche ogni velleità di raggiungerlo e di eguagliarlo: “Tale da fare apparire
soavemente puerile / il fantastico sogno di poterlo solcare / con qualche
navicella da un Ulisse novello”…
È dunque presente in questa complessa e ben articolata
raccolta del Firinu, che si pregia anche di una approfondita nota introduttiva
di Marcello Carlino, un velato canto di denuncia contro gli stereotipi e contro
ogni formalismo che svesta di autenticità e di perfezione la realtà del cosmo e
dell’esistenza. Il poeta, e Firinu è Poeta, si colloca nel punto di osservazione
più autentico e genuino, per osservare e riflettere, per capire in un certo
modo com’è e come va veramente il mondo, prestando attenzione ai silenzi e alle
meraviglie: “Come usignolo che becchetta il globo / va razzolando chiccoli
di grano / così i miei occhi tremano inesausti / su troppi temi e testi / e mi
avveleno delle carte sparse / e plastiche e fosfeni”.
E per affermare queste verità, Firinu utilizza un linguaggio
veramente consono e aderente al tema, con un procedere a volte lirico a volte
canzonatorio, persino dissacrante, contro ogni ipocrisia e formalismo di qualsiasi natura. Un libro
che dice verità, luce e amore sincero per il creato e tutte le sue creature.
Chissà cosa trasmette la cicala
telegrafista stridula
forse lancia messaggi ad altri mondi
o forse solo inganni e stordimenti
alla sua stessa morte che s’avanza
Bosco sacro di Bomarzo
(Per la figlia Eleonora)
Più che le umane amai
le chiacchiere dei venti
che ridono dei templi sgretolando
coi trapani dei grilli
nelle statue i sorrisi labbri e nasi
e i muschi si sommano ai licheni tra le scaglie
di pinne bicaudate
mirabile monstrum
si va su ali di sirena
e tra castagni e querci
dorme un dono di bimba
e partorisce un sogno
due leoni di pietra
che van cantando me che son
Passato
Il piede sulla luna
Ora che un’orma di caucciù campeggia
intatta impronta arrogante
sul suolo polveroso immobile
senza un filo di vento che sussurri
una promessa flebile di mutamento alcuno
candeggia il suo pallore intatto
l’evanescente luna e par che rida
di notte in notte di quest’ansia
di dominio e d’Eterno
degli umani progetti
da sempre contraddetti dalla furia dei venti
tra le porose mura di città rovinose
commovente ricordo di antiche civiltà
quanto le nostre allora altrettanto boriose
e ora austere pietose sepolture diroccate
di eccentriche ambizioni
Oggi conviene ricordare agli sciocchi
che nel cosmo lontano
si spengono tante stelle una a una
tanto per dire buona notte
ciascuna al proprio sistema solare
così distante dal nostro ma simile talmente
da poterlo chiaramente comparare
alla nostra minuscola presenza
nell’infinito cosmo
Tale da fare apparire soavemente puerile
il fantastico sogno di poterlo solcare
con qualche navicella da un Ulisse novello
ibernato magari per poter traghettare
tra qualche moltitudine di tempi
qualche augusto campione
della nobile stirpe umana
per scamparla alla morte del nostro sole
che anch’esso è stella e come tale vita
e pertanto mortale
L’angelo non verrà
L’angelo non verrà e i paraocchi
distribuiti dai chierici ai mortali
non apriranno ai torbidi
sguardi dei morenti
varchi d’Eternità e la beatifica
visione d’Iddio
luce che sfolgora
panna montata
intronata su un trono di luce d’oro
svanirà con un rutto
flebile dentro l’ultimo rantolo
Poi s’inscatoleranno le carni
e si manderà a disfarle
velocemente
lentamente
fiammeggiando
o verminando
Usignolo
Come usignolo che becchetta il globo
va razzolando chiccoli di grano
così i miei occhi tremano inesausti
su troppi temi e testi
e mi avveleno delle carte sparse
e plastiche e fosfeni
il mondo è troppo ricco e misero
ma io vorrei licheni
sulle palpebre che ormai si fanno pietra
e io statua di sale
granito
nel deserto
Vale l’eterno un attimo
Vale l’eterno un attimo
ambiguo
in quest’ordine
che rimischia le carte
Il tempo
sbalzato sulle cose
si riverbera chiaro
smozzica rintocchi
e la roccia che sgrana
l’animo sciorinato
sbulinato
a oro
Brani tratti da:
Michele Arcangelo Firinu, Il piede sulla luna, poesie 1980 – 2023. Fermenti Ediz., 2023. Nota introduttiva di Marcello Carlino
Michele Arcangelo Firinu, di origini sarde, è nato nel 1945 e vive a Roma. Negli anni ’80 a Milano, è stato redattore del periodico letterario “Il bagordo”. Negli stessi anni, con il gruppo Orfeo80, è stato tra i promotori di alcuni tra i primi laboratori di scrittura creativa in Italia. Ha organizzato e curato svariate attività culturali. Nel 2008 e nel 2014 nel suo paese, Santulussurgiu (OR), ha curato la direzione artistica di A libro aperto, uno degli 8 festival letterari della Sardegna. Ha pubblicato poesie su riviste e blog, ed è presente in diverse antologie. Un unico suo librino, prima di questo, era venuto alle stampe: Luminescenze, con sette disegni di Luigi Dragoni, il 174 della Collana dei Numeri, Editrice Signum d’Arte diretta dal pittore Claudio Granaroli.
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