domenica 15 settembre 2019

Le "Trincee di nuvole e d'ombre" di Marzia Spinelli


"Le ombre in trincea sotto nubi / dalle mutevoli forme: le guardano / a tratti, quale presagio di quel che accade / a terra". Sono i primi versi della lirica con la quale Marzia Spinelli ci invita a seguirla nel suo mondo poetico fatto di "trincee di nuvole e d'ombre", come ci suggerisce il titolo stesso di questo suo gradevolissimo libro, edito da Marco Saya, uno dei pochi editori che pone molta cura e attenzione a lavori poetici di indiscussa qualità letteraria.
Trincee di nuvole e d'ombre vuol dunque essere un viaggio, un itinerario ben progettato e ispirato, attraverso mondi che apparentemente sono separati, divisi da un diaframma che non è del tutto definito e neanche fisicamente individuabile: sono trincee, solchi protettivi che l'uomo si costruisce a sua misura, quasi per ricoverarsi e per difendersi dalle grandezze smisurate, direi infinite, che lo sovrastano inducendogli timore, ansia, sperdimento, perché al di là del conosciuto, del razionale: sopra le trincee le nubi dalle mutevoli forme, e tutti lì in attesa di qualcosa che si compia, attenti, guardinghi, tremando per quel che potrà accadere a terra, per quel che potrà precipitare a terra e nei ricoveri dell'uomo.
La trincea è dunque un po' come il muretto invalicabile del primo Montale: "E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". O se vogliamo alla "siepe" del Leopardi, mirando oltre la quale "il cor si spaura".
Ma le "trincee" di Marzia Spinelli non sono dei luoghi completamente chiusi, o per meglio dire, metaforicamente, degli stati d'animo eccessivamente e negativamente ottenebrati e riavvolti in sé, rassegnati ad un isolamento unicamente introspettivo, un dichiararsi fuori dai giochi: sovente la ridondanza dei fatti esterni a noi, il loro susseguirsi repentino che non lascia il tempo per "metabolizzarli" nel modo più sereno e consapevole possibile, ci lascia amareggiati e avviliti, ci induce a quel ripiegamento in noi stessi per non "vedere" e non "sentire" le enormità, nel bene e nel male, del mondo di fuori, il mondo che sta al di là del muretto, della siepe, della trincea che ci siamo costruiti. Vediamo le "nuvole", le "ombre", al di là, sperando che passino, che il "presagio" negativo si annulli sulla nostra terra, nella nostra anima.
E dunque c'è, nelle poesie di Marzia Spinelli, questo spiraglio, questa luce, questa speranza. Una trincea non chiusa al di sopra completamente, come dicevamo, ma aperta verso il cielo, verso i colori e verso il sentimento: "Mi sovrasta un pulviscolo rosa / cui potrei un istante abituarmi, / cedere come cosa / al frantume, arrendermi / al raggio nuovo, a una benefica polvere / Potrei (…) rinnegarli tutti / i fantasmi".
Cosa occorre ancora per far sì che le trincee diventino in qualche modo officine, laboratori di vita e di esperienze, crogioli per nuove ascese verticali in direzione del libero cielo e delle libere nubi? Qui il progetto di Marzia Spinelli si illumina ancora di più, acquista un significato quasi escatologico, una densità e una proprietà comunicativa portentose: è la parola, la parola poetica degli stessi Poeti, che lavorando nel "chiuso delle trincee quotidiane", costruiscono il senso e l'essenza delle cose del mondo e dell'universo intero, umanità compresa. "La Poesia è un vento, / si spande sulla terra e la solleva. / Mette radici passo a passo. / E tra peso e aria / fingiamo l'eternità." Ecco il senso, la speranza, l'illusione costruttiva, il sogno: tra peso (cioè materialità e fisicità) e aria (cioè levità, libertà, apertura all'infinito…) noi fingiamo l'eternità, cioè ci ricostruiamo il sogno e la speranza, il distacco verso il trascendente, ci rimettiamo in gioco.
Ottimo e singolare progetto poetico, questo di Marzia Spinelli in "Trincea di nuvole e d'ombre", un libro che va letto e meditato per il suo spessore, per il suo contenuto proposto con uno stile fluido, personalissimo e gradevole. Come sempre, gli amici lettori che ci seguono, se lo vorranno, potranno esprimere ulteriori interessanti commenti in proposito.

Riportiamo quindi qui di seguito alcuni brani tratti dal libro, che offriranno lo spunto per eventuali altre gradite riflessioni al fine di ampliare le considerazioni su questa interessante raccolta poetica di Marzia Spinelli.



Le ombre in trincea sotto nubi
dalle mutevoli forme: le guardano
a tratti, quale presagio di quel che accade
a terra

dove scorrono fiumi
e tutto sgorga dall'acqua,
dove colano scorie
ingannevoli anche del cielo.

Dove tutto stagna. Zampilla.
E passa.


***

Una luce nuova

Scostati, dico all'ombra
in ascolto.
Muto e ancorato il suo calco,
vuota la sagoma che vorrei
riempire. Spostarla, peso leggero,
darle vista dei fiori
di pesco già sbocciati,
fanno strada alla luce agognata.

Mi sovrasta un pulviscolo rosa
cui potrei un istante abituarmi,
cedere come cosa
al frantume, arrendermi
al raggio nuovo, a una benefica polvere.

Potrei vincere cancellandomi
a lei con me. Rinnegarli tutti
i fantasmi.


***

Tracimiamo oggetti, carezze,
vènti che crediamo di definire

alla fine, penseremo
di aver potuto farne a meno.

Da Alpha ad Omega
tutto diviene,
s'abbraccia un momento
e già perduto.

Il dolore non è l'atomo
in caduta, ma il secondo
che precede,
l'ora d'indicibile chiarezza.


***

Passato il temporale

Vaneggiano le nuvole passato il temporale.
Non sanno dove andare, come noi
dopo tempeste che smantellano.
Le guardano i bambini, disegnando
elfi, giganti, orsi, castelli…
non pensano a quando saranno vecchi.
Assorbono la luce della nebulosa che evapora,
quasi sapessero
quanto sarà provvido l'arcobaleno.


***

Metto in piedi la giornata
così come viene, come mettere in moto
l'automobile o innestare nel corpo
qualche vitamina. Delle nuvole allineo
il peso, l'improbabile sorriso,
la smorfia un po' beffarda, specchiata.

Mi alleno alla regola
della sveglia, al fine settimana,
al culto delle pulizie. Mi abituo
al polline, alla goccia che cola.
Mi premuro alla pioggia. All'odore
crudele che promette Primavera.


 ***

Passa l'Angelo

Vedi, ogni trincea si fa occasione.
Non ci abbandona l'Angelo
evocato ogni mattina per timore:
sa di essere consolazione
e non chiede altro. Lo rinnego
quando troppi sono i morti,
troppo ingiuste le perdite.

Sembra svanisca per qualche tempo,
irreperibile e dissolto riappare
quando ormai lo credo nell'oblio
lontano, a ingaggiare una lotta bizzarra,
guerra e pace solo nostra:
ci spendiamo in promesse,
cediamo, concordi assestiamo.

Così la trincea si fa più dolce.
E di nuovo aspra. Lui resiste
con luce insolita, aura bislacca…
Invece è più sensata, verosimile
la piuma di pace.


***

La Poesia è un vento,
si spande sulla terra e la solleva.
Mette radici passo a passo.
E tra peso e aria
fingiamo l'eternità.


***

Prima di uccidere i Poeti
dovranno scalfire le stelle
il suolo e l'aere dei Tempi
i bagliori e le rivoluzioni
e pestare le parole
i versi morti
fatti di luce e di sensi
e tutti i Miti che hanno nove vite
l'insieme di atomi e neutrini
che hanno fatto epoca.


Marzia Spinelli, "Tricea di nuvole e d'ombre", Marco Saya Edizioni, 2019; prefazione di Plinio Perilli.


Marzia Spinelli è nata a Roma, dove vive e lavora. È stata tra i fondatori e redattori della rivista Lìnfera, e nella redazione della rivista Fiori del male. Ha collaborato ad altre riviste di arte e letteratura, tra cui La botetga del restauro, Omero, Frontiera, supplemento a Gli immediati dintorni. È presente in varie antologie e suoi testi poetici sono stati commentati su riviste di critica quali Puntoacapo, Civiltà cattolica, Noi donne; alcuni sono stati tradotti e pubblicati nella rivista romena Conta. Ha pubblicato: Fare e dsfare, con nota introduttiva di Guido Oldani (Lietocolle, 2009); Nelle tue stanze, prefazione di Alberto Toni (Progetto cultura 2003, 2012); l'e-book Nel cielo dell'altro un po' più ampio, prefazione di Mario Melendez, traduzione di Emilio Coco (a cura di La Recherche, Poesia condivisa 2.0, 2014).


venerdì 23 agosto 2019

Nel verso nulla ritorna: Felice Casucci e le sue trentanove poesie meno una


Nulla ritorna nel verso giusto, ovvero: le cose ormai compiute, nel bene o nel male, non potranno più sistemarsi a dovere come prima. Ma c'è anche, al contrario, un aspetto romantico e dotato di una carica emotiva maggiore: nel verso nulla ritorna, cioè il sentimento, l'amore, la bellezza, in una parola tutto il mondo e la sua anima, non torna nel verso, nella poesia, ma da essa parte una sola volta, in un solo momento, in un solo attimo fuggente. Questo, in sintesi, mi sembra di aver colto nella recente e interessante raccolta poetica di Felice Casucci, dal titolo veramente singolare: "Nel verso nulla ritorna", edito da RPlibri, Marchio Editoriale diretto da Rita Pacilio e di cui già ci siamo interessati, e ci interessiamo, per la qualità e l'accuratezza delle sue pubblicazioni.
Ma torniamo al libro di Felice Casucci. Si tratta di 39 brevi poesie, meno una, come è indicato nel sottotitolo: a pagina 18, infatti, troviamo solo il numero progressivo delle composizioni, il nr. VI, ma non c'è nessuna poesia, neanche una parola, come se l'Autore avesse voluto inserire un momento di riflessione silenziosa, di attesa, di ricapitolazione interiore: nulla da dire, se non l'assenza da qui, se non l'inutilità di qualunque formulazione sonora per indicare la brevità del tempo, dell'attimo, del pensiero creativo e formativo. Ed è invero un'invenzione riuscitissima, questa poesia priva di suoni e di parole, ma che nello stesso tempo suggerisce quegli stessi suoni e quelle stesse parole che il lettore attento e sensibile deve e può interpretare attraverso il vuoto e il silenzio della pagina: a tutti gli effetti, la composizione "meno una" rientra nel novero delle trentanove poesie e rappresenta l'emblema della poesia riflessiva, aderente allo stato d'animo del lettore che in quel momento abbraccia in silenzio tutto l'universo, e non ci sono parole adeguate per tracciare una descrizione razionale. La poesia nr. VI è lì, nel contesto generale, fa parte a pieno titolo del progetto poetico complessivo dell'autore.
Progetto che prende forma in queste trentanove composizioni (mi piace dunque considerare anche la nr. VI per i motivi esposti prima) che Felice Casucci scrive seguendo il filo logico – anzi, poetico! – che più sopra avrei individuato, e cioè l'impellenza a vivere il momento e il luogo, l'hic et nunc, tanto nella società e nella storia, quanto nel rapporto tra l'uomo e la natura: "Su vieni / a tirare la soma dell'amore / nel verso in cui / nulla ritorna." (XXXIX, pag. 51). E' la composizione conclusiva, che Felice Casucci pone al termine del suo itinerario poetico ma anche filosofico, in questo suo pregevole libro: una conclusione che non solo è un "riassunto" del suo progetto, ma è anche un punto di partenza, un invito a proseguire questo itinerario sulle tracce di quanto già suggerito. Leggiamo infatti, a pag. 45: "Fa più male del dolore fisico / il cadere della voglia / e della fiducia. / La notizia è / 'un uomo colpito da un sasso'."
Bisogna dunque essere sempre vigili, considerare l'essenza delle cose e dell'uomo, saper coltivare i "fiori" nel giardino della propria anima per affrontare "il nulla" che sta fuori (pag. 36). E' una considerazione, un invito, un progetto che Felice Casucci ci indica, attraverso il suo stile stringato, essenziale, quasi epigrammatico, ma studiato e ispirato, perché in poesia a volte la sovrabbondanza e la ridondanza, le sovrastrutture e i monotoni giri di parole, danneggiano la composizione, la appesantiscono, con il rischio che il lettore possa perdere la centralità dell'idea dell'autore. Ciò non avviene in queste composizioni, anzi, la destrezza e la competenza poetica del nostro Autore si evidenziano proprio nella corposa laconicità (permettetemi questa mia definizione quasi ossimorica!) espressiva, nello spessore del dettato, tutto incentrato sull'idea originale del vivere pienamente e contestualmente ogni cosa, perché "nel verso nulla ritorna"!
Proponiamo dunque ai nostri lettori alcuni brani poetici tratti dal libro "Nel verso nulla ritorna", di Felice Casucci; saranno molto graditi altri eventuali commenti e riflessioni sul tema indicato dall'Autore.



I.

I sogni
sono stelle preziose
incastonate
nel calcio di un fucile.


XVII.

Basta la vita alla tua infelicità!
Non far nulla per essa
non imbracciare le sue armi
non addestrarti
non far giustizia
non saziarti
non lasciare impronte sulle sue vesti.


XXIV.

Ho paura di lasciare
il giardino fiorito
della mia anima
e di conoscere il nulla
senza aver colto
alcun fiore.


XXVIII.

Violino senza corde
suona per me
la voce di Gerardino
che si addormentò in poltrona
davanti al televisore
mentre smettevano le campane del cuore.


XXXIV.

Signore,
ho smarrito la strada.
Fingo di pregarti
con le emozioni del corpo
ma non sento più giochi dentro di me.
Le attese diventano sconvenienti
riempite solo da rare visite di cortesia.
Non trovo l'oro dei tuoi getti d'acqua
i freschi baci dell'ombra tua.
Vedo allontanarsi il punto dal quale
sono partito,
che faceva quadrato intorno a me.
E la neve da cui discesero
i torrenti della giovinezza
mi avvince a un gelo prematuro
specchio lucido
nel quale io non sono io.


XXXVI.

La dattilografa il medico
il motociclista e l'orologiaio
interruppero la loro attività
quando qualcuno gridò
di spegnere la musica.


XXXIX.

Su vieni
a tirare la soma dell'amore
nel verso in cui
nulla ritorna.


Felice Casucci, nato a Napoli nel 1957, è giurista accademico, poeta, scrittore. Fin dalla giovane età pratica il volontariato sociale e culturale. E' il Presidente della Fondazione Gerardino Romano di Telese Terme (Bn).

Felice Casucci, "Nel verso nulla ritorna", RPlibri, 2019



venerdì 9 agosto 2019

Monia Gaita, tre inediti


Monia Gaita, validissima poetessa irpina, nota anche in ambito nazionale, valente critico e giornalista, operatrice culturale, ci propone qui tre suoi testi inediti, che volentieri pubblichiamo in questo spazio di "Transiti Poetici".
Un rendersi disponibile in sordina, ma senza trascurare la propria forza, l'impellenza di essere e di trasparire attraverso la filigrana della quotidianità, la volontà di dichiarare e di "vidimare" la propria luce e il proprio amore in assoluto. Suddividersi consegnandosi agli altri, ma proteggendo l'io, la propria originalità e la propria voce. Tutto ciò, in estrema sintesi, aleggia in queste sue tre composizioni. La sua voce è alta, il suo dettato preciso e ricco di rimandi, con un lessico elaborato e colto ma diretto e fluido.
Ringraziamo Monia Gaita per averci offerto la possibilità di entrare, ancora una volta, nel suo gradevolissimo e pregevole mondo poetico. Gli affezionati lettori che ci seguono potranno aggiungere altri graditi commenti in merito o eventuali spunti di riflessione.




Ho consegnato

Ho consegnato copie diverse di me stessa
in base al ruolo, al contesto, all’occasione.

L’originale la custodisco per me sola,
per questo cielo dal cuore basso e costernato,
per questo sole che annoda trecce al corpo dei noccioli.

Ho consegnato copie diverse di me stessa
per decompormi senza nome
nelle raffiche del vuoto,
per sgominare la paura di esser viva,
la silenziosa scorta delle fragilità.

E ora che i miei doppi tamburano i secondi
vado bevendo il vuoto a sorsi lunghi
come un’acqua.

E inutilmente cerco quell’io usurpato
già troppe volte estinto
che ha seppellito il vero dal suo guscio
nella fossa.


***

Certo, fui brava

Oggi ti penso senza rancore,
il collo e le spalle nude.

Infilo la fionda dei rimpianti
dentro la cintura
e la malinconia stormisce al vento,
inquina l’aria, ne arriccia bocca e naso
in una smorfia.

Dalla tribuna delle colpe
si leva una bandiera,
reca l’odore dell’erba bagnata
e un equipaggio di ricordi
attraversato da troppe cicatrici.

E con la coda dell’occhio
scorgo e riscorgo quel che è stato,

il pugno del bene che rimane
estratto dalla tasca
come un monile raro.

Non ho mai smesso di amarti.

Certo, fui brava a descrivere
un arco di finzione
quando spavalda ti dissi: ti prego,
non chiamarmi più. Lasciami andare!


***

Vidimare

Portarti dentro:
una sottile corda di chitarra
quando vibra.

Toccarti i rebbi della voce
con le unghie,

il corpo opaco
di ciò che non si lascia
attraversare.

E possederti

dà raggi che convergono
in caduco,

un’imprudenza aperta
e con le dita tese.

Provo a cercare scampo
nei tuoi baci,

premo la lingua
contro il pieno,

lo deglutisco
senza masticare.

E inciderti
sulla corteccia d’olmo
dei minuti,

è penzolare
sull’orlo del pericolo,

è vidimare pure
l’altro vuoto,

un’altra nascita imperfetta
nel tuo nome.


Monia Gaita è nata a Imola nel 1971 ma vive da sempre a Montefredane, paese d’origine in provincia di Avellino. Giornalista, ha all’attivo le seguenti pubblicazioni: Rimandi (Montedit, 2000), Ferroluna (Montedit, 2002), Chiave di volta (Montedit, 2003), Puntasecca (Istituto Italiano Cultura, Napoli, 2006) , Falsomagro (Guida Editore, 2008), Moniaspina (L’Arca Felice, 2010), Madre terra (Passigli, 2015).
E’ direttore editoriale di Delta3 Edizioni. Promotrice culturale, scrive su importanti riviste web e cartacee.
E’ inserita in numerose antologie e testate nazionali online. Porta avanti nella sua Montefredane, con la Proloco che presiede, il Premio di Cultura “Oreste Giordano”, volto a valorizzare eminenti personalità del mondo giornalistico, della poesia, della scrittura, dell’arte e della scienza.


martedì 23 luglio 2019

Il coraggio dell'amore in "Controvento", di Federica Carella


Il vento, la natura, l'amore. Sono questi i tre momenti che caratterizzano, a mio avviso, la poetica di Federica Carella in questo interessante volume, intitolato "Controvento". E si tratta di una raccolta corposa, articolata e decisa, nel senso che in questo lavoro la nostra poetessa di Carpineto Romano ha condensato certamente la gran parte della sua linea poetica, realizzando un libro pregevole e completo. Dicevamo dunque delle tre caratteristiche che si evidenziano nella sua poesia, almeno in questa raccolta. Il vento ricorre spesso, e non solo nel titolo, anche se con accezione di contrasto metaforico, quasi, al fluire normale delle correnti della vita: qui si tratta di andare "controvento", appunto, come se l'anima dell'autrice volesse a tutti i costi realizzare un obiettivo da raggiungere, da perseguire, nonostante le avversità della vita. Avversità che si avvertono subito, all'inizio, con la poesia introduttiva "Resa", dedicata al fratello scomparso: "Ti vedo lontano, / allungo i miei passi / ansimanti / rincorro un te che non c'è più…". Sono avversità che lasciano lacerti profondi di dolore nel cuore della nostra poetessa, che quasi sembra rassegnarsi dinanzi all'ineluttabilità degli avvenimenti: "Corro / e / è tutto inutile". Questi tre ultimi versi sibillini, infatti, denotano la grande lotta interiore che Federica combatte con se stessa, e non solo per la perdita del fratello, ma per tutta l'umanità sofferente, per tutte le privazioni e il buio che le persone affrontano lungo il proprio percorso di vita: la resa è emblematica, è il "controvento" da affrontare comunque, nonostante il dolore e le sofferenze. Per cui non vedo nei versi di Federica Carella una rassegnazione definitiva, una rinunzia, un arrendersi timoroso di fronte al "nemico", natura o uomo o destino che sia, bensì vedo un prendere coscienza a piene mani delle condizioni umane, della precarietà dell'esistenza che deve essere comunque sostenuta e accompagnata dal sorriso, dall'ottimismo, dall'amore.
La memoria, il ricordo, è ancora un valore importante, rappresentando una sorta di compagno di viaggio, e anche qui il vento è denominatore comune nel supportare il vissuto che si tiene e si mantiene prezioso nel proprio cuore: "Se tu mi dimentichi / ci sarà il vento / a ricordarti il mio nome."
Federica Carella affronta quindi la quotidianità espandendo il suo coraggio e soprattutto il suo amore "controvento", aprendo il proprio cuore alla memoria e offrendo al suo prossimo il gusto della propria visione della vita, fatta sì di ricordi dolenti e nostalgici, ma anche di abbracci e di sentimenti fortissimi, che ritroviamo in particolare in alcune sue poesie decisamente appassionate: "Ho cercato / le labbra tue / per sentire il tuo sapore…"
La struttura poetica di Federica Carella, in questo libro, è essenziale e diretta, i versi brevi suggeriscono al lettore le giuste pause per una migliore introiezione del contenuto, che è sempre circondato da un alone di positività e di amore.
Ma lasciamo ai nostri affezionati lettori altre gradite riflessioni in merito alla poesia di Federica Carella, e per questo proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro "Controvento".



La resa

Racchiudo nei silenzi
i miei pensieri stanchi
e
sorda
quasi cieca,
cammino dondolante insicura
sempre un passo indietro,
davanti
distante
avanza veloce
non aspetta
io corro
corro
e…
è tutto inutile.

A mio fratello


***

L'inverno dentro

Come albero
inverno vivo,
spoglie le mie fronde al vento
rami secchi
a sopravvivere.
Tutto intorno muove…
statico.
Nella profondità delle radici
affondo
fletto.
Muto,
il pensiero vola…
e
linfa dormiente sale… sale
a risvegliare i sensi,
lunga stagione di freddo e gelo
come albero
vivo.
Fortuna ci sarà
altra primavera,
altra linfa,
rami nuovi,
fronde piene
e
rinnovati amori.


***

Se fosse aria

Ti amo
come il vento
che accarezza le foglie d'autunno,
come la pioggia
che nutre la terra,
come l'ape
che succhia avida il nettare,
ti amo…
come il fiore baciato d'amore,
come il cielo dopo la tempesta,
come il sole
che brucia,
ti amo per chi sei
ti amo
come sei.
Ti amo
come la vita a quindici anni,
semplicemente
potrei amarti
se amore
fosse
aria…


***

Se tu mi dimentichi

Se tu mi dimentichi
ci sarà il vento
a ricordarti il mio nome,
un prato verde
e un fiore solitario
a parlarti di me,
le tue orecchie
chiuse
ad ascoltare la pioggia
che canta il nostro amore,
se tu mi dimentichi
ci sarà il sole a bruciare la tua pelle
come il mio corpo
caldo
acceso di passione.
Tutto
o
nessuno
a parlarti di me…
se tu mi dimentichi.


***

Penombra

Chiarore penetra
fessure libere,
penombra e luce
disegnano
il profilo tuo.
Linee morbide e occhi come pennelli,
corrono
qua e là.
Cercano
un colore
un odore,
da tenere,
ricordare,
intrappolare,
nel ricordo.
Pennelli dipingono,
chiarore e buio trattengono.
Si odora il profumo del mare
il silenzio
di settembre
e,
la penombra,
intrappolata
nella stanza
consegna
infinita nostalgia.


***

Amami

E' incantesimo sfiorare la tua pelle
raccogliere briciole
di tenerezza
e voracemente succhiare l'attimo
che frena la mia sete di te…
sussulta il mio cuore
ogni battito scandisce il tempo…
e… sembra infinito l'istante che la mia bocca
si aggrappa alla tua.
gelosamente nascondo i tuoi occhi
in fondo all'anima…
lontano dal tutto…
e vicino al me.
sazia d'amore non sono
e… la mia fame si placa
in silenzio…
sfonda l'anima,
libera i tuoi occhi fino ai miei pensieri…
li vedo…

Amami.


(Poesie tratte da "Controvento", di Federica Carella, Annales Edizioni, Roma, 2018.
Prefazione di Antonietta Gnerre.


sabato 6 luglio 2019

La "dualità" nelle poesie di Angela Giojelli


"Due": un titolo sbrigativo, ma anche deciso, perentorio, laconico persino: è questa la prima impressione che si coglie prendendo il libro tra le mani. Certo, il titolo di una raccolta di poesie è sempre emblematico, e l'autore, o l'autrice come in questo caso, deve essere brava a sintetizzare proprio nel titolo tutto il suo progetto poetico che andrà poi sviluppandosi nella pubblicazione. E anche qui, Angela Giojelli ha meravigliosamente indovinato, se non proprio studiato a tavolino in seguito ad una illuminata intuizione, l'emblematico termine che riassume tutto il suo dire.
Perché, dunque, "Due"? Me lo sono chiesto in anteprima, ancor prima di leggere e assaporare i brani poetici di questa interessante raccolta. Rita Pacilio, direttrice e curatrice della RPlibri, per la quale è stata pubblicata questa silloge di Angela Giojelli, nella sua breve ma molto esplicativa nota di introduzione è stata chiara, riferendosi al "due" come dualità, come rapporto tra due persone, nella fattispecie tra madre e figlio: "Prende per mano (l'Autrice) ogni figlio del mondo interrogandosi sull'incertezza della vita e considerando sacra ogni lacrima, ogni sofferenza". Ed è senz'altro così: tutte le poesie della raccolta di Angela Giojelli sono improntate a questa tenera e delicata relazione che esiste tra una madre e i propri figli, suggerita dalla poetessa attraverso varie sfumature e immagini che, tutte insieme, costituiscono poi un mosaico poetico ben delineato e completo.
Certamente, la sua professione di Medico ha senz'altro accentuato la sua già innata predisposizione ad esprimere in versi le sue profonde riflessioni e considerazioni sulla vita in genere e sul dolore che permea gran parte dell'esistenza umana: sono tanti e saranno molteplici i casi particolari di sofferenze che si concentrano nella struttura ospedaliera dove la nostra autrice trascorre gran parte della sua giornata lavorativa a contatto con persone che combattono la propria malattia, e Angela riesce a scrutare nel loro intimo e trarne brani poetici armoniosi e di grande efficacia, piacevoli da leggere e da interiorizzare, forse anche soprattutto per gli stessi sofferenti in transito… Una sorta di toccasana, di taumaturgico sollievo al malessere? Forse! La poesia, del resto, si usa spesso considerare, è buona medicina e allevia lo spirito soprattutto, il che è molto importante, ma potrebbe anche avere effetti psicosomatici positivi!
La Giojelli quindi si aggira nei reparti del malessere, e non solo nelle strutture preposte, ma anche nella vita di tutti i giorni, nella dura esistenza, nella famiglia. Le sue poesie, brevi ed accorate, sono messaggi di amore e di speranza, fondati soprattutto sulla relazione con l'altro, con l'amico, con il familiare, con la persona accanto, persino con il collega di lavoro. Si tratta dunque di mosaico poetico di sguardi e di proposte, un cammino lungo le afflizioni ma anche verso le speranze, le luci, l'amore. "Due" è in sintesi un percorso di rinascita e di rimodulazione del rapporto con l'altro, attraverso la creatività poetica e la sensibilità dell'autrice, la quale riesce ad affinare e a generalizzare nella giusta maniera il suo dettato, sì da renderlo valido per tutti.
Un'altra perla si aggiunge così alla produzione editoriale di RPlibri, grazie alla lungimiranza e alla competenza della sua ideatrice e curatrice, Rita Pacilio, sempre molto attenta nelle sue selezioni e valutazioni. Angela Giojelli, con questa sua prima raccolta, "Due", dimostra già di possedere buona padronanza della materia poetica, sia nella forma che per il contenuto originale.
Qui di seguito proponiamo dunque, come consueto, alcuni testi dell'autrice, tratti da "Due", in modo che i lettori che ci seguono possano aggiungere altre interessanti riflessioni in merito.




Immobile

Immobile
nel cielo plumbeo
non dici una parola

resta

sta per piovere
l'aria è sospesa nell'addio
non fa freddo
non fa caldo
l'odore del temporale è
il tuo repiro lento

resta

nei portoni chiusi
immagini la felicità
come tempesta a mano aperta
la tua carezza porta tutto con sé
rabbia e dolcezza

tu resta

non temere
non ti farò bagnare
zitti, adesso
io e te.

***

Diversità

La diversità, figlio mio
non è un male
sorridi
siamo insieme a camminare
e ti sarò ancora più vicina
sarò ancora più forte
di qualsiasi altra mamma
perché tu sei più vicino a Dio
e molto più forte
di qualsiasi altro bambino
nessuno può risparmiare i dolori
ai suoi figli
e non saranno tolti neanche a te
che dovrai capirli di più
e sentirli di più
abbi pazienza con le persone
così confuse, frenetiche
perdona gli irriverenti
e ama
ama forte
ama tutto
ama il bello
divertiti
sogna
buttati nella mischia
con l'orgoglio della tua diversità
il male è non vivere.

***

Rumori di febbraio

Nei rumori di febbraio
c'è il vento
e la speranza demolita.
La tristezza non mi permette
la corsa: non ci vedremo più?
Poesia mia, albero in fiore
tu non cadi mai.

***

A Enzo

Hai avuto freddo per l'ultima volta
mentre eri sulla barella
Quante ne hai viste?
Poi sei diventato primavera
mentre ti piangevo.
Sei rinato nel volto dei tuoi figli
nella compostezza di tua moglie
nell'ordine che hai lasciato.
Leggero il tuo andare
così tanto amore nel volo
nella certezza di arrivare
a casa.
Il tuo gatto nero,
come me, non ha bisogno di cercarti.

***

Resti di me

Resti di me in te
in cerca di quella strada
come luci che si affievoliscono
quando i bambini si addormentano
ultimo sorso d'acqua
facce rosse di giochi
sul letto bianco a due piazze
crollati a braccia aperte
lì sprofondano i desideri
d'improvviso
sfiniti dalle corse del giorno
inghiottiti dalla notte intera.

*** 

Sopra me

Il tuo bene
sopra ogni cosa
sopra me.

Guardo dove tu non vedi
è il mio dono questo decimo senso
si chiama dolcezza di mamma
regala verità
anche quella dura
sappi che dove avrai porte chiuse
ci sarò io ad aprirle
dove tu non capirai
parlerò per te
e dove tu non saprai amare
io scriverò una poesia.

*** 

Non è un tempio

Il nostro non è un tempio
non ha porte
i pensieri più semplici ci abitano liberi
nulla è complicato
ciò che ci appartiene si diffonde
si chiude nel pugno
nella lacrima gioiosa
nella mera materia che ci cambia
tu guardami bene
rimango la tua dimora
piccola anima
piccola donna ospite di te
stretti in noi
stretti a noi
nella casa della pace.

(Testi poetici tratti da: "Due", di Angela Giojelli, RPlibri, 2019)


Angela Giojelli è nata a Capua e vive in provincia di Caserta. Specializzata in Radiodiagnostica, attualmente è Dirigente Medico presso il Presidio Ospedaliero A.S.L. Campania. Appassionata di scrittura, ama leggere e partecipare a incontri di poesia. "Due", edito da RPlibri, è la sua prima pubblicazione di poesie.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà