Senza però andare più nello specifico o nella tecnica di tali espressioni poetiche, desidero qui semplicemente presentare e proporre questa recente opera della Innocenzi, che è da apprezzare moltissimo, non solo per il difficile compito che certamente ha dovuto affrontare nello scrivere i testi nel pieno rispetto delle regole e degli schemi da osservare, ma soprattutto per la bontà e la profondità di contenuto che ne scaturisce. Leggendo in modo continuo tutte le composizioni, si evidenzia un certo filo conduttore basato proprio sul titolo: canto del vuoto cavo. Vi è sottolineato, in tutta l’opera, un senso di ricerca esistenziale da attuarsi attraverso l’isolamento dalla folla e dai rumori del mondo, per concentrarsi su sé stessi nel silenzio della meditazione: in questo modo, l’utilizzo di forme poetiche simili è perfettamente aderente e consono alla cultura e alla filosofia orientale, che noi “occidentali” purtroppo sottovalutiamo o ignoriamo del tutto.
I pochi versi di ciascuna composizione sono intensamente significativi, racchiudono tutto un mondo e tutta una storia: poche parole ben “sistemate” che armoniosamente dicono un attimo ma raccontano l’eternità e l’infinito. Immagini della realtà, memorie, luoghi, che si trasformano in simboli di vita universali. E come dal vuoto cavo, privo di movimento e di storia, immobile in sé, non sortisce alcun disturbo, alcuna distrazione, così in questi versi della bravissima Innocenzi il vuoto interiore, cavo, limpido, genera un canto sublime ed infinito, mai più frastagliato o inquinato dalla materialità del mondo esterno.
extrasistole
che scende alle ginocchia
da quarant’anni.
padre, tu il primo.
delirio di tormenta,
tonfo nel vuoto
coriaceo questo
canto del vuoto cavo
rifranta linea
nera. Tu mise
en abime
dell’azzurro,
piuma di pianto
pelle di mela
la sera allo specchio
miele che cola
il corpo trema
cosa scartata, molle
sul pavimento
on the dark side.
schianto di luna persa
tra i gerani
l’ossesso chiama
spettri di cavo sole
dentro l’abisso
[Torino]
La pioggia sfiora
casseforti di case
cruda, a spiare
parole andate
una Olivetti accanto
al davanzale
maggio, racconta
la verità del cuore.
da tanto verde
assorda in silenzio
il parco diroccato
sei così nebbia
che anche le tue parole
di fionda sono
niente, vento caduto
scorie di un fatuo rosso
le cose stanno
anche se non le vedi.
sul riverbero
sosti, millimetrico
angolo di scacchiera
[congedo]
quaranta estati
di tenero amore
per te, mi fosti
spettro e avo, figlio,
mio fratello per sempre
Francesca Innocenzi è nata a Jesi (An) nel 1980. È laureata
in Lettere classiche e dottore di ricerca in cultura di età tardoantica.
Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la
raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di
racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il
nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012) e Non chiedere parola (2019); il
saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011); il romanzo
Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune
pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom
(2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio
dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia
“Il Mangiaparole”. Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio
interiore”.
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