venerdì 10 febbraio 2012

Ugo Piscopo e i suoi "Familiari"

"Familiari", un lusso che uno si può concedere tardi nella vita. In limine, dunque, e quasi postumo. Il lemma, ovviamente, si costituisce nel segno della fedeltà, biografica (per le consuetudini dialogiche con gli amici) e intellettuale (per il riferimento a precisi modelli: gli umanisti, gli epistolografi, ma innanzitutto Petrarca). Ad esso, però, è consegnato anche altro, tra cui, innanzitutto, le ragioni dello stile. Il quale si fonda su un registro linguistico non aulico, non accademico, non illustre, ma quale si conviene tra persone che si conoscono, abituate a discutere fra loro in maniche di camicia, tolleranti verso le digressioni, le impertinenze, le improvvise sospensioni, le contraddizioni dell'attimo, le citazioni note e non note, le alloglossie. Oltre che verso le soste narrative sui fantasmi che attraversano i nostri sogni e le nostre visioni.
Ecco, questo è il "biglietto di viatico" scritto dallo stesso autore, Ugo Piscopo, per introdurre il suo percorso poetico nel recente volumetto intitolato, per l'appunto, "Familiari" (Edizioni Oèdipus, postfazione di Ciro Vitiello). Si tratta dunque di un percorso poetico singolare, da realizzare insieme con gli amici e persone che si conoscono, in "maniche di camicia", come suggerisce lo stesso autore. Ma non per questo la poesia di Ugo Piscopo, che è senz'altro uno degli esponenti di maggior spicco nel panorama della poesia italiana, per la sua lunga e assidua frequentazione, studio, ricerca e apporto di nuovi elementi di stile e di contenuti, è meno alta e di tono minore, in questi "Familiari", rispetto alla sua produzione letteraria e poetica precedente e attuale; anzi, direi che proprio in questo interessante e gradevolissimo volumetto si estrinseca in modo ancora più avvincente e, sotto certi aspetti, anche intriganti: con la sua vasta cultura e la padronanza assoluta del lessico e della parola poetica incastonata in un verso denso e musicale, ricco di immagini evocate e ri-evocate, con termini attinti anche dal mondo classico e da una preziosa tradizione linguistica territoriale, Ugo Piscopo dà prova, ancora una volta, di essere un letterato e un poeta di prim'ordine, e importante riferimento per tutti coloro che seguono e attuano questa particolare forma espressiva che è la poesia.
Offriamo dunque al lettore attento alcuni versi tratti dal volumetto "Familiari" di Ugo Piscopo, per gentile concessione dell'autore, ringraziandolo, e ringraziando anche tutti gli amici che vorranno lasciare un loro eventuale commento.

Cosmonauta ognuno

Con figure e blocchi di cifre a schiera
uno zio pedante spiega a un bimbo
schemi di ricorrenze e concordanze
e insiemi di perfette asimmetrie
quali una piena mattina d'estate
che è tutta la vita di un moscerino
o il lato scorrere di un anno nostro
nell'addensarsi di sette anni al cane

il bimbo filma fissa lava stampa
e ne sviluppa sue assorte sequenze
del moscerino dell'uomo del cane
cosmonauta ognuno su traiettorie
e spirali proprie a spinte e programmi
discordanti in tutto se non nel viaggio
per sé di ciascuno in nube che va
con le altri nubi e tutte le altre cose

***

E/migrante

(Frammento di lettera
lasciato in fondo al taschino di un vecchio gilé
d'un emigrante in America che riflette su parole e fatti)

e-migrante giusto aunito e giusto fellato
perché è uno e due e forse tanta gente ancora
è due quando che è uno che sta di qua e di là
e quando che sta di qua non ci sta di qua
come quando sta di là che non ci sta da quella parte
e che quando è proprio uno è uno per dire uno
che va buono fellato a sanguiccio e mortadella
proprio come e-mi-gran-te che è la fine del mondo
tu tagli e subito cade la e e che niente succede
perché tutto quanto ci succede è manco di niente
nothing taliano boy come dice la modha
sciòr mai brodho e mi caccia alla cuccia
sotto alle scale con le sue vecchie sciuse
e alla fine esige la pezza perché è una rumma
e meno male che tengo la rumma che è già una sciorta
è questo che io considero quando vado e quando torno
vado alla giobba che è notte e conta come giorno
una notte falsa come Giuda travestita a luce
e poi stiamo nel giorno che aspettiamo il giorno
e questa è l'America e questo è l'emigrante
che la notte fa giorno che il giorno non si vede

***

La vasca nera

a gerardo di fiore

su tè sul tè in slingueggiare rovenze
di velluto e scutrettolii purpurei
a las cinco de la tarde
tie' a marcatrè e perchennò?
via anche sul quattro è un belridere che è
li-llà propriollà opplà ppplàa
e gli fa da palo a trentaquattro
a randa a randa nella ronda
ad abundantiam e crepinvidia
sul tre e sul quattro tête-à-tête
a te tra tra tràc
a tetra sì a tetraciclina no
a tetraedro infine e a quadrilatero
manco a Peschiera così preciso

si è schiantata la piastra del black-out
stira Sansone e tutti i filistei
spastato il compluvio nell'impluvio
impazza impizza impozza impupazza
buio pesto che è una festa di tetrità
un'allegoria oscura che non è scura
alluma nella vasca di Gerardo
un capolavoro di viola violato violante
che sviolina a te e a me a tutti e tre
e se dici quattro male non è
perché tre o quattro siamo
più di trentaquattro e più ancora
prezzemolini spezzettati spruzzati
come va va dalla punta delle dita
pezz pezz zi zzi zzzi
pizzini pizzini pizzini
viva il mare nei cucchiaini



***

Ore 19,34

stra straluna nostra luna
cche luna sta terra nostra
Azzurra stramba di randa
sul lago d'un giorno di festa
ad occasum aurei solis vergens
lì dove un granello di sabbia impazzito
in coitus interruptos strozza il congegno
ed è deceptio
rovesciato calzino la voluptas
lì dove ibi ubi
graffia grigna gri
il grido dell'attimo trema
con artiglio di lampo
graffia sul palinsesto
a saldo di conto
un griffato di sterra
straterra che fa di sé strame
nec non et nec non et
horrendos mugitus nunc adhuc edit
ex Daedaleo labyrintho Cretae
atque adhuc horret
in horreis defossis in apricis hordeis
e ride del cyber del moderno del post
se è terra sopra sotto la terra
ride sottosopra la terra
sulla terra a terra
terram terit ubi ibi et teret
ibi terret ubi tremuit
teste Seniore
in area tritici sui ipsius
ex terra quantum mutata ab illa
ex milibus milium seminibus
stratis in somnio contubernali
un quantum horae
uno scaglietto di tempo
ilare inebriato di sé
della sua eternità allo stremo
va e fa
come mamma comanda
la vendetta del passato che torna
indicando con l'ombra del dito
l'ubiquità dello scempio infinito



Ugo Piscopo (Pratola Serra, 1934) poeta, scrittore, studioso di letterature comparate e di arte contemporanea. Benemerito della scuola, della cultura e dell’arte, è stato professore e preside nei licei (1958-1983) e ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione (1983-2000). Dal 1963 al 1967, ha insegnato al Liceo Italiano di Tripoli, per conto del Ministero degli Affari Esteri e ha tenuto corsi di lingua e cultura italiane per stranieri. Nel 1983 ha vinto il concorso per ricercatore di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha svolto e svolge un’intensa attività letteraria ed è autore anche di testi teatrali. Come poeta, ha pubblicato le raccolte: Catalepta (1963), Jetteratura (1984, Primo Premio Gallicanum 1984), Quaderno a Ulpia la ragazza in mantello di cane (2002, Primo Premio Minturnae 2004), Haiku del loglio e d’altra selvatica verzura (2003, Menzione speciale al Premio Sandro Penna 2004), Il ricordo del tempo di un bimbo che misura (con Gianni Rossi, 2006), Presenze preesistenti. Pietre di Serra di Pratola Serra (2007, secondo Premio Penisola Sorrentina 2007), Lingua di sole. 12 haiku + 1 e una breve epistola (2008).


4 commenti:

  1. A me pare che la poesia di Piscopo sia una perenne sfida lanciata a ogni possibilità espressiva, rappresentativa, creativa; uno sforzo di grande ampiezza e rispondenza (pluri)linguistica non per velleità definitorie ma, al più, allusive o suggestive. Perché Piscopo dice con un filo di voce, con tono colloquiale; ma il registro è eletto e dotto, o quanto meno con inarcature verso l'alto che connotano il suo dettato poetico per opzioni verbali e figurative inedite ed efficaci. La tensione cui Piscopo sottopone il linguaggio genera una molteplicità di rapporti significante/significato con conseguente ricchezza interpretativa. E ciò coinvolge senza scampo il lettore che non può essere privo, se vuole capire questa poesia, di adeguati (leggi:raffinati)strumenti esegetici.
    Pasquale Balestriere

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  2. Già il titolo'Familiari', mi ha colpito, per la semplice complessità: come si fa a percorrere sensazioni, affetti, ricordi, senza correre il rischio di 'prevaricare'? Questo soprattutto attraverso la poesia.
    Eppure tu mi hai donato un viaggio di palpitante ironia, speculare ad un'empatia straordinaria(e-migrante), frutto del rispetto verso l'altro da sè.
    La tua padronanza assoluta, somma, della scrittura, poi, ti dà la possibilità di creare uno spartito: parole e musica si 'alternano', nell' essere lette/ascoltate allo stesso modo.
    Un altro momento mi colpisce sempre: il tuo dire, sia in pochi versi, sia lungo una sorta di poema epico dell'oggi.
    Grazie, Ugo.
    Dora Celeste Amato

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  3. ... a me l' Autore pare lanciato in un Galoppo Comunicativo a briglia sciolta su un Destriero i cui zoccoli non ferrati sollevano nugoli di Detriti Mnemonici dai quali Entrambi i Protagonisti, Poeta e Uomo (Cavaliere e Cavalcatura) di Questa Forma di Arte così poco accondiscendente, fuggono con la Furia di chi non può prestare attenzione a ciò che conosce perfettamente, ... quella Natura Umana, quel Se stesso coniugato nel Prossimo, ... quella Diversità Uguale a Se stessa, ... di cui non avremmo mai voluto cogliere le Debolezze. Perché la Folle Corsa iniziò, per l' appunto, quando l' Uomo ed il Poeta concordarono sul fatto che mai avrebbero dato, per lo meno intenzionalmente, le Spalle alla Tenzone Comunicativa. Ed allora, Eroi del Loro Triste e Solitario Tempo, che nessuna ricerca Etimologica, avrebbe mai potuto significare, ... in compagnia di loro stessi, si lanciarono al Galoppo, ... brandendo la Ragione, non tanto come Arma, quanto come Bilanciere Direzionale di quella lotta contra la Stasi Speculativa, nemica di ogni Destino ...

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  4. ... a me l' Autore pare lanciato in un Galoppo Comunicativo a briglia sciolta su un Destriero dagli zoccoli non ferrati, che solleva, con un sordo e ritmato crepitio, quei nugoli di Detriti Mnemonici dai quali Entrambi i Protagonisti, Poeta e Uomo (Cavaliere e Cavalcatura) di Questa Forma di Arte così poco accondiscendente, così Epicamente Bella, ovvero così Coscientemente Persa, così Madre, fuggono con la Furia di chi non può prestare attenzione a ciò che conosce perfettamente, ... quella Natura Umana, quella Propria Persona coniugata nel Prossimo, ... quella Diversità Uguale a Se Stessa, ... di cui non avremmo mai voluto cogliere le Debolezze, di cui non avremmo mai voluto saper riconoscere il Volto, quando non le Oscure Sembianze, ... della quale non avremmo ami voluto far parte. Perché la Folle Corsa iniziò, per l' appunto, quando Uomo e Poeta concordarono sul fatto che mai avrebbero dato, per lo meno intenzionalmente, le Spalle alla Tenzone Comunicativa. Ed allora, Soli, perlomeno quanto Disperati, Eroi del Loro Triste e Diffidente Tempo, che nessuna ricerca Etimologica, avrebbe mai potuto significare, ma, solo, nei casi migliori, saggiamente accudire, ... in compagnia di loro stessi, si lanciarono al Galoppo, ... brandendo la Ragione, non tanto come Arma, quanto, come sempre hanno fatto i più Grandi Cavalieri, come Bilanciere Direzionale di quel Continuo, quanto istintivo, Avventarsi contro ogni Stasi Speculativa, ... nemica di ogni Destino, ... nemica dell' Uomo Vero.

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Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà