sabato 31 maggio 2025

I "Testi in apnea" di Adrian Suciu

Ho avuto il piacere di conoscere Adrian Suciu, poeta romeno, in occasione di un recente incontro artistico letterario ad Avigliano Umbro, organizzato in collaborazione con Lucilla Trapazzo, nota poetessa, traduttrice ed esperta di poetica internazionale. La poesia, grazie anche alle buone possibilità di condivisione globale che la società attuale permette, sia attraverso l’uso della rete e sia anche di persona, con gli spostamenti tra un paese e l’altro, tra una nazione e l’altra, divenuti ormai relativamente semplici, viene così proposta, affidata e fruita (mi si lasci passare questo termine, che però individua molto bene il concetto) a livello direi universale, al di là della lingua di ciascun paese; e qui divengono naturalmente preminenti i rapporti umani e amicali che si possono instaurare tra un poeta e l’altro, di nazionalità diverse, tra un gruppo di autori e l’altro, laddove la traduzione perfettamente eseguita nella lingua del luogo accogliente, non è caratteristica primaria, ma piuttosto lo è la modalità di porgere i versi al pubblico, la musicalità, le vibrazioni che suscitano nell’anima l’ascolto della poesia in lingua originale.
È ciò che è accaduto proprio ad Avigliano Umbro, alla fine dell’aprile scorso, durante il Festival della poesia a Fortezza Alta.
E dunque uno dei tanti bravi poeti che venivano dall’estero, nella fattispecie dalla Romania, è proprio Adrian Suciu, del quale qui volentieri riportiamo alcuni testi poetici tratti dal suo libro Testi in apnea.
Si tratta di una raccolta omogenea che evidenzia la grande propensione dell’autore per le argomentazioni di carattere privato ma che hanno sicuramente un largo interesse sociale. Versi in apnea perché forse soffocati, o trattenuti, da una società globale che sovente si mostra conformista e abitudinaria, appiattendo o denigrando quelli che sono gli afflati di uno spirito creativo quale quello di un artista o di un poeta, che non vede ostacoli alla libertà di esprimere sentimenti ed emozioni anche forti, ma sinceri e schietti.
La poesia di Adrian, in questa raccolta, è diretta, e in molti tratti è anche simbolica, laddove il simbolismo maschera una realtà cruda e ipocrita, sia nei confronti del sentimento, dell’amore, e sia in ambito più squisitamente sociale, come nelle realtà quotidiane di questa nostra martoriata epoca.
Del resto Adrian da esperto giornalista, oltre che da poeta, riesce a cogliere lacerti di negligenze, storture e ipocrisie nel tessuto della società, non solo romena, ma anche globale, e ne individua poeticamente i capitoli principali, utilizzando un linguaggio idoneo, asciutto, ricco di allusioni e velatamente ironico.
Un libro di poesie, quello di Adrian Suciu, che coinvolge emotivamente il lettore, dandogli l’opportunità di riflettere su tanti temi umani e sociali che la “poesia in apnea” cerca di far emergere in superficie dell’anima.

 

visione

 

dicevi: hai gli occhi grandi

e maestri nel comporre il fumo!

 

vedevo fuochi leggeri

sul bordo della luna, capivo perché

il mio braccio scottava

 

ti racconterò, pensai, delle erbe

uno dei vecchi amanti delle barche

ancora consente i canti del vento

sulle banchine

 

la gioia si arrampica sugli specchi fino al mattino…

nel sogno troveremo una luce fredda che

ci intaglia e ci abbandona

ti vedrò accanto al mio corpo nudo; ti dirò:

per questo lui manda le ombre assetate di giovinezza

ai lunghi pioppi

per questo il mio riposo diventa ebrezza e

davanti a essa dovresti zittire!

 

 ***

 

madre

 

Mamma, ti porteranno notizie su di me

i mercanti stranieri;

loro passano la dogana con impudenza, io non ci riesco ancora!

Guardo da vicino la terra, mi piace che

tu passi, annerita dall’erbe,

ti canteranno di me le sorgenti essiccate, io non ricordo

il loro canto.

Raccolgo il mio corpo come se tirassi un’ancora cieca

dal mare; è chiusa a chiave la nave, madre

il montante invecchia e il suo buon legno,

disceso sui fiumi del Nord, mormora preghiere.

Le piogge che tu ascolti ininterrottamente scriveranno

di me sulle tue finestre

Scoprirai che

passo le mie notti

sul terreno stanco. Gli uccelli della primavera

annusano il frutto. Il sole legge le rughe del mondo,

Non li capisco, non li vedo…

 

 ***

 

un tempo gentile

 

C’è una velocità cruenta intorno. Una rapidità dura e tagliente.

Non si trova un appiglio. Il freddo fulmineo invade

il petto

come i piccoli fiori che invadono gli occhi di coloro che sfuggono.

Le vibrisse del gatto rosso

inquadrano un paesaggio con passanti e ruote. I depositi azzurri

pompano i treni, giorno e notte.

L’erba non germoglia in fretta. La velocità viene dal diavolo.

Ma arriverà anche un tempo gentile e l’amore si assesterà.

 

*** 

 

la donna della città laggiù

 

Ho conosciuto una donna che odora di latte

e ha il sapore di lamponi. L’ho salutata

e ho conosciuto una donna che odora di pioggia

e ha il sapore di acero.

Il Consiglio dei Saggi mi ha lodato per le donne

che ho conosciuto, mi ha nominato

Colui Che Sa Fiutare e mi ha dato una fascia color visciola

da mettere sul petto. Mi hanno chiamato l’Assaggiatore

e mi hanno mandato come bibliotecario nella città laggiù.

Qui ho una fotografia con mia madre, una locusta impagliata

e una pelle di vitello.

 

Da qui passa solo la donna

che odora di legno bruciato e ha il sapore di cenere.

 

 ***

 

dell’amore

 

Dell’amore parliamo solo in sordina, come due angeli

che dubitano del Padre. Dormiamo lo stesso sogno

come se fosse la stessa carota mangiata dai due operai

della fabbrica dove si lavano le carote. I nostri gatti

sono diventati cani, le nostre pulci sono diventate libellule.

 

Un diavolo nero pizzica le mucche da dietro e loro danno il latte

che noi beviamo. Si sa che gli stupidi

muoiono più spesso dei saggi.

 

Per questo, per amore

scegliamo soltanto la saggezza.

 

 ***

 

la memoria delle cose perse

 

La poesia è il prolungamento della mia mano destra.

Se dovessi perdere la mano destra, la poesia

diventerebbe il prolungamento della mano sinistra, in memoria

della mano destra. Se dovessi perdere la mano sinistra

e se dovessi perdere ancora, la poesia si avvicinerebbe

di più a me.

 

In memoria delle cose perse.


Brani tratti da:

Adrian Suciu, Testi in apnea, Edizioni I Quaderni del Bardo, 2023.

Traduzioni dal romeno di Roxana Lazar e Valeriu Barbu.

Noto giornalista, collaboratore di numerose testate, editorialista e produttore di programmi televisivi, Adrian Suciu è attualmente presidente della Sezione Stampa Culturale dell’Unione dei Giornalisti Professionisti della Romania e presidente dell’Associazione Culturale Direzione 9, la più potente e attiva organizzazione privata in Romania dedicata alla poesia. È un importante promotore culturale, organizzando eventi letterari e artistici, campi di creazione, i festival nazionali e internazionali. Nato nel 1970, è considerato uno degli scrittori più importanti emersi dopo la caduta del comunismo in Romania. Autore di romanzi, poesie e drammaturgie, i suoi libri hanno una diffusione notevole e hanno più edizioni. Ha vinto numerosi premi letterari nazionali e internazionali. I suoi scritti sono stati tradotti in arabo, ebraico, inglese, francese, tedesco, italiano, ungherese, spagnolo, ecc. È presente in numerose antologie di letteratura romena contemporanea pubblicate in Romania o all’estero.

venerdì 30 maggio 2025

Ivan Pozzoni e il suo Collettivo di nuova socio/etno/antropologia estetica

 

Mai stanco di procedere in profondità nelle sue indagini sui comportamenti dell’attuale società mondiale, specialmente in riferimento alla letteratura e alla poesia, Ivan Pozzoni, eclettico poeta nonché grande e solerte promotore di nuove idee e pensieri filosofici e letterari, e perché no?, anche di carattere sociale ed economico, propone un suo recente lavoro letterario, che è in sintesi una raccolta di poesie, ma vuole essere anche, e forse soprattutto, una modalità diversa di fare e intendere la poesia, giusto come egli stesso afferma nelle sue lunghe e dettagliate prefazioni. Il titolo della raccolta, Kolektivne Nseae, edita da Divinafollia nel 2024, vuole appunto suggerire questo suo diverso approccio al mondo della poesia, facendone un’analisi personale molto accurata e dettagliata, considerando in particolare le problematiche ad esso legate, e cioè l’autoreferenzialità di molti autori, le correnti poetiche, le difficoltà da parte dei lettori nell’interpretazione della materia poetica, con la conseguente insorgenza di una sorta di “malattia” e di distacco da essa.
Il titolo della raccolta è in polacco. Letteralmente, Collettivo di “Nuova socio/etno/antropologia estetica”, il che sintetizza, come dicevamo, tutto il progetto letterario dell’autore, che tocca, appunto, anche spondeo sociali, etnografiche e antropologiche.
Non essendo possibile qui dilungarci ulteriormente su questi argomenti, consigliamo la lettura del libro, nel quale è spiegato esaurientemente tutta la filosofia dell’autore.
Ne riportiamo invece alcuni brani.

Caronte, in riva al lago

 

Seduto su una roccia, in riva alle acque turbolente

macchiate di ricordi del mio Lete lacustre,

mi tramortisco col rumore ombroso delle onde

che cantano dei miei vent’anni, d’amori e attese blande.

 

Cerco un Caronte astioso e ansante,

che meni la mia barca sui fiumi d’Occidente,

rodato dosatore d’ansiolitici, seduta stante,

scorbutico maleducato, rude bifronte.

 

Cerco un Caronte, un Caronte vero,

temerario consulente abituato a transumanze d’ogni genere,

con remi, barba stanca,

obolo di scorta che difenda all’arma bianca.

 

Seduto su una roccia, rinvio a domani

l’insulsa immaturità delle mie mani.

 

***


Rogito ergo sum

 

Preda di un brutale scollamento tra Bund e BTP,

senza che ci tragga in salvo alcun modello CCCP,

la nuova parola d’ordine è investire sul mattone

che con il crollo delle borse inter-stellari ogni risparmio è un’illusione.

 

Se la banca ci concede un mutuo bisogna levare alti i nostri tedeum

e scaraventarci a scegliere tra un parquet o un linoleum,

nascono, come funghi, agenzie immobiliari ogni due m²,

immobiliaristi dall’occhio bovino che ci costringono a diventar mezzadri,

decerebrandoci in attività tipo il misurare una chaise longue,

con i neuroni ancorati a Malta come le navi di una Ong.

 

Lo Stato feudatario c’accorda lo ius primae casae

nuovi acquisti e ristrutturazioni sono adito d’ukase,

chi riesce, a fatica, a svincolarsi dal contratto d’affittanza

è bandito dalle liste del reddito di cittadinanza,

e avrà l’onore di finire a fare il barbone

con il culo sul divano davanti alla televisione.

 

Monolocale, cantina, bilocale, box, trilocale

cantori, senza ascensore, abituati a far le scale,

cerchiamo, allucinati, di non finire in uno slum,

al grido unanime di rogito ergo sum.

 

 ***

 

Dacia

 

Le aquile marciano sulle strade della Dacia,

in testa l’imperator Marco Ulpio Traiano

ha costruito una Romania aliena dalla fiducia,

meglio l’avesse organizzata Vespasiano.

 

Chi credeva che l’ordo militaris,

fosse sostituito dall’ordo consumaris,

dopo secoli di cambiamenti

tra pesti, recessioni e sbeffeggiamenti?

 

L’ordine mondiale è il dominio di una manciata

di miliardari difese da una munita barricata

i nuovi schiavi saranno tutelati da una scudisciata,

non dal Grande Fratello Vip o da una tv codificata.

 

Brani tratti da:

Ivan Pozzoni, Kolektivne Nseae, Edizioni Divinafollia, 2024

giovedì 29 maggio 2025

Il teatro delle voci in "Lengua de striga" di Tiziana Colusso

Davvero portentosa, non trovo definizione migliore, questa opera letteraria di Tiziana Colusso, Lengua de striga, per la sua complessità drammaturgica, ma anche per il profondo e toccante scenario di umanità, laddove per umanità intendiamo la persona interamente messa a nudo e che si mostra in tutte le sue miserie, i suoi affanni, i suoi difetti, le sue precarietà, la sua forte emotività, ma anche la sua gioia e le sue speranze: una umanità schietta, sincera e scevra da ogni schema o impalcatura imposta dal conformismo e dalla routine quotidiana della vita sociale. E si parla soprattutto di donne, donne che hanno sofferto e amato, donne vilipese, offese, violentate.
Un mondo di donne dunque, prevalentemente, protagoniste di vicende dolorose, come quella di Casa senza bambole, o quella del Precipizio, dramma teatrale basato sulla terribile vicenda delle due ragazze violentate al Circeo, ma anche figure centrali che con la loro audacia e coraggio, riescono nonostante tutte le avversità a riconquistare la loro dignità e la loro umanità.
Il luogo comune di Lengua de striga è un lungo coro di voci, un vero e proprio teatro delle voci, come bene suggerisce il sottotitolo del libro, voci di fantasmi dolenti che sussurrano, che si agitano, tentano di emergere, o meglio riemergere alla vita. Sono in fin dei conti le voci delle tante verità, dolorose e sofferenti, che ogni essere umano, in particolare le donne, tenta di esprimere, risalendo l’ardua china sociale del conformismo e dell’ipocrito perbenismo, che le vuole, ancora oggi, sottomesse e disponibili a tutto.
Tiziana Colusso, scrittrice e poetessa ben nota e apprezzata, utilizza qui la modalità del testo teatrale per raccontare le vicende delle sue protagoniste nelle nove scenografie. Ma ciò nonostante, la poesia non manca: la ritroviamo sicuramente nelle atmosfere di fondo, ma anche tra le righe della narrazione, nei personaggi e nei dialoghi, e sicuramente la filigrana poetica di cui sono nutriti i testi contribuisce ad avvalorare ulteriormente il loro contenuto, fornendo ad essi il necessario e gradevole lirismo, la morbidezza del dettato e le coloriture opportune.
La storia presa a riferimento, che sia reale o basata su romanzi o opere di altri autori recenti o del passato, fa da contraltare alla drammaturgia : è come se Tiziana riscrivesse la tragedia accaduta in chiave moderna; ma non c’è sovrapposizione: la vicenda è abilmente reinventata e riscritta, sull’eco di quella più antica. Così ad esempio in Precipizio, che ricalca la storia di Rosaria e Donatella al Circeo, così in Sparizione di Giovanna che richiama l’opera teatrale “Santa Giovanna dei Macelli di Brecht”, e così via anche nelle altre drammaturgie.
Un libro intenso, emozionante e coinvolgente, per il contenuto delle narrazioni e per la grande esperienza dell’autrice nell’utilizzare la drammaturgia per poter veicolare con maggiore efficacia le storie e le scenografie nella loro più complessa realtà e umanità.

Tiziana Colusso, Lengua de striga, Bertoni Editore, 2024

mercoledì 28 maggio 2025

La pianta del buio, di Francesco Gabellini

Ricercare l’essenza di sé e della realtà circostante, rovistando nei più profondi lacerti della nostra anima, del nostro inconscio: questo il lavoro dell’artista, del creativo, e in ultima analisi, e forse con una accelerazione e un’enfasi maggiore, del poeta. Qui, in questa silloge di Francesco Gabellini, prima raccolta in lingua italiana edita da RPlibri, importante casa editrice che dà spazio a selezionatissime voci poetiche di spessore, la ricerca di un senso, o perlomeno di una giustificazione, nell’esistenza, nella quotidianità delle cose, nei comportamenti dell’uomo, è piuttosto evidente.
E si tratta di una ricerca continua, insistente, fortemente voluta e direi quasi ostinata, perché il poeta ha necessità di "svelarsi" in profondità, di penetrare la realtà e le cose anche a costo di non trovare nulla che lo soddisfi, o che lo convinca: asintoticamente il poeta ricerca una verità, ovvero la possibilità di una speranza, un orizzonte che gli dia una qualche certezza. Ne segue un’indagine pedissequa nel baratro di sé e della storia, delle vicende umane e sociali attuali che influenzano e coinvolgono lo spirito d’osservazione del poeta. Francesco Gabellini non è da meno, e in questa corposa raccolta poetica, egli indaga alla ricerca della pianta del buio, come lo stesso titolo suggerisce, sintetizzando emblematicamente l’intento dell’autore. Troverà alla fine qualcosa? Egli non teme di indirizzare la sua ricerca a largo raggio, la sua sonda poetica raccoglie messaggi da ogni parte, materiale, sentimentale o anche trascendentale, o anche da soggetti/oggetti che non potrebbero mai dare una risposta. Non per nulla egli riporta in esergo un bellissimo verso di Paul Celan: “È tempo che la pietra accetti di fiorire”.
L’intento evidente della poetica di Francesco Gabellini, in questa raccolta, è dunque essenzialmente quello di trarre anche dal mistero più recondito celato nella realtà delle cose, e anche in quel magma instabile dell’animo umano, un filo conduttore, un delicato “refe” che possa collegare le radici delle cose, e traendole così dal buio dell’inconsapevolezza, o dell’inconscio, per riportarle alla luce attraverso la parola poetica.
È un’operazione delicata. Ma consapevole della sua bravura nel gioco dei versi, Francesco Gabellini punta ad una schiettezza diretta, o con qualche elegante allusione, nel descrivere la realtà, che sovente appare squilibrata, oscura, sconnessa (“...lancette abbandonate ancora / scandiscono le ore”…).
Il recupero di un senso dalle radici buie delle cose (e del nostro essere) è dunque veicolato attraverso questo suo dettato poetico veramente adeguato ed efficace, il che conferma il grande afflato emotivo ma anche l’eccellente stile di scrittura dell’autore, senz’altro meritevole di essere letto e seguito.

 Rafia

 

Passa un filo sottile dentro ogni terra

che lega le radici e tiene saldo il mondo.

Colonne dacqua negli abissi

tenute insieme da un gemito debole

e continuo, il fischio delle meteore

nella notte, mantiene le stelle sospese.

Tutto si tiene in sé a malapena, ma insiste.

Lancette abbandonate ancora

scandiscono le ore.

 

Ed ecco il carro che trasporta

le suppellettili del nostro amore:

il tuo canterano, la timida mimosa,

la pazienza dei giorni lunghi e monotoni.

È un carro sbilenco, le ruote a malapena

si orientano, trainato da due mosche

cavalline, avanza a stento nella palude.

A ogni curva il carico sinarca,

il carro minaccia di andare a ruote allaria.

Ogni amore è un carico instabile

tenuto insieme da un filo di rafia.

Così va, nel cadere non cade.

 

***

 

Gita al binario morto

 

Gita al binario morto,

qui, dove è giunto il nostro andare,

agli orti abbandonati, alle figure

depredate, alle vostre parole

nel tempo perverse, alla liturgia

delle inferriate, alle metafore avvilite

dallunivoco segno, indeclinabile.

 

Gita domenicale, quasi un pellegrinaggio,

con la nonna, i bambini e il cane,

alle rinunce, alle opere dismesse,

alle povere file di case,

cassettiere di credenze sgomberate

dove mai nessun dio è risorto,

nudità abbaglianti, spaventate.

 

Per secoli di stragi impunite

un minuto di silenzio,

durante il quale pensare ad altro,

alle urgenze del vivere finalmente in pace.

Ma siamo venuti dunque

per vedere fiorire la silene bianca,

di notte, da sola, in mezzo ai sassi.

 

***

 

Qualità del morire

 

La voce alla radio elenca le città

dove più alta sarebbe la qualità del vivere.

La luce livida del mattino, indulgente,

accarezza le tende distratte.

 

L inverno sembra avere pietà nelle cose.

 

Dentro lalito tiepido delle case

sembrano unopera le vostre vite mute,

dietro al silenzio liquido dei vetri.

 

E nessuno disse mai del luogo

dove migliore sarebbe per luomo il morire.

 

Vivere riguarda quello che la mano

timorosa tocca.

 

La tua morte la porti sempre con te,

in grembo, rannicchiata in posizione fetale

o dentro al petto che pulsa,

come un secondo cuore.

 

Eco silenziosa e speranza

ancora, di infiniti,

penultimi amori.

 

***

 

Funerale del poeta

 

Preferisco le poesie e ancora meglio

quei componimenti di poche righe

dove lo sforzo della vista si riduce al minimo.

Tutto intorno è la pace del bianco, della pagina grande.

 

Come dopo una lunga nevicata

dal paesaggio svettano i pali magri delle antenne,

le torri, i cipressi del cimitero e i campanili.

I pioppi cipressini iniziano a muoversi,

alberacci che spuntano allimprovviso

come figure esili dello scultore Giacometti.

Camminano con passi lenti verso le case

piene del silenzio della sera.

 

Il suono delle campane si fa più chiaro, allora,

un discorso monotono di tocchi radi.

Laria è nitida e trasparente,

il profumo dellincenso invade le stanze.

 

***

 

Gli onnivori

 

Luomo mangia tutto.

Estrae piante e funghi e li mangia.

Costringe gli uccelli a scendere dal cielo

e i pesci a uscire dal mare, e se li mangia.

Indossa sahariane chiare di lino e foulard di seta

che poi si mangerà, luomo mangia strade e case.

 

Conduce altri uomini in cima alla montagna

per vedere lontano e insieme si mangiano il paesaggio.

Luomo divora interi boschi,

nemmeno le suppellettili sui mobili di casa si salveranno.

 

Luomo ha ritagliato sagome di cartone

con le quali costruire un pubblico per i suoi teatri.

Il silenzio nelle biblioteche è violato

dal rumore martellante delle mandibole.

Luomo si mangia le parole.

I ristoranti sono le nuove cattedrali.

 

La domenica luomo si mangia i suoi figli

e nellultima ora del giorno

luomo mangia anche sé stesso.

 

***

 

Qualcosa che ci riguarda

 

E dovera locchio che vede tutto

quando morì da solo

nel suo appartamento di trenta metri quadri?

 

E venne ritrovato dopo due mesi.

 

Si sentivano le grida di gioia dei bambini

che giocavano giù in strada a un due tre stella

e il canto damore di un merlo.

Forse era primavera e qualcuno

col viso coperto per il forte odore,

era salito su in casa, preoccupato,

chiedendosi se lavanzato stato di decomposizione

fosse qualcosa che ci riguarda tutti.

 

Brani tratti da:

Francesco Gabellini, La pianta del buio, RPlibri, 2025; introduzione di Antonio Bux; postfazione di Gianfranco Lauretano

Francesco Gabellini (Riccione, 1962) è poeta, educatore e autore teatrale. Ha pubblicato sei raccolte di poesie in dialetto romagnolo: Aqua de silénzie (AIEP, 1997), Da un scur a cl’èlt (La vita felice, 2000), Sluntanès (Pazzini, 2003), Caléndre (Raffaelli, 2008), A la mnuda (Ladolfi, 2011), Nivère (Raffaelli, 2021). Zimmer frei (Il vicolo, 2016), raccoglie cinque suoi testi teatrali, sempre in dialetto romagnolo. Sue poesie sono inserite in varie antologie dedicate alla poesia contemporanea in dialetto. La pianta del buio è la sua prima pubblicazione in lingua italiana.




 

lunedì 26 maggio 2025

Il delicato erotismo nella poesia di Anna Emmanouil

 

Volentieri pubblichiamo nella rubrica “Transiti Esteri” tre testi di una giovane poetessa greca, Anna Emmanouil, in inglese e relativa traduzione in italiano.
Si tratta di componimenti caratterizzati da una forte ispirazione erotica, senza peraltro eccedere nella morbosità o nell’oscenità. La delicatezza e la morbidezza di questi versi rendono l’argomento trattato liricamente gradevole e condivisibile, con immagini eteree che sublimano una passione carnale totalizzante.

 


In the Beginning, Pleasure

 

And indeed, I was born.

I, the otherworldly one.

With a thousand fires in my hair.

The Handless Woman of pleasure and pain.

I drag thousands of lines.

Soft curves arch my body.

White existences untouched by anyone.

Land you can reach with your wave.

To merge with the sacred depths.

To inhale eternal youth.

Impenetrable Love,

Touched only by the sun.

Only the earth,

Stripped me before thousands of stars.

In hidden places,

To join in my limbs,

With the rain's gaze,

Thousands of pains, cries, and unfulfilled desires.

So red,

Thorny,

Rosy needles,

Piercing my flesh.

And then languidly,

Descending my hills.

With your proud hands,

Slowly to rest.

With ecstatic movements.

Like an invulnerable hymn to sacred altars.

And on my Holy Rock,

From my innards, rise verses of stone.

To place pure white lilies,

Sculpted marbles of snowy whiteness,

That the sculptor wishes to lick with the scaffolding of Love,

The World,

That we shall define.

A rectangular Love,

Three corners and an endless circle unite.

 

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In principio, il piacere

 

E in effetti, sono nata.

Io, l'ultraterrena.

Con mille fuochi nei capelli.

La donna senza mani del piacere e del dolore.

Disegno migliaia di linee.

Curve morbide inarcano il mio corpo.

Esistenze bianche incontaminate da chiunque.

Terra che puoi raggiungere con la tua onda.

Per fonderti con le profondità sacre.

Per inalare l'eterna giovinezza.

Amore impenetrabile,

Toccato solo dal sole.

Solo la terra,

Mi ha spogliata davanti a migliaia di stelle.

In luoghi nascosti,

Per unire le mie membra,

Con lo sguardo della pioggia,

Migliaia di dolori, grida e desideri insoddisfatti.

Così rossi,

Spinosi

Aghi rosati,

Che mi trafiggono la carne.

E poi languidamente,

Discendendo le mie colline.

Con le tue mani orgogliose,

Lentamente per riposare.

Con movimenti estatici.

Come un inno invulnerabile agli altari sacri.

E sulla mia Sacra Roccia,

dalle mie viscere, si levano versi di pietra.

Per posare candidi gigli,

marmi scolpiti di candido candore,

che lo scultore desidera lambire con l'impalcatura dell'Amore,

il Mondo,

che definiremo.

Un Amore rettangolare,

tre angoli e un cerchio infinito si uniscono.

 

***


Seven Days of Pleasure

 

Sunday: Morning in the eternal white absolution with you. 

In the bed of sun-kissed violets. 

Yes. 

We became a clearing tree in the middle of the sea. 

And I hold the knife, 

To drip with my blood, to nourish your retrogressive roots…

 

Monday: I seem rosy. 

My feet, my hands, my face soaked. 

I might exist. 

With your gaze petrifying me, 

Holding me by the hips in the vast blue net you spread.

 

Tuesday: The Number 8 sways above our heads. 

Union of 1 with 9 on an endless sand, 

With thousands of pebbles dressing the naked bodies. 

The sulfur rises just like Love. 

 

Wednesday: You, the Divine Thunder. 

I, the unruly Rain. 

Oh, the all-harmonious union. 

Let us sprout the Earth. 

To fill with pleasure and pain…

 

Thursday: A serene century. 

Musk, sun, and translucent moments. 

In that sacred hour, 

When you secretly breathe life into my insides. 

Thousands of kisses echo love. 

Ah, could I once again capture our sound. 

And suddenly our shadows become one…

 

Friday: “Of the Ascension” of a man who loves passionately. 

A beat, your heart. 

Emergence. 

And my flower-filled embrace awaits your hymns. 

Then. 

Endless darkness. 

And two swans chill here. 

And our hands weave again and again the light. 

 

Saturday: Night of sorrow. 

The earth, I believe, resembles a bed. 

Let us sink into it. 

To become Death that no one can touch. 

To nourish with my purpleness, 

Blood, to become one. 

To remain forever united in the frozen sheets. 

In the withered gardens forgotten by all. 

Here in the vast abyss.

 

 ---

 

Sette giorni di piacere

 

Domenica: Mattino nell'eterna assoluzione bianca con te.

Nel letto di violette baciate dal sole.

Sì.

Siamo diventati un albero che si radica in mezzo al mare.

E io tengo il coltello,

Per far gocciolare il mio sangue, per nutrire le tue radici regressive…

 

Lunedì: Sembro rosea.

I miei piedi, le mie mani, il mio viso inzuppati.

Potrei esistere.

Con il tuo sguardo che mi pietrifica,

Tenendomi per i fianchi nella vasta rete blu che stendi.

 

Martedì: Il numero 8 ondeggia sopra le nostre teste.

Unione dell'1 con il 9 su una sabbia infinita,

Con migliaia di ciottoli che vestono i corpi nudi.

Lo zolfo sale proprio come l'Amore.

 

Mercoledì: Tu, il Tuono Divino.

Io, la Pioggia indomita.

Oh, l'unione armoniosa.

Lasciamo germogliare la Terra.

Per riempirla di piacere e dolore…

 

Giovedì: Un secolo sereno.

Muschio, sole e attimi traslucidi.

In quell'ora sacra,

Quando segretamente soffi la vita nelle mie viscere.

Migliaia di baci echeggiano l'amore.

Ah, potrei catturare ancora una volta il nostro suono.

E improvvisamente le nostre ombre diventano una…

 

Venerdì: “Dell'Ascensione” di un uomo che ama appassionatamente.

Un battito, il tuo cuore.

Emersione.

E il mio abbraccio fiorito attende i tuoi inni.

Poi.

Oscurità infinita.

E due cigni si rilassano qui.

E le nostre mani intrecciano ancora e ancora la luce.

 

Sabato: Notte di dolore.

La terra, credo, assomiglia a un letto.

Sprofondiamoci dentro.

Per diventare Morte che nessuno può toccare.

Per nutrirmi con la mia porpora,

Sangue, per diventare uno.

Per rimanere per sempre uniti nelle lenzuola ghiacciate.

Nei giardini appassiti dimenticati da tutti.

Qui nel vasto abisso.

 

 ***

 

 Monologue One

 

Yes, I am still unrefined by you, Desired One... 

Unrefined, by you, My Heaven. 

You have leaned over me. 

You look at me. 

You want to bear fruit through me. 

Breath. Conception. 

I feel you within me. 

Above our cradle, 

The unbridled infinite hovers. 

And your voice was heard. 

That all-harmonious song of yours 

took flesh within my flesh, through flowers, trees, and seas: 

“You. Through You. 

Poetry. 

Poetry is Pleasure. 

It is Pleasure. 

The world is my fruit. 

The world written in your womb…” 

It said. 

“Your heart and your weapon,” it said. 

And its hands stretched over me again. 

It molds me again and again. 

Merging into my flesh, 

You opened, Summers, 

Winters and Autumns. 

It stirs with the stamen of the sun. 

In the heights of the night. 

I merge the dew of fire, water, 

Earth and air. 

It touches me, I think. 

I hear chirping. 

Oh, its all-harmonious breath in my breath. 

It hears my bosom. 

I think that from my loins, instincts of thousands of beasts escape. 

I become a part of it. 

And “the two shall become one flesh.”

 

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Monologo Uno

 

Sì, sono ancora incompleta per te, Desiderata...

Incompleta per te, Mio Cielo.

Ti sei chinato su di me.

Mi guardi.

Vuoi generare frutto tramite me.

Respiro. Concezione.

Ti sento dentro di me.

Sulla nostra culla

aleggia l'infinito sfrenato.

E la tua voce si sentì.

Quel tuo canto armonioso

prese carne nella mia carne, attraverso fiori, alberi e mari:

“Tu. Attraverso di Te.

Poesia.

La poesia è Piacere.

È Piacere.

Il mondo è il mio frutto.

Il mondo scritto nel tuo grembo…”

Disse.

“Il tuo cuore e la tua arma”, disse.

E le sue mani si stendevano di nuovo su di me.

Mi plasmano ancora e ancora.

Fondendosi nella mia carne,

Ti sei aperto, estati, inverni e autunni.

Si agita con lo stame del sole.

Nelle altezze della notte.

Unisco la rugiada di fuoco, acqua,

terra e aria.

Mi tocca, penso.

Sento un cinguettio.

Oh, il suo respiro armonioso nel mio respiro.

Sente il mio seno.

Penso che dai miei lombi scaturiscano istinti di migliaia di bestie.

Divento parte di esso.

E "i due diventeranno una sola carne".

 

 

Anna Emmanouil è nata nel 2002 a Volos, in Grecia. Si è laureata presso il Dipartimento di Educazione Speciale dell'Università della Tessaglia. Il suo principale interesse di ricerca riguarda il rapporto tra arte e accessibilità per le persone con disabilità visiva. Un risultato accademico e di ricerca particolarmente degno di nota è stata la trasformazione di Guernica in un formato tattile in rilievo per persone con disabilità visiva, nell'ambito della sua collaborazione con il Laboratorio di Accessibilità nell'Educazione Formale e Non Formale per Persone con Disabilità Multiple (Università della Tessaglia). Ha anche condotto progetti di ricerca incentrati sulla riproduzione di fiabe in formati tattili e tridimensionali per persone con disabilità visiva. Le sue passioni quotidiane includono la scrittura di poesie e racconti, nonché la creazione di opere d'arte digitali. In questo campo, ha vinto il Primo Premio al concorso nazionale Digital Art by Kefalos (2024). Esti Idoni è la sua prima raccolta di poesie, pubblicata da AO Editions. Infine, ha ricevuto il Premio Erato per la poesia erotico-lirica e il Primo Premio per la poesia erotica al Kavafis World Poetry Competition per la sua raccolta di poesie d'esordio Esti Idoni (AO Editions, 2024).